INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L'ACQUA O CHE IN QUELLA SI MUOVONO,
FATTE A DIFESA E ADICHIARAZIONE DELL'OPINIONE ARISTOTELICA.
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Avendo io preso a leggere, per passare la noia del caldo, il leggiadro Discorso del Sig. Galilei, ultimamente stampato in Firenze, come prima venni all'opinione tocca da lui sopra il ghiaccio, onde nacque la proposta questione con gli avversari, allettato da materia tanto bramata nella stagione ardente, cominciai, per mio diporto maggiore, a fare alcune considerazioni sopra diversi luoghi; là talora rallentando l'animo, dove il suo piacere e la presa lezione lo richiedevano.
f. 5 [pag. 65, lin. 35-36]: Dice dunque l'Autore: il ghiaccio è più leggiero dell'acqua, standovi a galla) Ciò non avviene per la sua rarità, essendo acqua condensata dal soverchio freddo, per la forza che ha di congregare insieme le cose simili e le dissimili, in quanto, congregandole, impedisce che vadino al proprio luogo, al contrario del caldo, disgregante le dissimili e congregante le simili: e chiaramente si vede, un vaso colmissimo d'acqua poi non poco scemarsi se quella si congela, non ostante la copia de gli aliti che dentro vi si rinchiudono. Il freddo, dunque, ambiente, conspirando la propria condizione fredda dell'acqua, scacciate le parti calde e più tenue e mescolandovisi molti aliti freddi e terrestri, opera che l'acqua si rappiglia e se ne fa il ghiaccio, misto molto imperfetto; il quale, per contenere quegli aliti, viene a starsene a galla come fa il legno, benchè più denso dell'acqua, ed ogn'altro corpo composto di terra e d'aria, secondo l'Autore, f. 29 [pag. 92, lin. 21-28]. Ma non però assolutamente ad ogni maggiore densità segue maggiore gravità; poichè quanto più il fuoco puro e l'aria pura fussero condensati, tanto meno sarebbeno gravi. Nè dalla maggiore rarità si produce di necessità una maggiore leggerezza; poichè si trovano delle pietre molto lucide e rare, secondo alcuni, e nondimeno sono più gravi; e nelle stelle si truova maggiore densità che nell'altre parti del cielo, e tuttavia non vi è tra loro differenza di gravità o leggierezza, essendo qualità ripugnanti alla semplice natura degli orbi celesti.
[pag. 66, lin. 12-13]: posto in fondo dell'acqua, subito ritornarsene a galla) Questo modo di argumentare, dallo ascendimento delle cose poste nel fondo dell'acqua al descendimento della superficie al fondo, del quale l'Autore molto si vale e dove principalmente si fonda, riesce più fallace che saldo, troppo variando le circonstanze, come diremo più di sotto. In tanto, per fare una scoperta piacevole a tutto il formato discorso, e da lontano penetrare infin al fondo, piantaremo qui nella prima fronte una considerazione generale, la quale ci servirà parimente per un forte e rilevante bastione contra ogni nemico assalimento.
L'Autore ad un'altra dottrina primogenita sua sopra la luna e sopra le stelle, della cui fece qui nel suo proemio menzione, volle con stravaganti arnesi fondare e stabilire un reame negli orbi celesti; ed ora procura di conquistare un altro imperio sotto la luna a questa secondagenita sua opinione, la qual è, che del galleggiare le cose gravi nell'acqua ne sia cagione l'aria che di sopra sta unita a quelle. Ma, per quanto scorgo con la vista de gli occhi naturali, altro non si fa da lui che tentare da diverse bande, con più artificiosi strumenti, di battere e d'espugnare l'opinione Aristotelica, dalla quale, già tanti secoli, fu messa nel possesso del galleggiare la figura larga. E fidandosi forse l'Autore nella forza e nell'ingegno, non si vede che fondi la pretenzione per la sua aria in veruna buona ed intera ragione: poichè alcune prove prodotte, e cavate dalla leggierezza e dalla gravità e da certe proporzioni ed esperienze, chiunque punto vi porrà mente, s'accorgerà che tutte si salvano, o fanno lega con la stessa figura; nè facilmente si sollevarebbono contra il dominio di quella, sì largo e maestevole, per mettervi l'aria, altrettanto ventosa ed instabile. Sì che per mantenere nell'antica e giusta possessione questa figurata signora, basta, per mio avviso, che i suoi confederati e seguaci, secondo l'obligo della confederazione e dell'omaggio, l'aiutino a distruggere le nemiche machine ed a ripararsi da sì pericolosa impugnazione; e così, stando solamente nella difesa, la conservaranno nella propia iurisdizione, poco per altro curando dell'aria, posciachè, non avendo per se stessa veruno appoggio solido e dependendo ogni suo impeto da sole forze straniere, sarà necessitata a ritirarsi in salvo nella propria regione.
7 [pag. 67, lin. 26]: chiamo egualmente gravi) Per me' filosofare, qui si dee distinguere e dichiarire che cosa s'intende per gravità e per leggerezza. Aristotile, considerando il movimento retto de gli elementi rispetto al centro del mondo ed al cielo, corpo soprano e nobilissimo, diffinì il grave ed il leggiero per il moto, per la quiete e per il mezzo, dicendo: Grave esser quello che di sua natura si muove al centro dell'universo; leggiero, quello che si muove dal centro; gravissimo, quello che, fra le cose che discendono, sta di sua natura sotto a tutte l'altre; leggierissimo, per lo contrario, quello che, fra le cose che ascendono, sta sopra tutte: stimando Aristotile, darsi nell'universo per natura della cosa, come dicono i Latini, sursum et deorsum, e la positiva gravità e leggierezza come affezioni del corpo naturale, consequenti alle prime qualità e appartenenti al senso del tatto, e cagioni intrinseche e principali del moto, strumentali però e determinanti l'essenziale forma de gli elementi e de' composti verso il movimento e la velocità e tardità di quello in essi, come ottimamente dichiara il dottissimo Francesco Piccolomini tra più luoghi, nel libro Delle diffinizioni, dedicato al Serenissimo Don Cosimo II, allora Gran Principe di Toscana. E che questa gravità e leggerezza si dia per loro natura negli elementi, come parti del mondo, e, per conseguente, ne' misti, composti di quelli, lo dimostra l'esperienza nel fuoco e nelle calde esalazioni; e la ragione lo persuade.
1. Perciocchè, dandosi principio intrinseco di moto verso il centro, si dee parimente dare il suo contrario, del centro verso il cielo; 2. e ponendosi il natural descendimento della terra e dell'acqua all'ingiù, perchè non si concederà il salimento al proprio luogo nel fuoco e nell'aria? 3. E se dal solo discacciamento del mezzo fluido e contrario nascesse il salimento, ne seguirebbe ch'ogni moto, così fatto, fusse violento; 4. e ch'il fuoco nell'aria, come non contrarii tra loro nell'attive qualità, non ascenderebbe altrimenti; 5. nè il fuoco nè l'aria, rinchiusi tra la terra, non essendo quella fluida, se ne partirebbero mai. 6. Oltre a questo, se un corpo non può muovere l'altro se esso parimente non si muove, non potrà quel sì fatto discacciamento darsi senza qualche movizione dell'acqua: laonde, o quella è mossa violentemente da un altro motore; il qual non ci viene altrimenti assegnato, o noi ce ne anderemo nell'infinito: overo, se per propia inclinazione verso il luogo naturale si muove, perchè non dobbiam dire ch'il medesimo, per la sua leggerezza, avvenga del corpo leggiero all'insù? 7. E senza dubbio, se noi dessimo sospeso in aria un vaso dove qualche sasso e qualche particella di fuoco insieme si rachiudessero, rompendo poi il vaso, tosto il sasso descenderebbe e ascenderebbe il fuoco di sua natura, come continuamente gli veggiamo fare. 8. Ma troppo sarebbe colpevole e difettiva la natura, se avesse prodotta la gravità e non la leggerezza; overo avesse all'una data virtù di muovere e non all'altra, e se più avesse rimirato al centro della terra che al corpo celeste, il quale circonda il mondo basso e 'l governa e mantiene. 9. E dove sarebbe la somma sua potenza e providenza, se non avesse compartita virtù e stromenti a queste cose di scendere e a quelle di salire? 10. Anzi la gravità e l'ascendimento stesso delle cose gravi, potremmo dir con ragione che non forza nè atto fussero di virtù, ma, come di corpi infermi e cadenti, mancanza di vigore e una viziosa caduta. Ma il negare i principii d'Aristotile è assai più facile che 'l riprovarli: e l'inventarne degli altri più sicuri e più senzati è un punto, il quale s'è talora da qualche ingegno tentato, ma spuntato non s'è giamai.
Lasciando, dunque, questo discorso da parte, ritornando al nostro proposito, diciamo che la gravità e la leggerezza in tre modi si prende da' filosofanti: 1. Per la forma stessa essenziale delle cose gravi e leggiere, come primo principio naturale del moto al proprio luogo e della quiete in esso. 2. Per le qualità ed affezioni determinanti detta forma verso il moto, come stromento prossimo ed intrinseco ad esso. 3. Per quella propensione al moto, la quale non è altro che un atto secondo e lo stesso moto; della cui Aristotile, al 4 del Cielo, t. 2, disse non aver nome proprio. Le due prime non si variano, se non si varia il temperamento o la densità; la 3a, essendo esterna, può variarsi, ed accrescersi e diminuirsi, dalla variazione del mezzo e della figura, delle quali disse Aristotile nell'ultimo del Cielo, come ancora dalla velocità del moto, dicendo Aristotile nelle Meccaniche, il corpo grave acquistare più di gravità mentre si muove che mentre sta fermo. E come questa gravità, nascente dalla velocità del moto del braccio più lungo della bilancia, resiste al peso maggiore del braccio più corto, anzi lo innalza, così il peso maggiore quasi perde di peso, o meno l'esercita, nella figura quadra, come in braccio più corto, e l'augumenta nella figura tonda, come in braccio più lungo.
f. 9 [pag. 70, lin. 4-5]: bisogna conferire i momenti della resistenza dell'acqua con i momenti della gravità premente del solido) Questa voce momento è latina e tolomeida, ma non usata, nel preso significato, dal volgare nostro moderno e meno dall'antico; poichè nel vocabolario copiosissimo ed esquisitissimo della Crusca non ve n'è esempio. Questo dico, non per attendere alla purità e proprietà della lingua, ma perchè qui molto importa alla vera intelligenza e dichiarazione della materia proposta. Ma cosa di maggiore momento si è che l'Autore in questo luogo la forza confessa della resistenza, e poco di sotto, scordandosene, conclude esser manifesta la necessità di comparare insieme la gravità dell'acqua e de' solidi, senza più far menzione della sopradetta resistenza, la quale depende non poco dalla figura del corpo grave postole sopra,
f. 10 [pag. 70, ììn. 34-35]: e tanto più, quanto il vaso, nel quale si contiene l'acqua, è più stretto) Come la larghezza è cosa, diversa dalla grossezza, così paiono due cose diverse considerare quanta parte d'un corpo grave si sommerga nell'acqua, rispetto alla lor gravità, e considerare quanto si innalzarebbe l'acqua già occupante quello spazio che poi dal corpo sommerso viene ingombrato; elevandosi più o meno, secondo la proporzione della mole dell'acqua alla larghezza ed altezza de' lati del vaso, i quali la ritengano che non si spanda, ed insieme co' lati del corpo immerso, quasi con moti collaterali e contrarii, premendola, la sforzano a far un terzo moto all'insù.
