La duodecima giornata dell’Agricoltura

Di M. Agostino Gallo,

Intorno alle pecore, & alle capre.

Essendo restato la sera del giorno duodecimo, per la pioggia occorsa Messer Vincenzo Maggio con M. Giovan Battista Avogadro, levati che furono la mattina seguente, andarono alla Santa Messa; & dopo che hebbero per un gran pezzo caminato lungo alla bell’acqua della Mora, ritornarono à casa; onde havendo ritrovato il buono Scaltrito ancora sotto la loggia, si posero prima tutti tre à sedere; & poi guardandosi l’un l’altro che s’incominciasse à ragionare; il Maggio volgendosi verso l’Avogadro, & il detto Scaltrito disse.

Poscia che hieri parlassimo delle cose pertinenti alle vacche, vitelli, buoi, formaggi, & altre cose cavate dal latte; mi sarà gratissimo che parimente stamane ragioniamo della natura delle pecore, per esser di maggior’utilità in molte cose, che non sono gli altri animali quadrupedi.

Gio. Bat. Non è dubbio alcuno che da questi animali habbiamo gran beneficio, per la lana, per la pelle, per la carne, per lo latte, & per lo sterco che sempre ci rendono. Percioche, si come se non fusse la lana loro tanto necessaria per lo nostro vestire, ci converrebbe habitare fra le selve, ò nelle grotte, & non nelle città, castella, ò ville, come facciamo; cosi se non fussero le loro pelli, la maggior parte delle genti dell’Europa, patirebbono grandemente per gli estremi freddi che occorrono in molte provincie. Poi non solamente viviamo delle loro carni, de’ latti, & delle cose che caviamo tutto dì da quelli, ma il proprio loro sterco ci beneficia ancor’assai ne i frutti della terra; per esser’il migliore d’ogni altro animale quadrupedo: Di maniera che si può dire, che ogni cosa che dà la pecora è sempre tutto buono, & tutto necessario à noi mortali.

Scal. Oltra alle cose che voi dite, è ancora cosa ragionevole che amiamo grandemente questi benedetti animali, poiche non offendono mai alcuno, anzi sono talmente quieti per natura, che amazzandoli non gridano, ne strepitano, ma muoiono tutti con gran mansuetudine. La onde sempre amai simili animali, come già più anni ne ho voluto tener’almeno cento; percioche non pur’il latte loro mi aiuta à far’il formaggio migliore, che farlo solo di latte vacchino; ma mi rendon’anco maggiore utile à tanto per tanto, che non fanno le vacche.

Vinc. Quante sorti di pecore conoscete voi in questo paese.

Scal. Sono solamente quattro quelle, che usiamo di tener noi Bresciani: Cioè, nostrane, tesine, bastarde, & gentili. Le nostrane ci danno più grossa lana delle altre pecore, & si tosano tre volte l’anno; cominciando al principio di Marzo, & poi ogni quattro mesi; & per questo ne rendono maggior quantità di tutte le altre sorti. Oltra che si cacciano d’ogni tempo à pascere, pur che la terra non sia coperta di neve; non stimando mai qual si voglia pioggia, over eccessivi freddi. Et però sono sempre di poca spesa, & di buona utilità, si per la lana, & si anco perche si mungono quattro, & cinque mesi l’anno con gran copia di latte; & non meno per lo vender gli agnelli, come passano trenta libre l’uno.

Poi parlando delle tesine, dico che se ne tiene tra pecorari nostri maggior quantità di tutte l’altre; percioche non solamente si mandano à pascere tutto l’anno, purche la neve non copra la terra; ma si hà di buoni danari dalla lana, che vi cavano i lor pastori due volte l’anno, & che vendono alle genti che fanno gran quantità di panni bassi, & di saie per le ville delle montagne; oltra che allevano tutti i maschi, & femine; queste per lo feto, & quelli per castrare, & vendere à i beccari, quando sono divenuti grandi, & ben grassi. Ma perche queste pecore allattano tutti i figliuoli sin che sono giunti ne i pascoli de’ monti, si mungono solamente il mese di Giugno, e di Luglio.

Similmente delle pecore bastarde, si allevano tutte le femine per accrescer’il gregge loro, & tutti i maschi si vendono alla Pasqua. Et benche queste pecore siano maggiori di statura delle tesine, & alquanto minori delle nostrane; nondimeno sono simili à queste nostrane nel far’il latte, & nel pascer d’ogni tempo, ma non danno la lana senon due volte l’anno, la quale si vende non manco della tesina.

