ERRORI DEI PIÙ MANIFESTI

commessi da Messer Giorgio Coresio,

lettore di lingua greca in pisa,

nella sua Operetta del galleggiare della figura ,

raccolti da D. Benedetto Castelli di Brescia

... in badia di firenze.

Prima, erra Messer Giorgio Coresio di troppa animosità, arischiandosi disputare senza geometria con un geometra; perchè chiaro è che, se il geometra ha detto male, non può esser corretto se non da chi intende, e, se ha detto bene, è una pazzia il riprenderlo. Errore universale in tutta l'Operetta di Messer Giorgio.
2, erra nelle due inscrizioni della sua Operetta, e mi manca assai nelle mani, avendo nella prima proposto un'«Operetta intorno al galleggiare de' corpi solidi», E poi nella seconda (diminuendo assai la prima, con mettersi ancora in sospetto d'animo più desideroso di contradire che di saper il vero) mi promette solo una «Dichiarazione dell'opinione d'Aristotile intorno al galleggiare della figura contro l'opposizione del Sig. Galileo». Averei voluto che Messer Giorgio avesse sodisfatto al primo titolo, che è d'una cosa vera bella e che si ritrova in natura, e non m'avesse proposto il secondo titolo, del galleggiar della figura, cosa vana ed impossibile, come chiaramente ha dimostrato il Sig. Galileo, e che ha del ridicoloso, non meno che il voler trattare del volare della talpa. Nelle inscrizioni.
Erra in quella prima conseguenza che fa nel principio del suo proemio, deducendo che e' litterati oltra tutti gli altri starebbono in continua pace e concordia tra di loro, se gli uomini si quietassero ugualmente nel vero. Doveva dedurre: «Gli uomini starebbono in continua concordia tra di loro», chè la conseguenza caminava bene, e non concludere de' letterati solamente, oltre tutti gli altri; perchè quando gli uomini si quietassero ugualmente nel vero, non saria differenza tra letterati e altri ignoranti, già che tutti sarebbono letterati a un modo. fac. prima, nel principio. [pag. 203, lin. 8-12].
Erra in voler introdurre intorbidamento di dispute dove la verità è manifestata con evidentissime dimostrazioni, sotto pretesto che la varietà delle opinioni e le liti de' letterati partorischino gran bene; perchè simili confusioni sono gran perditempo, oltre che non poco derogano alla maestà della scienza. Era più sano consiglio cercare d'intendere il Discorso del Sig. Galileo, e ringraziarlo di aver aperta sì bella strada di filosofare, con maniera tanto salda e sicura, fondata nelle cose stesse e nella natura, e non nei libri o forza de' vocaboli grechi. fac. 2, v. 12 [pag. 203, lin. 27-30].
Erra in pretendere che il Sig. Galileo abbia mandato allo stampe il suo Discorso per risvegliare gli animi de' litterati, e non perchè realmente quello che ha esposto sia sua opinione: prima perchè un pari del Sig. Galileo non sta in queste puerizie; poi io, che mediante il suo aiuto ho intese le sue ragioni e conclusioni, so di sicuro e fo ampia fede a Messer Giorgio che l'opinione esposta nel Discorso è veramente del Sig. Galileo, e non occorre pretendere altro. fac. 2, v. 32 [pag. 204, lin. 16-17].
Erra ancora volendo contradire al Sig. Galileo, che ha detto creder più tosto il ghiaccio esser acqua rarefatta che condensata, e soggionti i motivi di questa sua credenza, cioè la diminuzion del peso e l'accrescimento di mole; erra, dico, per impugnar questo detto, in movere altri punti: se questo sia detto in universale o in particolare, se si voglia intendere che sia o non sia proprietà del freddo condensare, se sia rarefatto propriamente o accidentalmente; perchè tutte sono fughe vane, quanto al proposito s'aspetta. Impugni pure Messer Giorgio la conclusione, se può, e distrugga i principii da' quali depende; che questo è l'obligo in che si è messo. fac. 3, v. 22 [pag. 204, lin. 35 – pag, 205, lin. 2].
Erra a pensare che, essendo in natura del caldo congregare le cose del medesimo genere, non sia del contrario del caldo, ciò è del freddo, natura di separare le cose del medesimo genere; dal che non avrebbe poi occasione di maravigliarsi che il freddo, no l'agghiacciare l'acqua, rarefaccia le parti sue. fac. 3, v. 33 [pag. 205, lin. 8-9].
Erra e manca assai nel risolvere il dubio delle cose medicinali di diverso genere, unite dal caldo contro la natura del caldo, che è di separare le cose di diverso genere. Erra, dico, perchè risponde che il caldo le unisce per ragione di qualche similitudine: ora io dico che resta maggior dubitazione, in che modo sia possibile che il caldo unisca la scamonca con il zuccaro e con l'agarico per qualche similitudine, e non più tosto li separi per la stravagantissima dissimilitudine. fac. 4, v. primo, [pag. 205, lin. 9-12].
Erra dicendo che il caldo, quando ritrova l'umido in un corpo, constringa quel corpo: perchè il caldo del forno ritrova l'umido nel pane, e lo rarefà. fac. 4, v. 3, [pag. 205, lin. 12-13].
Erra a prononziare così francamente come fa, che le descrizioni del freddo e del caldo date da Aristotile sono tali, che non è da dubitare se sian vere o false: e questo io dico perchè patiscono gagliardissime opposizioni, oltre le dette; delle quali ne metterò qua una, per insegnamento di Messer Giorgio. E questa è che, mentre si descrive il caldo e 'l freddo per operazioni che non li competono sempre, come sono il condensare e 'l separare etc., tali descrizioni restano insufficientissime. Nè si può dire che sia buon riffuggio il ricorrere al per accidente o al da per sè ; perchè in questo modo si lascia libero campo a chi vorrà dire che il caldo condensa propriamente il fango e che è sua natura il condensare, e che rarefà la cera per accidente (se però la cera liquefatta è rarefatta) e non da per sè; e questo potrà egualmente esser sostenuto come l'opposto, prononziato così alla libera e senza ragione. fac. 4, v. 15, [pag. 205, lin. 22].
Erra, di più, con notabile contradizione, mentre ora dice che 'l fuoco e l'aria sono di natura rari. e perciò rarefanno, nè possono mai dare quel che non hanno, e di sopra, nella descrizione del caldo, vole che il caldo congreghi. Posso dire io: E come può il fuoco per natura sua congregare, se è raro e non può dare quel che non ha? fac. 4, v. 32, [pag. 205, lin. 34-36].
Erra a non considerare che, facendosi il ghiaccio nell'acqua non dall'acqua nè dalla terra, ma dall'aria contigua alla superficie dell'acqua, non è maraviglia che il ghiaccio sia acqua rarefatta dall'aria; la quale essendo, per il Coresio medesimo, di natura rara, può solo rarefare, e non mai dare quello che e' non ha. fac. 4, v. 32,
Erra d'insipidezza e move nausea, mettendo grossezze e sottigliezze de' lati nelle figure; non intendendo che tutti e' lati delle figure piane sono linee, quali mai si possono chiamar grosse, se non da chi fosse grossissimo d'intelletto; e tutti i lati delle figure solide pur son linee, e se tal volta si 'ntende delle superficie, in ogni modo non hanno grossezza alcuna. fac. 5, v. 13, [pag. 206, lin. 6-15].
Erra a dire, come cosa nota, che il ghiaccio si fa lo 'nverno, quando il freddo constringe tutte le cose; perchè non è vero che il freddo constringa tutte le cose, rarefacendo l'acqua nel farla aggiacciare. fac. 5, v. 31. [pag. 206, lin. 25].
Erra ancora in logica, volendo adoprare questa proposizione dubiosissima, anzi falsa, da concludere l'intento suo; la quale ha bisogno di tanta prova, che quando questa fosse vera, tutta la disputa del ghiaccio saria terminata. fac. 5, v. 31.
Erra a chiamare costrette le cose che si chiudono nel ghiaccio: anzi, che più presto sono tra di loro dilongate, nel farsi il ghiaccio. E Messer Giorgio stesso, concedendo che, nel farsi il ghiaccio, ci entri dell'aria e accresca la mole, è sforzato a concedere che quelle cose siino più separate e dilongate nel ghiaccio di quello che erano prima nell'acqua. fac. 5, v. 34. [pag. 206, lin. 28].
Erra di grosso a credere, o presumere che altri credino, che le cose che sono più sensibili al tatto e più visibili siino più dense: perchè ogn'uno sa che la fiamma è sensìbilissima al tatto e più visibile di qual si voglia altro corpo naturale che noi abbiamo, e con tutto ciò è molto più rara. fac. 5, v. 36. [pag. 206, lin. 30].
Erra a dire che quello che è più denso, più difficilmente si taglia: perchè la pasta è più densa del pane cotto, e più facilmente si taglia. fac. 5, v. 39. [pag. 206, lin. 32].
Erra Messer Giorgio, perchè piglia il duro per denso, ed il molle per raro, che pur sono cose diversissime. fac. 6, v. 3. [pag. 206, lin. 33-34].
Erra affermando che il ghiaccio si rarefaccia dal caldo: anzi si condensa e si riduce in minor mole, come so di certo che il Sig. Galileo ha fatto vedere e toccare con mano a Messer Giorgio stesso, in presenza dell'Eccellentissimo Principe Sig. D. Aloise d'Este. fac. 6, v. 11. [pag. 206, lin. 40].
Erra chimerizando che il ghiaccio si faccia sentir più freddo dell'acqua, non perchè sia realmente più freddo, ma per la densità della materia. fac. 6, v. 14. [pag. 207, lin. 1-4].
Anzi dico di più, che erra Messer Giorgio nella propria dottrina: perchè, essendo egli per concedere che il ghiaccio sia più raro dell'acqua per accidente, è necessitato a concedere che per accidente debba parere men freddo di quella. fac. 6, v. 14.
Che le acque de' ghiacci e delle nevi siino o non siino mal sane, mi rimetto a' medici. Ma erra ben Messer Giorgio a concludere che della loro malignità ne sia cagione la densità del ghiaccio e della neve, essendo questi rari e non densi. fac. 6, v. 27. [pag. 207, lin. 10-13].
Erra affermando che il ghiaccio resiste più all'esser dissipato dell'acqua, essendo falsissimo: il che si prova, conciosiachè prese due moli uguali, una di ghiaccio e l'altra d'acqua, e di figure simili, esposte che saranno similmente al caldo, di sicuro si dissiperà prima il ghiaccio che l'acqua; ed è cosa assai nota, benchè da Messer Giorgio venga detto tutto il contrario: di modo che non si deve acconsentire che il ghiaccio sia più denso dell'acqua, perchè resista più alla dissipazione, essendo vero che resiste meno. Averei scusato questo errore con dire, che Messer Giorgio non ha voluto intendere che il ghiaccio si dissipi più difficilmente dell'acqua, cioè che finisca d'esser risoluto il ghiaccio in acqua più difficilmente che l'acqua in vapore o in altro, ma che la proposizione abbia questo senso: Il ghiaccio resiste più alla dissipazione, cioè all'esser risoluto in vapore. Ma perchè, intesa questa proposizione in questo senso, non ha poi che fare per concludere che il ghiaccio sia più denso, per tanto non ho potuto far di meno di non avertire questo errore. fac. 6, v. 32. [pag. 207, lin. 15-17].
Erra a volere creder a' Greci e altri in una cosa che può essere senza loro conosciuta; anzi, che potrebbe essere che i Greci in questo, come in molt'altre cose e di grandissimo rilievo, si fossero ingannati. fac. 6, v. 35. [pag. 207, lin. 19-22].
Essendo state da Messer Giorgio prodotte due sorti di rarità, una che consiste nella sotigliezza delle parti, e l'altra che consiste nella distanza delle parti, e già che questa rarità vien concessa nel ghiaccio, e questa medesima rarità è cagione, per detto del Coresio, fac. decima [pag. 210, lin. 9-10 o 22]. della sua Operetta, di leggerezza; si conosce chiaramente che Messer Giorgio erra a contradire al Sig. Galileo, che ha detto, creder che il ghiaccio sia acqua rarefatta, perchè cresce di mole ed è più leggieri dell'acqua, standovi a galla. fac. 7, v. 14. [pag. 207, lin. 31 e seg.].
Erra ancora a dire che il ghiaccio sia rarefatto per accidente, e non di necessità della sua natura; massime che Messer Giorgio stesso confessa che di necessità alla constituzione del ghiaccio è necessaria la distanza delle parti. fac. 7, v. 12. [pag. 207, lin. 30].
Io, ancorchè più volte abbia letto e riletto, e per me e per sodisfazione di alcuni Signori miei patroni, il Discorso del Sig. Galileo, mai ho ritrovato che dica, che Aristotile non conoscesse che 'l più grave descendesse più giù, cioè che le parti terree non cercassero d'andare al logo loro. Erra, dunque, Messer Giorgio a volere che il Sig. Galileo l'abbia detto. fac. 7, v. 38. [pag. 208, lin. 7-8].
Erra nel resto di quel Discorso: nel titolo del quale promette di provare che Aristotile senza ragione è biasmato dall'Autore intorno a' principii del discendere il solido; ma poi, in tutto quel progresso, non conclude cosa che faccia a proposito di quanto si è promesso, ma solo si mette a recitare cinque opinioni, diverse tra di loro, intorno alla causa essenziale del moto, con mirabile vanità di empire i foglii, e v'interpone un trattato delli accidenti, che sono (dice lui) principii dei moti; tutto, o direttivamente contro alla propria opinione, o falso, o spropositato. Poichè, mentre poneo che la gravità dependa dalla strettura delle parti e la levità della largura di esse, e avendo prima concesso, nel fine del primo Discorso, che la largura delle parti si ritrova nel ghiaccio e la leggerezza nell'aria, è forzato confessare che il ghiaccio sia leggiero e che l'aria sia rara per la largura delle parti; contro quello che nel medesimo passo afferma, avendo distinto, con Giovanni Grammatico, dua sorte di rarità, una che consiste nella sottigliezza delle parti, come è l'aria, l'altra nella lontananza delle parti, come è nel ghiaccio.

fac. 8 e fac. 9 [pag. 208, e seg.].

fac. 10, v. 20. [pag. 210, lin. 9-10].

