L’undecima giornata dell’Agricoltura

Di M. Agostino Gallo,

Intorno alle vacche, vitelli, giuvenchi, & buoi.

Essendo ritornato M. Vincenzo Maggio l’undecimo giorno da M. Gio. Battista Avogadro nell’hora solita; e ritrovatolo sotto la sua bella loggia, ch’egli riceveva danari dal suo malghese per lo secondo termine (stando che simili pigliano i fieni à pagarli al Marzo seguente, al Maggio, & al Settembre, per terzo; come anco cosi vendono i loro formaggi à i mercanti co’ medesimi patti) & salutatosi l’un l’altro, secondo il solito, da poi c’hebbero fatti i loro conti, il Maggio guardando l’Avogadro, disse.

Poscia che Iddio ci ha mandato il vostro Scaltrito (nome conveniente à pari suoi; poi che generalmente sono i piu astuti d’ogn’altra qualità, & professione di persone) mi sarà gratissimo, che per hoggi al meno ci dica della professione sua, secondo che di cosa in cosa li chiederemo.

Gio. Bat. Et questo tanto più mi sarà caro, quanto che all’Agricoltura, non è cosa più conveniente, e più utile de gli armenti. I quali non solamente furono tanto stimati da gli antichi, ma sono ancora più che mai pregiati da noi Bresciani, percioche non potressimo coltivare la terra al modo che facciamo, quando ci mancassero, nè haveressimo, chi mangiasse i nostri fieni, nè chi ci desse tanta copia di formaggi, & altre buone cose, che caviamo da i latti, & dalle carni loro; oltrache habbiamo un tanto beneficio dallo sterco loro, ch’egliè cosa incredibile.

Scal. Mi piace che conosciate le utilità, che vi prestano questi benedetti animali; ma se anco conosceste voi altri nobili la felicità d’alcuni nostri malghesi, & pecorari, ho quasi per fermo, che molti abbandonarebbono le lor grandezze, per godere la libertà, & la quiete, che si trova in questa professione.

Vinc. Quantunque, Scaltrito mio, potreste dire il vero; nondimeno (per esser mia intentione, che ragioniamo solamente delle quattro età de i bestiami detti) mi direte per adesso de i vitelli, & vitelle, de i giovenchi, & giovenche, de i buoi, & vacche che si trovano in prosperità, & poi quando sono vecchi; riserbando à ragionarmi della felicità de i Pastori (il che mi sarà caro intendere) ad un’altra hora.

Scal. Non solo io son prontissimo à parlarvi (pur che sappia) di quanto mi domandate, ma di mostrarvi ancora quanto errano coloro, che non apprezzano le vacche, le quali ci danno sempre vitelle, & vitelli, che sono talmente delicati da mangiare (essendo in perfettione) che non vi è altro animale quadrupede, che sia pari à loro. Et oltra che ci accommodano di tanta copia di latte, che mangiamo d’ogni tempo del butiro, formaggio, fiorito, & ricotta; caviamo parimente tanti danari di quelle cose, che paghiamo benissimo i fieni, i pascoli, & viviamo honorevolmente da pari nostri.

Vinc. Quanti giorni fatte voi lattare questi animali, accioche siano perfetti da mangiare?

Scal. Benche vi siano molti di noi in questo paese, che gli amazzano come passano 25. ò 30. giorni, tuttavia sono più delicati quando sono ben pasciuti di latte i cinquanta, e i sessanta. Ma questo non si osserva se non quando il formaggio val manco (à tanto per tanto) di quel che fanno le carni: Et per contrario, quando i formaggi si vendono i dieci, e dodici marcelli il peso (come già più anni sono stati di questi precii) non è maraviglia, se pochi vi sono, che diano loro il latte più di trenta giorni.

Gio. Bat. Per qual cagione, di tanti malghesi che siete in questa Villa, niuno vi è, che allevi almeno le vitelle più belle, & di buona sorte (come solevano) & non venderle co’ vitelli à i beccari, per comprar poi le vacche in altri paesi, come fate?

Scal. Si come (fuori le primarole) solevamo allevare quasi tutte quelle che dite, quando i fieni ci costavano solamente cinque, ò sei lire il carro di cento pesi; hora à che ci costano (già più anni) le otto, le dieci, le dodici, & fin le quattordici, non è possibile ad allevarle; percioche ci venirebbono troppo care. Onde, per prattica vediamo, ch’è meglio à comprar le vacche altrove di quattro, ò di cinque anni, & che sono pregne, per otto, per dieci, & per dodici scudi l’una, che allevar le vitelle, conciosia che non haveressimo utilità alcuna, fin che non havessero almeno tre anni; come ordinariamente non vi diamo il toro, fin che non sono di vintiquattro, ò di trenta mesi, & poi ne stanno altri nove, inanzi che partoriscono. Di modo che considerando che non mangierebbono meno di sei, ò di sette carra di fieno in questo tempo, & la spesa de i pascoli, & i pericoli del morire, & anco che non venissero di buona, & bella sorte, pazzia grande sarebbe la nostra quando le allevassimo. Et però le compriamo à nostro piacere in Valcamonica, in Voltolina, ò più tosto nelle terre de i Grisoni, over de gli Svizzeri, per essere grandi, & di buona sorte si perche le allevano con poca spesa, per l’abondantia grande de i pascoli, & de i fieni che sono in questi paesi montani; & si anco perche la pigliamo (quasi sempre) che sono della pregnezza seconda; conciosia che vediamo le qualità delle terre loro, le quali mostrano più di tutte le altre cose della persona, il poco, ò il molto valore d’ogni vacca.

