La decima giornata dell’Agricoltura

Di M. Agostino Gallo,

Sopra alcuni ricordi pertinenti all’Agricoltura.

Smontato che fu M. Vincenzo Maggio il decimo giorno per ragionare (secondo il solito) con M. Giovan Battista Avogadro, un de’ suoi servitori lo condusse nella grotticella dov’egli leggeva; laquale, essendo formata di bei lauri, & gelsomini; dopo le loro salutationi solite, si posero à sedere sopra alcune antigaglie di pietra, che vi erano per ornamento. Onde, vedendo l’Avogadro che’l Maggio era intento al mirare, & considerare la vaghezza, & freschezza del luogo, li parse di dire. Perche sin’hora habbiamo parlato delle più importanti cose, che convengono all’Agricoltura, ho pensato che ragioniamo ancora d’alcuni ricordi necessarij ad ogni padre di famiglia, che si diletti di essa. Et però cominciando dico, che fra gl’inganni de gli eccellenti ingannatori, non solamente è di mala sorte quello, che non è conosciuto per tale dall’huomo ingannato, ma peggior’è quell’altro, che si mostra utile, & non mai di danno alcuno. Ho detto questo, percioche voglio mostrarvene alcuni, che usano gli astuti massari verso de’ lor patroni, i quali pochi sono che li conoscano per inganni, anzi ve ne sono pur’assai, che fermamente credono che siano à lor beneficio.

Vinc. Perche fu sempre cosa buona l’imparare le cose giovevoli, mi sarà di gran contento se voi mi scoprirete tali inganni.

Gio. Bat. Quantunque io vi dicessi il secondo giorno, che i buoni massari (per l’ordinario) sogliono seminar nelle buone possessioni sessanta iugeri di frumento, & segala per cento, col fare le colle di otto, & di dieci solchi l’una, & trarli quarte sei per iugero di bella semenza; nondimeno replico quello, che fa il perfido massaro, il quale non resta di promettere il medesimo, divisando però nell’animo suo di far talmente quella seminata, che se ben sarà in misura i sesanta iugeri, per far le colle solamente di quattro solchi, & non darli più di quattro quarte di semenza per iugero; il patrone, pensando di raccoglier le novanta, & cento some di biada (come gli dava il massaro passato) à pena ne raccoglie sessanta. Onde, per non conoscer che quel danno proviene da i tanti solchi maestrali fatti di piu dell’ordinario, & molto larghi, non osa lamentarsi per haver veduto, che le biade erano sofficientemente spesse. Ne per questo patisce quel massaro, per raccoglier secondo le sue fatiche, & la semenza sparsa.

Vinc. Non è d’haver compassione à simili huomini, percioche dovrebbono aprire gli occhi; ma si bene quando occorre questo alle donne vedove, overo à i poveri pupilli.

Gio. Bat. Che diremo poi di quegli instabili, & vagabondi massari, che non possono stare appresso de’ patroni senon poco tempo? I quali, avenga che non dicano palesemente dopo S. Martino, di volersi partir l’anno seguente; tuttavia mostrano la loro intentione quando ordinano le viti al Gennaro, ò al Febraro; percioche non le conciano secondo il solito; ma scalvando gli oppii, ò altri arbori, li tagliano, che alle volte non vi restano rami per rampare i nuovi palmiti, che vanno tirati l’anno seguente. Et questo fanno per havere un poco piu legna; non havendo discretione al tanto danno, che patisce il povero vignale: Senza che per contrario, non castrano le viti, nè vi fanno speroni, che vi vorrebbono per produr nuovi maderi per far dell’uva l’anno seguente; anzi che vi lasciano il doppio legname; accioche producano per quell’anno frutto assai; non curandosi se ben l’altro anno vegnente habbiano da produrne poca somma.

Vinc. Tanto più sono ciechi quei patroni, quanto, che commendando simili massari, per vedere i maderi carichi di uva più del solito; non s’aveggono che quelle viti patiranno grandemente innanzi che siano ridutte al loro stato consueto.