Erra, parimente, di contradizione: perchè, avendo scritto, nel principio della faccia undecima [pag. 210, lin. 21-26], che non si deve dire chela gravità mova, perchè la gravità è una potenza, e per conseguenza non può fare il moto, che è azzione; più a basso poi, nella medesima faccia, scordandosi di sè medesimo, dice che il moto non è azzione altrimente; dal che posso soggiongere io, che ne segue che non sia impossibile che possa dependere dalla gravità. fac. 11, v. 30. [pag. 211, lin. 6].
Erra quando, dopo una tediosissima confusione di conclusioni repugnanti tra di loro ed alla medesima opinione ed intento principale di Messer Giorgio, inferisce senza dependenza alcuna la conclusione della destruzion del vacuo e del cedere; con soggionger senza proposito il notar delle cose per aria e per acqua, con la variazione del mezo e della figura, e che un sasso si move più velocemente, nel fine che nel principio, e più velocemente da un logo più alto che da un più basso, e che una nave s'immergerà, più in un'acqua dolce che nella marina, e che un legno nella stessa acqua si profondarà più quanto sarà più grave: e mostra con queste conclusioni, parte false e parte senza proposito, di aver più desiderio d'empire i foglii, che di dimostrare quello che nel principio del Discorso aveva promesso e proposto. fac. 11, v. 35. [pag. 211, lin. 10 e seg.].
Dice benissimo, che l'opinione di quelli che stimorno che il mezo e la figura non ritardassero il moto, fu sempre stimata vana: ma erra bene, se pensa che il Sig. Galileo non la conceda. fac. 12, v. 15. [pag. 211, lin. 24-27].
Erra, dunque, dicendo il vero e l'istesso a punto che dice il Sig. Galileo, in questo particolare del ritardar il moto, per la figura, e non accorgendosi di dirlo. fac. 12, v. 15.
Erra volendo che la figura, perchè ritarda, possa fare ancora la quiete, non essendo buona conseguenza: Questo ha forza di ritardare; dunque, di quietare. fac. 12, v. 15.
Erra a incorrere, nel principio del terzo Discorso, in queir errore che con falsità aveva imputato al Sig. Galileo; cioè pensando che, conforme Aristotile e la natura stessa, si diino corpi più gravi dell'acqua, che per quella non descendino, ma galleggino. fac. 12, v. 26. [pag. 211, lin. 30-32].
È vero che un bello 'ngegno, nel caso proposto dalli aversarii del Sig. Galileo, della tavoletta d'ebano, dirà che è l'aria che fa che la tavoletta non discenda, e lo dirà con verità; anzi per l'aria e sua forza in simili occasioni si vedono maggior meraviglie, come quando dal profondo del mare si alzano pesi gravissimi ponendo a poco a poco dell'aria in un vascello: ma erra bene Messer Giorgio a non intendere come questa risposta sia verissima. fac. 13, v. 32. [pag. 212, lin. 26-27].
Erra, nel principio del quarto Discorso, nel dire che il Sig. Galileo contradica alle sue proprie ragioni, imputandogli che egli abbia detto che l'aria non fa galleggiare i solidi in ogni sorte di figura, ma solo in alcune particolari; avendo egli dimostrato tutto l'opposito, cioè che ogni sorte di figura, che per altro andrà al fondo, può in virtù dell'aria congiontagli galleggiare. fac. 14, v. 12. [pag. 212, lin. 35 e seg.].
Erra replicando fuor di proposito quello che quattro versi di sopra aveva detto. Aveva premessa una divisione trimembre, dicendo trovarsi tre opinioni di questa cosa: la prima tiene che l'aria solamente operi; la seconda, l'aria e la figura; la terza, la figura sola. La prima, dice che è dell'Autore; e la seconda, di quelli che vogliono che l'aria e la figura insieme faccino l'effetto: e qui pianta il lettore. fac. 14, v. 22. [pag. 213, lin. 9-10].
A voler sodisfare al titolo del quarto Discorso, che è «In qual guisa l'aria sia non sia vera cagione di far galleggiare il solido», era a bastanza dire, che allora l'aria sarà bastante cagione di trattenere un solido che non vada al fondo, ancorchè quel tal solido fosse più grave in specie dell'acqua, quando, congionta con quello e posta sotto il livello dell'acqua, constituirà una mole men grave di altrettanta acqua, ed allora non basta trattenerlo, quando, ancorchè vi sia congionta l'aria stessa, tuttavia la mole che risulta dal solido e dall'aria, quale sarà collocata sotto il livello dell'acqua, eccederà in peso altrettanta acqua; come saldissimamente dimostra il Sig. Galileo nel suo Discorso: e questo fatto sta così, e, poichè Messer Giorgio non intende nè poteva assolutamente intendere le essattissime dimostrazioni, ha errato all'ingrosso a parlarne. fac. 14, v. 22. [pag. 213, lin. 11 e seg.].
Erra di molti e grossissimi errori in poche righe, mentre ei si propone ed essemplifica tre maniere di ritenere, o sforzare, dell'aria; dicendo, uno essere per predominio «come si vede nelle cose leggieri», e soggiogne «ed altri modi»: sì che comprendendo questo modo molti altri, che meraviglia sarebbe che uno di quelli fosse quello del Sig. Galileo? Di più, come sono tre modi, se sono tre o molti altri modi? Il secondo modo dice esser per moto, e ne dà l'essempio dell'aria mossa dalla calamita e, per tal moto, attraente il ferro: il quale se sia errore o no, non credo che abbia bisogno di grande esplicazione, perchè non credo potersi ritrovare uomo così stupido, fuori che Messer Giorgio, che creda che la calamita attragga il ferro mediante il moto dell'aria; perchè in questa guisa attrarrebbe ogn'altro corpo, e non ne attrarrebbe alcuno tutta volta che tra esso e la calamita tramenasse una tavola o una muraglia; e pur si vede nisun corpo, benchè densissimo, interposto tra la calamita e 'l ferro, impedire o ritardare la sua azzione. Pone il terzo modo dicendo essere per similianza, come si scorge nelle coppette e putrefazione: errore spropositatissimo, non si potendo intendere che soinilianza caschi tra l'aria, le coppette e la putrefazione. fac. 14, v. 24. [pag. 213, lin. 12-15].
Erra a concludere che l'aria, per esser molto rara e dissipabile, sia di poca e debile virtù: perchè, oltre che questo è contro la dottrina della quale Messer Giorgio fa professione, nella quale si afferma il fuoco e l'aria più attivi e, per conseguenza, di maggiori forze delli altri elementi, soggiongo io di più che il fuoco è assai più dissipabile e raro dell'aria, e tuttavia ha grandissima e spaventosa forza; dico nel movere e portar pesi, contro la natura loro, in alto, come si vede in mille esperienze. fac. 16, v. 18. [pag. 214, lin. 23].
Quando Messer Giorgio introduce quell'impossibile che seguirebbe se l'aria avesse forza di sostenere, che trattenerebbe la terra fuor del luoco suo, erra: perchè non intende niente niente quel che dice il Sig. Galileo, del trattener dell'aria. E se egli non intende il Sig. Galileo, non meno meraviglioso nella forza delle dimostrazioni che nella chiarezza dell'esplicare il suo concetto, meno potrà intender me: e però, senza farlo staccar troppo dalla gofferia del suo argomento, li dico che vadi pensando da qual parte la terra restarà trattenuta fuora del suo loco, già che da tutte le parti è circondata dall'aria. fac. 16, v. 20. [pag. 214, lin. 24-26].
Erra a far quella stravagante conseguenza, che l'acqua non saria corpo sollunare se non avesse resistenza alla divisione della tavoletta: erra, perchè non è vero che tutti i corpi sollunari resistino alla divisione, nè questo è stato già mai provato, nè credo assolutamente che si possa provare; anzi, per la dottrina che Messer Giorgio segue, i corpi sopralunari. sono quelli che resistono massimamente alla divisione. fac. 16, v. 33. [pag. 214, lin. 35-36].
Se Messer Giorgio intendesse che il Sig. Galileo dice, che i corpi più gravi in specie dell'acqua, tutti, tutti, e sempre, discendono in quella, e i più leggieri, tutti, tutti, e sempre, stanno a galla, e quelli che sono tra di loro egualmente leggieri, egualmente stanno a galla, cioè eguali moli di loro sommergono se in tutta la mole saranno eguali; se Messer Giorgio, dico, intendesse questo, o si quietarebbe nel vero, o non produrebbe, con tanti errori, esperienze spropositate. Perchè erra, con questa ignoranza, quando dice: Sia preso un vaso di materia più grave dell'acqua, quale galleggi per l'aria; e poi siino presi due corpi di eguale gravità, ma di mole diseguali, e sii messo dentro a quel vaso or l'uno or l'altro; che si vedrà che si sommerge tanto dell'uno quanto dell'altro. Or chi non vede che mentre il peso del vaso è sempre l'istesso, e quello delli doi corpi è eguale, e l'aria non pesa niente nell'acqua, che, tanto in una quanto nell'altra esperienza, il solido che è sommerso (sii quanta si voglia l'aria che si ritrova nel vaso) è sempre del medesimo peso in rispetto all'acqua e, per tanto, resta di lui io sempre la medesima parte sommersa? E questo tutto non è egli scritto, dichiarato e dimostrato dal Sig. Galileo nel suo Discorso? di modo che non solo, chi intende conosce che non è contro la sua opinione quanto produce Messer Giorgio, anzi, essendo vere le demostrazioni del Discorso, come sono verissime, è necessario che tutto questo segua. Ma qui nasce un altro errore, mentre egli mette per assurdo che l'aria possa ritenere tanto la poca quanto la molta, senza che n'adduca dimostrazione alcuna: il quale errore è tanto maggiore, quanto dal Sig. Galileo è stato molto sotilmente dimostrato, occorrere che tanto sostenga moli grandissime una poca quantità di acqua, quanto mezo il mare.

fac. 16, v. 38. [pag. 214, lin. 40 –pag. 215, lin. 6].

Erra pur nella seconda esperienza, e mostra di novo, a chi non se ne fosse acorto avanti, che al tutto non intende niente di quello che dice il Sig. Galileo del trattener dell'aria. Ho detto, e ritorno a dire, che il Sig. Galileo non solo afferma che l'aria è potente a trattener i corpi gravi a galla, ma che questo fanno tutti i corpi leggieri quando, congionti con i gravi, constituiranno moli di minor peso di altrettanta acqua. Or, se vi sian congionti con colla o con calamita o con chiodi, poco importa: basta che siino congionti. E Messer Giorgio stesso, nel produr la sua esperienza, mette nell'acqua un solido composto del vaso e di quel corpo di che è ripieno, sì che galleggi: nel qual caso non fa contro al Sig. Galileo; perchè questo sarà un composto men grave di altrettanta d'acqua, perlochè galleggerà. fac. 17, v. 15. [pag. 215, lin. 12 e seg.].
Erra ancora, dicendo che galleggerà sempre tanto, quanto il peso del vaso lo sommergerà: perchè, nell'esperienza, alle volte la parte che galleggia di quel corpo è maggiore, alle volte minore, alle volte eguale a quella che sarà sommersa; e la ragione di questo, e quando intraverranno questi casi, è chiara nella quarta proposizione del Discorso. fac. 17, v. 32. [pag. 215, lin. 25-26].
Erra nella terza sua ingegnosissima esperienza, del catino di rame che vien giù per aria con moto continovo (ha detto continovo, acciò non si pensi che venga a saltoni interrotti), sin che arriva all'acqua, nella quale non si profonda uè anche ripieno di quel corpo grave: erra, dico, non perchè la esperienza sia falsa, perchè ù vero che il catino vien giù per aria, nè si profonda nell'acqua, quando è ripieno d'un corpo grave si che galleggi; ma erra, perchè pensa che faccia contro il Sig. Galileo: e non s'a vede, il poveretto, che il catino descende per aria perchè pesa più di altrettanta aria, e non descende per acqua perchè pesa meno di quella, cioè di altrettanta mole d'acqua. fac. 17, v. 33. [pag. 215, lin. 27-29].
Non minor errore commette nel produrre l'inconveniente che seguirebbe nel pesare il piombo o ferro: perchè non è vero che il piombo ridotto in figura piana possa esser sostenuto nell'aria per l'aria congiontagli, dove si pesano simili merci; ma ben potrebbe esser causa di tal fraude, quando si pesasse ne' confini dell'aria e dell'acqua, dove il Sig. Galileo afferma, e con verità, che l'aria trattiene: di modo che questo non ha che fare nulla contro il Sig. Galileo. fac. 17, v. 38. [pag. 215, lin. 30-32].
Erra a dire che gli artefici, che accomodano legni da edificio navale, non abbino riguardo all'aria, ma sì bene all'acqua: perchè si vede chiaro che per questo li fanno cavi dentro, non per altro, che, ancorchè vi sian poste dentro gran quantità di merci, non per questo si constituisca mole di maggior peso di altrettanta d'acqua. fac. 18, v. primo. [pag. 215, lin. 33-34].
Anzi dico di più, che se Messer Giorgio, quando ha detto che gli artefici non hanno riguardo all'aria ma all'acqua, ha voluto intendere che abbino riguardo alla resistenza che egli pensa che sia nell'acqua all'esser divisa, erra e s'inganna: perchè questi artefici doverebbono, conforme alla sua dottrina, fare gli naviglii di figura larga, e non cava come fanno; perchè così l'acqua li sosterrebbe meglio e con più facilità, essendo le figure larghe e piane meno atte a dividere che le racolte e cupe. fac. 18, v. primo.
Erra nell'ultima esperienza di un novello errore, oltre l'ordinario suo di non intendere niente il trattenimento che opera l'aria quando viene posta nell'acqua in compagnia di qualche solido. Il novo errore è questo: che, avendo detto il Sig. Galilei che il composto d'aria e di qualsivoglia materia più grave dell'acqua, quando sta a galla, vi sta trattenuto dall'aria, il buon Messer Giorgio s'è imaginato che il Sig. Galileo sia stato tanto inaveduto, che abbia pensato che all'aria, come a cosa soda e non cedente, sia conficcato il corpo galleggiante, e perciò non vada al fondo; onde egli poi n'inferisce questo assurdo, che i vascelli non potriano moversi: nel qual concetto quanto puerilmente discorra Messer Giorgio, lo lascio giudicare ad ogni persona di mediocre giudicio. Perchè se egli avesse inteso che l'aria sostiene i solidi in quel modo che una zucca vòta o un soghero sostiene in su un notatore senza impedirgli il moto, non si maravigliarebbe che la nave, sostenuta in virtù dell'aria inclusa, non restasse impedita nel suo corso. fac. 18, v. 4. [pag. 215, lin. 35-36].
Erra, non intendendo come un corpo leggieri comunichi la leggerezza a un colpo grave quando se li congionge, qual si sia il modo della congionzione: o per natura del composto, che sarà costituito di gravi e di leggieri; o per arte, come quando si legano su le spalle delli uomini vesiche ripiene d'aria, acciò non si sommerghino nell'acque; o per un esquisito contatto, come è forsi, e dico anche senza il forsi, nel caso della tavoletta d'ebano. fac. 18, v. 18. [pag. 216, lin. 1 e seg.].
Ma erra di più in questo Discorso: perchè prima dice che la comunicanza si fa per uso, e poi, volendo provare che l'aria non può comunicare leggerezza per uso, dice che l'uso si fa da sè; il che è sproposito e, come si vede, non conclude nulla. fac. 18, v. 25. [pag. 216, lin. 2-8].
Erra nel titolo del quinto Discorso, che è questo: «Che la figura sola fa galleggiare il solido»; erra, dico, e contra il vero e contro sè medesimo: perchè ha detto, ed è per replicare, che la leggerezza è quella che fa galleggiare; non può, dunque, essere la figura sola, come animosissimamente propone Messer Giorgio in questo titolo, che faccia galleggiare; già che si confessa che v'abbia parte la leggerezza ancora. fac. 18, v. 32. [pag. 216, lin. 12].
Erra nell'assegnare certi suoi fondamenti, e s'imbroglia di modo, che non solo mostra di non avere inteso quello che dice il Sig. Galileo, ma che non intende quel che egli stesso si dice. Vedasi la sua diffinizione della figura, che è questa: «La figura è quantità terminata da superficie d'una o più linee». Doveva dire: «La figura è quella che è terminata da uno o da più termini»; e va, in cambio, a introdurre essorbitanze senza senso e spropositatissime. fac. 19, v. 12. [pag. 216, lin. 26-27].
Erra, finalmente, in questo Discorso, perchè non solo non ha concluso quel che aveva proposto, cioè che la figura sola fa galleggiare il solido, ma meno ne ha parlato; il che è mancamento troppo notabile. fac. 19, in tutto. [pag. 216-217].
Messer Giorgio concede, e con ragione, al Sig. Galileo, che il mettere in carta manifesti più la verità o falsità delle opinioni, che non fa il disputare in voce: fa benissimo ancora, quando concede che 'l filosofare vole esser libero: ma erra ben poi di contradizione, quando s'attacca più all'autorità che alla ragione.

