Scena III.

GASPARE dal fondo, con premura. Appena entrato si rivolge a parlare verso la strada, non tenendo fuori della porta che il capo. Detto.

Gasp. ― Fischiate, figliuoli, fischiate pure; ma per l'ultima volta, poichè il vostro bel divertimento è finito per sempre! (chiude in fretta la porta e va a sedere sopra la seggiola [274] accosto al tavolo a destra) Miserabili quasi quanto me, e pur sì feroci nel deridermi! La colpa è anzitutto dei parenti che non vi dànno buon esempio, e poi delle autorità che tollerano, loro così permalose, che si insulti una creatura che non fa male a nessuno... Ma non pensiamo più al passato; l'avvenire è mio! che dico, il presente! Essa è in casa... ho sentito la sua voce dalla piazza... mai mi parve così dolce e cara! O povero me, come il sangue mi corre al capo! Sono sfinito dalla fatica e pure non riesco a calmarmi... Lo credo io! comincio ora a vivere!

Bern. (che frattanto gli si è avvicinato sulla punta dei piedi non sentito e non visto, gli pone le mani sugli occhi standogli dietro)

Gasp. ― Ah! ― Chi è? ― Siete voi, Caterina? (toccando le mani di Bernardetto) No... Avete le mani troppo grosse voi! Siete Bernardetto.

Bern. ― Bravo, hai indovinato.

Gasp. ― Bel merito! Siete suo cugino, siete sempre qui... E poi chi vi avanza nel fare delle burle?

Bern. ― Te l'hai a male anche questa?

Gasp. ― Se non mi aveste mai fatto altra burla che questa!

Bern. ― Ma ora sono finite per sempre, Gasparino mio.

Gasp. ― (Non mi chiama più Scarabocchio?) Perchè dite che sono finite?

Bern. ― Perchè basta guardarti, si capisce subito che hai fatto un'eredità... che hai trovato un tesoro... insomma che c'è del nuovo in aria!

Gasp. ― E se anche fosse, non lo dirò a voi che me ne avete fatte tante!

Bern. ― Ti ho fatto qualche burla, è vero; ma del male poi non te n'ho fatto punto.

Gasp. ― Non m'ha fatto del male! Sicuro che non mi avete preso a sassate, no; ma alle volte fa più male una parola che un sasso!

Bern. ― Io t'ho chiamato Scarabocchio come gli altri... Gran che!

Gasp. ― Prima degli altri, e questo è peggio che una sassata!

Bern. ― Prima o dopo, era per ischerzo... E se tu non [275]eri così permaloso, la cosa cascava da sè; ma sì, tu andavi sulle furie!

Gasp. ― Non aveva ragione? Sono uno scarabocchio io? Ho questo difetto che non posso stendere la gamba come vorrei; ma quando io sto fermo sono alto come voi, e se sono seduto...

Bern. ― Non sei più che un mezzo scarabocchio! Ma ritorniamo a bomba: tu vuoi fare dei misteri con me! ma sai a chi lo devi se sei contento? Lo devi a me solo.

Gasp. ― A voi? Impossibile!

Bern. ― Perchè ho riso qualche volta di te, credi che io sia capace d'impedirti di migliorare la tua condizione?

Gasp. ― Voi potevate impedirmi?...

Bern. ― Sicuro, tacendo! Ma sarei stato un fior di birbante, far del male a chi m'ha fatto tanto ridere!

Gasp. ― Bernardo, provatemi che io debbo a voi il mio avvenire ed io vi domanderò perdono in ginocchio del mio dubbio!

Bern. ― Allora inginocchiati e subito, imbecille! (trae di tasca due lettere; una è quella già letta; la rimette in tasca e legge l'altra) Questa... questa... «Onorevole signor Bernardetto». Ma prima di tutto guarda i timbri postali e la data. Tu non sai leggere; ma i numeri mi pare che li conosca...

Gasp. ― Sì... arrivata qui il 26... marzo... colla posta, non c'è dubbio.

