Scena II.

BERNARDETTO dalla destra. Detta.

Bern. (fuori di scena). ― Caterina! Dov'è la più bella delle Caterine?

Cat. ― Sono qui, Bernardetto; scendete.

Bern. (entrando e fermandosi sul pianerottolo). ― Ah! lo sospettava io!... Quando i vostri affari non vi trattengono di là, si può essere sicuri che siete sempre qui! (scende e si avvicina al banco)

Cat. ― Ero venuta per inaffiare questi poveri fiori che Gaspare mi raccomandò tanto prima di partire.

Bern. ― Già, già, i fiori!... (prende in mano la pistola) Chi è il matto che gli ha affidato un'arme come questa?

Cat. (volgendosi). ― Per carità, è carica!

Bern. ― Carica? (riponendo in fretta la pistola sul banco) E lui lascia in casa una pistola a sei colpi carica?

Cat. ― Egli stava per andarla a provare nell'orto, e me ne aveva avvertita, quando gli arrivò quella lettera che lo invitava a recarsi subito in città... Io che mi trovava qui...

Bern. ― Per caso...

Cat. ― Già, perchè non era di là, gliela lessi... e allora, addio pistola! Ora tremava, ora rideva, e intanto gli venivano giù certi goccioloni così... Poveretto, è da compatire: si tratta forse di conoscere i suoi parenti.

Bern. ― Dio sa che roba, poichè hanno aspettato ventitrè anni a ricordarsi di lui!

Cat. ― Chi può sapere se non c'è stata qualche fatalità di mezzo? Se dai sentimenti del figliuolo si potessero arguire quelli dei suoi genitori, io avrei ragione di sperare una bella riparazione... Ma Gaspare era tanto fuori di sè dalla gioia, che appena si fu un po' riavuto, infilò la meglio giacca, prese il bastone, e via! Ma ora che mi ricordo; se l'avete visto anche voi, quando attraversò la piazza seguito dai soliti monellacci, senza darsene per inteso, anzi ridendo, come non aveva mai fatto per lo innanzi!

[269] Bern.― Si, io mi trovava al caffè cogli amici... I monelli, scimmiottando d'essere sciancati come lui e strombettando una marcia alla bersagliera, se lo presero in mezzo, e marche! lo avvolsero in un tale nuvolone di polvere che deve esser giunto alla città più infarinato d'un sacco in molino! Ah! ah! ah!

Cat. ― Bernardetto, se mi volete bene, non fate così: quel ridere mi fa male!

Bern. ― Come si fa a non ridere?

Cat. ― Ma che colpa ha lui di essere così disgraziato? Se avessero avuto carità di lui quand'era piccino...

Bern. ― Già... già... la solita storia: se uno è zoppo o sciancato, è sempre perchè lo tenevano in braccio soltanto da una parte: se è gobbo è sempre perchè lo lasciavano affondare troppo nella culla... Insomma, a sentirli loro, sarebbero tutti belli, se non fossero tutti brutti!

Cat. ― Un bel merito avete voi di essere... diverso da lui!

Bern. ― Un gran merito, poichè piaccio alla mia Caterina!

Cat. ― Vanesio!

Bern. ― Può essere; ma se fossi sciancato, sbilenco e rattrappito come lui, non mi sposereste.

Cat. ― Se vi volessi bene, perchè no?

Bern. ― Ma non mi guardereste neanche se fossi brutto come lui!

Cat. ― Chi vi dice che Gaspare sia brutto?

Bern. ― E non canzono!

Cat. ― Lasciamo da parte la disgrazia di quella gamba...

Bern. ― Obbligataccio! E non ne ha che due: se glie ne levate una!

Cat. ― Di cera non è proprio brutto... Se si facesse tagliare i capelli come voi... la barba....

Bern. ― La testa.

Cat. ― Gli occhi sono dolci... Sicuro: l'avete obbligato a fuggir sempre, a cercar sempre di nascondersi! Ma se non ci fosse la disgrazia di quella gamba...

Bern. ― Eh! gamba più, gamba meno, non importa!

Cat. ― Sapete ciò che vorrei vedere io? Se Gaspare allevato [270]come voi ed abituato ad essere rispettato, coll'ingegno che ha... ― voi stesso avete detto che imparò prestissimo quel po' d'arte che sa dall'armaiuolo che fu qui di passaggio, ed io aggiungo che quando non ha paura di essere deriso, dice cose che vanno al cuore e non dicono gli altri ― vorrei vedere, diceva, se non sarebbe...