fac. 20, v. 36. [pag. 217, lin. 36-38].

fac. 21, v. 8. [pag. 218, lin. 6-8].

Erra ancora nell'introdur l'argomento tolto dalla autorità (che pur è solamente probabile) nella filosofia, la quale, essendo scienza, deve necessariamente dependere dalla demostrazione; nè Aristotile stesso (già che Messer Giorgio si voi servire della autorità) in tutta la sua Logica, mentre dà e' precetti del sapere, introduce mai il mezo dell'autorità, come troppo debole. Ma io soggiongo di più, che chi in scienza si vale o serve dell'autorità, oltrechè egli non sa, ma solo pensa e riferisce che altri abbia saputo, dà segno manifesto d'essere animo vile, basso ed inettissimo al rettamente discorrere. fac. 21, v. 8.
Erra nel dire che Aristotile non lasciasse mai l'autorità per la ragione; e l'errore è chiaro, poichè si vede che Aristotile lasciò in moltissimi loghi l'autorità delli antichi per la ragione, ancorchè la ragione fosse debolissima: come si vede in particolare nel primo libro della Fisica, dove per una semplice similitudine di un scanno e un letto (e, sia detto con pace di un tant'uomo, similitudine bassa, popolare e forse falsa) lasciò l'opinione di quelli che tenevano che la materia prima fosse per sè stessa formata. fac. 21, v. 20. [pag. 218, lin. 14-17].
Erra, riprendendo il Sig. Galileo di falsità quando dice che l'acqua nel gelarsi cresce di mole: erra, dico, Messer Giorgio dicendo che la proposizione è falsa, soggiongendo poi che è vera per accidente; quasi che, se per accidente cascando una pietra da alto d'una torre rompesse la testa a uno, sia lecito con la logica Coresiana dire: Non è vero che quel povero abbi rotta la testa, nè che sia cascata la pietra; perchè si è rotta la testa ed è cascata la pietra per accidente. fac. 21, v. 36. [pag. 218, lin. 27 e seg.].
Erra, di più, contradicendo al precetto che dà a sette faccie [pag. 207, lin. 26-27]. della sua Operetta, dove scrive che non si deve mai negare la proposizione necessaria per accidente alcuno. fac. 21, v. 36.
Erra, in oltre, dicendo che il ghiaccio si rarefà per accidente, mentre che, contradicendo a sè medesimo, soggionge che di necessità alla constituzione del ghiaccio le parti dense si rarefanno. Or, se di necessità della natura del ghiaccio è questa rarefazione, erra dunque manifestamente Messer Giorgio a dire che sia un per accidente. fac. 22, v. primo. [pag. 218, lin. 31-34].
Erra nel dire, con Ermino, che il cristallo è trasparente per la mischianza dell'acqua e dell'aria: prima, perchè se il cristallo sarà rotato rozamente nella sua superficie, si vede che non è più trasparente; e non ha già persa la mischianza primiera. fac. 22, v. 9. [pag. 218, lin. 37-39].
Erra, di più, ne' suoi medesimi principii: perchè se il cristallo avesse mischianza aerea, dovrebbe esser leggieri, e star a galla, conseguentemente, nell'acqua; e tuttavia va al fondo. In oltre, il legno, non essendo trasparente, dovrebbe, conforme a questa dottrina d'Ermino, essere senza tanta mischianza d'aria e, per conseguenza, andar al fondo; e tuttavia il cristallo descende, ed il legno galleggia. Bisogna, dunque, che Messer Giorgio ritrovi altra cagione della trasparenza, che la mischianza dell'aria. fac. 22, v. 9.
Erra di falsità nel dire che il ghiaccio sia più grave dell'acqua: essendo egli più leggieri di quella, standovi a galla, come ogn'uno può facilissimamente conprendere. fac. 22, v. 10. [pag. 218, lin. 39-40].
Ed erra, ancora, servendosi della detta proposizione senza pur assegnarne una minima prova, servendosene, dico, da dedurre un'altra conclusione: che è errore nefandissimo di discorso, poichè si camina dall'ignotissimo all'ignoto. fac. 22, v. 11. [pag. 218, lin. 39-40].
Erra nel servirsi dell'autorità di Alessandro nel primo delle Questioni, cap. sesto, quale dice solo che l'acqua ghiacciata è alterata molto; erra, dico, in servirsi di questa autorità, perchè da lei deduce che dovrebbe discendere: conseguenza fredda e spropositata, quasi che tutta l'acqua che si altera acquisti maggior peso. Il desiderio di mantenere un falso, che ha Messer Giorgio, e la penuria di fondamenti è cagione che il povero uomo si attacchi a queste vanità e puerizie. fac. 22, v. 14. [pag. 219, lin. 1-3].
Erra nel produrre che Aristotile ed altri siino della sua opinione: perchè ora non si tratta se Aristotile o altri abbin auto o no questo pensiero della constituzione dei ghiaccio; nè meno si tratta se questa proposizione della rarità del ghiaccio sia scritta affirmativa o negativa in Aristotile nè in altri; ma si tratta se nel libro della natura stessa sia il ghiaccio acqua rarefatta o condensata: e avendo il Sig. Galileo detto che in natura il ghiaccio è acqua rarefatta, bisogna che il contraditore ritrovi la negativa in natura e non su foglii di carta. fac. 22, v. 26. [pag. 219, lin. 11-17].
Erra a trapassare in silenzio in questo passo gli argomenti del Sig. Galileo convincenti che il sopranotare del ghiaccio non nasce dalla figura larga, impotente a fender l'acqua: perchè, se li ha giudicati buoni, non può con tanta ostinazione introdur la figura sola causa del sopranotare; e se li ha giudicati difettosi, era obligo suo il correggerli in questo loco. fac. 22, v. 36. [pag. 219, lin. 20-21].
Erra in attribuire al Sig. Galileo che non si voglii quietare in questo, che le cose, quanto più son gravi, tanto più vadino in giù; e, quel che è peggio, l'errore è tanto volontario, che non lo posso attribuire a ignoranza, perchè da sè stesso Messer Giorgio ha confessato, dua righe più alto, che il Sig. Galileo pone, con Archimede, per cagione del discendere l'eccesso della gravità de' mobili sopra i mezi. Quest'errore, dunque, già che non si può attribuire a ignoranza, è manifesto che depende o da ostinazione o da troppo desiderio di contradire. fac. 23, v. 4. [pag. 219, lin. 36-38].
Erra: perchè dopo che ha detto, con Aristotile nei libri del Cielo, che le parti per intrinseca inclinazione vanno al proprio logo, e soggionto, col medesimo Aristotile, che l'intrinseca inclinazione è la loro gravità, imediate, non curandosi contradir al suo Aristotile ed a sè medesimo per contradir al Sig. Galileo, soggionge non esser la gravità intrinseca e vera cagione. fac. 23, v. 14. [pag. 219, lin. 32-34].
Erra, ancora, nel dire che la gravità non sia intrinseca e vera cagione, concorrendo come potenza: erra, dico, prima, perchè la gravità è atto, e concorre realmente come tale; ma, di più, erra ne' suoi medesimi principii ed in via peripatetica, perchè la materia nel composto concorre come potenza solamente, e pur tuttavia è numerata tra le vere ed intrinseche cagioni del composto.

fac. 23, v. 14.

fac. 23, v. 14.