Bern. ― Il 27 ho risposto.

Gasp. ― Il 28 Caterina mi ha letto la lettera che m'invitava a recarmi in città...

Bern. ― Il 29 sei partito, e oggi primo d'aprile sei di ritorno. Ora senti, (legge) «Sebbene io non abbia l'onore di essere da lei conosciuto, me le rivolgo sicuro che vorrà compiacermi, trattandosi di fare una buona azione, e sapendo dal negoziante Giuseppe Ferri che non mi indirizzerei invano alla sua cortesia ed alla sua probità». Vedi, non ci sei che tu a credermi un uomo feroce!

Gasp. ― Proseguite...

Bern. (legge). ― «Io sono incaricato di fare ricerche accuratissime di un bambino che sarebbe nato in questo circondario, or sono ventitrè anni, da una povera donna che [276] morì in viaggio dandolo alla luce. Siccome il bambino in questione, se è vivo, non può trovarsi che in istrettezze, e mio còmpito è appunto d'alleviarle, Lei ha già compreso che si tratta di aiutarmi nelle ricerche: sicuro del favore, Le anticipo i miei ringraziamenti... Eccettera... eccettera...». ― Sei convinto?

Gasp. ― E voi vi siete degnato di cercare...

Bern. ― Che cercare! mi sono semplicemente ricordato che Scarabocchio è nato in una stalla di questo borgo da una donna che vi era di passaggio giusto ventitrè anni fa, e che è morta senza che si potesse sapere chi fosse; e ho scritto subito: il bambino che cercate, vive...

Gasp. ― Oh sì, vive, ora!

Bern. ― Ha ventitrè anni, dimora in casa di Caterina Belfiore che gli usa tutte le carità, fa l'armaiuolo, un cattivo armaiuolo, e si chiama Gaspare, e per soprannome...

Gasp. ― Scarabocchio, finora; ma d'or innanzi, grazie a voi, nessuno mi avvilirà più con questa brutta parola! O Bernardetto, perdonatemi se vi ho giudicato male... Io credeva proprio che mi odiaste; ma ora riconosco che se mi avete fatto soffrire è senza volerlo, è perchè non sapevate quanta amarezza io avessi nel cuore...

Bern. ― To', se te l'ho sempre detto, era per chiasso; era perchè io non posso vederti senza ridere!

Gasp. ― Voi non potete vedermi camminare senza ridere? Ebbene... quando sarete di malumore, venite da me... e io vi farò ridere... (fa un giro nella stanza, mentre Bernardetto ride, e poi va a prenderlo per le mani) Ridete! ridete! pur che non ci sia presente Caterina! Ma non basta: d'or innanzi ricordatevi che sono tutto vostro, come lo sono per quell'angiolo della Caterina!

Bern. ― Che cosa potresti fare per me? Difendermi no, chè con un soffio ti si butta in terra: darmi dei quattrini peggio che mai, dunque!

Gasp. (sottovoce). ― Peggio che mai?

Bern. ― Oh! qualche miseria!

Gasp. (traendo di tasca un involto di cinque biglietti da cento lire e spiegandoli uno alla volta). ― Miseria?! Uno... due... tre... quattro e cinque! Cinque! Cinque!

[277] Bern.― Cinque biglietti da cento!

Gasp. ― E mica per una sola volta!

Bern. ― Ad ogni anno?

Gasp. ― No! No!

Bern. ― Allora ogni due anni? È sempre una bella fortuna!

Gasp. ― Oh sì... ma di questi biglietti io ne avrò cinque ogni... mese!

Bern. ― Ogni mese?

Gasp. (esaltandosi). ― Sì, cinquecento lire, sì cento scudi al mese a me, che non arrivavo mai a mettere assieme in un anno due soldi! Dei soldi ora? Dieci mila soldi al mese ora! A palate i quattrini! A staia! A sacca! ― Oh! perdonatemi, Bernardo, questo trasporto; ho sofferto tanto! E pigliate, pigliatene uno, due, quanti volete, per la mia riconoscenza!