Bern. ― Uno scarabocchio?

Cat. ― Chiamatelo com'è battezzato, ve l'ho già detto, (passa a destra) altrimenti ci guastiamo.

Bern. ― Dunque Gaspare, Gasparino, Gasparone! Ma voi convenite d'una cosa... (la piglia a braccetto)

Cat. ― Sentiamo...

Bern. ― Considerando, primo: che voi sola in tutto il paese lo chiamate Gaspare e non Scarabocchio come l'ha fatto mamma natura... lasciatemi dire; secondo: che seguitate a concedergli l'uso gratuito di questa stanza che con pochissima spesa potrebbe affittarsi come fior di bottega...

Cat. ― Terzo: che quando non sono altrove sono sempre qui.....

Bern. ― Si potrebbe concludere che la bella Caterina, se non capitava a tempo Bernardetto, avrebbe tollerato che lo sgorbio le facesse l'occhiolino di triglia!

Cat. ― Lui? Oh poveretto, che non osa quasi guardarmi! Ma siete matto?

Bern. ― A parte gli scherzi, appena ci siamo sposati, aria!

Cat. ― Aria? E voi credete che io possa abbandonare nuovamente alla gente senza cuore perchè ne faccia il suo trastullo quello che mia madre buon'anima ha raccolto? Non ci pensate neanche: sarei una cattiva figliuola, una cattiva cristiana!

Bern. ― Ebbene tenetevelo; ma non qui, laggiù in fondo all'orto sotto la tettoia... Vuol tanto bene alle bestie: terrà compagnia al ciuco.

Cat. ― Bernardo, quando si ha la fortuna di esser nati sani, robusti, e fatti... via, in modo da essere contenti, si è come tenuti per dovere a fare meno dura la disgrazia degli altri; e voi potete odiare un disgraziato che è buono come il pane?

Bern. ― Io lo odio? Neanche per sogno! Lo amo: mi fa [271]ridere! Ma non voglio che mia moglie abbia sempre sott'occhio un coso disgraziato, disgraziatissimo, ma brutto e ridicolo.

Cat. ― Bernardo, state ad ascoltarmi, mentre siamo sul discorso e siamo sempre in tempo...

Bern. ― Io non lo sono più, poichè m'avete preso l'anima!

Cat. ― Io voglio che mi promettiate una cosa, ma sul serio.

Bern. ― Ma mille, Rinuccia mia! (per abbracciarla)

Cat. ― Una sola e le mani a casa che farà due. Io vedo con dolore che avete l'abitudine di scherzare su tutto, di farvi beffa continua delle altrui debolezze, e peggio poi delle imperfezioni del corpo...

Bern. ― Per chiasso! semplicemente per chiasso!

Cat. ― Or bene, io sono donna, e perciò mi sento debole anch'io; e i vostri bei scherzi, le vostre famose burle mi dànno tutte una sensazione dolorosa come se fossero fatte a me. Voi lo sapete, quando ammazzarono il povero gatto di Gaspare io stetti tutto il giorno senza poter mangiare... Sarà una cosa ridicola; ma io domando se nel petto di chi fa queste belle prodezze possa battere un cuore per un sentimento gentile, un cuore che mi sappia, se il Signore mi volesse mandare una disgrazia, compatire e consolare.

Bern. ― Caterina... via... sentite: appena sono vostro marito, delle farse non se ne fa più... (E speriamo bene che non se ne faccia a me).

Cat. ― Appena sarete mio marito?.. E perchè non da questo momento?...

Bern. ― Per affrettare quell'altro momento che non viene mai!

Cat. ― Proprio da uomo di cuore e di onore me lo promettete?

Bern. ― Di cuore e d'onore.

Cat. ― Allora, quand'è così, vado a mettermi un velo, e andiamo subito colla zia da ser Agapito a combinare il giorno del matrimonio... Aspettatemi qui.

Bern. ― Ah! la più cara di tutte le Caterine!

Cat. (salendo la scala). ― Ma badate, fine alle beffe, o finirete per farmi amare quelli che perseguitate.

[272] Bern.― Inteso. (le manda un bacio)

Cat. ― Dieci minuti e sono in ordine...