f. 23 [pag, 86, un. 12-18]: Tuttavia non si troverà mai corpo alcuno il quale non ascenda molto più velocemente nell'acqua che nell'aria) Confessando l'Autore la resistenza del mezzo con l'esempio del moto trasversale della mano, confessa ancora che l'acqua, per la sua densità, resista più della aria alla divisione; e questa ragione e resistenza della densità del mezzo milita parimente nelle esalazioni calde ed ignee: le quali dato che si muovessero più velocemente nell'acqua per la maggior contrarietà che hanno tra loro, onde anco quelle più si uniscono, non per questo si ha da negare la resistenza del mezzo più denso ; non si stimando inconveniente che nella medesima cosa dove variano le circonstanze, si affermino per diversi rispetti diverse proposizioni. Ma la verità dell'assunto pate non piccol dubbio: 1. per l'esperienza delle cose ignite ed altre che son mosse o nascano da quelle; le quali con maggior impeto e più lontano anderanno, muovendosi per l'aria che per l'acqua: di poi, esse e l'acqua scambievolmente si alterano e rintuzzano la qualità contraria. Appresso, sono altre considerazioni filosofiche da considerarsi, come sarebbe la similitudine o dissimilitudine del mobile col mezzo; onde il piombo, come acqueo, più velocemente discende nell'acqua, che altro corpo non acqueo non fa; e per l'aria più facilmente discenderà il legno che il ferro. E conducendo alla velocità del mobile la spinta del mezzo fluido che lo segue, come è chiaro nel movimento da violenza sospinto, verrà il sudetto mobile tanto meno a resistere all'impulsione del mezzo e più facilmente la riceverà quanto più si confaranno tra loro; il che parimente viene a confermarsi dalla virtù attrattiva ed espulsiva di molte cose: onde l'instanzia d'Aristotile contra Democrito, bene intesa ed esplicata, sta nel suo vigore. Che poi l'aria più velocemente ascenda per l'acqua che in sè medesima, non si può dubitare: poichè gli elementi, sì come non si muovono se non quando sono fuori del luogo naturale, per andarsene a quello, così, quando vi sono arrivati o si ritrovano in esso, quivi riposano, nè più gravitano o leggierano, per esprimere ciò con li stessi termini filosofici.
f. 25 [pag. 88, lin. 1]: Può bene l'ampiezza della figura ritardare la velocità) Nè ancora è impossibile che sia cagione impedente il moto, per una resistenza privativa che è nella figura larga, ricercandosi all'atto secondo della gravità le sue circonstanze esteriori contra qualsivoglia resistenza. Nè mi do così facilmente a credere che la falda di cera, quando le si ponga sopra nel mezzo un solo grano di piombo, vada perciò subito al fondo, concedendo l'Autore che quella di ebano non anderebbe: se già noi non ponessimo tanti gradi di peso, che ogni giunta gli desse il tratto; al qual estremo bisognerebbe finalmente pervenire, dandosi l'ultimo sommo per necessità nelle cose.
f. 26 [pag. 80, lin. 10]: ch'ella, posta nel fondo) Questo argomento, dal fondo alla superficie dell'acqua, venendo spesso a galla mostra la sua leggerezza. Ma veggiamo se si può affondar di maniera, che più non possa risorgere. 1. Primieramente, la comparazione si deve fare, non dal corpo grave di figura larga nel descendere, ad un corpo leggiero della stessa figura nell'ascendere, ma dal medesimo corpo grave di figura larga, che descenda, ad un altro corpo grave egualmente, in figura tonda, che parimente descenda; o, per contrario, paragonare insieme un corpo leggiero di figura larga, che ascenda, allo stesso corpo in figura tonda, che parimente ascenda, supponendo sempre lo stesso mezzo perciocchè a moti sì contrarii, dell'ascendere e del discendere, concorrono tante varie circonstanze, che non è maraviglia se rendino fallace la proporzione usata dall'Autore; dove a pro della resistenza della figura si può sempre affermare che, a paragone del corpo tondo, il corpo quadro, o discenda o ascenda, sempre più tardamente si muoverà. 2. Secondariamente, si dice che l'acqua più aiuta alla ascenzione delle cose leggieri che alla discenzione delle gravi, per sentenza dello stesso Autore in più luoghi. E per ragione di ciò adduciamo la stessa gravità dell'acqua, con la quale, naturalmente e più velocemente sottentrando al mobile leggieri, ancora più impetuosamente lo innalza, e quello meno resiste e più tosto sormonta. Per contrario, l'acqua non aggravando tanto il corpo più grave di sè, e questo più resistendo, come denso, all'impulso, viene il suo naturale discendimento meno esternamente aiutato. 3. Oltre di questo diciamo, ch'alla figura larga, come sotto le corrono più parti di acqua che la sospingano all'insù, così nel discendere trovano sotto sè maggior resistenza dalla mole d'acqua, maggiore quanto è più larga; e, per contrario, ha sopra minore impulsione, meno graveggiando l'acqua sopra di essa figura. 4. S'aggiunge, esser quasi impossibile porre un quadro di maniera giacente e situato nel fondo, che l'acqua non possa discenderli sotto e sollevarlo, perchè altrimenti non senza violenza si staccherebbe dalla terra, per l'affinità de' corpi posta dall'Autore stesso; e quando ascenda, si vedrà spesso salire per lato o per taglio o in traverso, e non a perpendicolo; oltre a che, essendo bagnato, già si rende minor la resistenza. Per tutte queste ragioni, dunque, variando le circonstanze, non è maraviglia se questo modo di provare poco giova all'Autore per impugnare l'opinione degli avversarii.
f. 29 [pag. 92, lin. 11]: per non avere l'acqua resistenza alcuna) Contra questo assioma si è l'esperienza della mano mossa per traverso nell'acqua, di sopra addotta. Qui bisogna parimente avvertire che al galleggiare non è contrario l'entrare alquanto nell'acqua, ma l'andare a fondo; e sopra questi due punti contrarii si raggira la disputa. Ma se l'Autore si mostra in questo luogo molto largo ne' termini della questione, altrettanto ristretto e scientifico si dimostra di sotto, 31 [pag. 96, lin. 1-2], dove dice: esser locato importa esser circondato dalla superficie; poichè nel commune parlare s'hanno da intendere le parole nel lor popolar sentimento, se altro non viene specificato. Anche la nave si dice posta nell'acqua, benchè non sia circondata tutta dall'acqua. E se la tavoletta d'ebano non è sopra la terra, nè sopra l'aria, nè sopra il fuoco, nè sopra o dentro alcuna altra cosa, dunque bisogna dire esser nell'acqua. Ma s'ha da credere che gli avversari, per non immollarsi le mani, non ponessero tutta la palla per entro l'acqua, ma destramente la posassero sopra la superficie, donde ella tosto n'andasse al fondo da sè medesima, non avendo la cattivella nè braccia da notare nè larghezza da sostenersi. Ancora, poco di sotto, assai discordante si scuopre l'Autore dagli avversari, ponendosi da lui una tavola leggiera di noce in fondo, e da loro una d'ebano grave a galla. Ma perchè la tavoletta se n'entra alquanto nell'acqua, dunque non può nulla la figura? Anzi pare da inferirsi il contrario, cioè: Dunque la figura, in qualsivoglia modo se 'l faccia, è cagione che non finisce di sommergersi, come fa la palla; la quale non solo penetra la superficie dell'acqua, ma tosto del tutto la fende e si profonda. Della cagione, dunque, di questa diversità si questiona al presente, attribuendosi dall'Autore alla forza dell'aria superiore unita, e dagli aversarii alla figura ed alla resistenza del mezzo, f. 35 [pag. 99], a gli acuti incontri de' quali, con la risposta dell'Autore par che petatur principium,
f. 32 [pag. 95, lin. 23]: perchè ogni figura particolare) Chi dubita che, denotando la quiete fermezza, alla quale dispone e s'accosta la tardità, non sieno tra loro più simili? come, per contrario, è al moto la velocità.
[pag. 95, lin. 26-27]: una tavoletta, verbi gratia, d'un palmo quadro) Se discende con sei gradi di tardità, se fusse di due palmi, discenderebbe più tardi, considerato solo il rispetto del motore al mobile: ma per altre circonstanze, avvenenti nella congiunzione della materia, si rendono cotali proporzioni, reducendole all'atto, molto fallaci; crescendo, con l'augumento del quadro, l'intrinseca resistenza e l'intervallo, come si dirà più di sotto.
f. 35 [pag. 98, lin. 23]: Rispondo) Concedasi la risposta, che la tavoletta, arrivando al livello dell'acqua, perdi parte della sua gravità; ma non già, perdi parte della sua gravità perchè seco discenda e s'unisca l'aria superiore e questa ne sia la sola primitiva cagione, come diremo.
[pag. 99, lin. 2-3]: Ma, signori aversarii) Ma, signor Autore, pigliate voi solamente l'aria ed il corpo, e lassate stare la sola figura; ed allora, non succedendo lo stare a galla, averete affatto vinta la lite. In tanto non ci scordiamo che, dato un assurdo, ne seguono molti. Overo, removete voi, da matematico, la figura larga, e fatela tonda; ed allora, se non va a fondo, ci confessiamo perditori.
f. 36 [pag. 99, Un. 27-28]: ma se, tolta fuori la tavoletta, e scossa via tutta l'acqua) Ormai essaminiamo brevemente l'opinione dell'Autore. Egli vuole che l'aria contigua alla tavoletta asciutta dell'ebano e contenuta dentro a gli arginetti dell'acqua, fatti ed elevati intorno a detta tavoletta, sia cagione che quella non vada a fondo; perchè, essendo tra l'aria e gli altri corpi una certa affinità, la quale gli tiene uniti, sì che non senza qualche poco di violenza si separano, si viene a fare un corpo solo, composto della tavoletta e di quell'aria, più leggiero che non è la tavoletta separata dall'aria e, tra ambedue, men grave in specie dell'acqua: il qual corpo, composto d'ebano e d'aria, quando sia men grave di tanta acqua in mole quanta è la mole già sommersa sotto il livello della superficie dell'acqua, non anderà a fondo; ed allora sarà men grave, che l'eccesso della gravità del solido sopra la gravità dell'acqua averà la medesima proporzione alla gravità dell'acqua che l'altezza dell'arginetto alla grossezza del solido; ed in questo caso detto solido non si sommergerebbe (come farebbe d'ogni altra maggior grossezza), ma entrarebbe con tutta la sua grossezza sotto le superficie, più e più secondo che le materie saranno più gravi: sì che, per esempio, una piastra sottile di piombo resta tanto più bassa, quanta è per lo manco la grossezza della medesima piastra presa dodeci volte; e l'oro si profonderà sotto il livello dell'acqua quasi venti volte più che la grossezza della piastra d'oro.