Quanto sia poi circa alle pecore gentili, dico che queste sono tenute solamente nella villa di Ghedo, & di Montechiaro, per esservi pascoli convenienti à loro. Et queste veramente si debbono chiamar gentili; percioche della lor lana si fanno i più politi panni che si possano fare d’ogni altra d’Italia, oltra che sono tosate solamente una volta l’anno, non si mungono mai, ne si ammazzano figliuoli maschi, ò femine (eccetto quando sono divenuti vecchi) accioche facciano della lana lungo tempo, per esser’anco quella sola che rende molta utilità; laquale si vende poco meno della Francesca. Et quantunque queste pecore si cacciano à pascer d’ogni tempo dell’anno (pur che non piova, ò nevichi, ò che la terra non sia coperta di neve) nondimeno i lor pastori usano ogni diligenza per non lasciarle bagnare; perche quella lana perderebbe ogni finezza, & elle s’infirmarebbono sin’alla morte. Et però non solamente non le cacciano à pascere se’l tempo non è in termine di non piovere, ò nevicare; ma ritrovandosi in campagna, & vedendo che egli minaccia una di quelle due cose, si approssimano alla capanne di paglia fatte à posta ne i pascoli, per salvarle da simili casi; & quivi facendole pascere sin che’l maltempo comincia à giungere, subito si ritirano à salvamento. Ma se per caso pascono ne i luoghi dove non siano simili ricetti, come dubitano di qualche nuvolo; subito le conducono à casa, ò nelle prime habitationi che trovano, quando massimamente sono per esser’assalite dalla pioggia. Et per questo sono di maggiore spesa dell’altre sorti; percioche non potendo star per le campagne quando piove, ò nevica, bisogna anco che mangiano più fieno dell’ordinario. Vero è, che si guadagna maggior quantità di letame per lo sterco che non disperdono fuor di casa, ilquale fù sempre tanto pregiato da noi Bresciani.

Vinc. Come vogliono esser generalmente le belle pecore?

Scal. Volendo che la pecora sia buona, bisogna pigliarla prima di buona razza, & poi ch’ella sia di corpo grosso, di gambe basse, di ventre lanoso, di coda grande, & di tette lunghe.

Vinc. Similmente, come voglion’esser’i bei montoni?

Scal. A voler conoscere che sian buoni, si piglino anco quelli che sono grossi di persona, di ventre spesso di lana, di gambe alte, di lumbi ampii, di petto largo, di testa lunga, di fronte folta di lana, di occhi ben neri, di orecchie grandi, di testicoli grossi, di coda lunga, & larga.

Vinc. Che ordine osservate voi nel tener questi montoni con le pecore quando non bisogna che conversino con esse?

Scal. Non solamente non bisogna lasciarli stare con le pecore se non ne i tempi debiti, & tenerli co i castrati, con gli agnelli, & con quelle che si trovano pregne, ò che non concepiscono: ma ne anche il primo anno: perche fin che non han compiuti dui anni, farebbono la razza molto minuta, & debole. Ma se saranno conservati circa il coito, & ben trattati nel mangiare secondo la lor natura, viveranno fin’à gli otto anni (& anco più) perfetti al generare.

Vinc. A quante pecore può satisfar’un montone al generare?

Scal. Ancora che gli antichi dicano che un montone satisfaceva benissimo ad ottanta, & cento pecore: in questo paese non ve n’è, che si possa mantenere à piu di venticinque, sin’à trenta.

Vinc. Che tempo debbono havere le pecore, quando bisogna dar loro il montone?

Scal. Non si debbe dar loro il montone innanzi c’habbiano dui anni, ò poco manco: & se per caso s’impregnano più tosto, vendansi quegli agnelli, percioche allevandoli, restarebbono piccioli, & durarebbono poco tempo: Benche sono da lodar coloro, che non allevano mai le femine che son nate dal primo parto: perche è meglio haverne poche, le quali sian nate da madri robuste, che haverne assai di quest’altre deboli.

Vinc. Da qual tempo si debbe dar il montone alle pecore?

Scal. Perche ciascun buon pastore sà che tutte le pecore non portano il feto piu di cinque mesi: però si tengono i montoni tutto l’anno in compagnia de’ castrati; & altri sterpi, eccetto il mese di Luglio, ò d’Agosto: percioche all’hora e il tempo commodo d’accompagnarli con le pecore, accioche partoriscano poi al Gennaro, ò al Febraro, & ch’elle trovino l’herbe quando cominciano à farsi floride, per ritornar dapoi à casa con le poppe talmente piene, che satisfacciano abondantemente i loro agnelli: I quali, volendoli vendere al tempo della Pasqua à i beccari, li trovano in perfettione; & anco volendoli allevare, si nodriscono benissimo con le tenere herbe, sin che vanno à pascere quelle de’ monti alla fin di Maggio.

Vinc. Desidero che mi diciate ancora i modi, che si osservano in beneficio delle pecore, quando hanno partorito i loro agnelli.