Bern. ― Dieci ma non venti... (indietreggia sino al banco per vederla allontanarsi)

Cat. ― Ma lasciate stare quella pistola...

Bern. ― Non dubitate: mi sta troppo a cuore vivere con voi, e per voi... Uh cara!... Spicciatevi a sposarmi... o io ve la faccio a voi l'ultima burletta!

Cat. ― Matto! (via dalla destra)

Bern. (mandandole dei baci). ― Matto! mattone! mattissimo! ― Ah! Ah! Tu hai un bel dire, ma se Bernardetto è riuscito a far breccia nel tuo cuore, nel cuore d'una ragazza buona come il pane, bella come un fiore, e ciò che non guasta nulla nell'anno di poca grazia in cui mi trovo, ricca come un tesoro, è perchè sono un giovane allegro, che tutti i giorni ne sa inventare una per far dimenticare agli altri le tasse e a me... che non ho più da pagarne! Ma, a proposito, moriva dalla voglia di leggere la lettera che mi scrive dalla città l'amico Roberto... (trae di tasca una lettera suggellata) anche lui della confraternita del buon umore. Ho fatto bene a tenermela in tasca, chè se Caterina si avvedeva della cosa! mandava a monte la farsa. Ma sentiamo come è andata. (legge) «Carissimo amico ― Il tuo raccomandato mi è arrivato ieri sera mentre io mi trovava a cena alla Corona di Spagna, secondo le nostre intelligenze― Bravo! ― Sebbene non fosse prestabilito, ho avuto carità d'un povero diavolo che aveva fatto venticinque miglia a piedi, e gli ho fatto dare da cena― Benone! ― Quando ebbe mangiato e bevuto, gli ho fatto intendere con gran mistero che io era incaricato da persone che ad ogni costo volevano rimanere incognite, di fargli noto che se dichiarava di rinunziare per sempre alla ricerca dei suoi parenti, questi gli avrebbero fatto pagare per tutto il tempo della sua vita cinquecento lire al mese. Per far corto, ti dirò che il tuo imbecille è caduto pienamente nella ragna; ma che mi ci volle del buono e del bello per rimetterlo in istato di ritornare a casa colla diligenza, di cui gli ho pagato un posto perchè non avesse da cambiare i biglietti.― Bravissimo; io non ci aveva pensato ― Anzi, a dirti tutta intiera la verità, sono stato lì lì per isvelargli la burla, tale e tanta [273] è stata l'impressione che mi ha fatto il suo stato... A rivederci alle tue nozze e credimi, ecc.» Ma che impressione! Se tu sei di fibra tenera non sarai mai capace di condurre a fondo una bella burla coi fiocchi, amico mio! Ma già egli non riflette, come Caterina, che se il ridere è quello che distingue l'uomo dalle bestie, per far rider l'uomo necessariamente la natura ha dovuto inventare la classe benemerita degli uomini ridicoli! Che colpa ho io se quando vedo Scarabocchio mi dimentico subito che ci sono dei creditori? A proposito, ne ho uno che è gobbo... Un giorno, il giorno della sua festa, scrissi una circolare a nome suo a tutti i gobbi che c'è a tre miglia attorno, con invito a pranzo, adattando bene inteso i pretesti alle persone... Non ne mancò uno!... E io cogli amici in istrada a vederli arrivare all'ora fissata, picchiare, entrare, e poi uscire furibondi... Che risate! Ma di siffatte burle, ora non mi degno più: ora mi occupo delle mistificazioni colossali, machiavelliche, infernali! Ma per riuscire che potenza di calcolo! Che previdenza! Preveder tutto e non dare a veder nulla, conservando l'aria del più perfetto minchione di questo mondo, ma colla coscienza di fare anche onore più che non si pensi al paese... Sissignore, onore! perchè i forestieri che vengono a visitarci, vedendo che tutti ridono, scrivono a casa loro: gli abitanti di questo paese sono tutti di buon umore; dunque godono tutti buona salute, dunque hanno tutti quattrini in abbondanza, e governo e pappa a buon mercato; dunque questo è il paese più florido, felice e potente del mondo! (chiasso di fuori, urli, fischi ed applausi; si sente mettere in fretta una chiave nella toppa della porta di mezzo) Fischiano! È lui! (si nasconde dietro il fucinale)

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