Questa se ben si raccoglie da diversi luoghi del suo libro, è la nuova opinione del Sig. Galileo, la quale con sottile e ingegnoso discorso va più tosto dichiarandola, che fondandola nelle ragioni o provandola con argumenti bastanti a confutare l'opinione tenuta da' suoi aversarii e da Aristotile: la quale è, che la figura larga in un solido più grave dell'acqua, come l'ebano, il piombo, l'oro e simili, possa tenerlo a galla, per esser meno atta a divider il mezzo, e quello più possente a sostenerla e a resistere contra la divisione; il che succederà ogni volta che la gravità del solido non eccederà di tanto la gravità dell'acqua, che rimanga superata la resistenza del mobile e del mezzo cagionata dalla figura, o sia da altra circonstanza o da altro esteriore accidente impedita o diminuita. Ma se questa opinione peripatetica porta qualche opposizione, si posa nondimeno sopra fondamento assai più sicuro e senzato che l'opinione Galilea non fa: la quale, tra un magnifico apparecchio di obbiezioni ad Aristotile e di varie sperienze e di nuove dimostrazioni, viene a farsi vedere a prima vista tutta pomposa e leggiadra; ma, considerandola bene a dentro e pesandola, le opposizioni facilmente si sciogliono, l'esperienze o vacillano o scoprano più tosto gli effetti particolari che la cagione delle cose, e le proposizioni e prove matematiche non arrivano a dimostrare la forza e le vere cagioni dell'operazioni della natura. Laonde il nervo delle sue prove par che finalmente si riduca in un solo assioma, cioè che la leggerezza sia cagione del galleggiare, come, per contrario, dell'andare a fondo la gravità: il che non solo viene insegnato da Aristotile, ma e tanto più vero nella sua dottrina, quanto da Aristotile si concede l'assoluta leggerezza e il movimento naturale all'insù, e si niega dall'Autore. Ma non perciò dal predetto assioma si può inferire che al solido grave, per non andare a fondo, faccia bisogno di mutarsi in leggiero e che l'aria superiore si unisca con esso e gli communichi la sua leggerezza: perciochè chiarissima cosa è, che dell'operazioni dependenti da circonstanze particolari, possono le cagioni esser impedite o limitate da molti strani accidenti che l'accompagnano; come propio addiviene, per la congiunta figura, al solido grave e largo, del quale l'affermare che, posto nella superficie dell'acqua, quivi acquisti natura contraria a quella che averebbe dentro l'acqua e sopra la terra e nell'aria medesima, è più tosto invenzione arbitraria che fondata in necessità o in alcun giudizio del nostro senso e del nostro intelletto. Oltre a questo, per la parte dell'aria contra questa sentenza molte gagliarde contradizioni e assurdi molto aperti si potrebbeno addurre. 1. Per opinione dell'Autore, non si dà il moto all'insù naturale, nè leggerezza assoluta: dunque, se ogni corpo è grave o va di sua natura verso il centro, l'aria non potrà far più leggiero nè tenere sospeso il corpo grave, ma davantaggio l'aggraverà e lo sospingerà verso il centro. Secondariamente, domandiamo all'Autore: Non è l'aria elemento più tenue e meno atto a resistere, sì per sua natura, sì per benefizio dell'universo, che non è l'acqua? 3. e l'acqua, per lo stesso Autore, non sta così attaccata a gli altri corpi come l'aria? perchè, dunque, l'acqua non trae più tosto a basso o almeno non sostiene la tavoletta, come l'aria la sospende? 4. Con qual filosofia possiam dare all'aria tanta forza sopra l'acqua, e da chi le vien cominunicata virtù tanto maggiore, che possa impedire a gli arginetti dell'acqua, elevati d'intorno al solido, il flusso naturale sopra di esso? 5. Non è proprio luogo dell'acqua lo stare sotto l'aria? ed, all'incontro, dell'aria lo star sopra l'acqua? Come, dunque, contra la propenzione naturale di questi elementi e contra la contiguità de' naturali luoghi, l'aria impedisce lo scorso dell'acqua sopra il solido grave posto tra loro, il quale ancora sarà talvolta, come nelle qualità moventi così nelle qualità alteranti, più smagliante all'acqua che all'aria? 6. Se l'aria naturalmente ha questa forza particolar calamitica sopra la tavoletta asciutta, come la perde colà sopra la tavoletta bagnata, dovendo nel luogo naturale, ch'è l'acqua, più tosto conservarla che perderla, e più tosto perderla che conservarla sopra il corpo secco, contrario alla sua naturale umidità? 7. Dato che l'aria abbia questa virtù, perchè più tosto ritiene a galla l'ebano il piombo e l'oro in falde larghe, che non fa i medesimi solidi in forma rotonda, posti in una loro piccola estremità sopra il piano dell'acqua e circondati quasi d'ogni intorno dalla stessa aria? 8. Se l'aria opera questo sostentamento nelle figure quadre solamente, dunque bisogna confessare che la stessa figura sia cagione in qualche modo, o in riguardo dell'aria superiore o del mezzo inferiore, dello stare a galla. 9. Se la piastra d'oro sta unita all'aria d'ogni intorno quando si pone sopra la superficie dell'acqua, facendosi uno stesso composto tra loro, doverebbe per la medesima ragione sostener parimente la piastra che meno entrasse nell'acqua. 10. Se la piastra sopradetta diventa uno stesso corpo con l'aria superiore, dunque non solamente lo fa con quell'aria scesa e chiusa tra gli arginetti, ma con tutto il resto dell'aria e con tutto l'elemento, essendo tutta un corpo unito e continuo; e per consequenza, diventerà un corpo con essa vastissimo e leggierissimo, da non andar a fondo già mai. 11. Posto, secondo l'Autore, che la detta piastra tanto più entri nell'acqua, quanto sarà di materia più grave in specie di essa acqua, e che della piastra e dell'aria contenuta fra gli arginetti si componga quel corpo più leggiero, seguirà ancora che la piastra di maggior grossezza e gravità più debba entrar dentro l'acqua; e più entrando, maggior mole di aria s'unirà e comporrà con lei; e con la maggior mole d'aria, più crescerà la leggerezza; e come più leggiero, sempre meno potrà sommergersi; ed a questo modo si potrebbono formare larghissime strade nel mare, con altissimi argini e quasi montagne d'acqua dalle bande.
Certamente sì fatte difficoltà e contradizzioni non si trovano nell'opinione Aristotelica, la quale, bene intesa, si trova molto ben fondata ne' principii naturali e sensati. Diciamo, dunque, che l'acqua, come tutte l'altre cose, per naturale inclinazione al propio conservamento, volentieri si unisce e difficilmente si disunisce nelle sue parti: e perciò la veggiamo, sopra il piano secco ridursi subito a forma sferica, e, per contrario, spandersi sopra l'umido; e quindi avviene che sopra la tavoletta bagnata, per esser fatta simile a sè, facilmente trascorre, non perchè sia levato l'impedimento che le faceva l'aria sopra la tavoletta, asciutta; la qual aria, essendo molto più tenue e fluida dell'acqua e stando nel proprio elemento, averebbe più facilmente ceduto co'l ritirarsi in sè stessa, se più tosto l'acqua, ritenendosi quanto più può in sè stessa, non fusse cagione che l'aria descendesse dentro gli arginetti. Nel caso nostro, dunque, posto un corpo grave in figura larga sopra l'acqua, come la mole dell'acqua sotto quella figura è maggiore, così fa maggior resistenza al detto mobile dividente, onde, benchè ceda alquanto alla durezza e gravità di esso, se ne rifugge però alle estremità e, per sua natura, non violentata dall'aria, s'unisce nelle sponde e resiste con la sua mole e crassezza all'intera divisione e separazione, mentre che da altra cagione esterna non è superata la sua natural resistenza alla divisione e che non prevale alla resistenza cagionata dalla figura la propria gravità, con l'altre esteriori circonstanze che vanno moltiplicando e variando nel ridursi le cose all'atto, sì che gli arginetti dell'acqua scorrino sopra la tavoletta ed essa ne vada a fondo.
Non è, dunque, necessario, dove sono sì forti legami ed impeti della natura e cagioni più note e sensate, ricorrere ad aiuti sì leggieri e far dell'aria, corpo sì raro e debole, una colla sì tenace. Il comporre poi e paragonare tra loro minutamente tutte le proporzioni della gravità, della resistenza attiva alla penetrazione o della passiva, e delle inclinazioni, similitudini e dissimilitudini delle cose naturali, ed altre infinite circonstanze ed accidenti che possono variamente concorrere per la connessione della materia in questi casi, troppo difficile alchimia e sottil matematica si richiederebbe, non meno nella nuova opinione dell'Autore che nella commune degli aversarii. A noi basta che appaia manifesta la cagione generale in qualche caso più sensato, e considerare la varietà delle circonstanze più note, e perciò, rispondendo all'obiezzioni in contrario addotto dall'Autore, apparisca la sua invenzione, sì ampliata e dichiarata, più tosto differente che opposta e contraria, e che Aristotile non abbia detto cosa falsa; come ci serbaremo a mostrar più particolarmente a suo luogo, per tornar, al presente, dove lasciammo.
f. 37 [pag. 100, fin. 31]: Il rame, figurato in forma di vaso) Ecco verificarsi, la figura esser cagione del galleggiare. Poichè le sponde del vaso proibendo all'acqua il natural suo flusso, ella più facilmente si conserva unita in sè stessa, nè può scacciarne l'aria che vi è dentro. Ma questi ripari retinenti l'acqua non si trovano altrimente nella assicella piana.
f. 39 [pag. 102, lin. 29]: È , dunque, tra l'aria e gli altri corpi) Una politissima pietra, che si unisse perfettamente con un'altra superiore, restarebbe attaccata a quella, nè si potrebbon, almeno senza gran violenza, dividere e disgiungere in un tempo tutte le parti loro; perchè, non potendo nello stesso momento penetrar l'aria, non che altro corpo, per tutto lo spazio di mezzo tra esse, si verrebbe a dare il vacuo, repugnantissimo alla natura, ancorchè forse dal Sig. Galileo non negato: ma tirandola a poco a poco da una banda, facilmente si separerebbono, entrando l'aria successivamente ne' lati, mentre si spiccano. E questa congiunzione de' corpi non può nascere da altra affinità tra loro, poichè la stessa unione sarebbe ancora tra i corpi non solo dissimili ma contrarii, ma da quelle ragioni naturali per le quali si proibisce il vacuo in questa fabrica mondiale.
[pag. 103, lin. 20]: In oltre, qual resistenza) Maggior resistenza fa l'acqua alla divisione nella superficie che nel suo mezzo, come più difficile è lo incominciare il moto che il continuarlo; e maggiori forze esteriori concorrono a muovere il corpo nel mezzo che dalla superficie, come è detto di sopra; e, generalmente, là dove l'acqua sarà più crassa e più densa, maggiore, verso questo rispetto, sarà la resistenza.
f. 40 [pag. 103, lin. 28-29]: doppo il 4° o 6° giorno) Ritorcendo l'argomento, si può domandare: Perchè stanno quelle minutissime arene quattro o sei giorni a finire di calare al fondo, se non per la repugnanza dell'acqua? S'aggionge ancora che, contenendo l'acqua torbida molte parti terrestri, se ne fa quasi, come si dice, un misto imperfetto, non solo per aggregazione, ma non senza qualche alterazione. Ma tra per il moto, tra per la qualità dell'ambiente, tra per la reduzione naturale alla propia qualità ed al propio luogo, si separano a poco a poco dall'acqua le parti più terree e discendendo s'uniscono nel propio luogo, e, per contrario, l'acqua si unisce si rischiara e si perfezziona.
[pag. 104, lin. 35-36]: ma sì bene all'esser divìsa velocemente) Ogni divisione fatta da altro corpo strano è contra l'inclinazione naturale dell'acqua, di star unita e conservarsi. Nè credo esser dubbio, che il corpo più crasso resista più alla divisione che il corpo raro, e che il corpo più largo sia a dividere meno atto che lo stretto o tondo, considerati per sè medesimi come tali. E facendosi un navilio triangolare, difficilmente si muoverebbe per la larghezza d'uno de' suoi lati dinanzi, per la resistenza anteriore, ancorchè cessasse la cagione della larghezza dello spazio posteriore.
f. 42 [pag. 108, lin. 16]: Già, signori avversari) Per buona loica, secondo la verità io delle premesse, è forza che scoppi la conclusione.
[pag. 108, lin. 32-35]: rimovete per tanto l'aria, e ponete nell'acqua l'ebano solo, e così vi porrete un solido più grave dell'acqua; e se questo non anderà in fondo, voi bene averete filosofato, ed io male) Questo ritornare spesso a' medesimi colpi è un addestrare gli avversari non solo alla difesa, ma nello stesso tempo all'offesa ancora. Anche di sopra [pag. 99, lin. 4-5] l'Autore, proverbiando gli avversarii, diceva: rimovete quell'aria, la quale, congiunta con la tavoletta, la fa diventare un altro corpo men grave dell'acqua, etc. Ma perchè l'Autore talvolta comparisce in abito di matematico e tal volta di filosofo, chi si trova solo deve andar molto cauto a venire alle mani con uno o con due campioni tanto varii e valorosi. Ma ora che qui viene apertamente da solo filosofo; e si dichiara che la querela sia, chi nel proposto caso abbia meglio filosofato; non si rifiuta per diporto piacevole di venire una volta a duello con lui, senza pregiudizio però degli altri più valorosi guerrieri, militanti sotto lo stendardo peripatetico, che volessono cimentarsi nel medesimo assalto dinanzi a giustissimi e serenissimi giudici. Eccomi dunque in campo: e per fare sicura difesa e rimanere tosto vittorioso, io non saprei fornirmi d'arme più approposito, che guernir la sinistra mano d'una mentita loicale, e tener nella destra, con un certo artiglio fabricato nella fucina dell'Aquila, una piastra grossa di piombo, meno ampia di quella tavoletta che ci porremo in mezzo galleggiante nell'acqua. Or vegniamo ormai alla prova.