Gio. Bat. Un’altro danno oprano i sagaci massari verso de’ patroni, quando sono per partirsi da loro, che non pure non colmano il pagliaro secondo il solito, ma consumano tutta quella paglia innanzi che finiscano di seminare le biade; ponendola abondantemente sotto à gli animali, & nelle pozze de’ letami. Onde se quei patroni considerassero che quel letame fatto in acqua e sempre di poco valore, e che vi converrà comprar dell’altra paglia, ò strame per far letto à quelli de’ nuovi massari, non comporterebbono un tanto interesse, anzi che gli obligarebbono ad ordinare benissimo i pagliari, & à non porre mai paglia, ò altro strame nelle dette pozze, ò fosse. Non facendoli mai buono quel che dicono; che mescolando questo letame cattivo con quel buono de gli animali, che tutto divien nuovo, per esser questa cosa simile all’altre lor sofistarie; come aviene quando pongono le lasagne in più piatti, & non havendo formagio per coprirne solamente la metà, benche tritino altrotanto pane, & lo mescolino per supplimento; vorrei sapere, se per haver coperto quei piatti di questa mistura, accrescono la quantità, & virtù prima del formagio. Il simil possiamo dire, che non aggiungendo essi altro sterco di quel ch’era nel vero letame, che per mescolarvi quest’altro fatto in acqua, non si guadagna se non la quantità, ma non già tanta utilità, quant’è la valuta di tal paglia, ò altro strame decipati vanamente.

Vinc. Quanto più è chiaro quello che dite, tanto più si mostrano ignoranti tai patroni, che comportano simili inganni.

Gio. Bat. Non è da tacere un’altro danno grande, ilquale non è conosciuto da molti patroni daneggiati da quei massari, che son’obligati à condur quelle paglie, ò altri strami comprati per li patroni à lire cinque più volte, & anco sei il carro per far letto à gli armenti. Onde, vedendo quei massari che costano à loro solamente la condutta, ne mettono sotto sempre buona somma; dicendo fra se medesimi. Facciamo del letame in quantità, che ci beneficia assai (ancorche in tutto non dicono il vero) & ne costa un niente à rispetto di quel, che costa à i patroni. Et tanto più possono dir questo, quanto che lo pongono nelle seminate che zappano, & che (per l’ordinario) hann’i du terzi di quei frutti. Che se tai patroni considerassero, che la terza parte del letame che all’hora li tocca (per haver solamente di tre some una) li viene più d’un ducato, & mezo il carro, io son certissimo, che non lodarebbono quei massari di questa astutia; ma divenirebbono diligenti, non lasciando poner sotto à gli animali, se non quel tanto strame che fusse necessario. Percioche, facendo letto superfluamente, quella superfluità rende sempre assai manco utile, di quello, che è il costo. Per tanto ciascun patrone dovrebbe far curar’almeno due volte le stalle ogni settimana, & specialmente quando gli animali vi stanno tutto il giorno con la notte; attesoche starebbono più netti, & si spenderebbe manco paglia, ò altro strame. Et tanto più si dovrebbe osservare questo buon’ordine, quando che quegli strami non sono necessari principalmente per ingrassar’i campi, ma sono bene necessariissimi per li bestiami; si per riposare sopra, come anco perche ci marcirebbono nel loro sterco, il quale (come ho detto) è quel solo che veramente ingrassa i campi. Ma seguendo gl’inganni fatti à i patroni, dico che alcuni massari danneggiano quando mietono le biade; percioche pattuiscono co i lavoratori, che in cambio della lor mercede habbiano una persona, & due che raccogliano le spiche che cadono in terra, & che à posta fan cadere; di modo che guadagnano il doppio, & più ancora. Et benche questo sia più danno à lor massari, che se pagassero quei mietitori à giornata, nondimeno li pare poco costo, poi che la metà di quel danno è anco del patrone.