Bern. ― Sei matto? Se accettassi, non sarei così contento di quello che ho fatto..... Basta, ti dico! E poi che maniera è questa, appena hai quattro soldi, volerli buttar via a diritta ed a sinistra, anche a chi non ne ha bisogno? Pensa piuttosto al tuo.

Gasp. ― C'ho già pensato. Prima pago alla Caterina il fitto di cinque anni per questa stanza, e poi vado dal sindaco a domandargli quanto costerebbe levare dalla strada tutti quei monellacci...

Bern. ― Te lo dico io: tre soldi, quanto costa un bastone!

Gasp. ― No! voglio che li mandino a scuola, e la scuola la pagherò io.

Bern. ― Ti piglieranno a sassate alla sortita. E il resto?

Gasp. ― Mi farò una bella bottega...

Bern. ― Invece d'andare a spasso tutto il giorno..... E poi?.....

Gasp. ― E poi..... del bene ai poveri..... Altro che cosa posso fare io?

Bern. ― Tu hai ventitrè anni... Vieni qui che ti guardi negli occhi... Ecco, tu diventi rosso come una ciliegia... Tu vuoi pigliar moglie, ci si legge scritto!

Gasp. ― Chi mi piglierebbe mai!

[278] Bern.― Le donne non lo sai che vanno matte per gli scarabocchi?

Gasp. ― Non dite questo, Bernardo!

Bern. ― Parola d'onore: hai visto mai un gobbettino che non abbia una bella moglie? Ma va là, ipocrita, che tu sai già dove andar a picchiare.

Gasp. (negando, sperando e ridendo). ― Non è vero nulla!

Bern. ― Già... perchè lui si permette di amare i fiori...

Gasp. ― Bel merito!

Bern. ― Perchè non vuole che si picchino le bestie...

Gasp. ― Povere bestie, sono così buone appetto degli uomini!... E se sapeste la stretta che ho sofferto quando mi hanno ammazzato il mio povero Nanni!

Bern. ― Consolati; egli ti aspetta nel paradiso delle oche.

Gasp. ― Povero gatto, non gli mancava che la parola!... Era il mio unico amico, dopo Caterina!

Bern. ― Pensiamo dunque, dopo l'amicizia, quando sentirà della fortuna!

Gasp. ― Di chi parlate?

Bern. ― Non del gatto, di Caterina che vuoi sposare.

Gasp. ― Oh! non mi venne neanche per il capo un così fatto pensiero!

Bern. ― Quando è contenta lei!

Gasp. ― Lei... contenta!...

Bern. ― Perchè no? E l'arriva in persona..... chiedigliene!

Gasp. (combattuto e vacillante per l'emozione). ― Caterina... mia! No, no, è impossibile!

Bern. ― Con sei mila lire di rendita? Babbeo! Ma se non mi ha parlato che di te anche questa mattina!

Gasp. ― Sì?... E di questa gamba... non ha detto nulla?

Bern. ― Ma va là, che, se ci metti sotto le tue migliaia, diventa subito una gamba come l'altra... meglio dell'altra!

Gasp. ― Un'ultima parola, Bernardo, mentre sono in tempo: se ella è contenta, credete voi che un giorno i miei figliuoli non somiglieranno a me, e potranno fare i soldati?

Bern. ― E diventar caporali!

[279] Gasp.― O Dio buono! Finora tanto avvilimento ed ora tanta felicità!... Rimanete, ve ne prego; ho quasi paura!

Bern. ― A farti lume? Ti gira. (Se non vado via, o crepo, o mando tutto a monte). Coraggio, o Caterina se la sposa un altro.

Gasp. ― Se basta il mio amore ed il mio denaro, ora è mia!

Bern. ― Bravo! Coraggio! (via dal fondo, dicendo:) ― (Se non vado... crepo!.. crepo!)

Gasp. ― Ne ho del coraggio, sì; ma sarebbe tanto meglio essere come lui!

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