Scal. Perche ordinariamente à quel tempo fa gran freddo, bisogna tener ben chiuse le stalle, & non mancare alle madri nel dar loro del miglior fieno che sia possibile, & anco qualche poco di semola col sale; non lasciandole uscir della stalla per tre, ò quattro giorni, & portando loro dell’acqua per bere, laquale sia stata più tosto alquanto al fuoco, che esser fredda; overo almeno sia tenuta in un soio, ò altro vaso nel medesimo luogo, dov’elle stanno al caldo, accioche la possano bever non fredda: ma quando anco si ponesse dentro un poco di farina di miglio con alquanto di sale, vi si farebbe gran beneficio: percioche mai non si può fallare à trattarle bene per ritrovarsi come amalate: vedendo massimamente per buona isperienza, che tutte le spese, che facciamo in beneficio di simili animali, quanto sono maggiori, tanto più utilità riceviamo da essi: Et cosi per contrario, quanto più sparagniamo, tanto manco utilità habbiamo: percioche, come gli animali patiscono del loro vivere, non solo non possono rendere i debiti loro frutti, ma ancora vivono poco tempo.

Gio. Bat. Veramente che sono pur troppo ciechi tutti coloro che non conoscono, che questi & altri animali congiunti all’Agricoltura, sono ancora tutto simili à lei, la quale, si come fà sempre ricchi gli Agricoltori quando più sono liberali verso di lei, & li manda ancor’in rovina, quanto più sono scarsi; cosi gli armenti (per natura) fann’il medesimo d’ogni tempo.

Scal. Seguendo pur’il parto delle pecore, dico come è nato l’agnellino, si piglino le poppe della madre, & si gitti via il primo latte che viene (per esser come marcio) & vi si prema l’altro con le mani in bocca, accio che gustandolo cominci à tettare. Ma se ella andasse à pascere, & che ritornata non volesse conoscer’il parto suo (come alle volte ve ne sono di questa natura) sia serrata con assi, ò con altre cose in qualche parte della stalla con lui per tre, ò quattro giorni, che al sicuro cominciarà à pigliarli talmente amore, che non saprà viver senza lui, & manco fallarà nel riconoscerlo per figliolo fuori di molti altri; & egli medesimamente non mancarà à seguitar la madre quando andarà seco à pascere; ma questo non sia più tosto del mese di Marzo per cagion del freddo, & perche non si trovano herbe tenere: Avvertendo, mentre che questi agnelli stanno nella stalla, innanzi che comincino à pascere, che si dia lor del fieno minuto, & del migliore che si trovi, accioche habbiano da mangiare fin che le madri vengano la sera da pascere con le tette piene per dar lor’il latte in copia, le quali mangiano poi tuto quel fieno che trovano esser’avanzato ad essi figliuoli; & in questo modo gli allattano sin che di compagnia vanno in monte à pascere.

Vinc. Da quall’hora del giorno si cacciano à pascere questi animali?

Scal. L’hora ordinaria, & propria di condurli in questo paese è sempre dopo che sono passate le sedeci; & questo tanto si osserva al tempo dell’estate, autunno, & primavera, quanto in tutti i mesi del verno; percioche chi facesse altramente non manco vi nuocerebbe la rugiada (mentre ch’ella cade) quanto farebbe la brina tutto il verno. Et però, si come si osserva di cacciar’alle campagne, le pecore, montoni, & castrati come la brina è alquanto mortificata dal Sole, ò dall’aere dopo che sono passate le sedici hore, ò poco più, & li tengono fuori molte fiate sin’à mez’hora di notte; cosi se fussero cacciati fuori al tempo della rugiada più tosto delle sedici, & che passassero le vintitre à condurli à casa, non è dubbio alcuno, che venirebbe lor’il male del morbino, il quale gli amazzarebbe tutti in poco tempo.

Vinc. Voi cominciate à mostrarmi una delle malatie che sono facilmente vengono a questi benedetti animali; la quale tanto più mi fà maravigliare, quando che di state non si possono cacciar’à pascere almeno dopo che sono passate le undeci, ò dodeci hore del giorno; considerando che all’hora il Sole comincia à mostrarsi potente, come in vero si vede haver forza d’asciugare tutte le humidità.

Scal. Sappiate pure, che sì come tutti i buoni pastori si farebbono ricchi in poco tempo, quando le pecore non fussero sottoposte alle tante infermità mortali, come sono tuttavia; cosi se non fusse la molta vigilantia, la diligentia, & la prudentia loro, per una che muore, ne morirebbono venticinque, & cinquanta.

Vinc. Come vogliono esser quelli agnelli, che si hanno da allevare?

Scal. Si debbono sciegliere quelli che sono più grossi, più belli, & c’habbiano la lana piu spessa, & piu lunga, & anco piu bianca; tenendone non meno fra ogni quattro, ò cinque, un’altro bello che l’habbia ben nera, accioche con queste due sorti che si cavaranno da i montoni, dalle pecore, & da i castrati simili, si possano fare de’ panni meschi.

Vinc. Vorrei sapere ancora, da qual tempo si debbono castrare gli agnelli, & il modo che si osserva nel castrarli.

Scal. Essendo nati di Decembre, ò di Gennaro secondo il solito, si castrano non al primo Marzo (perche sarebbono troppo giovani) ma al secondo, col riforzino di corda fattovi un capolo nel mezo; ponendosi il castratore l’agnellotto con la schiena sopra il petto di se stesso; & posto quel laccio fatto in capolo attorno i testicoli, & un capo della corda sotto un piede, & con l’altro capo in mano, tirandolo ben’in alto, si faccia le corde, ò radici de’ testicoli solamente crepare: & questo si fa con facilità senza levarli i testicoli; ma però restano quanto al coito, come se ne fossero privi. Vero è, che bisogna ungerli dove sono schizzi con la sonza di porco maschio, accioche non si gonfino.