Vinc. Non solamente tai massari fanno questo, ma peggio è, che anco i buoni, & cattivi nel raccoglier tutti gli altri grani, & nel vindemiare le uve, danno à sacco à i lavoratori ogni cosa per non pagarli à danari, per essere il danno commune col patrone.

Gio. Bat. Danneggiano i massari i lor patroni, & se medesimi, che son obligati à carrettare, e trainare nelle possessioni ogni anno gli otto, & più giorni con due, ò più carrette, e traine; percioche non tanto fanno questo ne i giorni di Santa Lucia sin’al Natale (per esser’i più curti di tutto l’anno) ma ancora cominciano à lavorar dopo terza, & si partono subito ch’è passato vespro. Et però i patroni dovrebbon’obligarli à far questo come han finito di seminar le biade; conciosiache arando à quel tempo maturerebbono anco quei terreni nel gran freddo; cosa che non maturano cosi, rompendoli al Gennaro, ò al Febraro (come fà per l’ordinario) per seminarvi i marzuoli.

Vinc. Sarebbe cosa buona che i patroni obligassero i massari con pena à questi capitoli, che son’utili all’una, & l’altra parte; & lasciar quelli, che solamente tendono à beneficio loro, & à danno de’ massari.

Gio. Bat. Un’altro inganno vogliovi parimente dire, che fanno molti massari à i lor patroni quando adacquano i terreni per far nascere le cattive herbe innanzi che vi si seminino i migli. La qual cosa, si come apporta in parte beneficio à quei massari (stando che non spendono la terza parte nel farli zappare) cosi non solo patiscono i detti patroni, per profondarsi in parte la grassa di quei tempi, ma restano etiandio danneggiati più ne i frumenti, che dapoi raccogliono.

Vinc. Questa è ben’una gherminella da pochissimi conosciuta: Avenga che sarebbono meglio tai massari à spender di più nel zappar quei migli, che rovinar simili terreni con acqua non necessaria, poiche anco essi patiscono cosi ne i migli, come ne i frumenti.

Gio. Bat. Medesimamente danneggiano i patroni, & se medesimi quei massari che letamano le viti, accioche vengano talmente morbide, che non habbiano cagione di zapparle. Onde, per morbidar troppo i loro palmiti producono manco uva, & il vino, non cosi buono, che con difficultà può durare. Che se le zappassero almeno quattro, ò cinque volte benissimo ogni anno, cominciando al principio di Marzo sin’al Settembre, & poi colmarle all’Ottobre; non solamente raccoglierebbono maggior copia d’uva, & buona; ma ancor’il vino sarebbe sempre migliore, & si conservarebbe più facilmente.

Vinc. Questa cosa non è mai da comportare, si perche si guadagna quel letame che convien maggiormente alle seminate; & si anco perche si raccoglie più quantità di vino, se le braccia fanno il debito, come havete detto.

Gio. Bat. Parimentc danneggiano i negligenti massari i lor patroni, & se medesimi, quando tardano ad ordinar le viti, à seminar’i grani, à segar’i prati, à tagliar le biade, à sterpar’i lini, à zappar’i migli, & à far’altre cose simili. Et però quei patroni dovrebbono sollecitarli; percioche (come ho anco detto) non si può pensar’il danno, che più volte segue, per tardare da un tempo all’altro, & da un sol giorno all’altro.

Vinc. Ancora questo ricordo è molto necessario, poiche in questo consiste tutta la vera coltivatione.

Gio. Bat. Un sol ricordo importantissimo dico ancora, che mai i patroni non si fidino de’ lor massari (& massimamente quando propongono qualche novità) percioche quasi tutti dicono quel tanto, che possa render’utilità à loro. Et però tanto più andranno ben le cose de’ patroni, quando ch’essi con diligentia intenderanno, & vedranno i casi loro.