Vinc. Che buone regole osservate voi malghesi nel comprare queste vacche.

Scal. Primamente (sopra ogni cosa) le pigliamo che siano nate, & allevate ne i luoghi aprichi, & non mai ne i vaghi; percioche, si come in quelli sono di tal sorte, che durano buone i dodici, i quattordici, & sedici anni; cosi in questi sempre restano deboli, e vivono buone poco tempo.

Vinc. Come fate à conoscer distintamente questo, quando le comperate alle Fiere, dove ne vengono à migliara?

Scal. Le conosciamo di una in una facilmente; percioche quelle de i monti solivi, hanno la testa piccola, i corni curvi, & i peli spessi, molli, & bassi; & quest’altre delle valli, ò de i monti verso Tramontana, hanno la testa grossa, i corni lunghi, & i peli rari, duri, & lunghi: Lequali lasciamo à i beccari, che le pigliano con manco precio dell’altre, per ammazzarle. Onde quando siamo per comprar le vacche che vogliamo, le pigliamo ne i tempi che patiscono, ò alle fiere, più tosto, che quando mangiano i fieni; percioche non pure le vediamo benissimo nel moversi con tutte le parti della persona, & se sono pregne, ò nò; ma vedendo i denti, sappiamo ancora di che età sono; & trovando che siano di testa allegra, & curta, con gli occhi grandi, e neri, le corne non lunghe, le nari larghe, le orecchie pelose, la persona lunga, & grossa, le tette ampie, & lunghe (poi che in quelle consiste la maggior’utilità d’ogni vacca) il pelo molle, curto, & ben rosso, ò alquanto oscuro, le accettiamo volentieri.

Vinc. Qual sorte di tori usate voi per li migliori?

Scal. Habbiamo sempre per buoni quelli, che sono lunghi, ma non troppo alti di peli ben rossi, over’oscuri; in parte, di spalle larghe, di gambe grosse, di corpo stretto, & tondo, di petto largo, di collo grosso, di giogaglia che vada ondeggiando, di testa curta, di fronte larga, di cervice superba, di faccia spaventevole, di occhi neri, & grandi, di corna curte, acute grosse, & nere; & di coda lunga, sottile, & ben pelosa.

Vinc. Vorrei saper’ancora, à quante vacche può supplir’un toro; & per quanti anni può esser’à proposito per esse.

Scal. Essendo il toro della statura che ho detto, & di natura potente, & di mesi quattordici, può satisfar benissimo à quaranta, à cinquanta, & à sessanta vacche, fin che ha compiuto quattro anni; ma come passa questo tempo, è pazzia à non mutarlo, & senza castrarlo, venderlo à i beccari.

Gio. Bat. Voi dite due cose contrarie à quello che dicono gli antichi; l’una che vogliono, che’l toro sia perfetto nel generare da i quattro anni, fin’à i dieci, & dodici; l’altra che dui tori siano necessarii à sessanta vacche.

Scal. Può stare che quegli antichi havessero tori di tal natura, ma à noi malghesi di questo paese, non convien’osservare niente manco per esperientia continua.

Vinc. Come possono montar sopra le vacche quei tori, che sono di quattordici mesi, ò di poco più tempo.

Scal. Voi sapete, che in assai cose, dove manca la natura, l’huomo s’ingegna di supplir con l’arte. Il che facciamo ancora noi malghesi in questo caso che dite; percioche, quando i tori sono giovani, & bassi; facciamo una buca talmente larga, & commoda, che ogni vacca vi possa stare; onde trovandosi quel toro tanto più alto nel terreno non cavato, può commodamente far ciò ch’egli desidera. Et più dico, ogni volta che qual si voglia toro ha fatto l’officio suo, non manchiamo à legar quella vacca; perche altramente, egli ritornarebbe al medesimo effetto, & si consumarebbe in poco tempo.

Vinc. Da qual tempo osservate voi di dar’il toro alle vacche, preparate, accioche maggiormente vi diano il latte à proposito, per far miglior formaggio?

Scal. Il vero tempo di dar loro i toro, è il Febraro, & il Marzo, & non ne gli altri mesi anteriori, ancor ch’elle fussero preparate (stando che ordinariamente ritornano più volte à prepararsi nel tempo della primavera) percioche partoriscono poi di Novembre, ò di Decembre; onde vengono à dar’il latte à quei parti, quando mangiano i fieni, il quale non è così buono per far formaggi delicati, com’è quando si pascono d’herba dopo mezo Febbraro sin per tutto Ottobre. Et questa è la vera via di tener le vacche affilate (come noi diciamo) & non fare, come alcuni osservano; i quali non si s’ingegnano à dar’il toro à i tempi detti, e manco à far preparar le vacche, quando tardano à settimane, & mesi; & però non è maraviglia se poi da ogni tempo hanno nuovi parti, & nuovi latti; disordine veramente grande, & che sempre apporta loro danno assai.

Vinc. Che modi osservate voi malghesi, per far venir le vacche al toro, come usate di dir cosi?