Gio. Bat. Quantunque questa cosa paia ridicolosa: nondimeno per havervi veduto farla con tanta facilità, non si può negare ch’ella è d’altro miglior modo, che non è del castrare i vitelli, cavalli, porci, & cani.

Vinc. Parimente vorrei che mi diceste i modi che si osservano nel tosar le pecore, castrati, & montoni.

Scal. Ordinariamente si tosano nel mese di Marzo per Luna scemante: in tempo sereno, senza vento, & dopo l’hora di terza; & quelli che si vogliono tosare un’altra volta, si tosano d’Agosto quando vengono di monte: Avertendo di non tagliarli la carne: e se pur si feriscono, siano unti con pece liquida, ò con l’oglio commune: & mettervi sopra del caligine, ò carbone pesto, accioche le mosche non le noiano. Ma ungendovi solamente con la songia di porco, non le molestaranno in modo alcuno.

Vinc. Quante libre di lana debbono far per animale?

Scal. Benche le pecore nostrane rendano maggior somma di lana di tutte le altre sorti Bresciane, nondimeno le tesine, & le bastarde in due volte, rendono fin dodici libre; ma le gentili non passano quattro in una sola tosatura.

Vinc. Hora che son chiaro di tutte le cose che vi ho richiesto intorno alle pecore, montoni, castrati, & agnelli, mi sarà caro che mi diciate ancora le loro infermità maggiori, & i rimedii più certi, che havete conosciuti per sanarle.

Scal. Questi animali muoiono assai volte per lo mal del morbino, il quale non solamente gli amazza tutti (chi non li provede) in poco tempo, ma ancora facilmente si piglia l’una pecora dall’altra tante quante ve ne sono. Et però bisogna subito separare le amalate dalle sane, per non esservi speranza di aiutarle; & massimamente quando muovono spessamente le palpebre de gli occhi, & che muoiono quasi in un subito cadendo à dietro; non tardando à dar del sale alle altre, mescolato con la quarta parte del solfo, il quale le purgarà, & amazzarà quella infirmità. Et per questo il pastor prudente va sempre innanzi alle pecore per non lasciarle entrar ne i campi de’ cattivi pascoli, & specialmente dove sia l’acqua, ò stata morta, overo che siano stati adacquati; percioche, pascendovi, le venirebbe il gocio in manco di quaranta giorni, & dapoi morirebbono in poche hore senza rimedio alcuno.

Poi quando viene la febre alle pecore nel mese d’Aprile sin che vanno in monte, subito le salassa dalla vena dell’occhio destro, & non le lasciano che si bagnino in modo alcuno, nè che bevano se non pochissimo, perche senza fallo morirebbono.

Appresso quando le pecore se inrognano talmente che paiono leprose, & che ogni hora piu seccano, & dileguano, all’hora non manca à medicarle col largato bollito con l’oglio di oliva, ò col butiro: ungendole ogni giorno dove hanno il male, & attorno, accioche non passi piu oltra.

Parimente quando le pecore s’inzoppano per cagione che le ungie sono talmente intenerite (per essere state co i piedi nello sterco loro) che non possono andare, nè stare in piede, questo pastore non manca à tagliarle via il corno guasto, et poi vi mette sopra della calcina non bagnata, legandola con una pezza di lino per un giorno, & poi per l’altro del verderame; facendo cosi ogni giorno alternatamente sin che sia fortificato.

Medesimamente quando una pecora scavezza una gamba, subito la unge con rasa mollificata con la saliva dell’huomo: & legata con una pezza piu tosto di lana, che di lino, vi pone quattro stellette di legno legate attorno con tal modo, che essendo bene accommodate, non resta di caminare, & pascere. Et non essendovi rasa, piglia del largato, ilquale fa quel medesimo effetto.

Poi per mantenere in ordine le pecore, le dà de’ frutti secchi di lauro col sale, cominciando quando han partorito, fin che hanno havuto il montone, accioche si mantengano sane, grasse, & abondino di latte: ma come sono pregne, cessa; perche si spregnarebbono facilmente. Et medesimamente dà questi frutti a gli agnelli col sale & con la semola, come cominciano à mangiare, accioche maggiormente vengano grassi; ma però li dà poco da bere.

Ancora quando egli vuol condur le pecore di mattina nell’hora debita à pascere, non solamente li dà il sale prima per due hore avanti; ma non le lascia bere sin che non han pasciuto poco men di due altre hore: attesoche quando mancasse di questo buon’ordine, il sale non vi giovarebbe, & patirebbono anco pur assai. Et questo basta intorno alle infirmità, & governi delle pecore, poiche ho detto le più importanti.