Vinc. Si come questo ricordo è anco molto necessario, cosi saranno aventurati coloro che lo metteranno alla prattica.

Gio. Bat. Dapoi che habbiamo detto à bastanza de’ massari, è bene che parliamo anco d’altri ricordi utili. Et però dico ch’ogni Agricoltore sia prudente à non far mai cosa alcuna, se prima non vede esser più l’utile, che la spesa; & s’ingegni à far di quelle cose, che con lo spender poco giovino più, che con lo spender’assai. Come per essempio m’è occorso al presente nel far’otto vetriate in questa mia habitatione. Che essendone fatte tre con ducento occhi comuni l’una, che costarono vintiquattro soldi il cento; feci poi l’altre cinque della medesima forma con gli occhi più grandi, che costarono vintiotto, i quali supplirono con cento vintiotto l’una, quanto fecero i ducento. Di maniera che con cinque soldi che spendei di più, guadagnai per vetriata settantadui occhi, che mi sarebbon costati (con la fattura, & piombo) settantadui carantani, che fanno cinquantaquattro soldi. Cosa in vero molto notanda per lo più utile, per la più bellezza, e per la più luce ch’essi rendono de gli altri mezani.

Vinc. Quali cose havete voi dette nell’Agricoltura che siano simili al costar poco, & di maggior’utilità?

Gio. Bat. Primamente vi dissi, che ad arar bene, tanto basta un paio di buoi, & un’huomo (arando con ragione) quanto con quattro buoi, & dui huomini, come per l’ordinario si fà.

Poi vi dissi dell’utilità grande che si havrebbe nel seminar le biade con manco grani, & che se ne raccoglierebbono più del solito, quando si facessero quelle fatture medesime, che si fan nel seminar’i lini.

Ancora dissi che si raccoglierebbono più migli di quel che si fà, quando si zappassero subito che si veggono fuor di terra, & non tardar à zapparli fin che son divenuti alti, per bisognarvi anco maggiore spesa.

Dissi parimente del letame accompagnato con la polvere raccolte per le strade nel gran caldo, il quale costa manco del puro, & fà produr’à i prati assai più herba. Senza che dando solamente quella, come sarebbe una palata per gamba di vite, le giova più che non fà il letame puro, il quale è di maggior pretio, & fà che quel vino resta di minor bontà.

Io vi potrei dir’ancora de gli altri essempi circa ciò (perche non miro mai ad altro che ridur le cose della mia Agricoltura à quella minore spesa, & à quel maggior’utile che sia possibile) ma per haverne detti à bastanza, dico che ogni Agricoltore non solamente debbe esser’intento sempre à conoscer bene la natura de’ terreni (come più volte ho replicato) & darli quel tanto, ch’essi appetiscono; ma ancor non può esser’eccellente s’egli non mira di continuo con quai modi può haver maggior beneficio col manco spendere, & con minor fatica.

Vinc. Veramente, se fussero osservate queste due cose (come fate voi) si arricchirebbono molto gli Agricoltori, & si beneficiarebbe anco assai più il mondo, di quel che vien fatto.

Gio. Bat. Hora, si come dissi del comprare, & trattare i buoi, & cavalli, ricordo parimente che l’Agricoltore sia liberale nel tener qualche bue, ò cavallo più tosto, di più, che di manco, accioche egli possa restaurar quegli altri, che alle volte si amalano, ò si stancano; non mancando etiandio à cambiarli innanzi che s’invecchino, ò che vengano di poco valore.

Poi sia diligente nel veder se un bue è à proposito per tirar con l’altro; percioche essendone uno, ò più picciolo, ò più debole, ò più pigro dell’altro non pur’il compagno portarà sempre maggior peso, ma andando tal fatica in lungo, sarà sforzato à crepare, ò gittarsi à terra.

Ancora è bene ch’ei vegga, se tall’hor un bue percote l’altro, & massimamente quando mangiano insieme; & conoscendo questo, ch’egli proveda subito, accioche non patisca talmente, che in pochi giorni venga al fine.