Ecco il colpo mortale vibrato più volte dall'Autore: Quella cosa, la quale posta, la tavoletta d'ebano sta a galla, e rimossa va al fondo, è la cagione che la tavoletta galleggia; ma posta l'aria congiunta alla tavoletta d'ebano, quella sta a galla, e rimossa l'aria, va a fondo; adunque l'aria è cagione che la tavoletta galleggia. Io lascio passare la maggiore prima proposizione, poichè non può ferirmi: ma crescendo innanzi col piè sinistro ed alzando la sinistra mano alla parata, ribattendo nel secondo terzo l'arme nemiche, nego la minore; e nello stesso tempo, chinando il destro ginocchio, pongo leggiermente con l'altra mano la piastra di piombo dentro a gli arginetti dell'acqua sopra la tavoletta d'ebano, senza però toccare nè questa nè quella; e tosto sospinta l'aria quivi rinchiusa, questa fuggendo se ne ritira nel suo elemento ed abbandona la tavoletta; la quale nondimeno restando salva sopra l'acqua, già la figura tutta galleggiando grida: Vittoria, vittoria.
f. 43 [pag. 110, lin. 14]: ma d'ogni maggior grossezza) Crescendo ancora la gravità, cessa ancora la proporzione della resistenza a quella; ma allargata la figura nella medesima grossezza, più facilmente galleggierà: ed ecco quello a che giova la figura con la gravità del figurato e con la densità del mezzo in certa proporzione, astraendo con l'imaginazione matematica da tutte l'altre circonstanze, che possono, alterando la proporzione, diversificare l'effetto della figura. E rifiutare la resistenza dell'acqua per confidarsi nella tenacità dell'aria, è quasi un persuadere altrui che più tosto si metta a volo nell'aria che a nuoto nell'acqua.
f. 44 [pag. 111, lin. 13-17]: tutte le materie, ancorchè gravissime, possono sostenersi in su l' acqua, sino allo stesso oro, grave più d'ogni altro corpo conosciuto da noi: perche, considerata la sua gravità esser quasi 20 volte maggiore dì quella dell'acqua) Di questa esperienza dell'oro, più volte addotta nel presente Discorso, non dispiacendo anch'a noi, me ne rimetto all'Autore: il quale, se con maravigliosi istrumenti fa ingrossare insin le stelle ed ha potuto farsi vicine e amiche quelle tanto giovevoli, chi sa che ancora non abbia trovata qualche minera di miglior lega? In quanto a me, confesso non sapere altre stelle conoscere se non certe volgari che girano sempre vicino al nostro polo con certo carro stellato, le quali sono di movimento sì pigre, che consumano gli anni con tardi e corti progressi, e sono di qualità sì fredde, che influiscono più tosto alla generazione del piombo che dell'oro.
f. 49 [pag. 115, lin. 14-15]: il conio, posto nell'acqua) Il conio e la piramide sono figure e corpi molto diversi dalla figura larga e piana, e perciò possono molto variarsi le proporzioni della gravità verso la resistenza del mezzo e della figura; e dove variano le circonstanze, non è sicuro l'argomentare. Il conio con la punta in giù non s'affonda, perchè le parti dell'acqua divisa più facilmente con la sua punta, facendo anch'esse la medesima figura di conio, hanno maggior forza, mentre vogliono unirsi, di sostenere e sospingere il conio all'insù; e, per contrario, l'istesso conio, posto con la base nell'acqua, verrà talvolta sostenuto, talvolta no, secondo la proporzione dell'altezza grossezza e larghezza sua, f. 50 [pag, 115-117]. Però lungi dal vero filosofo e matematico deve essere il negare assolutamente una cosa, confermata dalla ragione naturale, dal senso, dalla sperienza e dalla autorità, solo per qualche diverso effetto che se ne scorga per altro accidente e circonstanza, e addurne la non cagione per la cagione.
[pag. 120, lin. 30-31]: se sopra se le ne attaccherà una di suvero) Signor mio, questo è il dubbio, che l'aria possa quanto il suvero: e se avesse tal virtù, come più leggiera del suvero, potrebbe, per buona ragion topica, sollevare ancora de' corpi molto più gravi che non fa il suvero. In oltre si dice, il suvero medesimo esser più atto a sostenere in una figura che in un'altra.
f. 55 [pag. 121, lin. 28]: se la figura abbia azzione alcuna) La prova addotta dall'Autore non può, per la diversità delle circonstanze, concludere contra gli avversarii; anzi pare che apertamente faccia contra di lui, perciochè altro è fendere l'acqua o la sua superficie all'ingiù, altro è staccarsi ed elevarsi da quella. 2. La detta piastra, se per l'aria addiacente e attaccatasele è più leggiera, perchè dunque ricerca, ad esser sollevata, contrappeso maggiore? 3. Sì come la figura trova difficoltà e resistenza nel calare per entro l'acqua, così in proporzione la truova nel salire nell'aria, come concede lo stesso Autore. 4. che più importa, si è la difficoltà dello staccarsi tutta insieme dall'acqua, e per il pericolo del vacuo, secondo la verità, e per l'unione che hanno fatta insieme, ancor secondo l'Autore; o però si solleva con la stessa piastra parte dell'acqua, la quale se ne cade poi abbasso, avendo l'aria modo maggiore di subentrare. Onde non è maraviglia, se contra la maggior resistenza dell'acqua e della piastra ed al peso più grave si richiegga contrappeso maggiore al braccio della bilancia che non si fa ad inalzar la palla, nel cui sollevamento non concorrono li sopradetti medesimi impedimenti.
f. 56 [pag. 122, lin. 35]: dire a gli avversarii, che la nostra questione è) Ci rimettiamo alle convenzioni fra loro. Ma è certo, per gli esempi suoi, che Aristotile intese principalmente dello stare a galla sopra la superficie dell'acqua, e di questo, che faceva dubbio, cercò la cagione, non del fermarsi per entro l'acqua.
f. 58 [pag. 124, lin, 15-16]: io domandarei, se si deve con Aristotile) Aristotile non è superfluo, ma succinto, ne' suoi insegnamenti; e nel discorrere sopra una cosa suppone quello che in altro proposito insegnò, e quello che mostra sopra cosa più nota e principale intende insiememente dell'altre simili e connesse, procedendo sempre con ordine maraviglioso.
Diciamo, dunque, che nel cap. 7 del quarto del Cielo fece, prima, menzione del moto, come più manifesto della quiete, e del quale voleva cercare la cagione della cessazione nel solido largo posto nell'acqua; e volendo procedere per ordine dottrinale, 1. afferma le figure non esser cause semplicemente del moto o, come vuole l'Autore, del moto assoluto, che ciò poco importa al vero sentimento ed al proposito nostro; volendo significarci, come il moto dalla forma essenziale trae la prima origine come da intrinseco principio, e dalla gravità e leggerezza depende come da qualità interna e cagione prossima e strumentale. 2. Poi, secondariamente, afferma che le figure possono esser accidental cagione della più tardità e della meno; onde quelle, se non all'atto primo, almeno all'atto secondo concorrono della gravità, il quale è lo stesso moto; nel quale intervenendo spesso molte estranee condizioni, viene ancora, per conseguente, ad esser da quelle accelerato o ritardato o affatto impedito: così tolto dalla figura il muoversi al solido, ne segue la sua quiete, altro non essendo la quiete che una cessazione del moto. Data, adunque, una figura larga con tale o tal proporzione al mezzo ed alla gravità del mobile ed all'altre circonstanze, si verrà talvolta a ritardare e talvolta ad impedire ogni movimento, come apunto fa la figura larga nel piombo, quando sta in quiete e galleggia sopra l'acqua; e, per contrario, nello stesso piombo, cangiandosi quella figura larga in altra figura sferica, tosto da questa si torrà la quiete, e comincerà il globo di piombo a discendere. Per la qual cosa apparisce, la figura essere in un certo modo occasione della quiete e del moto, in quanto da lei formalmente si dà o si toglie l'impedimento predetto; nella guisa che l'agente, proibendo il proibente, si dice cagione efficiente accidentale del moto da gli stessi filosofi: ma bene è vero che più propriamente si dirà, levarsi o farsi l'impedimento rispetto al moto e all'azzione che rispetto alla quiete, come è per sè manifesto. Sì che quel sì forte argumento che l'Autore usava, dell'aria, a provar la sua opinione, si può a favore della nostra apertamente formare contra di lui. 3. A dichiarazione di tutto questo proseguì Aristotile, nel terzo luogo, a dubitare, in qual modo e perchè dalla figura un tal rimovimento di moto nascesse, prendendo il moto come cosa più manifesta e per la quale veniva dimostrato ciò che si dee intendere della quiete; e, parimente, ci propose l'esempio solo delle cose poste sopra l'acqua, come a noi più aperte e più senzate, senza più addurci altro esemplo delle cose poste nel fondo, lontane dall'esperienza e dalla nostra cognizione e meno dilettevoli o necessarie, e nelle quali, quanto è diverso e distante il fondo dalla cima, possono esser differenti e più ignote le circonstanze, secondo che di sopra già noi abbiamo discorso. Ma però, cœteris paribus, in quanto alla crassezza del mezzo e alla forma della figura si può lo stesso effetto inferire nell'ascendere dell'une che nel discendimento dell'altre.
f. 62 [pag. 129, lin. 1-2]: ma le lunghe e sottili, come un ago) Ancora un ago può esser nella sua specie tanto grosso e pesante, che vada al fondo. E Aristotile riguardò forse più a gli artifizii delle machine, che a lavorii di seta delle femine. Oltre a ciò, la figura larga è diversa molto dalla figura lunga, come è la linea dalla superficie. Ma ch'un piccolo ago e piccolo globicciuolo di ferro o di piombo, posti leggiermente nell'acqua, se ne restino a galla, non è cosa da maraviglia: perciocchè alla loro piccola gravità e densità, benchè l'acqua, come liquida, le ceda alquanto, pur resiste che più oltre non calino, come a peso che poco può operare a dividerla, se aiuto non ha di qualche moto gagliardo che la percuota e la ferisca. Ancora una palla grave violentemente tirata ricevendosi destramente con una tal soave cessione, veruna offesa se ne sentirebbe; dove se la mano andasse ad incontrarla o ferma le si opponesse, ne riporterebbe dolorosa percossa. Parimente, i sottilissimi atomi di terra o altre piccole cose si trattengono per lo mezzo dell'acqua e dell'aria, benchè alla fine pur se ne discendino a basso, poichè ancora con la lunghezza del tempo la gocciola fora la pietra. In somma, data la stessa qualità di mezzo e la stessa virtù motrice con le stesse proporzioni, si darà ancora pari velocità o tardità ne' movimenti all'insù e all'ingiù e in ogni altro. Là onde da uno o da altro esperimento che si vedesse in contrario più tosto si può conghietturare un concorso di alcune circonstanze particolari varianti l'effetto, che medianti quelli negare l'altre sperienze e li molto forti motivi per li quali chiaro si mostra non esser falsità nella nostra opinione nè aver alcuna necessità il filosofo di prendere in prestanza alcuna leggerezza dall'aria. Perciò forse Aristotile, da vero e destro filosofante, se ne stè sodo nella già fatta considerazione, e molto cauto fu a non moltiplicarci gli esempli, per non isporci a pericolo di urtare per isciagura in qualch'occulto scoglio; come in specialtà occorre nell'esempio dell'aria, la quale chi non sa ascendere più velocemente per l'acqua che nella propia regione? posciachè gli elementi naturalmente non si muovono se non quando fuori sono del propio luogo, al qual gli spinge la loro intrinseca natura, e colà poi termine pone al moto loro dove la pace godono e si quietano. Ed in quanto all'esperienza addotta dell'uovo, 69 [pag. 136-137], per avventura non sarebbe gran fatto che dalla salsedine e dall'esalazioni che sono nell'acqua marina, o da altra agitazione del mare, l'uovo si sollevasse: poichè messo in un vaso pieno di acqua, o sia salsa o no, mai non viene a galla.