Erra quando pensa che 'l Sig. Galileo, nel diffinire l'egualianza della gravità in specie, faccia una specie; e l'errore suo essorbitante procede dal non intender niente, niente, niente il Sig. Galileo; infelicità degna di riso e di compassione. fac. 23, v. 33. [pag. 220, lin. 6-8].
Erra di contradizione in dire che 'l più e 'l meno non mutano specie: perchè ha concesso, ed è per concedere, che più e meno larga figura la mutazione dal moto alla quiete, specie differentissime. fac. 23, v. 36 [pag. 220, lin. 9].
Erra quando dice che l'Autore chiama difettose queste proposizioni, cioè: I corpi che soprannuotano, deono essere men gravi dell'acqua; e quelli che vanno al fondo, più gravi di essa. Erra, dico, perchè non è vero che mai l'Autore, cioè il Sig. Galileo, abbia chiamate difettose queste proposizioni: ha ben detto che è difettoso modo di filosofare sopra queste conclusioni quello di che fa menzione nel suo Discorso, e lo prova chiaramente. fac. 24, v. 6. [pag. 220, lin. 15-17].
Erra pensando che il Sig. Galileo non abbia avertito al gallegiare delle navi; e duplica l'errore con pretendere che il galleggiare delle navi nel mare ed il galleggiare di un bicchieri in un bicchieri non sia per l'apunto il medesimo. Al Sig. Galileo, che intende e l'un e l'altro galleggiare, l'uno e l'altro paiono egualmente meravigliosi; a Messer Giorgio pare più meraviglioso questo che quello, perchè non intende nè l'uno nè l'altro. fac. 24, v. 16. [pag. 220, lin. 23-27].
Erra dicendo che il Sig. Galileo si contradice in più luoghi, con affermare ora che l'acqua resiste, ora che non contrasta punto; ed erra, o per non intendere, o per poter contradire. È ben vero che il Sig. Galileo dice alle volte, anzi sempre, che l'acqua resiste a l'esser mossa con più velocità, ed alle volte, anzi sempre, asserisse che l'acqua non resiste punto alla semplice divisione; e questo non è contradirsi, ma e prononziare due proposizioni verissime. fac. 24, v. 30. [pag. 220, lin. 34-36].
Erra in dedurre, col Buonamico, il galleggiare de' corpi gravi per la difficoltà della divisione, dall'esperienza tolta dal detto di Seneca, che i sassi e uomini soprastiano a certe acque con tutto che siino corpi più gravi dell'acqua: perchè, se l'esperienza sarà vera (della qual dubito molto), quella tal acqua o sarà più grave di quei corpi che in essa galleggiano, overo intraverrà di quelli in questa sorta d'acqua quello che intraviene delle lamine sottili di piombo nella nostra acqua famigliare. fac. 25, v. primo. [pag. 221, lin. 2-5].
Erra quando dice che si vede che il piombo e l'oro galleggiano sì per la figura sì per la piccolezza: erra, dico, perchè produce il falso, non essendo vero che si veda questo; ma si vede bene che galleggiano quando se li congionge cosa leggieri, com'è, nel proposito di che si tratta, l'aria. fac. 25, v. 5. [pag. 221, lin. 7-8].
Erra dicendo che il detto d'Archimede può riuscir falso per la division del mezo: perchè Archimede (ed io lo posso dire di sicuro) dimostra la sua proposizione vera eternamente nei mezi umidi, che noi trattiamo. fac. 25, v. 8. [pag. 221, lin. 9-10].
Erra affermando che il grave che galleggia non divida il mezo: perchè si vede manifestamente che di già l'ha diviso, e s'è in quello e sotto la di lui superficie avvallato di modo, che non si può con verisimilitudine dire che e' non l'abbia diviso. fac. 25, v. 14. [pag. 221, lin. 13-15].
Erra ancora dicendo che, quando l'avrà diviso, s'affondala: perchè si vede che, ancorchè l'abbia diviso, non però s'affonda; ed il cittare in suo favore Aristotile non è altro che produrre, in questo particolare, un falso testimonio dalla sua. fac. 25, v. 15. [pag. 221, lin. 15].
Erra affermando che il Sig. Galileo non abbia dimostrata la leggerezza del ghiaccio dal ritornar a galla quando è posto nel fondo; già che questo e stato fatto. Ma Messer Giorgio galante o l'ha taciuto di sopra, per poter dire che il Sig. Galileo l'aveva tralasciato, overo non l'ha inteso. fac. 25, v. 17. [pag. 221, lin. 16-17].
Erra nel proponere quella divisione, che altri corpi galleggino per leggerezza, altri per la figura, altri per la piccolezza: e l'errore di Messer Giorgio è doppio. Un errore e, perchè in questa divisione suppone per vero quello di che si disputa: perchè si disputa se possa essere che la figura o piccolezza faccia galleggiare que' corpi che per la loro gravità sono atti al discendere; il che poi al tutto è stato negato, refutato e convinto per falso, dal Sig. Galileo. fac. 25, v. 21. [pag. 221, lin. 19-21].
Erra, in oltre, di contradizione al titolo del suo quinto Discorso, nel quale scrive formalmente queste parole: «Che la figura sola fa galleggiare il solido»: or, se la figura sola la galleggiare, non può dunque ora supponere, se non con manifesta contradizione, che la leggerezza ancora fa galleggiare. fac. 25, v. 21.
Erra e s'inganna, pensando e dicendo che la disputa sia di quelle cose che stanno a galla per la figura: nel che si mostra di non saper manco qual sia il suggetto di che si tratta. La disputa e delle cose che stanno su l'acqua, e non di quelle cose che stanno a galla per la figura, perchè simil disputa sarebbe d'un niente. fac. 25, v. 24. [pag. 221, lin. 21-22].
Erra assai puerilmente quando dice che il legno, per esser aereo, sarebbe sostenuto in alto dall'aria come la paglia; erra, perchè non è vero che la paglia sia sostenuta in alto dall'aria. Anzi io resto meravigliato che Messer Giorgio non si ricordi di quello che ha detto di sopra, che i corpi, quanto più son gravi, tanto più vanno a basso, e che in questa proposizione tutti gli uomini si quietano come notissima: il che essendo vero, perchè non dice egli, in questo passo che il legno, ancorchè sia aereo, descende più dell'aria, perchè è più grave di quella, e poi il medesimo legno galleggia nell'acqua, perchè è di quella più leggieri? che così avrebbe filosofato bene, e non sarebbe incorso in tanto misere falsità. fac. 25, v. 29. [pag. 221, lin. 24-26].
Erra, perchè propone di dimostrare una conclusione, cioè che la gravità presupponga la divisione, e poi, uscendo di tuono, a sproposito meraviglioso, conclude nel primo argomento: «adunque la densità è la principal causa della facile o difficile divisione»; la qual conclusione non ha che fare niente con quella che si era proposta da provare. fac. 25, v. 35. [pag. 221, lin. 30-35].
Non meno spropositata è la seconda ragione: nella quale erra pure, già che in quella ogni altra cosa si conclude, che quello che si era proposto di provare. Si era proposto di dimostrare che la gravità presupponga la divisione; e si conclude che è necessaria la resistenza o difficoltà alla divisione. fac. 26, v. 6. [pag. 221, lin. 36-39].
Erra, di più, in tutte dua le predette ragioni, perchè si serve di proposizioni dubbiose e false; come, nella prima ragione, che il trapassare o non trapassare nasca dalla facile o difficile divisionr del mezo. La qual proposizione è falsa di sicuro quando si trapassa per un aggregato di corpi contigui; perchè, non facendosi ivi divisione, in conto alcuno non può nascere il trapassare o non trapassare dalla facile o difficile divisione. Di più il non trapassare può nascere da mill'altre cose, oltre la difficile divisione. fac. 26, v. 6. [pag. 221, lin. 31-39].
È errore, ancora, il dire che il trapassare si faccia per la divisione; cioè che la divisione sia cagione del trapassare, e non più presto il trapassare causa della divisione. fac. 25, v. 38. [pag. 221, lin. 31-33].
L'errore di falsità nella seconda ragione è quando dice che, tolta la difficoltà del dividere, si leverebbe la cagione del più o men veloce: il qual detto è falso, perchè la cagione del più o men veloce ne' corpi liquidi, o vogliam dire fluidi, è il doversi mover più o meno parti del mezo con maggior o minor velocità, fac. 26, v. 4. [pag. 221, lin. 36-38].
Erra, per difender il Buonamico, in dire che egli renda la ragione di una esperienza che può essere che sia falsa; perchè in questa maniera, scusandolo d'un errore, lo fa incorrere in un maggiore inconveniente. fac. 26, v. 9. [pag. 221, lin. 9 – pag. 222, lin. 3].
Erra, parimente, in volere che il Buonamico per convincere e rifiutare Archimede proponga un'esperienza incertissima e, se non falsa, almeno difficile da strigare, come l'istesso Messer Giorgio confessa: di modo che il Sig. Buonamico è molto mal condotto da questa sorte di difensori, quali nel difenderlo gli addossano errori peggio di quelli di Messer Giorgio stesso. fac. 26, v. 9.
Erra in tacere quello che dice il Sig. Galileo in diffesa d'Archimede, contro il Buonamico, intorno al moto allo in su: perchè se quella diffesa è sufficiente, non occorre intrare in altro; se è difettosa, doveva Messer Giorgio manifestar il difetto. fac. 26, a mezo. [pag. 222, lin. 5-9].
Erra di sproposito notabile quando desidera che il Sig. Galileo dica se sa che Anassimandro o Democrito mettessero l'universo infinito: perchè questo non ha che fare nulla col saldare la diffesa d'Archimede. Dovea bene Messer Giorgio lasciarsi intendere, se la prima diffesa d'Archimede contro la quarta opposizione del Buonamico li bastava, o no: e se li bastava, doveva quietarsi; e caso che vi avesse auto dubio, doveva procurare d'intendere che il Sig. Galilei non prometteva di voler difendere Platone, nè Anassimandro, nè Democrito, nelle loro opinioni, se l'avevano, della infinità dell'universo, ma solo propone di volergli difendere nel particolare del negare la leggerezza, come qualità positiva, nei corpi naturali; ed in questo doveva Messer Giorgio, se poteva, contradire al Sig. Galileo, e non mettere in campo pretensioni che non fanno a proposito. fac. 26, v. 20, [pag. 222, lin. 10-11].
Erra ancora, in questo medesimo loco, di inosservanza dei proprii precetti: perchè, avendo di sopra detto che bisogna far stima dell'autorità de' grand'uomini, qui si riduce, ed in altri luoghi ancora, a sprezzare l'autorità di Platone, non senza cagione, chiamato divino; di più, tratta per una pazzia l'opinione di Democrito intorno alli atomi, con tutto che ne venga Democrito lodato da Aristotile stesso nel primo della Generazione; in oltre, riprende Archimede, e senza aver mai intese le sue dimostrazioni, riputate da ogn'uno che le intende essattissime; e, quel che è peggio poi di tutto, s'attacca all'autorità di Macrobio, di Ermino, di Buonamico e simili.

fac. 26, v. 18. [pag. 222, lin. 7-9].

fac. 45, v. 26. [pag. 236, lin. 33].

Erra Messer Giorgio, quando, contro quelli che tengono che la leggerezza sii qualità privativa, prononzia, liberamente e senza prova, che il fuoco non abbia inclinazione naturale d'andare all'in giù; e l'errore nasce per ignoranza non solo del vero, ma, quel che è peggio, del modo di argomentare e discorrere, già che in questo detto suppone che la principal conclusione delli aversari suoi sii falsa. fac. 27, v. 9 [pag. 222, lin. 31].
Erra nell'introdurre la leggerezza per qualità positiva, con dire che «si move quello che può e non quello che non può»: perchè questa proposizione è vera, se s'intende in questo senso: «Si move quello che può o moversi o esser mosso»; ed in questo senso presa, non conclude nulla, Messer Giorgio, perchè così non sarà inconveniente il dire che il grave si move perchè può moversi, ed il leggieri si move perchè può esser mosso: ma se la proposizione fosse presa in altro senso, come bisogna che Messer Giorgio l'intenda per volere concludere, io dico che è falsissima. fac. 27, v. 10. [pag. 222, lin. 32].
Erra e s'inganna, quando crede a Simplicio e soggionge che si vede che il maggior fuoco si muova più veloce del minore. Merita però qualche scusa in questo, perchè l'errore non è suo particolare, ma universale a tutta la scola peripatetica, nella quale con simile errore, con Aristotile, si crede che mille libre di terra si movano più velocemente di quattro libre, per la diversità del peso: il che è falsissimo, come si vede nell'esperienza. fac. 27, v. 17. [pag. 222, lin. 37-38].
Erra in volere che il Sig. Galileo produca l'esperienza del veder le essalazioni ascender per l'acqua più velocemente che per l'aria. Può bene il Sig. Galileo (anzi l'ha fatto sotilissimamente) produrre la ragion di questo: ma perchè il Coresio non l'ha intesa, va dimandando altre cose a sproposito, ed esperienze che mai non sono state proposte. fac. 27, v. 25. [pag. 223, lin. 2-6].
Erra a dire che sii meglio rispondere, la cagione del galleggiare essere il predominio aereo, che la leggerezza: anzi è tutto il contrario, perchè è meglio assegnare una cagione nota, come è la leggerezza, che una incognita e che implica mille difficoltà, come è quel predominio. fac. 27, v. 36. [pag. 223, lin. 10-11].
Erra nella risposta che fa all'esperienza dell'affondarsi egualmente il cono o piramide tanto dalla parte acuta quanto dalla larga, quando dice che simile esperienza non fa a proposito. Messer Giorgio, per non saper che cosa sia discorrere a proposito, giudica fuori di proposito, per provare che la figura men atta al dividere non ha che fare nel galleggiare, produr una esperienza che necessariamente esclude il galleggiar per la figura impotente al dividere. fac. 28, v. 13. [pag. 223, lin. 24-25].
Se sia errore, e di quelli grossi, il dire che la detta esperienza concluda cosa falsa, lo lascio giudicare a' capaci di ragione, non solo dalle ragioni prodotte dal Sig. Galileo, ma dal modo stesso di dire di Messer Giorgio, nel quale ho notato, oltre tant'altri, gli errori seguenti: fac. 28, v. 13. [pag. 223, lin. 25].
Erra insipidamente e senza considerazione, affermando che il piano della piramide si sommerge per sino a tanto che non ritrova tant'acqua a sostenerlo. Che questo sia errore manifesto, si conosce dal considerare che, quant'al piano del cono, ritrova tant'acqua nel suo principiar a sommergersi, quanta quando che, essendosi già in parte sommerso, si ferma: anzi, che più presto si deve dire che il cono ha maggior quantità d'acqua sotto di sè nel principio dell'immergersi, che quando si è già fermato; e tuttavia nel principio non può esser sostenuto dalla molta acqua, e di poi viene al tutto quietato dalla manco. fac. 28, v. 20. [pag. 223, lin. 28-30].
Erra ancora, e l'errore è degno d'esser notato, dicendo che la parte della piramide che è più facile a dividere, è più difficile all'esser sospinta, e la parte più difficile a fendere è facile a esser cacciata. Dico che quest'errore è degno d'essere notato: perchè, concedendosi per vero questo suo detto, segue pur tutto il contrario di quello che Messer Giorgio stesso amette. Messer Giorgio concede di sopra (con dire ancora che non fa a proposito) che tanta parte della piramide o cono si sommerga con la punta allo in giù, quanta con la basa; ed ora nota che la parte più atta al dividere è meno sostenuta: or, se questo tutto è vero, ne segue di necessità che la piramide più si abbia a sommergere con la punta allo in giù che con la basa, sì perchè la punta è più atta al dividere, sì perchè è meno sostenuta: il che poi è contro a quello che Messer Giorgio ha concesso di sopra, e resane ancora la ragione. fac. 28, v. 26. [pag. 223, lin. 34-36].
Erra, radoppiando contradizioni e confusioni, nel voler provare che le esperienze del Sig. Galieo concludono cosa falsa: e questo fa quando scrive che una piramide con la punta allo in giù si ferma quasi in un punto, e poi immediate soggionge che lo trapassa. E qual è quella piramide che si ferma quasi in un punto? e se si ferma in quello, come lo trapassa? Eh, che sono essorbitanze troppo estreme! fac. 28, v. 31. [pag. 223, lin. 37-40].
Erra in congiongere a questi spropositi, come per deduzione, che il Sig. Galilei sforzato dalla verità dica che la palla più velocemente descenda che una tavoletta piana: erra, prima, in questo, perchè non si conclude altrimente la quiete della tavoletta dal ritardamento del moto, come ha bisogno e desiderio Messer Giorgio. Di più, già che Messer Giorgio scrive, ed è verissimo, che il Sig. Galileo sforzato dalla verità dice che più velocemente si move la palla che la tavoletta, io soggiongo che il Sig. Galileo non solo in questo, ma in tutto, sempre, parla sforzato dalla verità, sì come all'incontro Messer Giorgio mio sempre parla spinto dall'ignoranza. fac. 28, v. 34. [pag. 223, lin. 40]- pag. 224, lin. 2].
Erra, di più, a credere che questa ritardanza nasca dalla difficoltà al dividere: perchè non è vero che nasca da questo, nè il Sig. Galileo concede che da questo dependa, ma sì bene per aversi da movere lateralmente e per maggior spazio più quantità di parti del mezo. Ora, se Messer Giorgio vole concludere l'intento suo, bisogna ritrovare ritardamento, e, quel che importa più, quiete, e che naschino dalla difficoltà della divisione. fac. 28, v. 34.
Erra di contradizione, quando dice che i cilindri si profondano per la gravità di sopra che li spinge; e l'errore è di contradizione, com'ho detto, perchè di sopra ha voluto che la gravità sia solo potenza e, per conseguenza, non possa fare azzione, nè esser cagione di moto. fac. 28, v. 37. [pag. 224, lin. 2-4].
Erra, volendo rispondere all'esperienza della cera che con il piombo va al fondo, quando dice che vi va per violenza: perchè questa risposta non solve l'argomento del Sig. Galileo, con dire che con queste violenze non si può conoscere quel che operi la figura. Anzi replico io, che mentre Messer Giorgio pone che la figura abbia forza di sostenere, e dall'altro canto il Sig. Galileo con la piccola violenza di un grano distrugge la forza della figura, resta chiarissimo che la figura era più impotente e debile al sostenere, di quello che era il grano di piombo al tirare a basso: ed ancorchè sii verissimo che non si sia con questa esperienza conosciuto quel che operi la figura (anzi non si può conoscere, non avendo ella che fare in questa operazione), si è però conosciuto che la figura non ha più forza di quello che ha un grano di piombo; e tuttavia quella forza che gli aversarii del Sig. Galileo attribuiscono alla figura, è le centinaia di volte maggiore di quella del piccol grano. fac. 28, v. 40. [pag. 224, lin. 4-6].
Perchè vedo che spesso Messer Giorgio replica questa verità, che in diverse figure si vede diversità secondo il più e men veloce; ancorchè io abbi proposto di notare solo gli errori, tuttavia volentieri trascrivo e sottoscrivo questa proposizione, massime non essendovi altro di buono: e dico che tengo per verissimo e so di sicuro che il Sig. Galileo, prima di me e del Coresio ancora, ha auto questo pensiero medesimo e l'ha scritto nel suo Discorso, che nei corpi della medesima materia e di diverse figure nel medesimo mezo si fa diversità nel moto secondo il più e men veloce; ma non già diversità dal moto alla quiete per la figura, nel qual pensiero, errando, trascorre Messer Giorgio.

fac. 29, v. 38. [pag. 224, lin. 32-35].