Appresso lodo che vegga se’l giogo, ò ruote, ò timone, ò altre cose offendono i buoi, che li proveda quanto più tosto può, accioche quel patir non sia con danno suo: Non mancando parimente à veder se qualche un pate nell’andare fra le pietre, per haver’i piedi molli, che lo faccia ferrar’innanzi che l’adoperi; perche altramente si potrebbe inzoppare, ò stroppiare per qualche tempo.

Non meno lodo, che’l detto Agricoltore faccia portar’à i buoi (mentre che lavorano) le coperte di tela; percioche sempre vi gioveranno nelle pioggie, ne i freddi, & ne gli altri mali tempi; & anco ne i caldi, & fastidiose mosche, per le quali li faccia portar non meno i cordarelli à gli occhi come si costumano; & il cavagnuolo legato al muso, quando lavorano dove sia herba, ò altra cosa verde; & specialmente quando si pascono solamente di fieno.

Un’altra cosa importante voglio dir’ancora, ch’egli stia, ò faccia stare il bifolco, over’il bovaro la notte sempre appresso à gli animali, accioche non siano rubbati, ò che slegandosi non s’offendano tra loro, ò per altre disgratie, come più volte occorre. Tenendo non meno chiavata la stalla, & bene scopata, non lasciando pender giù dal solaro parte alcuna di fieno, ò d’altro strame, accioche non vi si attacchi il fuoco; come più volte s’è veduto abbrusciare gran quantità di strami, di casamenti, di robbe, & di armenti con le persone insieme.

Vinc. Per una volta che s’è veduto cotal disgratia, io mi maraviglio che non occorrano più assai in quelle stalle, che sono talmente basse de’ solare, che si toccano con la testa.

Gio. Bat. Poscia che habbiamo detto quanto importa haver buona cura de’ buoi, è bene che parliamo anco de’ cavalli, & cavalle. Et però dico, che nel comprarli si piglino giovani, & ben qualificati di statura per l’Agricoltura nell’erpicare, & carettare, per esser più agili, & più utili in simili cose, che sono i buoi; & oltra che sono più commodi per cavalcare, & portare presto cose assai da un luogo all’altro; & che costano manco danari, & di minore spesa, si possono anco far pascere d’ogni tempo senza sospetto che si gonfino, come facilmente fann’i buoi, quando mangiano l’herbe tenere. È ben vero, che bisogna haverli rispetto nel farli sudare, per lasciarli raffreddare senza farli passeggiare, ò metterli de’ panni adosso; perche altramente divengono bolsi. Oltra che bisogna vederli spesse volte se sono mal ferrati, & provederli subito; percioche mancando di questo, s’inzopperebbono nel faticarli, & starebbono su la stalla per qualche tempo: Non mancandoli medesimamente à proveder quando le selle, ò bastine, over collane gli noiano.

Vinc. Perche il primo giorno voi mi diceste, che io comprassi buoi di meza sorte, & taceste le qualità che debbono havere, vi prego, che hora le narriate.

Gio. Bat. Primamente dico, che usiate ogni diligentia per haverne de’ buoni, percioche non mangiano più di quel che fann’i tristi. Et potrete creder che siano per voi, quando sono di conveniente età, grossi d’ossi, ben piantati, con le giogaglie pendenti sin’alle ginocchia, & che habbiano il petto largo, le spalle grandi, le groppe tonde, i fianchi lunghi, le gambe sode, le unghie dure, le corna alte, le orecchie pelose, le labra nere, & che sono di pelo rosso, ò fosco, il quale non sia troppo lungo, & molle nel toccarlo, ma con pelle grossa, & pastosa. Avvertendo però che non siano morbidi di coppa; perche sempre l’hanno amalata, & massimamente quando nel faticarsi li piove adosso.

Vinc. Desidero ancora, che mi diciate la sorte de’ cani, che io debba tenere per la custodia del cortile, & specialmente per lo tempo della notte.