f. 64 [pag. 131, lin. 12-14]: che, se gli atomi ignei ascendenti sostenessero i corpi gravi ma di figura larga, ciò doverebbe avvenire maggiormente nell'aria che nell'acqua) Qui s'offeriscono molte cose da considerare, ma noi per brevità ne toccaremo alcune sommariamente. 1. Le opinioni de gli antichi filosofi non sono a noi generalmente tanto chiare, nè così appunto ci son rapportate, che in sè non ritenghino spesso di molti sentimenti misteriosi e diversi da quelli che suonano le parole e ne' quali si vanno da noi interpretando. 2. Aristotile, là nell'ultimo capitolo del Cielo, mirò principalmente non a riprovare gli atomi ignei di Democrito, ma a farci veduto che del soprastare i corpi gravi nell'acqua falsamente la cagione egli n'attribuiva a' detti atomi. 3. L'istanza fatta da Aristotile, cioè perchè ciò dovrebbe più agevolmente avvenire nell'aria, si traeva forse da' principii dello stesso Democrito, come si raccoglie dalla sua risposta, nella quale, senza negarsi da lui che più velocemente si movessero gli atomi nel salire per l'aria, risponde ciò addivenire perchè andassero manco uniti: refugio da Aristotile stimato assai debole, come poco certo e sicuro. 4. Ma ben è certissimo, secondo i motivi di Aristotile altrove addotti, gli atomi doversi muovere più impetuosamente nell'aria; onde da questa maggiore velocità ne segue che in loro s'accresca parimente la forza di reggere e sollevare il corpo, ancorchè fusse cresciuto di peso secondo l'Autore. 5. Ma che uno stesso corpo si dica più grave nell'aria che nell'acqua, in quanto più velocemente si muova nel mezzo più tenue e meno resistente, ben si può concedere: ma che lo stesso corpo stando nell'aria diventi in sè più grave in specie di sè medesimo di quando si stava sopra l'acqua, certo che da gli occhi della testa, e meno da quelli dell'intelletto, non s'approva così facilmente. Però faremo il compromesso della causa in qualche stadera approvata, e da lei n'aspettaremo la sentenza diffinitiva. In tanto, benchè nel fòro della giustizia il fatto fosse dubitabile, nondimeno (qual ella si sia) supponiamo per grazia, esser sufficiente e reale la divisione dell'Autore della gravità in specie e gravità assoluta: noi pur diremo che nel presente caso la comparazione del più grave in specie e del meno non si dee prendere nel corpo grave con l'acqua o con l'aria, poichè secondo l'opinione Democratica queste non concorrono del posto corpo largo al sostenimento e sollevamento; ma s'hanno da proporzionare gli atomi sostenenti col corpo grave sostenuto, li quali, o sieno nell'acqua o nell'aria, sempre sono della stessa natura e tra loro ritengono la medesima proporzione di gravità. 6. L'Autore, non ostante che prenda la difesa di Democrito per abbattere Aristotile, si compiace poi che dalle sue armi nuovamente inventate rimanga oppresso anche Democrito, così muovendosi contra di lui: Se gli atomi ignei sostenessero il corpo largo, preso ancora poco più grave dell'acqua, adunque, per consequenza, il corpo che dianzi in figura più ristretta se ne scese al fondo, messo poi in figura larga, facilmente verrà sollevato da gli atomi ragunati in copiosa schiera sotto quella larghezza; ma il conseguente per l'addotte sperienze veggiamo esser falso; adunque ancora sarà falso l'antecedente. Signori, la prima conseguenza arme è dello stesso Aristotile; e nel riprovar il conseguente, confondendosi il fondo con la superficie ed il salire con l'ascendere si commette la solita fallacia, di sopra a bastanza scoperta. Ma finiamo ormai di più tanto puntalmente loicare e filosofare; nelle quali arti, come che molti anni io impiegasse della mia giovanezza e sempre dilettato mi sia de' loro nobili studi, poco però n'appresi; e già gran tempo da altre cure ritenuto, Iddio voglia che almeno de' lor primi elementi io sappia o possa pure ricordarmi: oltre a che, il tanto a lungo raggirarsi intorno alle faville e accesi carboncelli di Democrito troppo ne riscalda, e la noia accresce della state. Però stacchiamoci da lui, dicendoli piacevolmente che allora verremo nella sua opinione, che l'acqua si trovarà calda e cotti se ne trarranno i pesci.
f. 68 [pag. 135, lin. 30-31]: Noi non ci sappiamo staccare dalla equivocazione) Volendo l'Autore tassare gli avversari di parlar equivoco, la verità l'induce a dire Noi, come in effetto anch'egli vi cade dentro in diversi esempi e ragioni che adduce, come particolarmente fa qui appresso nell'argumentare dal diviso al composto.
f. 71 [pag. 138, lin. 6]: Ma, tornando ad Aristotile) Signori peripatetici, ormai non è più tempo da badare alli scherzi. Qui s'offende l'onore e lo stato del vostro principe. Già l'Autore a bandiere spiegate ne viene ad assalire animosamente la rocca della dottrina peripatetica, sin ora invincibile e gloriosa. E benchè questi ed altri sì fatti argumenti altre volte che ora sieno stati portati a campo contra di lei, nondimeno sono sempre rimasti rotti e sbaragliati da diversi valent'uomini, come, tra' moderni, particolarmente dal Sig. Buonamico, citato nel Discorso, e dal Piccolomini, citato di sopra, nel 2 de gli Elementi, dal cap. 23 per altri seguenti. Nondimeno l'apprezzare in ogni tempo i nemici e non lassar che s'avanzino troppo di animo nè di forze, fu precetto militare molto laudato, massimamente quando sono pronti di lingua, d'ingegno acuti, sottili nell'invenzioni e cupidi di gloria. Chi sa che molti giovani, d'ingegno vivace e curiosi di sapere molte cose, allettati dalla novità della dottrina, non si disviassero incautamente dalla strada piana e sicura della filosofia peripatetica, ad altra nuova, piena di rivolgimenti, e che sotto diverse facce rappresenta tutte le cose dell'universo? Troppo perderebbono di frequenza gli Studi e le scuole publiche, e poco sarebbono ascoltati i grand'insegnatori che hanno Aristotile per guida e per primo maestro. Orsù, dunque, mentre che questi più valorosi campioni Aristotelici si apprestano, quasi filosofici Marcelli e Neroni, venire ad assalto più stretto e più forte contra le opposte forze, io in tanto, per segno e per uffizio di animo pronto e leale, imitando Fabio il Massimo, mi fermarò così di nascosto a trattenere l'assalitore col far difesa, fortificandomi con prestezza di certi saldi e veraci fondamenti, onde ogni impugnazione di lui o tosto si renda vana o in breve si consumi in sè medesima. Saranno adunque le fondamenta i sequenti notabili:
1. Quattro cose si ricercano perchè gli elomenti si muovino, cioè la propria forma, il mezzo congruente, la distanzia del proprio luogo e l'assenzia d'ogni impedimento. Ed a costituire il moto naturale cinque cose concorrono, ad esso intrinseche e necessarie, secondo Aristotile al 5 delle sue Naturali, cioè il mobile, il motore, il termine dal quale, il termine al quale, ed il tempo; nè tra queste numerò il mezzo resistente, poichè pare che più tosto impedisca il moto che l'aiuti.
2. A tutte le cose naturali fu dato ed impresso dalla natura sì il propagare e generare il simile a sè, per la perpetuità della specie loro, sì il resistere a tutte l'offese esteriori, per la propia conservazione; con la qual resistenza il paziente repugna e si oppone all'azione contraria dell'agente, con batterla ed impedirla e rintuzzando la sua forza, come si vede il freddo al caldo resistere ed il ferro alla sega. Nel moto locale si trova parimente la sua resistenza, la quale è di due sorti, cioè interna ed esterna. L'interiore o nasce da una diversa propensione che ha il corpo misto, e questa si trova solamente negli animali: overo nasce dalli tre interni e comuni requisiti in ogni movimento locale, i quali sono il mobile e li due termini, cioè il luogo che si lassa ed il luogo che s'acquista; li quali due termini e mobile, essendo continui e divisibili, non possono senza la continuazione variarsi nè senza il tempo, implicando in sè contradizione che tutto il mobile sia nello stesso momento per tutto lo spazio, e che le parti estreme del quanto mobile siano insieme nel medesimo luogo e in luoghi tra loro distinti e opposti. Da questa interior resistenza e repugnanza, accennata da Aristotile nel 6 della Natura, nel 2 del Cielo t. 39, nel 2 della Generazione t. 62, nasce necessariamente nel moto la continuazione e la successione, e l'impedimento e la privazione di maggior velocità. L'altra resistenza esterna al moto è quella nascente dal mezzo, conceduta comunemente da tutti: la qual rimossa, gli elementi ed ogni misto si moverebbono con pari velocità, ma però sempre con tempo, rispetto alla succession necessaria, dalla interna resistenza cagionata. Onde quando si desse il vòto ed in esso si conservasse e movesse il mobile, ancora nello stesso vòto si moverebbe con quella successione determinata dalla stessa natura e uniforme e consimile in tutti i mobili, posciachè ogni variazione di velocità o tardità di moto non altronde nasce che dalla resistenza del mezzo: il che è contra Democrito ed altri, li quali pensorno, gli atomi nel vòto non muoversi con eguale velocità, e da maggior virtù e da mobile più grave più velocemente trapassarsi quello spazio.
3. Diciamo che ogni cosa quanta senza dubbio è divisibile; e diciamo ancora, esser proprietà dell'umido, se altro non impedisce, di esser facilmente terminabile ad ogni forma e figura esteriore, come particolarmente sono l'aria e l'acqua, nelli quali due elementi fu necessaria la facile mobilità e divisibilità per beneficio dell'universo. Ma e da considerare altro essere il divisibile assoluto e in potenzia ed in atto primo, altro in atto secondo, come dicemmo di sopra della gravità e l'Autore è forzato di confessare. Nel primo modo il divisibile varia l'attitudine solo per la variazione della forma e della qualità propia: ma nel secondo modo può ancor variarsi dalla condizione del dividente verso la condizione del divisibile; e perciò possono da molte cose rendersi diverse la velocità e la tardità del moto, nel quale si fa la divisione del mezzo, come sarebbe la similitudine o dissimilitudine del mezzo co'l mobile, la figura e la forza dello stesso mobile, e la densità rarità durezza unione e mole dello stesso mezzo. 1. Perciochè, o la densità impedisce la divisione e la rarità la facilita, o no: se no, adunque una cosa densissima e dura si dividerà così facilmente come una rara e molle; il che è contra l'esperienza. 2. Appresso, o l'acqua ha naturale inclinazione e attitudine ad unirsi e allo star unita, o ad esser divisa: se a star unita, come hanno tutte le cose per la conformità delle parti e per la propria conservazione del tutto, adunque per natura propia averà repugnanza all'esser divisa. 3. Di più, se la figura larga nel dividente e la mole maggiore nel divisibile resiste maggiormente alla divisione, come appare per esperienza, adunque, essendo la divisione moto, lo stesso bisognerà dire nel moto, in riguardo del motore e del mezzo, e considerando tutto il mobile movente, sì come tutto muove, e tutto il resistente, sì come tutto è quello che resiste. Però il dire «La gravità è cagione del moto; adunque la figura ed il mezzo non importa nulla», è lo stesso che dire «Il fuoco e il calor riscalda; adunque l'essere in una materia o in altra, e l'essere vicina o lontana, o simile altra circonstanza, niente importa alla calefazione». 4. S'aggiunge che l'Autore stesso confessa e pone nell'aria inclusa dentro a gli arginetti questa resistenza all'esser divisa: e molto più si manifesta in essa nello spingere che fa le cose violentemente mosse, il che non si può altramente fare senza propia resistenza ad esser divisa dal corpo denso e duro, che violentemente sospinge innanzi. Ma il porre questa ripugnanza maggiore nell'aria che nell'acqua, come si farebbe, secondo l'Autore, nel dubbio proposto, repugna non poco alla ragione ed all'esperienza che veggiamo tutto dì dell'acqua, nel muovere e nel girare velocemente le ruote e le macchine grandissime.