Scal. Si come il mio Magnifico patrone (che mi ode) fa produr tanta copia di buon fieno a’ suoi prati, per cagione del letame, & polvere ch’egli dà loro ogn’anno abondantemente; cosi per lunga prattica conosco, che quanto più dò del fien buono, del panello di linosa, & del sale alle mie vacche, tanto più abondano di latte, & stanno grasse, & morbide talmente, che non fallano (dapoi c’hanno partorito) di prepararsi al toro in termine di dui mesi, ò poco più. Et però errano grandemente coloro, che pensano di cavar frutto assai dalle lor vacche, benche le diano poca pastura, & manco panello, & sale, che se fussero liberali nel trattarle bene, non solamente cavarebbono la medesima utilità, che faccio io dalle mie; ma se dessero del sale ancor’ogni giorno alle vacche che tardano, fin che preparassero, non ve ne sarebbe alcuna, che non facesse il medesimo, che fanno le mie.

Gio. Bat. Più volte io ho detto à questo proposito, che se tutti i malghesi osservassero di dare ad ogni vacca (che sia di corpo grande) poco men di carra tre di buon fieno, e tanto panello, & sale, come fate voi, son certissimo che tutti diventerebbono ricchi, come dapoi che fate mangiar dalle vostre il mio, ho veduto d’anno in anno, che sempre havete avanzato qualche somma di scudi; oltra l’havermi pagato liberalmente à i termini, & haver mantenuta la vostra famiglia benissimo secondo i pari vostri.

Vinc. Dapoi che voi malghesi mandate le vacche di Maggio à pascer nelle nostre campagne, & di Giugno poi in monte, accioche pascano in quelle herbe fresche, & morbide fin che le ritornate anco alle campagne dopo S. Bartolomeo, overo alle cascine havendo tolto i fieni; vorrei saper da voi quando le pascete di fieno, s’è cosa buona à tenerle ben calde nelle stalle al tempo del freddo, & massimamente essendo eccessivo?

Scal. Solamente gli huomini ignoranti, & avari le tengono talmente rinchiuse nel caldo à quel tempo, che le povere vacche non mangiano la metà del fieno, che mangiarebbono quando fussero tenute nel caldo mezano, come fanno i liberali che tendono alla utilità maggiore; percioche per isperientia veggono, che quanto più mangiano buon fieno, tanto maggior copia di latte producono.

Vinc. Poi che tenete le nostre vacche morbidamente, vi prego che mi diciate anco quanti pesi di latte vi danno all’anno, oltra il lattar de i vitelli, & vitelle?

Scal. Avenga che ordinariamente molti di noi si contentano quando (computando l’una vacca con l’altra) fa cento pesi di latte; nondimeno io non mi contentarei se le mie non passassero centovinti, & centotrenta; percioche ve ne sono quasi il terzo, che giungono sin’à cento quaranta per ciascuna. Et questo ci fa vedere (come ho detto) quanto importa à pascerle bene, & non à sparagnare il lor mangiare, come vien detto da molti, che non hanno giudicio.

Vinc. Quanti pesi di buon latte vi vuole à fare un formaggio bello di dui pesi ben salato, & ben’ordinato?

Scal. Non ci vuole manco di pesi ventiquattro, ò venticinque di latte fresco per fare un formaggio ben’ordinato, il quale si trovi dui pesi in capo dell’anno, secondo l’usanza nostra.

Vinc. Per qual cagione non fate voi malghesi i formaggi di quattro & di sei pesi l’uno, & anco di più, come fanno sempre gli altri Piacentini & Lodesani, i quali (per farsene grandissima copia) vanno per tutto il mondo?

Scal. Quantunque non facciamo in tutto tanta somma di formaggi, quanto fanno quei paesi; nondimeno ne facciamo tanti, e tanti, che se non fossero mangiati da un tanto popolo com’è il nostro (il qual passa settecento mila persone) ne andarebbono maggior copia fuor del paese, di quel che fa; ma ne vanno però tanti à Roma, e più à Venetia, & nell’Alemagna, & con tal riputatione, che son’apprezzati maggiormente de i detti Piacentini, & Lodesani. Et questo aviene, perche non solamente sono piu delicati per cagione de i nostri buoni pascoli, e perfetti fieni (come ben si veggono al bel colore, & che non vengono verdi quanto sono tagliati, come fanno gli altri detti) ma ancora perche gli usiamo grandissima diligentia nell’ordinarli: oltra che, per non esser’alti piu di quattro dita, ricevono benissimo il sale in ogni parte; cosa che non fanno i detti Piacentini, & Lodesani; i quali essendo alti quasi un palmo, non possono ricevere cosi il sale nel mezo, quanto fanno nell’altre parti prossime alla loro superficie.

Gio. Bat. Io sempre mi maravigliai non poco, che tali malghesi non facciano i loro formaggi della grandezza de i nostri; si per le cose, c’havete detto, & si anco perche sono commodi nel maneggiarli, & per portarli da un luogo all’altro.

Vinc. Si come più, & più volte ho ricercato di saper delle cose, che sono oltra la condition mia, cosi non mi sarà di maraviglia, se appresso à quelle che vi ho richiesto, desidero che mi diciate l’ordine che tenete dal principio sin’al fine, nel far di giorno in giorno i vostri formaggi cosi belli, & delicati, come fate.