Erra dicendo che non fa a proposito il cercare se l'ebano sia bagnato o non sia bagnato: perchè quando io dicessi che l'ebano va a fondo nell'acqua, e che Messer Giorgio mi dasse dell'ebano asciutto, mentre che me lo dà asciutto me lo dà congionto o contiguo con dell'aria; e se lo vole con qualche maniera, nel posarlo nell'acqua, mantener così asciutto, io posso dolermi e rispondere che, in mantenerlo asciutto, me lo vole mantener congionto con l'aria; dove che non è poi da far caso, contro della mia proposta, che alle volte, essendogli accompagnata sotto il livello dell'acqua una gran quantità d'aria, sia il tutto, cioè ebano e aria insieme, trattenuto a galla, perchè quell'aggregato d'ebano e d'aria può essere che sia più leggieri di altrettanta mole d'acqua: e tutto questo è stato ingegnosissimamente avertito dal Sig. Galileo nel suo Discorso. Sì che il ricercare se la tavoletta d'ebano sia asciuta o bagnata, fa mirabilmente a proposito per saper la verità del fatto che si cerca; ma non fa mica a proposito per chi volesse persistere nell'errore di Messer Giorgio. fac. 29, v. 11. [pag. 224, lin. 13-15].
Erra in riprendere il Sig. Galileo che abbi detto che il luogo vol esser della medesima natura: erra, dico, in riprenderlo, non avendolo inteso. Ed ancorchè il Sig. Galileo sia nel suo dire per sè stesso chiarissimo, tuttavia, in grazia di Messer Giorgio e per fargli cosa grata, dico che quando il Sig. Galileo vole che il luogo della tavoletta sia della medesima natura, intende «della medesima natura secondo la quale si dà la denominazione al luogo»; di modo che egli non nega che un corpo non possa esser circondato e locato parte in oro parte in argento e parte in terra, come sarebbe un liquore posto in un vaso composto di questi tre corpi o mischiati o distinti: ma dichiara sè stesso quando disse nella disputa: «Sia posto l'ebano nell'acqua»; che non ha voluto intendere «Sia posto in aria», nè meno «parte in acqua e parte in aria», ma in dire «Sia posto in acqua» intende ed ha voluto intendere che il loco nel quale si ha da locare il corpo sia della medesima natura che si nomina, cioè tutto acqua e non parte di quella e parte d'un'altra cosa: e questo modo di parlare è convenientissimo, nè merita riprensione. fac. 29, v. 32. [pag. 224, lin. 28-31].
Erra in dire che il solido molto dilatato perde della sua forza, di modo che con gran dilatazione finalmente si riduce alla quiete in quel mezo nel quale, per sè stesso, sotto figura più racolta descende: e perchè vedo che a scaponirlo di questo errore non sono atte le dimostrazioni del Sig. Galileo, essendo al tutto impossibile che egli le intenda, son sforzato rimettergli in mente quell'argomento che egli stesso scrive in fine della fac. 17, [pag. 215, lin. 30-32] della sua Operetta, il quale a quel proposito, come ho notato, non conclude nulla, e qua forsi lo potrebbe chiarire. L'argomento è questo: che se la figura piana e larga avesse forza di far perdere il peso, anzi di fermare in tutto un corpo che non descendesse più, dovrebbe chi pesa a suo pro' o ferro o piombo fuggir la figura piana e larga, quale farebbe per chi compera. fac. 29, v. 37. [pag. 224, lin. 33-35].
La risposta che mette conforme al maestro, come dice, del Sig. Galileo, che l'acqua pesante scaccia all'in su le cose più leggieri di essa, non avendo la figura nessuna natura in suo aiuto, mi piace assai assai: e Dio volesse che Messer Giorgio si fosse accorto d'aver detta la verità e quello per l'apunto che dice il Sig. Galileo; che egli non avrebbe scritto l'errore, che nelle cose più gravi la figura ha forza di sostenerle. fac. 30, v. 18. [pag. 225, lin. 9-11].
Nelle altre due risposte si vede chiaro che erra, e non risolve niente la difficoltà in che l'ha ridotto l'esperienza proposta nel Discorso. fac. 30, v. 22, v. 26. [pag. 225, lin. 13-19].
Erra nel voler contradir alla conclusione del Sig. Galileo, la quale è che dell'andare a fondo la tavoletta d'ebano o la sottile falda d'oro n'è causa la gravità maggiore di quella dell'acqua, e del galleggiare la sua leggerezza, etc. Per contradire a questo, Messer Giorgio mette in campo che in questa conclusione sono più dubii che parole. E, prima, afferma d'aver dimostrato che anche le cose più gravi dell'acqua galleggiano: il che non è mai stato fatto, ed è semplicemente impossibile il farlo; anzi io di sopra ho notati parte delli errori e paralogismi che commette in questo proposito. fac. 31, v. primo. [pag. 225, lin. 27-30].
Erra, di più, Messer Giorgio di contradizione: perchè ha concesso, nella fac. 23, ver. 7 [pag. 219, lin. 27-28], che le cose quanto più son gravi, tanto più vanno in giù, e detto che questo è noto a tutti; ed ora, per contradire al Sig. Galileo, si mostra ignorante e contradittore d'una proposizione tanto certa. fac. 31, v. 2. [pag. 225, lin. 28-29].
Erra a dire che il Sig. Galileo non abbia dimostrato che la figura non trattiene il peso: è ben vero che non l'ha dimostrato a chi non lo può intendere, come è l'intelletto di Messer Giorgio, privo di geometria. fac. 31, v. 9. [pag. 225, lin. 33-34].
Erra affermando che la figura rispetto al mezo toglie il peso: perchè sia pesato quaisivoglia corpo, v. g., piombo, di qual si voglia figura; e poi il medesimo corpo sia ridotto sotto qualunque altra figura, e ripesato nel medesimo mezo; che senza dubio si vedrà che la figura non ha mutato peso in conto alcuno, nè anche rispetto al mezo. fac. 31, v. 17. [pag. 225, lin. 38-40].
Erra, non intendendo che la tavoletta d'ebano sia tutta sotto il livello dell'acqua: e quest'errore nasce o dal non aver vista l'esperienza della quale si tratta o, avendola vista, dal non aver ben considerato il fatto. fac. 31, v. 32. [pag. 226, lin. 11-13].
Erra in voler restringere la disputa solo al galleggiare, cioè al non profondarsi tutto il corpo sott'acqua: perchè se Messer Giorgio vorrà trattar solo di questo modo di galleggiare, non potrà sodisfare alla parte che s'ha presa a diffendere; perchè, avendo la parte contraria prodotta l'assicella d'ebano, e galleggiando l'assicella con affondarsi tutta sotto il livello dell'acqua, restarà escluso dalla sua Operetta il trattato di questo particolare, con mancamento notabile. fac. 31, v. 39. [pag. 226, lin. 16-17].
Erra e di contradizione e di falsa intelligenza in tutto quello che dice contro al trattener, che fa, l'aria, la tavoletta: e l'errore oltre che è per sè stesso manifesto, ne ho parimente di sopra fatto menzione; e per tanto non ne dirò altro, solo che chi desidera veder una confusione senza mai concluder cosa che sia a proposito, legga tutta questa Operetta di Messer Giorgio e questo passo in particolare, che avrà l'intento; perchè ora dice una cosa, poi imediate la nega, ora senza dependenza inferisce conclusioni spropositatissime e talor contrarie a sè medesimo. Ma per non passar la cosa digiuno in tutto, noto che: fac. 32, v. 17 ed in tutto. [pag. 226, lin. 31 e seg.].
Messer Giorgio erra a dire che la natura non si curi che l'ebano e 'l quattrino stiano a galla quando sono congionti con l'aria: anzi dico io che se ne cura con quella diligenza che sempre fa per non ammettere mai che le cose leggieri vadino in fondo de' mezi più gravi. fac. 32, v. 17. [pag. 226, lin. 32-33].
Séguita nell'errore quando dice che sarebbe contro la natura dell'aria trattener le parti terrestri: e l'errore nasce perchè Messer Giorgio è tanto sepolto nella impossibilità di intender il vero, che non vede che l'aria trattiene naturalmente, perchè, essendo naturalmente più leggieri dell'acqua, non può, se non contro natura, discendere nell'acqua. fac. 32, v. 22. [pag. 226, lin. 34-36].
Erra argomentando contro al trattener, che fa l'aria, la tavoletta d'ebano: e l'argomento suo è questo: «Nel medesimo modo tocca l'ebano l'aria inanzi che si profondi, che dopo fatti gli arginetti: ma inanzi non lo sostiene: dunque nè anche dopo si può dire che l'aria lo sostenga». Nel qual argomento noto principalmente che è falso che l'aria tocchi l'ebano nel medesimo modo avanti che si faccino gli arginetti, come dopo: ed è manifesto quanto dico; perchè l'aria, avanti che si faccino gli arginetti, tocca l'ebano ed a quello sta congionta in un mezo più leggieri del composto dell'ebano e dell'aria; ma quando si sono fatti gli arginetti, l'aria congionta e toccante l'ebano lo tocca e li è congionta in un mezo, del quale mole eguale all'ebano ed all'aria posta nelli arginetti pesa più dell'ebano e dell'aria che li sta congionta dentro gli detti arginetti. Anzi, soggiongo di più che, se questa ragione di Messer Giorgio valesse, io potrò dire che una palla di soghero legata con una di piombo non la potrà sostenere in acqua, perchè, legata nel medesimo modo, non la sostiene per aria. Sì che la proposizione della quale si serve Messer Giorgio in quest'argomento è falsa e non conclude. fac. 33, v. 8. [pag. 227, lin. 34-36].
Erra pensando che gli arginetti si faccino ed alzino perchè, occupando l'ebano quella parte d'acqua, bisogni che tanta ne salga, quanta è stata l'intratura d'esso: e l'errore di Messer Giorgio è doppio. Primo, non è vero che tant'acqua salga, quanta è l'entratura dell'ebano; perchè la mole dell'acqua che sale nell'immersione dell'ebano, è sempre minore della mole che si sommerge, come chiaramente dimostra il Sig. Galileo. Di più, erra e dice il falso quando afferma che alla tavoletta più sotile si faccino minor arginetti, perchè si abbi da alzar minor mole d'acqua, corrispondente al solido sommerso. Il che si può conoscere da questo: che una falda di piombo di larghezza eguale ad una d'ebano e più sottile assai di quella, posata che sarà nell'acqua, alzarà maggiori argini di quelli che saranno alzati dalla tavoletta d'ebano; che se fosse vero quel che dice Messer Giorgio, dovrebbe accader tutto il contrario, cioè la tavoletta d'ebano doverebbe far arginetti più alti di quella di piombo, per esser più grossa.

fac. 33, v. 20. [pag. 227, lin. 24-26].

fac. 33, v. 22. [pag. 227, lin. 26-27].