4. Aristotile, nel formar le sue regole, suppose senza dubbio l'interna resistenza, la quale, implicando contradizzione, non si può da virtù naturale, benchè si desse infinita, togliere nè superare; e risguardò solamente a quella resistenza manifesta a gli occhi nostri e atta a variarsi e sperimentarsi, non potendosi fare così pruova dell'altra interna, poichè nè si dà il vacuo permanente, nè si dà elemento puro, che almeno sia conosciuto da noi; e procedendo al modo astraente de' matematici, i quali spesso considerano una cosa, l'altre congionte lasciando, diede le regole solamente sopra la proporzione della predetta resistenza, separando con la imaginazione ogn'altra circonstanza. Or perchè, mentre le cose si riducono all'atto secondo, si congiungono con tutte l'altre per le quali quello si varia, quindi nasce che dette regole, ancorchè per se stesse e secondo quella astrazione sien vere (come ancora è forzato di concedere l'Autore), nondimeno per la congiunzione della materia e d'altre particolarità, le quali lasciò che altri considerasse ne' casi particolari, appariscono talvolta fallaci; come interviene della sfera, della quale affermano i matematici toccare il piano in un sol punto. Se dunque le posizioni d'Aristotile per sè stesse son vere, si conviene ancora che nell'esser loro attuale abbiano e ritenghino la lor verità, quando per altro non siano impedite; e però, nel proposito nostro, la figura larga e la crassizie e resistenza del mezzo ben mostrano l'effetto loro nel galleggiare delle cose gravi sopra l'acqua, se altra cosa non concorre in contrario.
5. In quanto poi alle proposizioni dedotte da Aristotile e stimate false da altri, quale quella è che il corpo maggiore e più grave più velocemente si muova, si potrebbono dir sopra ciò più cose. 1. Primieramente, si potrebbe addurre che forse chi ne facesse esperienza da qualche luogo molto alto o sopra l'acqua, trovarebbe la proposta esser vera, ma da un luogo di corta distanza e sopra il sodo ciò non apparisca, per la insensibilità della differenza. Ciò esser vero si conferma, vedendosi da gli occhi nostri, quanto più grave sarà il peso cadente dal luogo alto, altrettanto gravemente percuotere e più profondamente giù ficcarsi nella terra. Appresso, è grandemente da notare, ogni resistenza esteriore avere in sè una latitudine finita, con la quale ben potrà resistere ad una determinata forza, come, per esempio, diremo di otto gradi, ma da ogn'altra forza maggiore verrà superata; e, per conseguente, in riguardo della estrema sua resistenza tanto prevalerebbe una forza di dieci gradi quanto un'altra maggiore, di quindici, sì che, in quanto all'eccesso, così velocemente si moverebbe quella di dieci quanto questa di quindici. Nel 3° luogo, si potrebbe dire che Aristotile ciò affermò considerando il grave come motore ed il mezzo come resistente: ma perchè la pietra, per esemplo, è non solamente motore dividente il mezzo, ma ancora è lo stesso mobile, perciò la sua regola, applicata alla materia, riceve qualche eccezzione; e così in tanto di tempo si muoveranno quattro quarti d'una pietra disgiunti, come se fossero uniti; poichè quanto il corpo è maggiore, tanto più cresce insiememente la virtù interna della gravezza e la interior resistenza e l'intervallo del mezzo: ma supposta la parità dell'altre cose e l'astrazzione geometrica da ogn'altro rispetto, e solamente la resistenza esteriore considerando, il corpo più grave e maggiore si muoverebbe più velocemente. E con questi fondamenti e dichiarazioni pare che venga risoluta a bastanza ogni obbiezzione che far si potesse contra Aristotile, e si sia dimostrato l'ordine e la verità della sua dottrina, come noi avevamo promesso.
f. 72 [pag. 189, lin. 26]: Finalmente, a quel che si legge) Concludiamo, dunque, per le sopradette considerazioni, la gravità, come proprietà nascente dalla forma, essere istromento prossimo del moto; la figura, come corporeo accidente congiunta al mobile, e la resistenza del mezzo, come di cosa esteriormente richiesta, concorrere alla maggiore o minor tardità del moto locale e talvolta impedirlo del tutto, e, per conseguente, esser bastevol cagione della quiete e del galleggiare: e perciò lo inventare e ricercare altre cagioni ed aiuti aerei, oltre a che questi ancora dependerebbono in gran parte dalla figura, deve stimarsi invenzione più tosto sottile ed ingegnosa che necessaria e vera. Però, rimettendo il tutto al giudizio de gli intendenti, porrò fine di più il tempo spendere in sì fatte materie, poichè troppo sono oggi lontane dalla mia professione e dalle mie occupazioni, ed acciochè con la soverchia lunghezza, ove noi cerchiamo diletto, non forse noia ci recassero queste frivole Considerazioni: le quali per avventura si potrebbono con avviso più savio appellarle ciance, per non usar qui, oltre la costumatezza filosofica, qualch'altro più sconcio volgar vocabolo, quale sogliono aver assai famigliare coloro i quali, poco de' leggiadri studi sapendo e meno di gentilezza, ciò che si dicesse dagli altri, per bello e ragionevol che fosse, con un cotal riso dispregiano, solamente sè stessi e le propie sentenze approvando e magnificando. Aggiungerò solamente, per fine del presente discorso, che, per compire il piacere di questo sollazzevol contrasto, si potrebbe forse concludere, a favore dell'Autore e degli avversari, che e la resistenza della figura e del mezzo, secondo l'opinione di questi, e la leggerezza dell'aria unita, secondo l'opinione del Signor Galilei, fossero unitamente cagione del galleggiare le cose gravi sopra l'acqua. Ed io, che amo la pace, molto volentieri convenirei in questo mezzo termine, se le parti si contentassero della metà della vittoria: altramente, per non ingaggiar litigi nè dispute, cedo da ora alla causa, rinunziando a tutto l'avanzo, e di più (qual io mi sia) dono anche loro tutto me stesso
Il Fine.
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Sia un solido, di piombo o altra materia gravissima, AB, fermato in A in guisa che non descenda; ed intendasi un vaso CDE, capace della mole di esso solido e di un poco più; il qual vaso, collocato prima più basso della base del solido B, empiasi di acqua, e poi lentamente si elevi contro al solido, sì che quello, entrandovi, faccia traboccar l'acqua ed uscir del vaso: dico che chi sosterrà il vaso, benchè per l'ingresso del [soli]do sia partita quasi tutta l'acqua, e [ben]chè il solido sia fisso e sostenuto in A, sentirà gravarsi dall'istesso peso appunto, che quando sosteneva il vaso pieno d'acqua. Il che si farà manifesto, se considereremo come la virtù sostenente il solido, posta in A, mentre tal solido era fuori di acqua, sentiva maggior peso che dopo che il solido è venuto immerso nell'acqua; il qual peso, non potendo esser andato in niente, è forza che si appoggi sopra quella virtù che ha sollevato il vaso. Considerando poi quanto si sia sciemato di fatica alla virtù che prima sosteneva il solido in aria, avanti che fosse locato in acqua, facilmente intenderemo, tanto essere sciemata la fatica della virtù in A, quanto l'acqua ha sciemata la gravità del solido AB: ma già sappiamo che un solido più grave dell'acqua pesa in quella tanto meno che nell'aria, quant'è il peso in aria di una mole d'acqua eguale alla mole del solido demersa: adunque il solido AB grava soprala virtù sostenente il vaso CDE tanto, quant'è il peso di tant'acqua quant'è la mole del solido demersa: ma alla mole del solido demorsa è di mano in mano eguale l'acqua che si spande fuor del vaso: adunque per tale effusion d'acqua non si scema punto il peso che grava sopra la virtù che sostiene il vaso. Ed è manifesto che il solido AB, se bene scaccia l'acqua del vaso, niente di meno, con l'occuparvi il luogo dell'acqua scacciata, vi conserva tanto di gravità, quanta appunto è quella dell'acqua scacciata.
Però, Sig. Accademico, il solido di piombo, che voi collocate nella cavità degli arginetti, scaccia ben l'aria che vi ritrova, ma egli stesso conferisce a quel vaso tanto appunto de i proprii momenti, quant'era 'l momento dell'aria discacciata. Bisogna, se voi volete vedere ciò che operi o non operi l'aria accoppiata con un solido, porvela prima, e poi rimuoverla, ma senza suggerir in suo luogo altro corpo, che possa far l'effetto stesso che ella faceva prima. Ed un modo assai spedito e sensato sarà questo. Facciasi un vaso di vetro, simile all'AB, di qualsivoglia grandezza, il quale abbia in A un foro assai angusto; nel fondo del quale, o dentro o fuori, pongasi piombo, tanto che, messo tal vaso nell'acqua, sendo il resto pieno di aria, si riduca all'equilibrio, o vero che appena descenda al fondo: pongasi poi sopra 'l fuoco, sì che l'aria contenuta in esso sia scacciata, o in tutto o in gran parte, dalle sottilissime parti ignee che, passando per la sustanza del vetro, vi entreranno dentro; ed avanti che il vaso si rimuova dal fuoco, sorrisi esquisitamente il foro A, sì che l'aria non vi possa rientrare: levisi poi dal fuoco, e lascisi stare sin che si freddi, e tornisi poi a metter nell'acqua; e vedrassi galleggiare, per essergli stato rimosso o tutta o gran parte dell'aria che prima lo riempieva, senza che in luogo di quella sia succeduto altro corpo; sì come per esperienza si vedrà aprendo il foro A, per il quale con grand'impeto si sentirà entrar l'aria a riempiere il vaso, che, di nuovo posto nell'acqua, come prima andrà al fondo. Ma se il vaso AB fosse tutto aperto di sopra, ed aggiustato col piombo sì, che galleggiasse bene, ma fosse ridotto vicinissimo al sommergersi, se alcuno scaccierà l'aria col porvi dentro un solido poco minor del suo vano, sostenendo però tal solido con la mano, non aspetti di veder respirar il vaso, nè punto sollevarsi sopra 'l livello dell'acqua, come nell'altr'esperienza accadeva: perchè il solido postovi scaccia ben, ma vi mette altrettanto del suo momento.
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F. 1 [pag. 153, lin. 13]: Ciò non avviene etc.; leggasi fino a: Il freddo, dunque, ambiente etc. Disse l'Autore, che arebbe creduto il ghiaccio esser più tosto acqua rarefatta che condensata, vedendosi che e' galleggia nell'acqua, o che, in consequenza, è men grave di quella; il cui contrario dovrebbe accadere s'e' fosse aqqua condensata. Fu replicato dalla parte avversa, non la minor gravità, ma la figura larga e piana, esser cagione del suo stare a galla: e sopra questa conclusione si rivolse e si continuò tutto 'l ragionamento, senza muover mai parola, se la congelazione fosse per rarefazione, o per condensazione, o con mistion di aliti o d'aria, o in altra maniera: tal che chi vuol protegger la parte ed impugnar l'Autore, bisogna che dimostri che il ghiaccio galleggi mediante la figura, chè in questo è la controversia, e non ch'e' sia aqqua condensata, sopra che non è stato conteso. Anzi, chi ben considererà le parole dell'Autore, non ne trarrà che egli resolutamente abbia affermato la congelazione esser rarefazione, non avend'egli dett'altro se non che più tosto arebbe creduto, il ghiaccio esser acqua rarefatta che condensata, vedendosi galleggiare; il che potette molto ben esser proposto da lui come un dubbio simulato, per apprender dalle risposte altrui la vera cagione del suo galleggiare, ancor che più denso dell'acqua. Ora, il declinar che fa l'Accademico in questo luogo la parte principale della questione, attaccandosi a quello che poco importava, dà non piccolo indizio d'esser non men contrario alla persona che alla causa.