Scal. Differentemente bisogna governare il latte nelle tre stagioni dell’anno. Perche essendo l’una fredda del verno; l’altra calda della state; & l’altra temperata dell’autunno, & primavera, si può cavare dalla prima del butiro assai piu, che non si debbe fare nell’altre due: percioche all’hora il latte si appanna piu facilmente, & non è tanto danno à smagrir quel formaggio (per non esser di molta stima) quanto sarebbe all’altro della Primavera, dell’Estate, & dell’Autunno, poi che questi sono i più delicati.

Vinc. Lodate voi coloro, che cavano da ogni tempo dell’anno del butiro assai?

Scal. Messer nò. Non biasimo già il cavarne al tempo del verno; perche (come ho detto) quel formaggio non è apprezzato, & sene fa poco, per le vacche che si trovano pregne, ò che lattano i loro vitelli: & sì anco perche si tiene il latte di tre, e quattro volte che si mungono, cosa che non si fa ne gli altri tempi, & specialmente quando fa caldo: parte perche quel latte si guastarebbe se fosse tenuto più d’un giorno: & parte ancora perche non solo non si dovrebbe mai cavar più di due libre, ò due e meza di butiro per pesi dieci di latte; ma alcuni de’ nostri non ne cavano niente; percioche, per isperienza veggono, che questo formagio resta piu delicato, & si mantiene (à tanto per tanto) di più peso de gli altri.

Gio. Bat. Voi mi havete pur detto, che à non cavare il butiro, quel formaggio è molto dubbioso di guastarsi.

Scal. Confirmarei ciò che voi dite, quando si mancasse à romper benissimo la giuncata. Et però ogni malghese ben prattico di questo, non pur la rompe talmente col bastone, che fa parere che non ve ne fusse mai: ma ancora com’ella è ridutta al fondo, le dà un poco più fuoco del solito, accioche quel formaggio sì morbido non si guastasse, come facilmente sarebbe quando non fusse alquanto più cotto dell’altro. Posti adunque vinti, & 25. pesi di buon latte colato nella caldara al fuoco fin ch’è tanto caldo, che si possa sofferire col braccio nudo, vi si pone un’oncia di buon caggio ben minuzzato con l’acqua in un piatto, e volendo che’l formaggio resti con bel colore, vi si metta anco dentro tanto zaffarano pesto, quanto starebbe sopra un quattrino; & com’è ben caggiato il latte, si rompe col bastone tondo, & ben bianco fin che si vede esser bisogno; onde essendo ridotta la gioncata rotta al fondo della caldara, il malghese polito con panni di bugato, caccia le mani, e braccia ben nette sin’al fondo, volgendo, e rivolgendo quella massa, fin ch’ei conosce essere ugualmente cotta & alquanto soda, e tonda; di maniera che la levi fuori, cacciandovi sotto un panno ben bianco, ò più tosto un mastello, & la pone nella fascia di legno sopra del pressore alquanto pendente, accioche esca tutto il brodo del latte superfluo; laquale, cinta, & stretta quanto vi conviene, la copre con un’asse tonda; mettendovi sopra delle pietre di sofficiente peso: & altro non vi fa fino alla mattina seguente: La qual massa, per essersi ridotta in bel formaggio asciutto, lo porta nella cascina à terreno, & ordinata à simili formaggi con le assi sopra le scalere di mano in mano; non facendovi altro che volgerlo ogni giorno sin che’l quarto, ò quinto comincia fiorire à modo di farina; & all’hora vi dà un poco di sale minuto, & il simile fà il seguente giorno dall’altro lato. Poi il terzo giorno, lo pone sopra le assi dove si tengono i formaggi; & levatoli la fascia non vi fà altro che nettarlo con uno straccio; lasciandolo cosi sino alla mattina seguente, accioche si asciughi, & s’indurisca; & dapoi ritornatovi la fascia, & salatolo alquanto di più, da quel lato dove prima fù salato, lo ripone sotto à quattro, & cinque altri formaggi anteriori, che pur si salano. I quali, un giorno netta senza fascia separati, & l’altro seguente li sala con quella; ponendoli in pila sotto l’un l’altro di numero cinque, ò sei; & cosi và crescendo il sale i terzi giorni, & ne gli altri li netta al modo detto, sin che ne ricevono; levandoli, & ritornandoli le fascie, sin che egli in vinticinque, ò trenta, ò più giorni conosce esser quelli ben duri, ò alquanto teneri; come ve ne sono diversi, i quali ò per poco fuoco, ò per troppo, restano ben disposti, ò male, à ricevere il sale: Oltra che sono molto differenti quei che sono fatti da una stagione all’altra, & massimamente i Settembrini; i quali vogliono sempre di volta in volta poco sale, & che sia minutissimo; altramente s’induriscono talmente di fuori, che la crosta loro non può ricever a pena la meta del sale, che li bisogna.