Erra di spropositato desiderio quando ricerca che il Sig. Galileo ponga e ritrovi nome al composto della tavoletta d'ebano e d'aria posta sotto il livello dell'acqua. E dico che è sproposito questo: perciochè, che vi si trovi o non vi si trovi nome, che sia di quella composizione della quale parla il suo Ermino o altra, poco importa; basta che è verissimo, e si vede con gli occhii, che la tavoletta d'ebano posata su l'acqua, mentre non è toccata dall'acqua nella sua superiore superficie, chiaro è, dico, che l'aria li è contigua (nè in questo occorre dubitare); ed essendoli contigua l'aria, è ancora verissimo, e si vede sensatissimamente, che quello che è attuffato nell'acqua non è nè aria sola nè ebano solo, ma e l'uno e l'altro congionti insieme; e questo basta al Sig. Galileo. E di questo aggregato (o sia o non sia un composto, come vole Messer Giorgio ed Ermino), è verissimo che quando galleggia è più leggieri d'altrettanta d'acqua: il che se fosse inteso da Messer Giorgio, credo che resterebbe sodisfatto. fac. 33, v. 29. [pag. 227, lin. 31 e seg.].
Erra a dire che un vaso di rame, ripieno d'acqua, vadi al fondo per l'acqua. E per manifestar meglio l'errore, intendasi una mole d'acqua eguale alla mole del vaso con l'acqua che li è dentro, ed in quella prima mole d'acqua considerisi tant'acqua, quanta è quella che è nel vaso: chiaro è che queste due moli d'acqua pesaranno egualmente; non è, dunque, maggior ragione che una descenda dell'altra. Restaci il rame solo da compararsi coi rimanente di quell'altra acqua; e per esser egli più grave di quella, è manifesto che descenderà. E perciò chiarissimo resta che la cagione del descendere il vaso di rame ripieno d'acqua è tutta per rispetto del rame, cioè per l'eccesso del peso che egli ha sopra altrettanta acqua. fac. 35, v. 8. [pag. 228, lin. 36 e seg.].
Erra ancora, contradicendosi con confusione estrema, mentre s'affatica provare che il vaso di rame non discende per gravità propria, ma per quella dell'acqua: e pure di sopra ha concesso che l'acqua, quando è nel suo loco, non aggrava più; come può, dunque, portare o cacciare sin in fondo il vaso di rame, se, posta nel suo loco, non aggrava più? fac. 35, v. 14. [pag. 228, lin. 40 – pag. 229, lin. 1].
Credo al sicuro che Messer Giorgio dica la verità, quando confessa di non saper ritrovare altra ragione che quella del Buonamico, per rispondere a quella esperienza venuta di Germania per uomini degni di fede. Ma erra ben poi a pensare che non ci sia altra risposta per cotal effetto: e per farli piacere, li dico che quest'esperienza d'andar in fondo sarà vera in quelli legni che saranno più gravi dell'acqua, e d'altri non già mai, se venissero bene di Turchia non che di Germania. fac. 35, v. 26. [pag. 229, lin. 7-11].
Erra affermando che l'acqua nel spinger in su abbia a salire: anzi il fatto sta tutto in contrario, perchè è necessario che l'acqua, quando spinge all'in su, descenda di mano in mano a occupare il logo che lascia il corpo che viene da essa acqua spinto in alto. fac. 35, v. 39. [pag. 229, lin. 20-21].
Erra di maravigliosa confusione e falsità in quella contemplazione che fa delle parti e del tutto. Nella quale, prima, avertisco esser falso che le parti abbin bisogno del tutto, e non il tutto delle parti: anzi che mai si può ritrovare tutto senza parti, ma più presto le parti possono essere senza il tutto; e si possono ritrovare delle rote, molle, chiodi, vite ed altre parti di orivuolo, senza che si ritrovi orivolo; ma orivolo senza parti non si trovarà già mai. fac. 35, v. 40. [pag. 229, lin. 22].
Di più, dico che, concesso che le parti abbin bisogno del tutto, erra Messer Giorgio a contradirsi imediate, e dire che le parti delli elementi non sono tanto desiderose del tutto. fac. 36, v. 3. [pag. 229, lin. 22-24].
Quello poi che compisce la meraviglia è che Messer Giorgio ritorna a novello errore di contradizione, dicendo, come per conclusione, che il tutto non ricerca le sue parti, rimanendo perfetto senza quelle. E come può mai essere un tutto senza parti? e se fosse (il che è impossibile), come sarebbe un tutto perfetto? fac. 36, v. 4. [pag. 229, lin. 25-26].
Erra a dire che, se l'aria ritiene le cose più gravi dell'acqua, la conclusione non è per sé. Io dico che, avendo detto il Sig. Galileo che nel caso della tavoletta, proposto dalli aversarii, l'aria è quella che trattiene, e dichiarato come trattiene, che è per non voler andar sott'acqua in buon'ora (è possibile che non la voglia intendere?), volendo Messer Giorgio contradirgli, bisogna che ritrovi che il detto del Galilei sia falso, e non dire solo: «Non è vero da per sè»: poichè basta al Galileo che sia vero, o sia per sè o per accidente; e se l'aria trattiene per accidente, la resistenza alla divisione non v'ha che fare. fac. 36, v. 10. [pag. 229, lin. 29-30].
Ma erra di più, dicendo che l'aria congionta a un corpo grave, quando lo sostiene, non lo sostiene per sè: perchè se l'aria è per natura e per sè più leggieri dell'acqua, e se per esser più leggieri di quella sostiene, si deve ancora dire che necessariamente e per sè sostiene, e non per accidente. fac. 36, v. 11. [pag. 229, lin. 29-30].
Erra per non aver nè inteso, nè voluto intendere, nè forse potuto intendere, il Discorso del Sig. Galileo: ed erra Messer Giorgio, quando dice che il Sig. Galileo non vole che l'aria operi su corpi bagnati; perchè non ha mai detto così. Ha ben detto che nel caso della tavoletta, bagnata che sarà, si viene a separare l'aria da quella; ma non per questo ha negato che non si possa congiongere dell'aria a un corpo bagnato, e far il medesimo effetto del sostenere. fac. 36, v. 17. [pag. 229, lin. 35-36].
Erra a non penetrare che, quando si sarà dimostrato che una forza sarà bastante a muovere un corpo, resta ancora chiaro e dimostrato che la medesima forza potrà sostenerlo dove di già l'avrà mosso; perchè al trattenerlo si ricerca minor forza che al muoverlo, già che questa deve superar la virtù che resiste, e quell'altra basta che la pareggi. fac. 36, v. 24. [pag. 229, lin. 39-40].
Replica l'errore di non aver inteso come l'aria porti e trattenga il corpo che li sta congionto. fac. 36, v. 29. [pag. 230, lin. 3-4].
Erra a pensare e scrivere che il Sig. Galileo dimostri che l'aria sostenga per contatto. Per tanto io, per compassione, di novo l'avertisco, che il Sig. Galileo dimostra che l'aria sostiene quando, congionta con corpo grave, vien posta sotto l'acqua, perchè, essendo ella leggieri più dell'acqua, viene da quella spinta all'in su, ed insieme con lei vien traportato il corpo grave. fac. 37, v. 11. [pag. 230, lin. 20-21].
Erra, non già nel dire che la palla sia trasferita in alto per violenza dell'aria, essendo questo verissimo; ma erra bene a non accorgersi che questo è stato detto dal Sig. Galileo: anzi, che quando si dice che la tavoletta d'ebano sta a galla per l'aria, senza dubio si concede che vi sta per forza dell'aria; e questo è vero e necessario. fac. 36, v. 40. [pag. 230, lin. 11-12].
Replica l'errore notato di sopra, che il corpo nel sommergersi levi dal proprio loco tant'acqua, quanta è la sua grandezza; il che è falso. La replica di questo errore assicura ogn'uno che Messer Giorgio non ha inteso nè anche il primo lemma del Discorso del Sig. Galileo. fac. 37, v. 5 [pag. 230, lin. 16-17].
Erra assegnando la causa del seguire che fa l'acqua quel corpo il quale, essendo stato nell'acqua, si alza fuori di quella; perchè quella causa, che Messer Giorgio assegna, non ha che fare niente nel proposito di che si tratta: oltre che è falso l'assonto in quella deduzione, come nell'errore precedente ho notato. fac. 37, v. 7. [pag. 230, lin. 16-18].
Erra in dire che il Sig. Galileo non conceda ed all'acqua ed a tutti gli altri corpi che si toccano con esquisito contatto, una certa difficoltà all'esser separati; perchè lo concede di sicuro. In fede di che Messer Giorgio stesso, in questo luogo medesimo, confessa che il Sig. Galileo propone la difficoltà dell'esser separati dua corpi solidi che siano contigui; adunque, non la mette solo all'aria, ma alli altri corpi ancora. fac. 37, v. 11. [pag. 230, lin. 21].
Erra di stolidità a non intendere che cosa concluda il Sig. Galileo con l'essemplo della falda che si trasporta dall'acqua in aria; perchè è tanto efficace e chiaro quekk' essemplo, a concludere l'intento del Sig. Galileo della difficoltà. all'esser separati i corpi esquisitamente contigui, che ogni intelletto capace di ragione con quel solo essemplo si potrebbe chiarire di tutta questa disputa. fac. 37, v. 17. [pag. 230, lin. 25].
È verissimo quel che dice Messer Giorgio, che la disputa è dell'aria contigua al solido, e non dei due solidi; ma erra ben poi, quando, per risposta all'essemplo, nega una conseguenza che non è mai stata dedutta nè dal Sig. Galileo nè da altri; perchè è sproposito negare in un discorso quello che da niuno non è mai stato prononziato. Mi dichiaro meglio. Messer Giorgio dice che, per essere difficilissima la separazione di dua corpi solidi che esquisitamente si combacino, non ne segue altramente che sia egualmente difficile la separazione dell'aria dal solido. Or qui dico io: E chi è stato quello che abbia detto mai che sia egualmente difficile la separazione dell'aria dal solido, come del solido dal solido? Non dico nè che sia, nè meno che non sia, egualmente difficile; ma dico bene che, a concludere l'intento del Sig. Galileo, basta che ancora l'aria abbia qualche difficoltà all'esser separata dal solido, come in fatti ha realmente: dal che ne nasce poi la profondità delli arginetti, non mai intesi, nè forsi visti, da Messer Giorgio. fac. 37, v. 25. [pag. 230, lin. 29-32].
Erra in volere dedurre che più difficilmente si staccaria l'aria da un solido che un solido da un altro solido, se fosse vero che più facilmente intravenga il contatto de' liquidi che dei solidi: perchè quella conseguenza non ha che fare con quell'antecedente niente, essendochè molte cose si fanno con grandissima difficoltà e poi si dissolvono facilissimamente. fac. 38, v. 5. [pag. 231, lin. 5-8].
Erra in quel che dice della virtù calamitica dell'aria contro il Sig. Galileo, e mostra non intendere, nè in questo nè in niuna altra cosa, quello che ha detto il Sig. Galileo, qual non attribuisse virtù calamitica all'aria. fac. 38, v. 10. [pag. 231, lin. 9 e seg.].
Erra a volere che quelli che forse tengono che esquisitissimamente contiguo, ne' corpi naturali che noi trattiamo, sia il medesimo che l'esser continuo, li dichiarino la differenza tra il contiguo ed il continuo: ed è grande inconveniente il ricercare che uno assegni la differenza tra due cose, una delle quali viene solo da lui ammessa. fac. 38, v. 19. [pag. 231, lin. 18-19].
Erra a dire che il Sig. Galileo si contradica nella resistenza dell'acqua, ora concedendola, ora negandola. Di questo errore ho fatto menzione di sopra; ma perchè lo replica di novo, io parimente ritorno a dire che il Sig. Galileo concede la resistenza alla velocità del moto, ma nega poi la resistenza alla semplice divisione; e non si trovarà mai che il Sig. Galileo neghi in loco alcuno, nè con esperienze nè con essempli, la resistenza in tutto e per tutto, perchè altra cosa è che un corpo resista all'esser mosso con tal velocità, altro che resista all'essere diviso; e però non è contradizione nel Sig. Galileo, ma sì bene nella scrittura di Messer Giorgio confusione estrema. fac. 38, v. 40. [pag. 231, lin. 33-35].
Erra nel concludere che l'acqua, non dividendosi da sè, è necessario che si divida per violenza. Dico che ciò non segue, se prima non dimostra Messer Giorgio che l'acqua si divida; il che ho per difficile, anzi impossibile, nel proposito di che si tratta. E quel detto senza prova, all'ordinario di Messer Giorgio, che la natura abbia fatto tutti i corpi continui, è dubbiosissimo e si disputa ora; di modo che non è lecito di servirsene come di principio chiaro. fac. 39, v. 6. [pag. 231, lin. 35-37].
Erra, a produrre in favor suo la resistenza che si sente nello spinger in giù una mano nell'acqua: non avertendo che quella resistenza nasce perchè, nell'immergersi nell'acqua la mano, si viene a alzare una certa porzione d'acqua, al quale alzamento detta acqua resiste con determinata forza, dependente e dal suo peso e dalla velocità secondo la quale si move nel spinger la mano in giù, come ci insegna mirabilmente il Sig. Galileo nel suo Discorso. Ora, questa resistenza è un'altra cosa, molto diversa da quella che Messer Giorgio pensa, cioè dalla resistenza alla divisione; tal che questa esperienza, che introduce la resistenza all'essere alzato un peso, non conclude in modo alcuno la resistenza alla divisione. fac. 39, v. 15. [pag. 232, lin. 4-7].
Nella risposta alla prima ragione vi è un mazzo d'errori; perchè, ora piglia proposizioni false, come che la molt'acqua sostenga più che la poca, della quale verità se ne può fare facilmente l'esperienza; o se ne serve a sproposito, come del sollevarsi più il medesimo solido nell'acqua salata che nella dolce; e simili altri errori commette, perchè al tutto non intende punto la materia di che si tratta in questa disputa. fac. 39, v. 24. [pag. 232, lin. 10 e seg.].
Erra, perchè non s'accorge di quant'efficacia sia l'argomento contro alla resistenza dell'acqua all'esser divisa, che è perchè non può trattener corpo niuno in lei, di qual si voglia figura e momento, che non si mova all'in su o all'in giù. fac. 40, v. 2. [pag. 232, lin. 24 e seg.].
E duplica l'errore con pretendere che l'argomento che li è contrario, e che mirabilmente destrugge la sua opinione, li sia in favor suo. fac. 40, v. 3. [pag. 232, lin. 25-26].
Erra parimente uscendo de' termini, nel volere confirmare che l'argomento del Sig. Galileo sia contro del Sig. Galileo; ed erra perchè piglia la resistenza alla maggiore o minor velocità, e pensa aver conclusa la resistenza alla semplice divisione, segno manifesto che non ha mai inteso quel che dice il Sig. Galileo, mentre in quest'errore inciampa così spesso. Però, acciò nè Messer Giorgio nè altri abbino regresso di scusa d'ignoranza intorno a questo particolare, dico che è vero che i corpi più gravi dell'acqua tutti in essa discendono, alcuni più velocemente, altri più tardi, quando sono differenti di gravità in specie o in figure; e de' corpi, più leggieri dell'acqua, altri si attuffano più, altri meno; e ne seguita di necessità che nell'acqua si trovi resistenza: e tutto questo ha insegnato il Sig. Galileo. Ma dico poi che questa resistenza non è all'esser divisa, come pensa Messer Giorgio, ma all'esser alzata o mossa lateralmente: e questo doveria esser chiaro a ogn'uno; perchè, mentre si mette un corpo nell'acqua, chiaro è che l'acqua si viene a alzare, al quale alzamento resiste, come ogn'altro corpo grave resiste all'esser alzato ancorchè non si abbia a dividere: e così non occorre introdurre resistenza alla semplice divisione. E questo basti per sodisfare alla difficoltà di questa resistenza, tante volte mal intesa da Messer Giorgio. fac. 40, v. 5. [pag. 232, lin. 26-31].
Erra parimente, quando dalla tardità del moto delle particelluzze che scendono nell'acqua torbida, pretende concludere la resistenza alla semplice divisione dell'acqua, che è quella che nega assolutamente il Sig. Galileo; ma perchè quest'errore è in tutto l'istesso che quello che di sopra è stato notato, non ne dirò altro. fac. 40, v. 14. [pag. 232, lin. 33-36].
Replica ancora l'istesso errore, ma assotigliato, nella risposta all'essemplo della trave mossa per l'acqua da qualsivoglia minima forza, mentre afferma che si sente qualche resistenza: il che è falso, nè si sente resistenza alla divisione; ma a quella essigua velocità con che si move l'acqua, si sente (se però si può dir sensibile) una essigua resistenza, falsamente da Messer Giorgio attribuita alla difficoltà della divisione. fac. 40, v. 39. [pag. 233, lin. 10 e seg.].
Il Signor Giorgio in questo luogo dice: «E venendo alle sue figure matematiche, che la proporzione che prova in esse, non fa al proposito; perchè piglia per concesso in quelle la cosa che si cerca, che è errore di logica»; pensando con queste sole parole di aver atterrato, senz'altra prova, tutti quei meravigliosi discorsi e progressi. Mi ha fatto restare attonito in pensare come sia possibile che egli, altresì, come intendo, dottissimo nella lingua materna, ma ignorantissimo di geometria, possa e sappia ed abbia animo di vituperare come difettose in logica le dimostrazioni del Discorso del Sig. Galileo, le quali (e lo posso dire perchè le ho intese e esposte ancora a diversi miei Patroni e Signori) sono tanto essatte, che non vi casca pur un minimo dubio. Ora, che errore sia stato questo, non dico altro; solo mi rimetto al giudicio di tutti quelli che averanno intese le dette dimostrazioni. fac. 41, v. 8. [pag. 233, lin. 20-22].
Erra a pretendere d'aver provate due conclusioni falsissime, cioè che la figura faccia galleggiare, e che siino corpi, oltre e' più gravi secondo la natura, quali vadino al fondo; anzi quest'ultima, che di novo Messer Giorgio mette in campo, è tanto falsa, che non credo che altri che egli fosse per darsela ad intendere. fac. 41, v. 12. [pag. 233, lin. 22-27].
Erra a dire che era necessario che il Sig. Galileo provasse che un solido di più grave materia debba, per galleggiare, aver l'aria che lo sostenga: erra, dico, perchè questo non è necessario nè al galleggiare nè alla continuazione dell'opinione del Sig. Galileo, al quale basta aver dimostrato che, se un corpo galleggia, è senza dubio men grave di altrettanta acqua. Che sia poi men grave per aver congionto o soghero, o midolla di sambuco, o aria, o altra cosa leggieri, poco importa nella presente questione. È ben vero che nel caso dalli aversarii proposto è l'aria che fa galleggiare, ed è stato avertito: ma Messer Giorgio, che non l'ha intesa, gioca a indovinare, e proferisce tutto quel che li vien in capo, senza pensarci, come manifestamente si vede in tutta questa sua Operetta. fac. 41, v. 19. [pag. 233, lin. 27-29].
Ha detto benissimo Messer Giorgio dicendo che «chionque, qual che si sia lo interesse, non pregia e riverisce la verità, non si dee veramente stimare uomo, ma più tosto una mala bestia». fac. 41, v. 39. [pag. 234, lin. 2-4].
Se la interpretazione poi del testo d'Aristotile, quanto al significato delle voci greche, data da Messer Giorgio, sia bona o cattiva, io non lo posso sapere: questo posso ben dire, che Messer Giorgio erra di contadizione, quando dice che, non essendo la figura natura, non può produr moto, per esser il moto effetto della natura, e poi a canto a canto vole che la figura sia causa di quiete; la qual quiete è pure effetto della natura, conforme ai principii del medesimo Coresio. fac. 42, v. 26. [pag. 234, lin. 22-23].
Replica l'errore, più chiaro affermando, contro sè medesimo, contro Aristotile e, quel che più mi preme per l'affetto che li porto, contro la verità stessa (qual che si sia lo interesse), che le figure sono cause da per sè della quiete: e pure, essendo la quiete effetto della natura, ne segue, com'ho detto, per la ragione prodotta da Messer Giorgio stesso, che non possa dependere dalla figura come causa da per sè. fac. 43, v. 2. [pag. 235, lin. 1].
Replica l'errore del dedur dalla ritardanza la quiete; conseguenza insensatissima, come si è detto di sopra. fac. 43, v. 9. [pag. 234, lin. 39 – pag. 235, lin. 1].
Che Aristotile in qualche loco del quarto della Fisica parli di materie diverse, non lo nego; ma dico bene che Messer Giorgio erra nel dire che nel logo cittato dal Sig. Galileo, cioè nel testo 72, Aristotile intenda di materie diverse, perchè le parole formali del testo latino (io non intendo il Greco) sono queste: «Videmus idem pondus atque corpus velocius ferri propter duas causas, etc.»: nel qual testo latino (potrebbe essere che il greco fosse tutto il contrario) si vede chiaramente, esser falso che Aristotile intenda di materie diverse, mentre dice «idem corpus». fac. 44, v. 4. [pag. 235, lin. 25-26].
Delli errori che Messer Giorgio piglia in materia dell'ago, volendo che Aristotile abbia inteso delli aghi grossi, so che il Sig. Galileo ha dato sodisfazione a i capaci di ragione e desiderosi di saper il vero, e l'ha fatto con viva voce ed esperienze manifeste: anzi, di più, nella seconda impressione del suo Discorso dimostra che simili diffese, addotte in favor d'Aristotile, sono maggiori offese. Però non dirò altro, solo che ho gran compassione al povero Aristotile, che ha simili difensori. fac. 44, v. 7 sino al 36. [pag. 235, lin. 29 - pag. 236, in. 10].
Erra quando, volendo rispondere al Sig. Galileo che nega l'esperienza dell'arena d'oro e polvere che nuotano per aria, ed asserisce che sono traportate dal vento, dice che Aristotile parla figuratamente e che, dicendo aria, vole intender vento, del quale l'aria n'è parte. Questa diffesa ha dell'insipido, perchè vole che un filosofo nel metter una conclusione usi vocaboli figurati, massime essendovi i proprii. Dico di più, che questa figura, di usurpare la parte per il tutto, in questa occasione nella quale, conforme a Messer Giorgio, si intende da Aristotile la parte, cioè aria, per il tutto, cioè per il vento, doveva essere tanto più fuggita ed aborrita da Aristotile, quanto egli stesso, nel secondo delle Meteore, summa seconda, capitolo primo, disputando contro gli antichi della sustanza del vento, tiene che non sia aria; di modo che, per fuggir il sospetto di contradizione, doveva aborrire questo parlar figurato, introdotto da Messer Giorgio.