Gio. Bat. Vi essorto che teniate un cane, ò dui mastini, i quali siano grandi, pelosi, grossi di testa, di gambe, di schena, & di tutta la vita; e che siano ancor’animosi, feroci, & terribili di voce, & più tosto neri, ò scuri, che di pelo bianco, ò beretino. Percioche, si come i pecorari, & i bergamini li tengono sempre bianchi, accioche siano conosciuti da i patroni, quando di notte combattono ’co i lupi; perche se fussero di pelo scuro, essendo soccorsi da loro, facilmente sarebbono feriti in fallo con le balestre, ò archi, ò con altre arme, che adoperano per amazzar simili fere; cosi per contrario vogliono essere scuri ne i cortili, accioche, entrandovi i ladri, ò nemici, per non poterli ben vedere, habbiano paura d’esser morsicati. Ma lodo che si tengano di giorno incatenati, con slegarli quando si fà notte; si perche non morsicano le genti, che di giorno entrano nel cortile, come anco che (stando alla catena) divengono ogn’hora più feroci.

Vinc. Con quali cose si possono mantener questi cani grandi senza darli pan buono per esser più tosto cibo per le creature humane, che per le irrationali?

Gio. Bat. Si vi può dar del panello di linosa mescolato col brodo di cucina, ò di quell’altro cavato dal latte, detto da altri siero; ma meglio è una libra di panello di sevo, ò poco più per cane al giorno, il quale (ancorche sia del migliore) costa poco più del detto di linosa. Vero è, che non essendo carestia, vi si può dar del pane di semola mescolato con qualche poco di farina grossa, detta da noi farinello.

Vinc. Io mi maraviglio che i cani cosi grandi de’ malghesi, & pecorari stiano tanto grassi, non pascendosi d’altro che di quel brodo ultimo di latte, come havete detto.

Gio. Bat. Si come vi ho detto de’ cani, che sono cosi necessarii à gli Agricoltori, cosi ci resta che parliamo de’ gatti, che sono tanto utili per li sorci che abondano ne i fieni, & altri strami; & massimamente al tempo del verno ne i fenili, & casamenti prossimi, ò che sono nelle possessioni. Percioche, non havendone, sono rosi i grani, i drappi, tele, grassine, & altre cose necessarie all’Agricoltura; & bisogna mentre che si mangia, ò si dorme, star sempre co i bastoni in mano.

Vinc. Dapoi che son chiaro de gli animali per conto dell’Agricoltura, aspetto che mi diciate anco le sorti de gli stromenti, che vi vogliono.

Gio. Bat. Primamente vi bisogna un carro, & più secondo la possessione, i quali sino di mediocre grandezza, & agili nell’andare, ben fatti, di legno buono, & ben cerchiate le ruote; perche vanno più facilmente, che ferrate di pezzi, & co i chiodi grandi capelluti, & si conservano più lungo tempo forti, & unite, senza farvi altra spesa. Le quali siano alte dinanzi non meno di oncie vintiuna, ò vintidue; & quelle di dietro vintisei; percioche il carro va con più facilità, che se sono d’una medesima altezza, come usano gli Agricoltori delle montagne; perche se fussero altrimenti, nel montare, & nel discendere, sarebbono di maggior fatica, & discommodo à gli animali che le tirano.

Poi sia fatto ogni carro talmente, che si possa far lungo, & corto secondo il bisogno delle robbe che si pongono sopra, & che l’habbia un paio di scale lunghe con li scalini solamente, per meglio condur’i fieni, lini, cove, stoppie, & altre cose simili; havendone ancor’un’altro paio più corte coperte d’assi accioche siano potenti per condurre biade, vini, legne, pietre, & altre cose di molto peso: Et che tutte habiano la catena dinanzi per legarle, accioche non carichino le ronghe dove si appoggiano, come farebbono quando fussero slegate.