Vinc. Che si fà à i formaggi, che si trovano salati à bastanza;

Scal. Levati dal sale (come non lo ricevono più) per quattro, ò sei giorni non se li fà altro che volgerli ogni giorno sin che sono asciutti, & poi si raspano, & si nettano da ogni lato, & attorno con coltello fatto à posta non ben tagliente; & all’hora portati nell’altra cascina in solaro (pur fornita d’assi sopra le scalere) si volgono anco per quindici, ò vinti giorni, & si nettano ogni volta con le mani, ò con lo straccio, & poi si ungono con oglio di linosa, & si fregano benissimo con le mani; non facendoli altro che volgerli ogni quattro, ò sei giorni; & fregandoli pur con le mani ogni volta; tenendo bene scopate le assi dove si pongono; osservando questo fin che hanno passati sei, & otto mesi; & anco vedendoli se mostrano qualche difetto di fessura, ò di carvolo che li rodesse, overo che si gonfiassero; percioche gonfiandosi, non vi è altro rimedio che mangiarli, ò venderli per quello che si puote; & gittando fessura, ò carvolo, si ungano ancora col detto oglio, il quale li conserva benissimo; benche vi sono alcuni altri che li ungono con oglio d’oliva, & con butiro marcio, accioche maturino più tosto; ma meglio è quello di linosa, & anco più la morchia sua; percioche queste due cose sono più à proposito per conservar simili formaggi, & per darli più bel colore, che ha alquanto del vermiglio, & quell’altro oglio, & butiro, li fan parer pallidi, cioè di poco colore. Basta che passato l’anno trovandosi netti non occorre à farvi altro che vederli ogni mese, ò dui, & volgerli; scopandoli benissimo, & medesimamente le assi dove si tengono.

Vinc. Havete voi altro secreto per conservare questi formaggi per qualche anno.

Scal. Non solamente si conservano lungo tempo in un mucchio grande di miglio, ma maggiormente nella linosa essendo assai; percioche, si come quello (per esser di natura freddo) li tiene solamente freschi d’ogni tempo; cosi questa li conserva similmente nel gran caldo freschi, ma nel freddo anco caldi; cosa che vi giova nel farli maturare à poco à poco; come per contrario li nuocono coloro, i quali non mancano à farli maturare per forza in poco tempo, stringendoli col fuoco di carbone acceso; tenendolo nelle camere, ò cascine dette in solaro con le finestre ben chiuse; non considerando che questo modo fà maturar’ogni formaggio acerbamente, & ch’egli cala nel peso di più, che non fà nel mutare col tempo che vi conviene; ma per l’ingordigia di cavar’in breve tempo il danaro, non guardano, che’l guadagno sia manco del consueto.

Gio. Bat. Quantunque è da lodare il conservar gran somma di formaggi in simili grani; tuttavia mi piace più assai à conservare i più belli, & i migliori nell’oglio d’oliva, overo nel ben purgato di linosa col fuoco; come ordinariamente ve ne metto ogni anno, tre, & quattro forme fatte in monte, ò nel piano di Maggio; percioche quanto più vi stanno, tanto maggiormente restano morbide, & delicate.

Vinc. Non havete voi per migliore il formaggio accompagnato col latte di pecora (com’è tutto quel che fate voi) che non è il puro fatto quasi da tutti gli altri malghesi?

Scal. Non è dubbio alcuno, che la lunga esperientia mi ha fatto veder che’l mio formaggio riesce sempre più saporito, più delicato, & si mantiene con maggior peso: & però non è maraviglia se io persevero à tenere ottanta, & cento pecore appresso alle vacche, & se vendo il mio ogni anno non solo quattro, & cinque soldi il peso di più, che non fanno quei malghesi che ne fanno quella medesima somma che faccio io, ma ancora le pecore mi rendono (à tanto per tanto) maggior’utile, che non cavo dalle vacche. Vero è che quella sorte di formaggio resta alquanto bianco, ma dandoli quel poco di zaffarano (come faccio) resta colorito.

Vinc. Non havete parimente per migliori le ricotte salate, & bene ordinate di questi dui latti mescolati, che non son le pure di quel di vacca?

Scal. Non solamente sono più saporite quelle de’ detti dui latti, & più le pure di pecora: ma sono ancora più delicate quell’altre fatte di latte di capra: & medesimamente sono questi latti: cioè, si come quel di pecora è migliore, & piu grasso di quel di vaccha: cosi in queste due cose avanza tutti quel di capra.

Vinc. Per quanti modi buoni possiamo servirci della panna cavata dal latte, come fior suo.

Scal. Primamente ne facciamo da ogni tempo gran quantità di butiro, il quale mangiamo in diversi cibi (fuori però de’ tempi prohibiti per la santa Chiesa) & quanto più è fatto di fresco, tanto è migliore. Poi non pure ne facciamo del lattemele, & de’ capi di latte, che voi altri mangiate si delicati col zucchero: ma ne vendiamo à coloro, che fanno delle rosate sbattute benissimo co i rossoli di ovi freschi, acqua rosa, & zucchero con un cucchiaro, & che fanno anco delle tartare con gli ovi freschi, col zucchero, cinnamomo, & anesi sopra, quando sono cotte, overo de’ moscardini.

Vinc. Che modo tenete voi nel fare sì delicato il lattemele?

Scal. Posta la panna con acqua rosa in una bacia, ò altro vaso commodo, si sbatte, & si rivolge con le bacchettine legate per quanto si tengono in mano, & le cime bene sparse, riducendola in schiuma, la quale si và levando col mescolo forato di mano in mano, secondo che si fa (ponendovi sopra del zucchero bene spolverizato) & si mette ne i piatti, seguitando pure à rivolgere, fin ch’è finita di ridurre in schiuma.

Vinc. Come fate ancora il vostro capo di latte?