fac. 45, v. primo. [pag. 236, lin. 13-14].

E finalmente, che Messer Giorgio erri in introdur questa figura per servizio e diffesa d'Aristotile, si può conoscere dalle parole soggionte da Messer Giorgio, quando dice: «Ma diciamola come sta»; dal che si vede che Messer Giorgio pensa di non aver detta ancora la vera interpretazione, come sta. fac. 45, v. 6. [pag. 236, lin. 13-14].
È degno d'esser notato un altro errore di Messer Giorgio in questo medesimo passo: ed è che, per rispondere al Sig. Galileo in contradittorio, apporta due interpretazioni del testo d'Aristotile, delle quali posta per vera qual si voglia, viene non solo a non contradire, ma a confirmare il pensiero del Sig. Galileo. E per dichiarazione di quanto dico, replico il detto dei Sig. Galileo: «L'oro battuto e la rena d'oro non notano per aria, ma sono traportati dal vento». Risponde Messer Giorgio, risolutissimo di contradire, e dice: «Non notano per aria, ma notano per il vento». Or chi non vede che questo non è contradire, ma replicare il medesimo? Così ancora, se l'interpretazione di Simplicio sussiste, pur resta vero il detto del Sig. Galileo, che simili polveri o limature non nuotano per aria. nel medesimo loco.
Erra a dire che Aristotile non risponda al falso scioglimento di Democrito; perchè dalla lettera del testo si vede chiaro che Aristotile disputa contro la soluzione di Democrito. fac. 45, v. 21. [pag. 236, lin. 29].
Erra a prononziare senza prova nisuna che l'opinione di Democrito sia una pazzia. Doveva Messer Giorgio provare con qualche ragione una sentenza così risoluta. fac. 45, v. 26. [pag. 236, lin. 33].
Ma con chiesta sentenza erra, di più, contro il suo Aristotile, il quale, nel principio della Generazione, fa tanta stima di Democrito, che mette la sua opinione, rendendone la ragione, per ingegnosissima: di modo che Messer Giorgio scappa a questa volta da Aristotile, il quale non ha sdegnato disputare con Democrito; e tuttavia Messer Giorgio con tanto dispreggio ricusa il discorso delli atomi. La supposizione de' quali, ancorchè fosse falsa (il che io non ardirei mai di affermare così di balzo come fa Messer Giorgio), non deve però essere stimata una pazzia; perchè (per servirmi di una autorità alla quale Messer Giorgio mostra d'aver credito) Aristotile stesso, nel testo 5 del primo libro della Generazione, dice che Democrito con quella dottrina mostrò curarsi d'ogni cosa naturale, e con tanta maniera che Aristotile, nel testo ottavo dei medesimo libro, scrisse queste formate parole in lode di Democrito e de' suoi principii: «Democritus autem videbitur utique propriis ac naturalibus rationibus persuaderi». fac. 45, v. 26.
Erra interrogando per che cagione i calidi, conforme all'opinione di Democrito, sostenghino gli altri corpi più facilmente per acqua che per aria; quasi che sia difficile il rispondere, e dire che il medesimo corpo pesa meno nell'acqua che nell'aria. fac. 45, v. 29. [pag. 236, lin. 34-35].
Erra ancora d'inavertenza, per non aver notato nel Discorso del Sig. Galileo la cagione di questo effetto, tanto minutamente spiegata che per sino dimostra quanto un corpo più grave dell'acqua perda del suo peso, che aveva nell'aria, posto che sarà nell'acqua; cioè che ne perde a punto tanto, quanto pesa nell'aria una mole d'acqua a lui eguale. fac. 45, v. 29.
Erra a proponere la maggiore unione delli atomi per cagione della magior forza che hanno in sostener per acqua che per aria: perchè questa cagione non è proposta, e non sarebbe forsi proposta come prodottrice di questo effetto da chi avesse per buona l'opinione di Democrito. fac. 45, v. 31. [pag. 236, lin. 36].
Erra a non pensare, che i calidi nell'acqua venghino più uniti che nell'aria massime essendo l'acqua contrarissima alla natura del fuoco. fac. 45, v. 32. [pag. 236, lin. 36].
Erra di contradizione, dicendo in questo loco che la forza del sostenere è eguale in tutte le parti; e di sopra ha detto che le parti superiori più sostengono. fac. 45, v. 34. [pag. 236, lin. 38-39].
Ritorna a cascare nel temerario errore di sopra notato, tassando per pazzie espresse le considerazioni delli atomi. E da qui io entro in sospetto che... fac. 45, v. 38. [pag. 237, lin. 1-2].
Nell'imputare al Sig. Galileo che si sia ingannato, fa così bella mostra d'ignoranza, che chi non l'avesse conosciuto sin ora, potrebbe da questo passo solo comprendere quanto sia privo e di sapere e di attitudine al sapere. fac. 45, v. 39. [pag. 237, lin. 3 e seg.].
Perchè Messer Giorgio non ha inteso quando il Sig. Galileo ha detto che il mezo leva tanto di peso al solido che in esso si sommerge, quanto è il peso di tanta mole di mezo quanta è quella del solido, dice con error notabile che senza la resistenza posta da Aristotile, e non ammessa dal Sig. Galileo, non si può render ragione perchè una cosa pesi più nell'aria che nell'acqua. fac. 46, v. 6. [pag. 237, lin. 8-10].
Erra ancora spropositatamente a riprendere il Sig. Galileo come che non abbia inteso Democrito, quale attribuisce il sostenere non all'acqua, ma ai calidi. Io dico che questa riprensione è spropositata, perchè il Sig. Galileo non dice che Democrito attribuisca il sostenere all'acqua: ha ben detto il Sig. Galileo e risposto a Aristotile, per parte di Democrito, che i calidi non sostengono il medesimo corpo nell'aria come l'anno nell'acqua, perchè, essendo men grave in questa che in quella il sostenerlo, viene a essere più difficile dove è più grave; e questa risposta, che fa il Sig. Galileo, non è in diffesa di Democrito, come che Democrito abbia detto bene e la verità, e assegnata sufficiente cagione del galleggiar le falde; ma è detto questo, solo per provare che la ragione d'Aristotile contro Democrito è fredda e di niun valore. fac. 46, v. 2. [pag. 237, lin. 5-7].
Dopo aver copiata una facciata intera del Discorso del Sig. Galileo, per empire i foglii della sua Operetta, nel voler notare gli errori che, alla balorda, pensa che vi siino, ne commette tanti, che è una compassione. Io ne andarò notando, per servizio di Messer Giorgio, alcuni de' più manifesti, conforme al mio proponimento primo, non già per diffesa del Discorso, a giudicio d'ogni intendente illeso. fac. 46. [pag. 237, lin. 11 e seg.].
Primo, erra a dire che la falda proposta dal Sig. Galileo contro Democrito, se fosse vera la posizione di Democrito, non s'alzarebbe dal fondo: perchè io dico che quando quella posizione fosse vera, ne seguirebbe quanto deduce il Sig. Galileo; e ancorchè pochi calidi siino tra 'l fondo e la falda, non nega però Democrito che non ne ascendino ancora dalla terra stessa, quali sormontando di mano in mano per l'acqua, dovrebbono portare una cotale falda sino alla superficie dell'acqua, come rettamente conclude il Sig. Galileo. fac. 47, v. 5. [pag. 237, lin. 35-40].
Erra, di più, quando, volendo insegnare al Sig. Galileo il modo di confutar Democrito, dice che i medesimi atomi in numero che fossero potenti a sostenere a mezo l'acqua una falda, potrebbono ancora sollevarla in alto: perchè questo è falso, nè è vero altrimenti che una forza che sia potente a sostenere in alto un peso, sia ancora potente a trasferirlo più alto; e la ragione è questa, perchè al mantenere basta egual virtù, ma al muovere e sollevare si ricerca maggiore. E da questo si raccoglie, che Messer Giorgio fac. 47, v. 7. [pag. 237, lin. 40 – pag. 238, lin. 5].
erra, parimente, a far quella conseguenza tutta al contrario, quando vole che s'inferisca, dall'aver gli atomi minor forza, che abbino ancora la maggiore, mentre dice che, se gli atomi sostengono a mezo l'acqua, potranno molto più sollevare in alto. Con queste belle cose si confuta il Sig. Galileo e si difende Aristotile. Povero Aristotile! fac. 47, v. 13. [pag. 238, lin. 4-5].
Erra a dire che il Sig. Galilei erri ponendo gli atomi; ed erra, perchè non rende ragione dell errore. fac. 47, v. 14. [pag. 238, lin. 5].
Erra di falso, a imporre al Sig. Galileo che ponga la penetrazione de' corpi. fac. 47, v. 14. [pag. 238, lin. 6].
Erra pure falsamente, a dire che il Sig. Galileo chiami la caldezza corpo. fac. 47, v. 15. [pag. 238, lin. 6].
Erra a dire che il caldo non possa sostenere: e che sia erronea questa conclusione, si conosce da questo, che il caldo ha forza di trasferir in alto, come si vede nei vapori portati in alto dal caldo del sole; ed in moltissime altre esperienze si può chiarire della forza che ha il caldo non solo in sostenere, ma ancora in movere. fac. 47, v. 16. [pag. 238, lin. 6-7].
Quanto sia inetto discorso quel di Messer Giorgio in questa sua Operetta, si conosce in ogni conclusione, in ogni verso e quasi in ogni parola: ma alle volte tanto più chiaro si vede, quanto che fa certe scappate, più essorbitanti dell'altre. Vole concludere che il caldo non può sostenere; e lo conclude perchè è sua proprietà riscaldare. Or vedasi se è buona conseguenza questa: È proprietà dell'uomo esser discorsivo; adunque non può saltare, adunque non può portare una balla di lana. Io non mi meraviglio di Messer Giorgio, che abbia messe alle stampe queste insipidezze; ma non so quasi come sia possibile che quest'uomo da bene non abbia auto persona amica, che l'avesse impedito da questa impresa. fac. 47, v. 16. [pag. 238, lin. 6-8].
Se Democrito o il Sig. Galileo avessero pensiero che i calidi non fossero corpi, con qualche apparente ragione poteva dire Messer Giorgio che è errore a volere che i calidi sostenghino: ma se i calidi sono posti per corpi, che occorre che Messer Giorgio dica che si erra a volere che i calidi sostenghino, perchè il sostenere è proprietà de' corpi? Non vede egli che imediate se gli può dire: «Sono corpi, questi calidi.»? fac. 47, v. 16.
Non credo poi che, immediatamente, contro ogni verità e con errore più manifesto si possa trasgredire in questo proposito, di quello che fa Messer Giorgio quando imputa per errore al Sig. Galileo il volere che i corpi leggieri sostenghino. E perchè ha quasi dell'incredibile che Messer Giorgio abbia commesso questo errore, con curarsi così poco (qual che si sia lo 'nteresse) della verità, trascrivo a parola per parola il suo detto: «Erra, perchè, ancora che quelli calidi fussero fuoco, ad ogni modo non potrebhono sostenere sopra di loro le cose terrestri, essendo questi per natura leggieri e quelle per natura gravi». Nel qual detto si vede manifestamente che Messer Giorgio pensa, che le cose gravi nell'acqua (perchè siamo in questo proposito) siino più atte a sostenere che le leggieri: di modo che una pietra sarà meglio sostenuta a galla (secondo questa meravigliosa dottrina di Messer Giorgio) da un pezzo di piombo che da un pezzo di sughero, perchè il sughero, essendo leggieri, non può sostenere. fac. 47, v. 18. [pag. 238, lin. 8-10].
Erra a negare che nell'acqua siino delle parti ignee, con dire che non vi sono perchè non si vedono. Quest'errore è di semplicità: perchè mostra di non sapere che moltissime cose sono, e pure non si vedono; anzi, conforme a' suoi principii si dà il fuoco sopra l'aria, e pure non si vede. fac. 47, v. 22. [pag. 238, lin. 11-12].