Si habbia ancora una carretta da cavalli, che sia leggiera con le scale di scalini spessi, & le ruote medesimamente cerchiate di ferro, & che quelle di dietro siano più alte dell’altre, non meno di oncie quattro, accioche i cavalli la tirino più facilmente: Con la quale si può condur le robbe intorno senza molestar’i buoi, per non esser cosi agili à carreggiare di lontano, come sono per arar’i campi.

Appresso si habbia due carrette almeno, atte à carrettar la terra per conciar’i campi, & che ogn’uno sia più tosto per un cavallo, che per un paio di buoi, & c’habbiano le ruote alte, leggiere, & ben cerchiate; perche si fà maggior’opra, che non si fà co i buoi, & con le ruote basse.

Similmente lodo che si habbia una traina ben ferrata dinanzi, & con le sue catene, che van’attaccate à i buoi; percioche si conduce in un giorno più terra mossa, che non si fà con tre, ò quattro carrette; & specialmente quando non và più di otto, ò dieci cavezzi.

Parimente si habbia tre, ò quattro carriole da mano, per condur di quelle cose che non si possono co i carri, ò carrette cosi commodamente, le quali siano ben fatte, & cerchiate di ferro le lor ruotelle.

Ricordo poi che non si falli à conservar questi carri, carrette, carriole, & traine dal vento, dal Sole, & dalle pioggie; percioche mancando à questo, durarebbono poco tempo.

Vinc. Si come i detti stromenti sono sempre utili, cosi vi prego che mi diciate anco, come voglion’esser gli aratri, i vomeri, & gli erpici, per esser tutti stromenti importantissimi all’Agricoltura.

Gio. Bat. L’aratro vuol’esser talmente ben fatto, che nell’arare, il bifolco non sia offeso nel tenerlo, & nel far le arature giuste. Et però bisogna che le manizze siano fatte, & poste dentro con ragione, & che siano lunghe non meno di trenta oncie l’una, & l’aratro vintidue, ò più tosto vintitre, sin vintiquattro: Cioè quella parte chiamata dentale, che và sopra terra, & che si ficca nel vomero; facendo l’asse più lunga di quello almeno un’oncia, accioche ella rivolga meglio la terra. Et à questo modo non affatica tanto i buoi, come se fusse corto; & massimamente se’l vomero è lungo oncie undici, fin dodici oltra l’orecchie, & largo appresso di quelle non più di sette. Et però s’ingannano grandemente quegli Agricoltori che arano con gli aratri corti, & il vomer largo; si perche quanto più è largo, tanto più carica i buoi per la molta terra ch’egli apprende di continuo; come ancora perche, essendo l’aratro corto, è forza che l’asse sia anco corta, la quale assai più carica i buoi, per andar maggiormente à traverso, che non fà quando è lunga al modo detto. Si che, se l’aratro è fornito (come ho divisato) facilmente entra nella terra & fonda, & taglia quanto vuol’il bifolco; & non vi bisogna i dui, & tre paia di buoi, come usa la maggior parte de’ contadini con gran danno loro.

Vinc. Adunque, se questo è vero, s’ingannano ancor’infiniti huomini, che commendano quegli Agricoltori, che pongono quattro, & sei buoi all’aratro, credendo che coltivino meglio, che se ne mettessero solamente dui?

Gio. Bat. Non è dubbio, che si come non si debbe arare senon con un paio di buoi à proposito; percioche volendo il bifolco affondar l’aratro (come debbe far) è anco sforzato à pigliar di volta in volta tanta poca terra, che quegli animali non siano caricati più delle loro forze; cosi pigliandone troppo, non pur si fà superfluamente la spesa di tanti buoi (come ho detto) ma anco si ara ogni campo sempre malissimo: parlando però solo di quei tai terreni, che sono à proposito di poter far questo; & non d’alcuni altri speciali, i quali, per esser duri, ò crolli, ò troppo ghiarosi vi vogliono ancor’i quattro buoi, benche se ne pigli ogni volta poca parte. Ma parlando à coloro che fanno questa vana spesa nell’arare grossamente sette, & otto pertiche di terra al giorno; dico che volendo pur’ararne, tanta somma, è meglio ch’ogni paio di buoi, & huomo habbiano un’altro, perche arando tre, ò quattro pertiche per aratro, suppliscono à tutte le dette, & tagliano minuta quella terra.