Scal. Primamente poniamo la panna al fuoco in un caldarino ben netto, la quale moviamo di continuo con un bastone bianco, fin ch’ella si gonfia, & levata allhora dal fuoco, vi mettiamo due oncie di zucchero per libra di quella; non mancando à muoverla col medesimo bastone, fin che vi si possa tener dentro il dito picciolo; facendola, poi passare per lo sedaccio, ò pezza di lino rara. Et fatto questo, mettiamo dentro il caggio distemperato con l’acqua fresca, ò più tosto con l’acqua rosa; e tutto ad un tempo poniamo ogni cosa ne i tazzoni, ò piatti, accioche si raffreddisca, e pigli corpo. Et a questo modo facciamo il capo di latte molto delicato; ilquale non pur voi altri nobili mangiate cosi volentieri co i cannoni freschi fatti di farina, & di zucchero, ma è anco assai migliore di quello che si fa in Venetia, & in Padova.

Vinc. Come fate voi malghesi quello caggio?

Scal. Non lo facciamo altramente, ma lo pigliamo da gl’interiori de’ vitelli maschi, & femine, il qual’è tanto migliore, quanto che questi animali si trovano ben grassi, e tantosto che l’habbiamo spiccato dalle budella, lo saliamo, & chiudiamo la pelle con uno stecco acuto (come se fosse la borsa de’ testicoli) & poi l’attacchiamo sotto al camino dove si fa fuoco; accioche venga secco.

Vinc. Vorrei saper’ancora, à che modo fate l’agra, che voi altri adoperate nel fare, che’l fiorito divenga poina, ò ricotta?

Scal. Ordinariamente habbiamo il vasello, del quale ogni giorno caviamo quell’agra che ci bisogna, & altrotanto brodo vi ritorniamo subito tolto fuori dalla caldara tutta la ricotta, accioche ella non manchi mai. Ma se qualch’uno ne vuol fare di novella, & massimamente in un vasello nuovo, lo piglia (per l’ordinario) d’una brenta; facendovi il buco donde si cava l’agra non appresso al fondo, ma alto da quello circa quattro dita, accioche vi resti la fece, & si cavi solamente quella, che fa di mestiero. Et però tolto il vasello concio (come ho detto) & posto dentro il detto brodo puro, & netto, vi si mette un pane di lievito rotto in più pezzi, & una man piena di sale, & anco delle ortiche: Et à questo modo si fà l’agra perfetta in tre, ò quattro giorni, che non si guasta mai.

Vinc. Che via si tiene nell’allevare i vitelli maschi, per servirsene poi intorno alle cose dell’Agricoltura?

Scal. Scelti i vitelli ben fatti, & di buona sorte, si allatano poco più di sessanta giorni, ma però vi si comincia dar fieno buono, over dell’herba (secondo i tempi) come han passati li quaranta, accioche à poco, à poco s’avezzino à mangiare. Et castrati ne i cinque mesi, ò sei, vi si dà (per lo dolore) del fieno tagliato minuto, & mescolato con la semola fin che mangiano, secondo il solito. Avvertendo à castrarli nel tempo che non fà freddo, ò molto caldo, & per Luna scemante: percioche la piaga si ristringe, & guarisce facilmente.

Vinc. Quanto tempo si debbe stare à domar questi giovenchi per farli tirar’i carri, & arar la terra?

Scal. Castrati che sono, bisogna sempre trattarli bene circa al mangiare, & pascere secondo le stagioni, accarezzandoli, hora nel darli un poco di sale, hora nel fregarli con le mani alquanto la testa, hora la schena, & hora il corpo, tenendoli anco sempre legati mentre che stanno nella stalla. Et scelti poi i compagni qualificati di grandezza, di grossezza, di fortezza, & di età, non si manchi legarli alla mangiatoia appresso l’un l’altro, & medesimamente quando si cacciano à pascere, siano legati à dui, à dui con una corda insieme, accioche se usino ad amarsi, facendovi spesse volte veder’i buoi che tirano i carri, & quando arano, ò fanno altre fatiche, conducendoli anco spesse volte non pur dove sono gente assai, cavalli, porci, & altri animali, ma dove si fanno strepiti di molini, di folli, & di batter lini, perche à questo modo si domesticano facilmente. Et come si prossima il tempo di farli tirare (il quale sia non più tosto di trenta mesi, nè più tardo di trentasei, & che non faccia caldo, ò pioggia) vi si faccia portar’il giogo qualificato alla lor’età; & dopo quattro, ò sei giorni, vi si attacchi il timoncello con la catena che vadi per terra, accio che non si spaventino; & passati tre, ò quattro altri giorni, si attacchi à quella catena un zocco di legno di qualche peso; percioche tirandoselo dietro, cominciano assuefarsi alla fatica, & alli strepiti prossimi ad essi. Finalmente si cominci à metterli innanzi à i buovi che tirano il carro, & sempre con carezze; nè batterli mai sin che non si veggono ben’amaestrati, & assicurate al tirare, avvertendo però à non faticarli se non tanto quanto porta la discretione, & specialmente havendovi gran rispetto il primo anno; Et non fare, come fanno molti di poco giudicio, i quali non solamente affaticano ogni sorte di buoi oltra le loro forze pur’assai, ma ancora li trattano molto male nel mangiare, & nel tenerli netti; non facendoli riposare sopra la paglia asciutta, ò altro strame buono; conciosia ch’è meglio tenerli mondi, ben fregati, & streggiati sera, & mattina, & la notte accommodati di strame à proposito, con poco mangiare, che darli del fieno in copia, & nel resto trattarli male. Che in vero se non riposano coricati bene almen di notte, non possono ne anche ruminare il loro cibo con quel beneficio, che fanno quando dormono sopra i letti secondo il lor bisogno.