Vinc. Perche più volte ho udito dire che la vita pastorale non è men tenuta per felice dell’Agricoltura, però conoscendovi per buon pastore, & di animo nobile, mi sarà grato che mi mostriate dove consista questa sua felicità.

Scal. Avenga che io non sia sufficiente per satisfar’à questa vostra domanda, nondimeno lasciando da parte quello che si potrebbe dire intorno alla vita de’ Santi Patriarchi, i quali la godevano felicissimamente nello specular di continuo l’infinita Bontà del grand’Iddio, & venendo solamente à quella felicità che ciascuno può abbraciare facilmente, dico, ch’egli è degno di esser molto invidiato quel pastore sincero, & prudente; il quale conoscendo gl’infiniti lacci, & ramarichi di questo Mondo, fà ogni possibile per allontanarsi da lui, per viver più quieto che può nella vera libertà; non facendo dispiacer’ad alcuno, ma attendendo con ogni vigilantia, & sollecitudine al suo caro gregge.

Non è forse da lodare quel pastore ben formato di persona, leggiadro di gamba, potente di braccio, sincero d’animo, & prudente con gli huomini? Il quale, conducendo di giorno in giorno le sue pecorelle per più campi, & per diverse contrade và sempre innanzi loro con uno spontone lungo in spalla, ò altra arma d’asta, con animo deliberato di combattere contra qual si voglia ladro, ò fera che le volesse offendere: Tenendo parimente à mezo, & dietro la schiera huomini diligenti, e cani feroci, accioche maggiormente sia conservata da qualunque caso strano che le potesse occorrere, & che non siano molestati gli asini che portano di luogo in luogo le bagaglie, & specialmente la farina di miglio per fare la polenta di giorno in giorno, sera, & mattina, secondo che essi la mangiano.

Gio. Bat. Veramente ch’egli è bel veder questi huomini vestiti di panni bianchi, col capello di feltro d’ogni tempo in capo, con faccie colorite, sempre sani, & lieti, poiche si contentano dello stato loro; benche non mangiano altro che polenta calda fatta quanta solamente vi bisogna per vivere, quando vogliono desinare, & altretanta quando sono per cenare; ne altra cosa mangiano in tutto il giorno, eccetto quel formaggio, ò ricotta salata (ma parcamente) con la medesima polenta quando desinano, ò cenano; bevendo poi (per l’ordinario) solo le dolci, & chiare acque.

Vinc. Vi prego Scaltrito mio, che mi diciate l’ordine che si tiene nel fare questa polenta.

Scal. A farne per tre persone, si piglia tre libre, fin quattro di farina di miglio per la mattina, & altrettanta per la sera (lasciando sempre quella di frumento per non far cosi buona polenta, & anco perche si digerisce facilmente) ponendola nel caldarino che bolle al fuoco con cinque, ò sei libre d’acqua; facendovi dui tagli in croce con un bastone, accioche ella maggiormente possa passar la farina sin’in cima; lasciandola poi bollire, fin che si gonfia, & si distacca dal fondo. Et levata all’hora dal fuoco, si mena benissimo con un bastone tondo, & netto sin ch’è totalmente ben rotta, & affinata; & dapoi tolta fuor del caldarino, si taglia in bei pezzi sottili con un filo, & si mangia cosi calda col formaggio, ò con la ricotta salata.

Vinc. Per qual cagione tengono tutti i pecorari solamente cani bianchi, & non mai d’altro colore.

Scal. Perche i pastori conoscono benissimo che tutte le pecore sono talmente timide per natura, che come veggono un’animale che non sia di pelo bianco, subitamente dubitano non sia il lupo, ilquale le sia alle spalle per divorarle; però non è maraviglia, se per non spaventarle tengono sempre cani bianchi, & se anco essi medesimi non si vestono d’altro colore.

Vinc. Sempre mi piacquero questi cani bianchi, grandi, & pelosi col suo mello di ferro largo attorno al collo, con le spine acute, accioche più animosamente possano combattere co i lupi con avantaggio che non siano strangolati, come molte fiate sarebbono quando non fussero cosi ben’armati.

Gio. Bat. Hora perche i servitori portano in tavola le vivande per desinare, è bene che ci laviamo le mani, & che dapoi mangiare ritorniamo à ragionare di quanto ci sarà grato.

Scal. Mi sarà caro che innanzi vespro mi diate licentia, accioche possa giunger questa sera al lago, & dimane alla montagna, dove ho i miei animali.

Vinc. Saremo brevi, perche parlaremo solamente delle capre.

Ragionamento fatto per li tre medesimi intorno alle Capre.

Dapoi che l’Avogadro, & il Maggio hebbero mangiato (mentre che mangiavano ancora li servitori, & Scaltrito di compagnia) andarono à diporto sotto alle ombre del giardino; ragionando diversamente del bell’ordine de gli arbori, della bellezza de’ loro frutti, & dell’amenità del prato. Onde essendo ritornati, & trovato Scaltrito, che gli aspettava (postisi prima à sedere) M. Vincenzo volgendosi verso lui, disse in questo modo.