Erra, in oltre, nei proprii principii peripatetici: perchè niun peripatetico negarà mai qualche mistione di fuoco nell'acqua, non concedendosi nella lor scola l'elemento puro, e massime l'acqua, che noi trattiamo. fac. 47, v. 22.
Erra a scrivere che il Sig. Galileo metta nell'acqua il fuoco quieto e che non vadi continuamente saliendo: e questo errore è commesso maliziosamente non meno che ignorantemente, già che Messer Giorgio di sopra ha riferito che il Sig. Galileo tiene che questi corpi calidi salghino di continuo per l'acqua. fac. 47, v. 23. [pag. 238, lin. 12-13].
Erra di contradizione, dicendo che l'acqua non sostenga i corpi più gravi di essa se non per commozione: perchè di sopra ha detto (benchè falsamente) che li sostiene ancora per la resistenza che fa all'esser divisa. fac. 47, v. 25. [pag. 238, lin. 13-14].
Erra, tenendo per errore il concedere moto alli indivisibili; non intendendo nè come siino indivisibili, nè come siino mobili. fac. 47, v. 26. [pag. 238, lin. 14-15].
Erra a dire che tali atomi avrebbono sostenuto meglio nell'aria che nell'acqua; e l'errore consiste perchè Messer Giorgio non ha avertito che il corpo che si ha da sostenere è più leggieri nell'acqua che nell'aria, e per questa cagione viene a essere più facile il sostenerlo in quella che in questa. fac. 47, v. 27. [pag. 238, lin. 15-16].
Erra di doppio errore nella conclusione che gli atomi sono più sparpagliati per l'acqua che per l'aria. Il primo errore è che la conclusione è falsissima; poi, depende da falsi principii, non essendo vero che la contrarietà causi sparpagliamento. Anzi, in questo particolare non doveva mai errare Messer Giorgio, perchè pare che principalmente abbia voluto, nel principio di questa sua Operetta, mantenere che il freddo condensi e unisca: per lo che doveva pure ammettere che il freddo ambiente dell'acqua possa più unire gli atomi che sparpagliarli. Ma l'interesse di voler in tutti i modi contradire induce Messer Giorgio a simili inconvenienti, non solo contro sè stesso, ma contro la verità ancora. fac. 47, v. 28. [pag. 238, lin. 16-17].
Erra, vaneggiando d'armare il fuoco contro l'acqua, e volendo che per questa occupazione non possa sostenere. fac. 47, v. 31. [pag. 238, lin. 18-19].
Erra a dire che il Sig. Galileo chiami la caldezza atomo. fac. 47, v. 32. [pag. 238, lin. 19-20].
Erra, non intendendo questi corpi indivisibili, e volendo imputare a errore del Sig. Galileo il denominarli tali. fac. 47, v. 32. [pag. 238, lin. 20-21].
Erra a non volere che l'acqua possa esser mezo naturale del moto del fuoco; e l'errore è tanto più nefando, quanto che repugna ancora a' suoi medesimi principii: perchè, concedendosi che si possa generar di terra fuoco, e affermando Aristotile stesso, nel secondo delle Meteore, nel trattato dei venti, che nella terra si ritrova molto fuoco, non è errore il dire ancora che ne sia nell'acqua e che per quella si muova, essendo mezo cedente. fac. 47, v. 34. [pag. 238, lin. 21].
Erra ancora, imputando al Sig. Galileo che abbia detto che l'acqua sia mezo naturale del moto del fuoco; il che ancorchè forsi si possa affermare, tuttavia non è vero che il Sig. Galileo abbia mai detto questo. Ma Messer Giorgio, per aver che dire e per ridurre a qualche grossezza la sua Operetta, va facendo, e qui e altrove, simili imposture. fac. 47, v. 34.
Erra parimente d'imputazion falsa al Sig. Galileo, con dire che egli ponga che i corpuscoli sostenghino più in cima che a mezo: perchè non si ritrovarà mai simile comparazione nel suo Discorso. fac. 47, v. 35. [pag. 238, lin. 22].
Non meno falsa imputazione è quella, quando Messer Giorgio dice che il Sig. Galileo dà più forza al fuoco che all'acqua; ed erra Messer Giorgio, perchè questa comparazione non è mai stata messa in campo. fac. 47, v. 36. [pag. 238, lin. 22-23].
Erra, di più, nei proprii principii a pensare che sia errore il dire che il fuoco abbia più forza dell'acqua: perchè, essendo, conforme a' Peripatetici, il fuoco attivo e l'acqua passiva, è necessario che il fuoco abbia più forza dell'acqua. fac. 47, v. 36.
Erra, volendo notare un errore contro il Sig. Galileo, a scrivere queste parole: «Erra, perchè l'inconveniente crede esser causa contro Democrito». Dico che in questo Messer Giorgio erra: perchè, oltre che il dir suo è assai barbaro ed inintelligibile, si può dire di più che il Sig. Galileo non ha mai creduto questo, nè dato segno d'averlo creduto. fac. 47, v. 37. [pag. 238, lin. 23-24].
Erra due volte, e nel dire che il Sig. Galileo dà alle cose indivisibili tatto, e che pone essere fisico indivisibile. Questo doppio errore nasce da un sol fonte d'ignoranza, di non intendere come questi corpi siino indivisibili. fac. 47, v. 38 e v. 39. [pag. 238, lin. 24-25].
Erra nel chimerizare falsamente che quelli corpuscoli abbruccierebbono quelli corpi; quasi che sii vero che ogni piccolo corpicello di fuoco possa abbrucciare ogni altro corpo nel quale s'incontrasse: e se le scintille ignite, scagliate dal focile, non accenderanno mai un pezzo di legno di noce o di quercia, molto meno è necessario che questi atomi ignei, le milliaia e miliaia di volte forsi più piccoli delle scintille, abbruccino quelli corpi nelli quali vanno urtando. fac. 47, v. 40. [pag. 238, lin. 25-26].
Chi concederà (come in fatti è verissimo) che si ricerchi maggior forza al muovere un medesimo corpo in alto che a mantenerlo, concederà ancora che il fuoco, ancorchè sia raro, essendo potente a spinger in alto pesi grandissimi, come di meze montagne alla volta, possa ancora, durando la pulsione, sostenerli. Sì che erra Messer Giorgio nostro a dire che gli atomi ignei, per essere rari, non possono sostenere. fac. 48, v. primo. [pag. 238, lin. 26-27].
Volendo Messer Giorgio concludere errori con errori imputa al Sig. , Galileo una nova falsità, cioè che abbia detto che il fuoco partorisca fuoco atomo per servizio di quelli corpi gravi; qual detto o sentenza non si trovarà mai nel Discorso. fac. 48, v. 4. [pag. 238, lin. 27-29].
A me pare che quando uno, non servendosi della propria virtù dell'occhio, o per averla persa o per qualsivoglia altra cagione, si servirà della scorta altrui, che questo tale camini alla cieca; e, per il contrario, se uno non vorrà caminare alla cieca, tengo li sia necessario avere e servirsi della propria vista. Erra, dunque, Messer Giorgio e dà consiglii repugnanti, quando, per modo di conclusione, inferisce queste parole: «Concludiamo, dunque, che chi non vuole caulinare alla cieca, bisogna che si consigli con Aristotile»; perchè con questo modo di dire non si può intender altro se non che: «Chi non vuole eliminare alla cieca in filosofia, camini alla cieca», cioè, lasciando da parte l'uso dell'intelletto proprio, si serva di quel d'un altro; il che, come si vede, è un proferire repugnanze essorbitantissime.

fac. 48, v. 6. [pag. 238, lin. 30-31].

Séguita a ripigliare di novo, senza nova ragione, l'errore della figura larga impotente a dividere il mezo; del quale errore di sopra si è detto a bastanza. fac. 48, v. 10. [pag. 238, lin. 34-37].
Erra quando dice che le figure, quanto più sono acute, tanto più si sommergono: e che sia errore grosso si conoscerà facilmente con far l'esperienza di due corpi eguali dell'istessa materia e di diverse figure, una acuta e l'altra non acuta, i quali siino men gravi in specie dell'acqua; perchè si vedrà manifestamente che eguali porzioni di loro si sommergeranno, e non, come dice Messer Giorgio, più quel di figura acuta. fac. 48, v. 19. [pag. 238, lin. 40 –pag. 239, lin. 1].
Erra, perchè riferisce con falsa malizia che il Sig. Galileo propone un essemplo d'un legno che tanto vince l'acqua ascendendo, quanto l'aria discendendo; il che è falsissimo, non essendo mai stato proposto simile essempio. fac. 48, v. 24. [pag. 238, lin. 4-5].
Erra ancora e s'inganna, nel voler concludere che sia più difficile la divisione dell'acqua che dell'aria, dal farsi più tarda la penetrazione in quella che in questa; e l'errore di Messer Giorgio è perchè non pensa, nè è atto a pensare, che la tardità non nasce per la difficoltà alla semplice divisione fac. 48, v. 26. [pag. 238, lin. 8-9].
Erra ancora, non conoscendo che l'argomento della tavoletta tagliata in strisce faccia contro Aristotile; il quale, avendo detto che le cose lunghe non soprannuotano, resta con quest'argomento efficacissimamente convinto di falsità, come ogni mediocre ingegno può facilissimamente comprendere. fac. 48, v. 34. [pag. 238, lin. 12-14].
Erra, nell'istesso luogo, a credere che le sottili striscie di ferro o altro corpo più grave dell'acqua galleggino per la piccolezza; non si accorgendo che, se ciò fusse, non potrebbono le medesime andar mai in fondo, se non toltagli la piccolezza; e pur vi vanno come prima vengono bagnate totalmente, e fanno in somma l'istesso che le falde maggiori, quando ben anco fossero più piccole che gambe di pulci.
Erra a chiamare inconsiderato ed arrogante il Mazzoni, mentre egli stesso inconsideratamente ed arrogantissimamente si mette a volere espor le parole d'Aristotile ed a mostrarne il senso, dall'intendimento del quale è più lontano il suo intelletto, che un'ancudine dal poter volare. fac. 49, v. 28. [pag. 239, lin. 38].

Da porsi nella Dedicatoria, nello scusar la maniera risentita contro Messer Giorgio.

E chi della nostra città sarebbe quello che, vedendo uno de gl'infimi dipintori di Montelupo correre infuriato per voler con sue pennellate da imbiancatori dipigner sopra le mirabili storie di Andrea, non corresse là, e con gridi ed oltraggi, e, se ciò non bastasse, a furia di buone pugna, non lo rimovesse da sì temeraria impresa? Ha con esquisitezza tale trattata il Sig. Galileo questa materia, che io non paventerò di dire, e V. S. ben l'intende, che Archimede stesso forse nè più ingegnosamente, nè con più saldi fondamenti, l'avrebbe potuta spiegare e stabilire; e non sarà chi si muova contro ad uno che, guastando ciò ch'e' tocca, tenta di lacerarla?

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Concediamo licenza al molto Reverendo Sig. Francesco Nori, canonico et Teologo Fiorentino, che rivegga la presente opera, con referire se sia expurgata di tutti quelli errori che militassino contro la Fede Christiana et li buoni costumi.

26 agosto 1613.

Piero Niccolini, Vicario di Firenze.

Io Francesco Nori, Canonico Fiorentino, ho rivista o letta tutta la presente opera: nella quale non avendo notato cosa alcuna repugnante nè alla pietà cristiana nè a' buoni costumi, mi pare si possa permettere che si stampi. E in fede ho sottoscritto, questo dì 9 di settembre 1613.

Francesco Nori, Canonico Fiorentino, di mano propria.

Attesa la soprascritta attestazione, concediamo che la premessa opera si possa stampare in Firenze, osservati gl'ordini soliti.

X settembre 1613.

Piero Niccolini, Vicario di Firenze.

Al padre Emanuel Ximenes, che rivegga e refferisca al Santo Uffizio di Firenze.

10 settembre 1613.

Fra Cornelio, Inquisitore di Firenze.

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