Ma perchè l'imparare è sempre opportuno, io, che altro non bramo, resterò molto obbligato all'Accademico se, per mio intero insegnamento, mi rimoverà alcuni dubbii, che mi restano circa questa sua esplicazione della congelazione. Però, volgendomi a lui, dubito in prima così: Se il ghiaccio è acqua condensata per la virtù che ha il freddo di congregare le cose simili e le dissimili, perchè non si fa egli anche dal caldo, al quale voi parimente attribuite virtù di congregare le cose simili? Mi direte voi forse, l'acqua esser cose dissimili, e però congregarsi dal freddo e disgregarsi dal caldo? Se tale sarà la risposta, io cascherò in un'altra non minor difficoltà: ed è che, se voi chiamate l'acqua cose dissimili, io non saprò dove volgermi per ritrovar quali sien le cose che, sendo veramente simili, mi servino per accertarmi con esperienza della verità della proposizion posta da voi, ciò è che il freddo ed il caldo di pari abbino virtù di congregarle.
È il secondo dubbio intorno all'esperienza, posta per molto chiara, di un vaso colmo d'acqua, che nel congelarsi sciema non poco, non ostante la copia de gli aliti che dentro vi si racchiudono. Ma a me l'esperienza mostra tutto l'opposito: perchè, avendola fatta più volte con vasi, anco di metallo, angusti di collo e di ventre larghi, ho veduto prima uscir non poco il ghiaccio ed allungarsi fuor del collo, e poi, nel ghiacciarsi l'acqua contenuta nel corpo, non potendo elevarsi per esser già serrato il collo, è crepato il vaso, e apparsa l'aqqua congelata intorno alle crepature. Ma più accomodata esperienza, e che in ogni tempo si potrà fare, caveremo dal ghiaccio stesso già fatto. Perchè, se l'acqua nel congelarsi sciema di mole, è necessario che 'l ghiaccio nel liquefarsi torni a ricrescere; altramente io potrei dire che l'aqqua, nel congelarsi, non si condensassi, ma si consumassi, e così l'esperienza dell'Accademico resterebbe senza forza: però, se si piglierà un vaso di vetro, di ventre assai capace ne molto angusto di collo, e dentro vi si metteranno molti pezzi di ghiaccio, del più denso e privo di quelle bolle che in molte parti del ghiaccio talora si veggono, e poi, per cacciarne l'aria, s'infonderà nel detto vaso acqua sin che arrivi a mezo il collo, non è dubbio alcuno che, liquefacendosi il ghiaccio, quando sia più denso dell'aqqua, quella che era nel vaso doverà alzarsi sopra il mezo del collo, dove arrivava mentre il ghiaccio era ancor duro; ma se all'incontro il ghiaccio era acqua rarefatta, ritornato che sia in acqua, si doverà veder diminuzione nel contenuto dentro al vaso, ed il primo livello abbassarsi. Facciasi, dunque, l'esperienza; che senza dubbio nissuno si vedrà cadere conforme a questo secondo caso, e, per consequenza, in confermazion dell'opinione dell'Autor del Discorso: onde io volentieri sentirò quali distinzioni o variazioni di circostanze saranno addotte dall'Accademico per reprovar questa esperienza e sostener la sua proposizione.
Dubito, oltre a ciò, non poco nel modo col quale l'Accademico fa la congelazione, elicendo che: [pag. 154, lin. 2] Il freddo ambiente conspirando etc.; leggasi sino a: Ma non però.
Ed è il primo dubbio che, vedendosi apertamente il ghiaccio dissolversi prontissimamente solo per le due qualità caldo ed umido, come contrariissime alla sua consistenza, l'Accademico possa, così facilmente e senza alcun disturbo, accomodarsi ad ammettere che l'aria ambiente, e per sua natura, in via peripatetica, umida e calda, operi nella congelazion dell'acqua; in grazia della qual congelazione ella si spogli le sue naturali qualità e si vesta delle contrarie.
Dubito, appresso, com'esser possa che il ghiaccio già mai galleggi; poi che nella congelazione, fatta nel modo che qui si pone, viene per doppia cagione ad ingravirsi più che avanti non era: avvegna che, prima, si partono le parti calde e tenui, e vi succedono le fredde e terrestri; che tanto è quanto a dire, si partono le parti leggiere, in luogo delle quali subentrano le gravi: secondariamente, l'aqqua si condensa e si ristringe in minor mole; il qual accidente è pur cagione di aqquisto di gravità.
Noto appresso che l'Accademico poco di sotto, a fac. 4 [pag. 158, lin. 2 e seg.], considera la gravità in 3 modi: primo, per la forma stessa essenziale delle cose gravi; 2°, per la qualità ed affezione determinante la detta forma verso 'l moto, come strumento prossimo ed intrinseco ad esso; 3°, come una propensione al moto, ciò è come un atto secondo, innominato. La qual divisione io ammetterò come vera, se bene io la stimo nè vera nè falsa; e solo considererò quello che l'Accademico soggiugne, ciò è che le due prime gravità non si variano se non si varia il temperamento o la densità. Ora, nel farsi di acqua ghiaccio, quanto al temperamento si fa variazione in accrescimento di gravità, mediante l'introduzione degli aliti freddi e terrestri; adunque, quanto all'altro accidente è necessario che si faccia una gran rarefazzione, per poter compensare la nuova gravità introdotta da i detti aliti e far che il ghiaccio, in qualsivoglia modo figurato, galleggi nell'acqua, ed, in consequenza, sia di lei men grave; adunque il ghiaccio è acqua rarefatta, e non condensata, anco in dottrina accademica.
Che poi 'l legno in universale sia più denso dell'acqua, non credo in modo alcuno che sia vero; ma alcuni saranno più densi, ed altri meno: più densi, quelli che vi descendono e sono in specie più gravi di lei; meno, quelli che vi galleggiano e sono più leggieri. In oltre, che ogni corpo composto di terra e d'aria deva stare a galla, e, più, che ciò sia secondo la mente dell'Autore, con pace dell'Accademico è, nell'una e nell'altra parte, falso: perchè l'Autore non è così semplice che avesse detto una leggerezza così manifesta; nè è vero che tutti i composti di terra e d'aria galleggino, ma solamente quelli ne i quali l'aggregato della terra e dell'aria compone una mole men grave in specie dell'acqua; e questo solo trovo nell'Autore. E qui, s'io ben comprendo, nasce un poco di equivocazione nel discorso dell'Accademico; il quale, vedendo come si può facilmente fare un misto participante in guisa di terra e d'aria che sia men grave dell'acqua e che perciò in essa galleggi, ha anche compreso ciò potersi far molto più con l'acqua e con l'aria, o con cosa non molto differente dall'aria in gravità; e sin qui il discorso camina benissimo: ma quello che io non credo che sia stato interamente avvertito dall'Accademico, è che il ghiaccio fatto al modo suo non può in vermi modo esser un di tali composti; perchè, se la mole del ghiaccio sciema dalla mole dell'acqua, nissuna participazion di aria, ben che grandissima, sarà bastante a far che 'l ghiaccio galleggi. Imperò che, se noi intenderemo due moli di acqua eguali, e, per esempio, di 10 libbre l'una, delle quali una si ghiacci e si riduca in minor mole, già il suo peso non sarà sciemato, non diminuendo la sustanza dell'acqua ma solo condensandosi, anzi, più presto, sarà divenuta in specie più grave, mediante la diminuzion della mole e la mistione de gli aliti freddi e terrestri; sì che almeno peserà le medesime 10 libbre, quanto pesa ancora l'altr'acqua; ma un corpo che, sendo in mole minor d'un altro, pesa quanto quello, è in specie più grave di lui: adunque il ghiaccio sarà in specie più grave dell'acqua, e però non potrà galleggiare: al che repugna l'esperienza. E chi volesse meglio comprendere come è impossibil cosa che un misto d'aria e d'acqua condensata galleggi, tuttavolta che la mole di tal misto sia minore della mole dell'acqua avanti la mistione e condensazione, potrà fare la seguente esperienza. Prenda una boccia di vetro di quelle che noi vulgarmente chiamiamo buffoni, e mettavi dentro tant'acqua che appena resti senza sommergersi, sì che una sola gocciola di più lo mandasse al fondo; di poi pesi l'acqua in esso contenuta, la quale sia, per esempio, 4 libbre; e vòtata l'acqua, pongavi libre 4 d'argento vivo, il quale occuperà nel vaso appena una delle 15 parti di quello che occupava l'acqua, ed il resto sarà pieno d'aria, e sarà fatto un composto di una gran quantità d'aria e d'una piccola mole d'argento vivo, il quale, quanto appartiene alla gravità, opererà l'istesso che se le 4 libbre d'acqua si fossero condensate e ridotte a un quindicesimo della sua prima mole; torni poi a metter la boccia nell'acqua, e vedrà che ella, come prima, starà per sommergersi all'aggiunta d'una sola gocciola. E perchè questo composto d'argento vivo e d'aria è in mole eguale per appunto alle 4 libbre d'acqua, e sta come quelle su l'affondarsi, è manifesto che, riducendolo in mole un poco minore, andrà senz'altro in fondo. Non è, dunque, possibile far un misto d'aria e d'acqua, quanto si voglia condensata, il quale galleggi, se la mole sua non divien. maggiore della mole della medesima acqua sola avanti la sua condensazione.