Perche vi dissi innanzi desinare, che’l parlamento nostro sarebbe solamente intorno alle capre, però mi sarà grato che me ne ragionate quel tanto che ne sapete.

Scal. Ancora ch’io non habbia tenuto capre, dapoi ch’io era giovane sotto alla obedientia di mio padre, nella villa di Agnosceno di Val di Sabbio, & ch’elle non rendano in tutto quella utilità di buon formaggio, & manco di lana come fanno le pecore; nondimeno è cosa buona à tenerne, e massime ne i siti sterili, come sono i monti, i colli, le valli, e le campagne deserte; percioche danno maggior copia di latte, & migliore, & piu sano che non fanno le pecore, & anco la ricotta loro fresca è piu delicata. Et però si dice per proverbio. Butiro di vacca, formaggio di pecora, & ricotta di capra, sono i migliori frutti che rendono questi animali.

Poi le capre sono di poca spesa; conciosia che non si dà loro fieno, se non quando partoriscono, & nel resto di tutto’l tempo si cacciano à pascere; & quando restano nelle stalle per cagione delle pioggie grandi, ò che la terra si trova coperta di neve, si dà loro de’ vencelli di rami teneri fatti nel mese di Settembre in tanti fascinetti, di noce, di vite, di albera, di olmo, di frassino, di moro, & di castagna non salvatica con le foglie attaccate, iquali siano seccati al Sole, & poi conservati ne i fenili, ò altri luoghi dove non possano esser bagnati. Et però non solamente elle mangiano d’ogni sorte d’herba, e di spini pungenti per le fratte, per le macchie, per le selve, per le spelonche, per le corne, & per li bricchi, & altri luoghi quasi incredibili di sterilità, & di pericoli grandi di fiaccarsi la vita in mille pezzi; non temendo mai simili precipitii; ma vi vanno francamente pure che vi veggano qualche cosa da mangiare. E per questo vi vogliono caprari destri, agili, forti, & animosi, accio che possano benissimo seguitarle, difenderle da i lupi, ò d’altre fere, & condurle dove sono buoni pascoli, & non cosi pericolosi; percioche pure alle volte se ne perdono, ò per lo cader da tali precipitosi luoghi, overo che sono devorate dalle fere. Si che per concludere si può dire quel proverbio. Mai non si vide capra morir di fame: percioche oltra che mangiano di qual si voglia herba, ancor che fosse velenosa, senza far loro male alcuno; mancandovi cibi per sostentarsi, si pongono à romper co i denti fin de gli arbori, & specialmente i fruttiferi per esser più saporiti de gli altri, & ancora à leccare le mura humide, senza che hanno una natura molto diversa da gli altri animali; stando che non solo dormono più volentiera sopra la nuda terra, che haver sotto della paglia, ò altro strame; ma ancora molte fiate riposaranno in cima d’un bricco, ò d’una precipitosa corna all’ardente Sole, che non faranno all’ombra sopra l’herba fresca.

Gio. Bat. Benche io sapessi che le capre fussero di manco spesa delle pecore, tuttavia non intesi mai cosi bene la lor natura, come hora distintamente havete detto. Et però non è maraviglia se all’huomo bizzarro
vi si dice. Tu sei molto capriccioso.

Vinc. Lodate voi che si allevino le femine, ò più tosto si vendano in capo di trenta, ò di quaranta giorni, come si fanno tutti i maschi, & poi se ne comprino dell’altre d’un’anno, lequali siano pregne, ò almeno che habbiano partorito di poche settimane?

Scal. La maggior parte de’ caprari di questo paese fanno il medesimo che dite: percioche veggono per isperienza, che co i danari che cavano nel vender due capre, comprano una capra nelle terre de’ Grisoni d’un’anno, ò di dui, & senz’altra spesa, ò fastidio, over pericolo nell’allevarle; dalle quali cominciano haverne utilità per conto del cavare il latte, ò per esser pregne. Ma però chi ne vuol’allevare, debbe scegliere quelle che sono nate dalle migliori madri, & farle tettare per tre mesi; non allevando mai quelle del primo parto, perche restarebbono sempre deboli, ma si bene l’altre nate dapoi, lequali come possono caminar dietro alle madri, siano mandate con esse; accioche (ancor che tettino) s’avezzino à pascere. Poi mentre che le capre si trovano pregne, non si lasciano urtar l’una con l’altra: perche facilmente disperderebbono; & quell’istesso farebbe dando loro del sale fuor di modo, quando sono state col becco per pochi giorni avanti.

Vinc. Da qual tempo si debbe accompagnare le capre col becco?