Vinc. Hora che ho inteso come si debbono trattare i buoi, accioche si mantengano gagliardi, vorrei anco saper’almeno i ripari che si possono fare alle infirmità maggiori, cominciando à quella del pisciasangue, per la quale tanti ne muoiono.

Scal. Perche questa infirmità viene à i buoi per mangiar delle cattive herbe nella secchezza, & specialmente per rugiada, il primo riparo è che non bisogna lasciarli bere sorte alcuna d’acqua, ò d’altra cosa; percioche, come bevessero, non vi sarebbe poi speranza di aiutarli, & il medesimo si faccia quando vien loro per altra cagione, & massimamente per scaldarsi troppo, & poi raffreddarsi; provedendoli quanto più tosto si veggono coricarsi per terra, & levarsi poi in piede, non trovando luogo per riposare, ma movendo hora il capo, et hora torcendosi à più modi con la vita. Onde per sanare questa malattia si piglia oncie tre di semenza di canape, oncie tre di miglio marino pesti insieme, & una di triacqua, con dui boccali di vino bianco, & bollite queste cose in un caldarino, & poi freddite, vi si pongono dentro due oncie di zaffarano, et si danno al bue per la gola. Ancora è buono un bicchiero di succo di piantana, mezo di aceto forte, mezo di oglio comune, e come sarebbe la quantità di due castagne di polvere di zocca salvatica, & altratanta somma di gusci d’ovi, & la metà pur di polvere di grepola, & dare tutte queste cose al bue per la gola. Et oltra ch’è buona una scudella della propria orina, una & meza d’oglio comune, sei ovi freschi, & una man piena di calino di forno; & sbattute queste cose ben’insieme, si danno al bue per la gola. Si può guarire anco, con due libre di mele, oncie sei di feccia raspata di veza, detta tartaro, una di canella fina pestata, & mescolate queste cose con un boccal di latte di vacca, si danno al bue per la gola.

Poi per rimediar alla detta infirmità, si lega al bue l’orecchia sinistra bene stretta col riforzino, & si batte con una bacchettina fin che è divenuta ben rossa & forata dapoi, & tagliate le venete dalle bande, esce sangue verde. Et fatto ben questo, bisogna salassarlo subito, & guarisce.

Vinc. Che riparo si può fare al mal del lanco; il quale amazza il bue chi non gli rimedia subito?

Scal. Questa infirmità viene al bue dalla stanchezza; & più nella primavera, che da ogni altra stagione, per l’abondar all’hora del sangue assai; onde egli si gitta à terra, & gli suda il pelo come se fusse bagnato d’acqua; & gemendo anco non ferma i membri. All’hora bisogna subito tagliar solamente la pelle sopra, & di dietro le spalle; & poi anco la pelle nella cima della coda in croce, tanto che gli esca sangue; e non meno tagliar’un poco la cima d’ogni orecchia; & non uscendo sangue da simili tagli, quel bue è quasi morto. Nientedimeno non bisogna mancar con dui huomini, un per lato, fregarlo sotto il corpo con una stanga, ò altro legno tondo commodo; tenendone un capo per ciascuno; & facendo questo fin ch’è rotta la durezza della pelle col sangue insieme. Tenendo calda la schiena solamente più tosto con panni di lana, che di tela; & facendolo passeggiar’alquanto, quando non migliorasse co i rimedii detti: dandoli del buon fieno, ò del pan di miglio: & non all’hora del sale per modo alcuno. Et vedendo non giovarli questi aiuti, finalmente se li dia un taglio largo quattro dita in cima al fianco pur nel molle, ficcando dentro quel ferro altri quattro dita, perche uscirà dell’acqua, & forse dello sterco; & à questo modo guarirà, non mancando poi à medicar quella ferita fin che sarà ben saldata.

Poi gonfiandosi il bue per haver mangiato dell’herba morbida, & specialmente per rugiada, si piglia un corno lungo, ma buso dall’una all’altra parte: & unto benissimo d’oglio comune, si ficca nel buco dove esce lo sterco almeno per quattro, ò cinque dita, & poi si fa passeggiare fin che esce il vento. Et lasciatovi dentro questo corno, se li frega il ventre con una stanga al modo detto; non cessando di farlo passeggiare fin che tal gonfiatura non è partita.

Similmente gonfiandosi la coppa al bue è perfetta una cotica di porco maschio senza grasso & scaldata alquanto, la si frega con quella più volte al giorno, & in quattro, ò sei guarirà. Havendo poi rispetto che non vi piova sopra, ò per altra via non si bagni; perche simil male procede quando è caldo dalla fatica, & che all’hora vien bagnata dalla pioggia, ò per altra via. Et anco si guarisce il medesimo male con un’ovo rotto bene in una scudella, & si pone sopra la coppa con tutto il guscio rotto; & fregatola benissimo dopo poco si può adoperar quel bue, come prima.