[pag. 154, lin. 7-8] Ma non però assolutamente etc.; leggasi sino a: posto in fondo dell'acqua. Tra i luoghi che forte mi hanno fatto dubitare che l'Accademico abbia scritte queste Considerazioni più presto per tentar l'Autor del Discorso, che perchè egli abbia creduto di scriver cose veramente salde e fondate, uno assai manifesto mi par questo: dove ei produce alcune proposizioni non solamente dannabili, ma reputate per tali da sè e dall'autore da chi egli lo ha trascritte, che è il Sig. Piccolomini, filosofo d'illustre fama, nel libro Delle definizioni, a car. 183 b. Il quale primieramente conclude, con Aristotile e con la verità, che ad ogni maggior densità conséguita gravità maggiore, tanto se si farà comparazione tra corpi di diversa natura, quanto della medesima; e l'istesso afferma della leggerezza conseguente alla maggior rarità. E l'argomento di Averroe in contrario, preso dalle gioie (non dirò molto lucide, come dice l'Accademico, perchè di tali non so che se ne trovino, ma dirò, come Averroe, diafane e rare), vien pur confutato, dicendosi altra cosa esser il raro, altra il perspicuo, e le gemme esser perspicue non per esser rare, essendo più tosto molto dense, ma solo per esser purgate dalle fecce terrestri. L'argomento poi preso dalle stelle, che, sendo più dense del resto del cielo, non però son più gravi, viene immediatamente resoluto e scoperto inefficace e fuor del caso dal medesimo Accademico che lo produce, nel render, che egli fa, la ragione perchè la densità non partorisca gravità nelle stelle, dicendo ciò avvenire, perchè simili qualità di gravità e leggerezza sono repugnanti alla semplice natura de gli orbi celesti; dal che in consequenza si deduce che ne' corpi elementari, a i quali dette qualità non sono repugnanti ma naturalissime, il fatto procede altramente, e che la densità può benissimo cagionar gravità, e la rarità leggerezza. Noto di più, che mentre noi stiamo dubbii ed altercanti della densità del ghiaccio e dell'acqua, che tutta via ci stanno tra le mani, il produr l'attestazione delle stelle e del cielo ambiente, come che le condizioni loro ci siano più cognite, fa che nell'Accademico si desideri qualche cosa attenente all'intera perfezion dell'esatto metodo demostrativo, il quale non approva, anzi danna, il provar ignotum per ignotius . L'argomento, ancora, del fuoco e dell'aria, che condensati fossero men gravi, primieramente per mio credere è falso; e poi, quando ben fosso vero, sarebbe inutile, anzi nocivo per l'Accademico. È falso: perdi è, in quella parte che soggiace all'esperienza, il senso ci mostra che l'aria condensata cresce notabilmente di peso: avvegnachè se si accomoderà una boccia grande di vetro con un ritegno che, cedendo l'entrata all'aria che con forza ci si può spigner dentro, proibisca poi l'uscita, ci si potrà metter aria 2 e 3 volte più di quella che naturalmente vi sta; la quale, posta su bilancia esquisita, si troverà di peso assai maggiore che quando si peserà senza l'aria compressa e condensata, e la differenza non sarà dubbia, perchè in un vaso grande potrà importare mez'oncia e più. Questo effetto è vero, e fu saputo e scritto da Aristotile, ma non fu creduto dal Sig. Piccolomini, nel luogo citato di sopra; dove, per non avere ad ammettere un errore in Aristotile, si va troppo sottilmente ingegnando d'investigar distinzioni e circostanze, per sostener cosa che non minaccia rovina, anzi è benissimo fondata. Quello che faccia il fuoco condensato, io non lo so: averei ben caro che mi fosse detto qualche modo di vederlo per esperienza; ma opinabilmente credo che farebbe l'istesso che l'aria, ciò è che condensato descenderebbe nella sua sfera, ma non per quella dell'aria, sì come nè meno l'aria si può tanto condensare che scenda per l'acqua. Ma posto che e nell'aria e nel fuoco condensati crescesse la leggerezza, che ne caverà l'Accademico, applicandolo al proposito di che si parla, se non cosa contraria alla sua intenzione? Perchè, s'ei vorrà render ragione onde avvenga che 'l fuoco condensato accresce la sua leggerezza, non potrà dir altro se non, perchè, multiplicando la materia del fuoco, si multiplica la sua naturale affezzione, e perchè egli è per natura leggiero, però si multiplica la sua leggerezza: e l'Autore del Discorso, continuando l'istessa maniera d'inferire, dirà che per ciò l'acqua, di cui la gravità è propria e naturale affezzione, nel condensarsi aqquista nuova gravità, onde il ghiaccio, quando si faccia per condensazione, sarà di necessità più grave dell'acqua, nè potrà in essa galleggiare. Resta per tanto nel suo vigore la ragione che ci persuade il ghiaccio esser acqua rarefatta, fondata sopra l'esperienza, che noi continuamente veggiamo, del suo galleggiare.
Ma essendomi pervenuto all'orecchie, come questa nuova proposizione del Sig. Galileo ha, in molti luoghi ed in particolare in Roma, eccitato dubbio non piccolo in quelli che son usi a ben filosofare, anzi non pur dubbio ma un poco di confusione ancora, nel concordare insieme due proposizioni molto discordi, ciò è che il ghiaccio sia acqua rarefatta, come dimostra la sua minor gravità, e che la congelazione si faccia in virtù del freddo, la cui facoltà è di ristrignere e condensare; mi son preso sicurtà di domandare detto Autore ciò che egli in questo proposito potrebbe dire, e, se bene ho tenuto a memoria, ne ho ritratto questo. Prima, egli ammette (per non produr nuove difficoltà in campo, e trapassar d'una in un'altra quistione in infinito) che il freddo sia veramente una qualità reale e positiva, di facoltà di ristrignere e condensare: secondariamente, afferma il giaccio farsi per l'intervento dell'operazione del freddo: e con tutto ciò pur ritiene la medesima conclusione, che il ghiaccio sia acqua rarefatta. Per il che dichiararmi, prima mi fece avvertito che nella produzion del ghiaccio assai più operava il freddo dell'aria ambiente che 'l proprio dell'acqua, per esser quello più intenso di questo, benchè al senso nostro appaia in contrario, atteso che non par che si trovasse alcuno al quale non paresse più aspro il dover restar per un'ora o due nell'acqua prossima al congelarsi, che nudo nell'aria circunvicina; tutta via altra esperienza più certa determina circa questo particolare meglio del senso del tatto; perchè, se si empieranno di acqua 2 vasi eguali, e l'uno si terrà nell'aria, e l'altro si profonderà sotto l'acqua, quello in poche ore d'una notte freddissima si congelerà tutto, e l'altro talvolta punto. L'istesso ancora si fa manifesto: perchè se 'l freddo dell'acqua non fusse minor di quello dell'aria contigua, la congelazione si farebbe non meno nelle parti di mezo e nelle più profonde, che nelle supreme e contigue all'aria; al che repugna l'esperienza. Il freddo, dunque, nelle stagioni freddissime è più intenso nell'aria che nell'acqua; e perchè proprietà del freddo è il costipare e ristrignere, e l'aria è per natura sua grandemente condensabile e rarefattibile (di che appresso ne produrrò manifeste so esperienze), sendo all'incontro l'acqua repugnantissima alla condensazione ed alla distrazione (come pur dichiarerò con esperienze), quindi avviene che l'aria vien dall'immenso freddo immensamente condensata, ed è sotto minori spazii ristretta.
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[pag, 155, lin. 3-4] posto in fondo dell'acqua, subito ritornarsene a galla) Questo modo d'argumentare età; leggasi fino a Intanto per fare una scoperta. No, Sig. Accademico, non vogliate con una scoperta ricoprirvi. Hic Rhodos, hic saltus: tempo di rispondere è qui, e non più di sotto. Gli avversarli dicon qui che una falda di ghiaccio, benchè più grave dell'acqua, galleggia rispetto alla figura larga; e l'Autore instando dice: Se ciò fosse vero, molto più dovrebbe, posto che e' fosse nel fondo, restarvi; perchè, se 'l solo impedimento della figura, inetta al fender l'acqua, lo trattien di sopra contro alla sua naturale inclinazione di sommergersi, come acqua ingravita per la condensazione, come non rest'egli in fondo, dove amendue le cause, dico la gravità e la figura, conspirano a ritenervelo? In questo luogo non si tratta altro che questo punto, nè questo punto si tratta altrove; però qui bisognava scoprir le fallacie dell'Autore, e le variazioni delle circostanze, e non tanto di sotto che più non si ritrovino.
[pag. 155, lin. 7] Intanto, per fare una scoperta generale etc.; leggasi fino a: chiamo egualmente gravi. Non contenendo tutto questo discorso cosa che faccia al proposito di che si tratta, come ogn'un leggendo può vedere, non occorre consumarci parole.
[pag. 156, lin. 22] chiamo egualmente gravi) Per me' filosofare; leggasi fino a: 1. Perciocchè, dandosi etc. Potrebbesi tutto questo, che vien in due facce intere addotto dall'Accademico e trascritto dal Sig. Piccolomini, lasciare intatto senza pregiudizio alcuno della dottrina dell'Autor del Discorso, non ci essendo cosa che contrarii alla parte sostenuta da lui circa 'l punto principal della quistione; perchè, disputandosi di ciò che operi la figura ne i solidi circa l'ascendere o 'l descender nell'acqua, non vien mai occasione che la leggerezza positiva più che la privativa, o l'ascesa da principio intrinseco più che per l'espulsione, possino alterare le ragioni che si adducono; e massime che del fuoco, nel qual solo, per detto del medesimo Aristotile, risiede la leggerezza positiva, nominando egli tutti gli altri elementi gravi, non vien mai cercato quel che in lui operasse la figura, ma solo in materie che, scendendo in aria, sono, in dottrina peripatetica, a predominio terree o aquee, ed, in consequenza, per principio intrinseco mobili all'in giù, onde resta manifesto che qualunque volta si muovono in su, ciò fanno in virtù di motore esterno, che altro non è che lo scacciamento del mezo, in quanto però concerne alla presente controversia. Però, quanto fu necessario il definire e distinguere quello che l'Autore intendesse per più o men grave in specie o assolutamente, per poter poi demostrativamente stabilire i fondamenti della sua dottrina, tanto par che fuor di tempo si produca un lungo discorso per dispiegar la dottrina d'Aristotile circa 'l grave e leggiero, in molt'altri luoghi nell'istesse maniere spiegata. Pertanto io non credo che l'Accademico proponga questa materia per altro, che per declinar più che si può la causa principale, appigliandosi a quello che incidentemente accennò l'Autore nel difendere Archimede contro al Sig. Buonamico, ciò è che averebbe creduto che si potesse sostener e difender l'opinione di Platone e di altri antichi contro alla dottrina d'Aristotile: ed io, intendendo tal suo desiderio, cercherò di satisfargli, per quanto le mie forze si estenderanno; procurando insieme, con simili digressioncelle, che questa mia scrittura non resti così piccola che si perdesse tra le mani, come farebbe quando io non vi dovessi porr'altro che quello che fusse necessario per rispondere alle Considerazioni, dell'Accademico che vanno a ferire spezzatamente alcune, ma ben poche, ragioni o esperienze delle molte di che il Discorso dell'Autore è pieno.
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non è credibile che l'Accademico abbia scritto per altro, se non per tentare se il Galileo conosceva sì alte cogitazione, o pur le lasciava passare; di che è grand'argumento l'aver taciuto 'l nome.
Piccolomini, in lib. De definitionibus, fol. 183, ammette la definizione di Alcinoo, che è «grave esser quello che difficilmente si rimuove dal suo luogo»; adunque, grave assoluto doverà esser quello che non si può muovere dal suo luogo, etc. Veggasi il luogo, e seguasi la lettura per altri particolari.
se scrive il Bardi, si potrà dire che nel domandarmi alcuni suoi dubbi conformi alla sua età, cioè puerili, gli è occorso sentire risposte tali, che benissimo possono satisfare alle Considerazioni dell'Accademico.
Non poteva l'Accademico difendere Aristotile senza impugnar tutto quel che dice l'Autore.
Nota. Il fuoco, mentre è in piccolissimi atomi disseminato per l'acqua, lentamente sale in quella; come anco la arena impalpabile lentamente vi scende: ma quando, per la gran niultiplicazione, moltissimi atomi si congiungono, vien con velocità grande e fa il bollore; come anco, attaccandosi insieme innumerabili atomi di terra, si fa la belletta o fango, che velocemente cala nell'acqua. Non però resta di esser torbida, perchè non tutti si attaccano: così l'acqua non resta d'esser calda, perchè non tutti gli atomi ignei si uniscono e fuggono. Chi nell'acqua torbida o vino torbido metterà materie che lentamente vi descendino, come piallature di legno, chiara di uova sbattuta e simili cose (e più operano nel vin bianco che nel rosso, perchè tali cose più lentamente vi scendono, essendo più grave), presto lo chiarirà; perchè, nel passar, portano seco gli atomi della torbida più presto che da per loro non farebbono. Nello scaldarsi l'acqua, gli atomi ignei montano alla superficie, e, nel volere passar nell'aria, vengono ritenuti in copia grande dall'acqua aderente, come nello scender per l'aria molti corpuscoli si fermano su l'acqua per l'aderenza dell'aria, li quali poi, separati, s'affondano: e però l'acqua è più calda presso alla superficie; e l'acqua ancora, che si va rischiarando, prima chiarisce di sopra, e verso il fondo resta più torbida.
prova, se si fa d'acqua aria, con le palle che soffiano poste su carboni, ricevendo quel vento in un panno o in una spugna.
Non potersi dire il moto naturale esser solamente all'in su, sì come si dice esser verso il centro, è manifesto; perchè il moto verso il centro serve alla costituzion dell'universo, od il moto all'in su tendo alla dissoluzione: e però ben si può dire, il moto all'in su farsi per estrusione, ma non già il moto all'in giù.
un metallo resta nell'acqua forte senza descendere, perchè la mistione è fatta per gli ultimi indivisibili.
Quando la tavoletta bagnata arriva al livello dell'acqua, l'aria non si separa altramente dall'acqua che bagna la tavoletta, ma la superficie di quest'acqua si continua con l'altra, e l'aria resta come prima, nè muta contatto.
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