Scal. Il miglior tempo è il mese d’Ottobre, & di Novembre: percioche, portando nel corpo l’animale cinque mesi, come fanno anco le pecore, & un’altro nell’allattarlo, ò poco piu, sono perfetti dopo Pasqua, quando non vi si dia fieno, come non si debbe dare; perche altramente perderebbono la lor delicatezza. Oltra che questa è la migliore stagione di tutto l’anno, per essere abondante di herbe per pascere benissimo, & per produr del latte in copia. Adunque vi si dà il becco alla capra dal detto tempo: & satisfatto la prima volta, subito vi si dà del fieno, ò semola da mangiare; & toltone otto, ò dieci bocconi, si ritorna à tal’officio un’altra volta alla medesima capra; & anco parendo al capraro, dopo haver mangiato similmente il becco, lo ritorna alla istessa capra la terza volta, & poi non più; anzi che si liga subito, accioche non si distruggesse con danno anco di quella che fussero concie da lui; slegandolo, & pascendolo al modo detto, secondo che ha da servir di una in una ne i medesimi giorni, che elle sono ben disposte à tal’effetto; poiche egli è ancor’all’hora talmente potente, che in quei mesi supplirebbe à cento, & anco sin’à cento cinquanta.

Vinc. Come si fà ad allattare dui capretti nati in un medesimo parto, come occorre un’anno più che l’altro?

Scal. Benche ordinariamente una madre fà più latte di quel che bisogna per un sol capretto; pero non essendovi all’hora capra priva del suo, non si manchi à quei dui di farli parte tettare dalla madre, & parte darli del latte munto sin che qualchuno resti senza il suo.

Gio. Bat. Et questo credo fermamente; percioche se una capra piglia amore ad un fanciullo (come molte fiate occorre) che non habbia chi li dia latte, andando più volte al giorno con le gambe à traverso della cuna (& massimamente quando piange) porgendovi le tette in bocca sin ch’è satollo, quanto maggiormente debbe far’ad un animale della sua specie?

Vinc. Come voglion’esser’i becchi buoni circa alla statura, & alla età innanzi che si congiungano con le capre?

Gio. Bat. Non sono buoni se non dopo che hann’un’anno, & durano perfetti al generare sin’à i quattro, & poi si vendono à i beccari, essendo castrati, & nò. I quali si hanno per migliori quando han la testa picciola, le orecchie grandi, & pendenti, la barba lunga & folta, il collo grosso & corto, il corpo tondo & largo, le gambe grosse; & non troppo alte, & il pelo chiaro & liscio. Et quasi similmente voglion’essere le capre; ma che appresso habbiano le tette grandi, & che siano ben larghe frà i galoni, cioè di sotto della coda. Et quanto più l’una, & l’altra specie crescono nell’età (non giungendo però alla vecchiezza) tanto maggiormente generano migliori figliuoli; & quelli solamente si debbono allevare, & non quelli che sono generati da’ padri, & madri molto giovani, ò troppo vecchi. Onde, si come è ben’à cambiar’il becco come passa quattro anni, cosi la capra è buona solamente fin’à i sei, ò sette al più.

Vinc. Fate voi differentia che questi animali siano più d’un colore, che d’un’altro?

Scal. Avegna che alcuni caprari hanno per più care le capre bianche, che d’ogni altro colore; dicendo che rendono maggior copia di latte: nondimeno le rosse, & nere sono più gagliarde, & più robuste contra i mali tempi, & per viver lungo tempo.

Vinc. Parimente vorrei saper se vi è differentia che questi animali siano co i corni, ò senza, come pochi se ne vendono.

Scal. L’haver’i corni, & nò, non fà che le capre siano più cattive, ò migliori: E ben vero che quelle che non hanno corni son più commode per star’in compagnia delle pecore, & delle vacche, come alcuni pecorari, & malghesi ne tengono (non però gran quantità) si perche sono di poca spesa, & si anco perche crescono il frutto del formaggio, & più della ricotta à tanto per tanto, che non fà il latte solo delle vacche, & pecore: Oltra che quelle non si spregnano fra loro, come fann’alcune volte quelle che gli hanno.

Vinc. Che ordine si tiene nel far pascere questi animali?

Scal. Si cacciano il più delle volte à pascere nel far del giorno mentre che cade la rugiada; percioche pascendo l’herba con quella, maggiormente ritornano à casa nell’hora di terza con le tette piene di latte; & poi si rimandino fuori dopo vespro, & pascono fin’à sera, & anco fin’ad un’hora di notte, & sempre senza lesione alcuna. Et medesimamente al tempo che cadono le brine, si mandano à pascere dopo terza, & ritornano à casa di sera tardi; & di qua si vede quanto è gagliarda la lor natura.

Vinc. Per quanto tempo si mungono le capre, & quanto latte possono dare al giorno?

Scal. Si mungono mesi quattro fin cinque; dando ordinariamente la mattina con la sera libre tre, fin quattro di latte, il quale avanza (quanto alla bontà & sanità) quello di vacca, & di pecora.

Vinc. Non vuole à questo latte quel caggio istesso, & quell’agra, che si adoperano à quel di vacca, & di pecora?

Scal. Certo è che non si farebbe il formaggio di capra senza buon caggio, ma non già con l’agra; perche non venirebbe buona la ricotta; & però à farla delicata, vi s’aggiunge, altrotanto acqua, come si farebbe d’agra quando vi bisognasse.