Nonmeno alla enfiagione del piede, si pone sopra delle foglie di sambucco peste con songia di porco, & tosto il bue resta in buon termine. Et anco essendo maccato, si pone sopra empiastro di mele, songia di porco, & semola, bollite insieme nel vino bianco, & lasciatolo cosi per tre giorni sarà guarito.

Ancora alla inchiodatura del piede, tagliato, & nettato prima il luogo del chiodo, si pone nel buco trementina bollita con l’oglio comune, & poi postovi dentro anco un poco di sevo dileguato col mele, si serra di nuovo ponendovi però tra il ferro, e’l buco, del pelo del medesimo bue.

Appresso all’unghia caduta al bue, si fà unguento con una oncia di trementina, una di mele, & una di cera nuova, si unge quella per quindici giorni; & dapoi lavata con un tepido bollito con mele, si medica ancora con aloe epatico, mele rosato, & meza oncia di allume di rocca polverizata, sin che ella sarà ben guarita; havendo però rispetto à non faticar quel bue nell’andare per qualche giorno; percioche facilmente potrebbe patir assai. Quando li viene il flusso non solamente non bisogna che’l beva, per tre giorni, ma ne anche mangi herba; & però se li dà delle foglie di oleastro, & di canne salvatiche, per lo detto tempo & poi se li da delle semenze di mortella, una libra di origano tenero, & una di abrotano ortolano cotte in due boccali di acqua, & se li fa bere, & per mangiare se li dà delle foglie di lauro tenere.

Poi quando il bue non può andar del corpo, per esser pericoloso male, dico che per sanarlo, si piglia oncia una di aloe epatico, & due di iera pigra, le quali pestate, & mescolate nell’acqua tepida, se li danno à bere da mattina fin ch’è libero.

Io havrei da narrarvi intorno à più infirmità che vengono à i buoi, ma perche vi ho detto alcune importanti, & mi convien’andar’à ricever certi danari in Bagnolo, sarete contenti di darmi licentia, che poi di mattina sarò qui per tempo, & al vostro comando.

Gio. Bat. Poscia che ci havete detto i rimedii maggiori, innanzi che vi partiate, farete anco piacer a M. Vincenzo, & à me dir’i rimedii più importanti per li mali, che vengono alle vacche.

Scal. Benche vi siano più infirmità, nondimeno le più importanti sono cinque, che facilmente le amazzano; cioè, il pisciasangue, forvesi, l’anticuore, mal del lanco, & la polmonera.

Al pisciasangue non solamente sono buoni alle vacche i medesimi rimedii che ho detto per li buoi, ma ancora i ben’intendenti malghesi di questo male, venendo nella primavera, pigliano una buona mano di herba grimonia, & d’ogni altro tempo vi aggiungono dell’oglio di linosa fatto senza acqua, & del piombo brusciato: & cacciandole queste cose per la gola, per esperientia trovano che’l più delle volte guariscono. Ma come si accorgono di questo, non le lasciano bever’in modo alcuno sinche non sono del tutto liberate.

Poi à i forvesi che vi vengono nella gola, subito che si aveggono di questo male, tagliano con coltello ben tagliente dove sono i lattesini, & cavatone un poco, mettono in quella ferita songia di porco col sale ben trito; facendo questo con diligentia fin che è ben guarita.

Ancora circa all’anticore, come veggono tal enfiagione, subito pigliano un ferro ben caldo, & le fanno un cerchio attorno, & anco quattro buchi in croce, & poi salassato in più luoghi dell’enfiagione, vi fregano per tutto col sale, & le danno da bere della triaca col vino tepido: Et passato il terzo giorno, bagnano la detta enfiagione col succo di piantana, & le danno da bere la medesima decottione.

Parimente, circa al mal del lango, rimedij che si fanno à i buoi in simil caso; senza replicarli, sono perfetti anco per guarir le vacche da questa infirmità.

Resta che io vi dica circa al male della polmonera, il quale è talmente desperato di rimediarli, che non bisogna farvi altro, che separar tutte le vacche sane subito dalle infette, & ponerle nell’altre stalle, non ritornandovele per più giorni, ne fin che non sono ben lavate le mangiatore con acqua ben bollente con herbe odorifere. Et questa infirmità, non pur vien’alle vacche per cagion delle cattive herbe, ò fieni, over per morbidezza di sangue, ma ancora alle volte per lo piscio de’ cavalli, & massimamente quando si tengono le stalle ben chiuse. Et però alcuni pari nostri ben prattici di questo male si desperato, oltra che non vogliono cavalle, ò cavalli appresso alle loro vacche, ma in cambio di quelli vi tengono de gli asini, percioche veggono per esperientia, che col fiato loro le preservano benissimo da simil cosa. Et con questo fine, andarò à Bagnolo come vi ho detto.

Vinc. Voi certamente andarete à Bagnolo, poi sarete anco bagnato dalla pioggia, che tosto sarà qui accompagnata da questi folgori, & si gran tuoni.

Scal. I pari nostri non stimano quelle cose, quando massimamente sono à cavallo con buoni capelli, & cappanotti, come sarò ancora io in un subito all’ordine.

Gio. Bat. Dapoi ch’egli è partito il nostro Scaltrito, & che voi vedete che la pioggia ha da esser non poco lunga, mi sarette cortese nel rimaner con meco questa sera, & anco quella più parte di dimane, che vi piacerà.

Vinc. Non posso mancarvi di quanto mi commandate.

Il fin dell’undecima giornata.

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