Vinc. Hora che mi resta saper le infirmità di questi animali, desidero che mi diciate quelle maggiori che sapete.

Scal. Troppo avventurati sarebbono tutti i vaccari, & pecorari se havessero i lor’armenti della natura che son le capre, le quali sono talmente sane in questo paese, che (per l’ordinario) non muoiono se non per morte violenta, ò per vecchiezza. E vero, che a qualch’una le vien’il male asciutto, il quale asciuga talmente le tette, che non rendono latte alcuno, & si seccano come se fussero d’osso, & questa infirmità le viene per cagion dell’eccessivo caldo. Onde a levarla si piglia della panna di latte, & si ungono piu volte al giorno, sinche sono ritornate molle, come di prima.

Vinc. Essendo sano questo gregge come dite, & di cosi poca spesa, per qual cagione, di dieci capre che vi sono, non se ne tengono le cento, & le ducento?

Scal. Questo si farebbe quando elle non guastassero molte cose di valore, come fanno sempre. Et però non se ne tiene nel piano nostro per esser pieno di viti tenere, di biade morbide, di prati floridi, e d’altri frutti necessarii della terra; ma solamente si tengono ne i luoghi montuosi, & valli sterili, & sempre con buona guardia; perche altramente vi farebbono anco del male assai: Ma poche persone vi sono nelle ville di Valcamonica, di Valtrompia, & di val di Sabbio, che ne tengano più di quindici, ò vinti, & quivi le cacciano à pascere ogni giorno con bell’ordine, & con poco discomodo di tutti; percioche di villa in villa si osserva, che ciascuno à vicenda raccoglie tutte le capre della terra, & le caccia à pascere tanti giorni, quante sono le sue: Cioè, uno per haverne sei, ha parimente la cura di tutte per sei giorni; & un’altro che ne ha dieci, ò vinti, fà il medesimo officio per tanti giorni; & à questo modo vengano à essere governate benissimo di famiglia in famiglia (circa il pascere) con poco discomodo tutto l’anno, & senza spesa.

Vinc. Mi resta che mi mostriate le utilità che si cavano dalle pelli de i becchi, de’ capretti, & delle pecore, & che poi facciamo fine.

Scal. Non si fanno utri delle pelli di becchi, come si fanno delle capre, perche putirebbono molto di quel suo mal’odore; ma si confettano, & si conciano talmente in somacchi, che se ne fanno i più belli colletti d’ogni altra sorte. Et più ancora, essendo ben pasciuti questi animali, fanno sette, & otto libre di sevo, il quale è di maggior pretio assai de gli altri, per esser ben pagato da i speciali, per le molte virtù ch’egli hà contra diverse infirmità di noi mortali.

Poi delle pelli di capretti si fanno una infinità di guanti, di stringhe, stringhetti, & cintole. Et delle pelli di capre, non pur si fanno gran quantità di guanti, di camosci, di somacchi, & cordovani: ma ancora si fanno quanti utri si usano per condur più sorti d’oglii, di vini, & altre bevande.

Vinc. Che modo si osserva nel fare questi utri?

Scal. A far’un’utre di capra, si tronca prima la testa sola dal collo, & cosi i piedi sin’al secondo nodo; & poi scorticate il resto delle gambe sino alla natura, si roverscia tutto l’avanzo della pelle col pelo di fuori, & poi si gitta due libre di sale di dentro: il quale fregatolo benissimo tra nervo, & nervo con le mani, si fà tutta la pelle in un rotoletto ben serrato insieme: lasciandola cosi per tre, ò quattro giorni; & dapoi ritornandosi à salarla cosi pur di dentro, ma solamente con oncie quattro; onde fregandola un’altra volta benissimo, & rivolgendola medesimamente dall’altro lato ben stretta in un rotoletto, passato ancora altri tre, ò quattro giorni, ella resterà perfetta per conciarla con li spaghi in ogni buon utre, come si fa: Tenendola però sempre gonfia, & attaccata (mentre che non si adopra) à qualche cosa lontana dalla terra; accioche non fosse rosa, ò guasta da più animali.

Gio. Bat. Hora che ci havete chiariti di quanto vi ha richiesto M. Vincenzo, non solamente ve ne restiamo obligati, ma vi licentiamo anco che andiate alla montagna à governare le vostre care vacche, & pecore, aspettandovi con quelle à questo Settembre.

Scal. Voi mi perdonarete se in tutto non vi ho satisfatto come era il vostro desiderio, & il mio debito: Basta che ho da morire all’ombra vostra per quel servitor fedele, che sempre sono stato: & con la vostra buona gratia andarò à montare à cavallo.

Vinc. Andate nella buon’hora, poi che siete conosciuto per piu nobile d’animo, che non sono molti cittadini antichi. Et io similmente pigliarò licenza da voi M. Gio. Battista, promettendovi dimane di ritornare, accioche ragioniamo delle altre cose.

Gio. Bat. Et io v’aspetterò volontieri all’hora solita.

Il fine della duodecima giornata.

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