Vinc. Lasciandovi quel che potrei dire à corroboratione di questa maraviglia non conosciuta se non da pochissimi; vorrei sapere ancora la cagion che move alcuni nostri Agricoltori ad usar’i pertegati, & non gli aratri al modo nostro.

Gio. Bat. Certo è, che l’aratro è migliore stromento, che’l pertegato, & ogni altro modello simile. Nè bisogna dire, che’l pertegato sia buono per arare; perche sia simile all’aratro di manizze, di dentale, di asse, & di vomero; anzi, per esser dissimile in commodità, in utilità, & in potentia, è inferiore assai; e che per haver l’aratro le ruotelle, il bifolco lo governa con minor fatica nell’arare, che non può fare il pertegato, ilqual bisogna esser governato per forza di braccia; oltra che l’aratro è più utile, & più potente per portare più lungo numero, & per ficcarlo, & affondarlo maggiormente nella terra. E ben vero, che’l pertegato, & il roversore sono di minor fatica à i buoi, perche portano minor vomeri, & non mai ruotelle, che li carichino di più peso. I quali son’usati solamente da quegli Agricoltori, c’hanno i buoi piccioli, ò deboli, & i terreni leggieri, ò ladini. Poi il pertegato è anco dissimile all’aratro nella burra, onde per non haver timoncello per attaccarlo al congolo del giogo, bisogna che la sua burra sia longa non men di otto braccia, & quella dell’aratro basta esser cinque, ò poco più; atteso che supplisce il timoncello, che và attaccato al sesetto delle ruotelle, & al detto congolo. Le quali siano fatte con ragione dell’altezza, & nel serrarle attorno, con fornirle di catena, che leghi la burra col sesetto, dove sono poste dentro.

Vinc. Lodate voi l’arare co i roversori, che ordinariamente usano i Cremonesi, Soncinaschi, Cremaschi, & altri paesi?

Gio. Bat. Non è dubbio alcuno, che si ara con piu facilità col roversore, che con altro stromento simile; conciosia che non ha ruotelle, & porta picciol vomero: ma è di maggior fatica al bifolco per tener la sua lunga manizza saldamente con le mani. Vero è, che voi farete ben’à tenerne uno come faccio ancor’io; percioche aprirete, & cavarete i fili delle viti alla primavera, & anco le colmarete all’Autunno senza offenderle, come fa l’aratro quando non ha la corvana, che copra il capo dell’asselletto delle sue ruotelle; oltra che romperete la prima volta quei terreni, che sono molto duri; atteso che si ficca dentro con facilità per lo bifolco, che governa quella sua manizza con tal destrezza, che frange, & spezza ogni aspro terreno.

Vinc. Considerando quanto sia di gran contento il sapere le diverse usanze intorno à questa professione, mi piacerebbe che ogni Agricoltore ingenioso andasse almeno per tutta Italia à veder quelle, che sono migliori delle nostre, per introdurle poi in questo sì famoso paese.

Gio. Bat. Non solamente mi piacerebbe questo, ma vorrei ancora, che ciascuno Agricoltore s’ingegnasse à trovare delle inventioni utili, come lodarei che se ne osservasse una; facendo i vomeri del più fino acciale che sia; percioche sarebbe d’altra utilità, che non sarebbe quel poco più di costo. Et questo veggo nel mio lavorerio per volervi almeno dui vomeri all’anno d’acciale non buono, che mi costano accommodati nell’aratro non men di soldi ottanta, & poi à farli aguzzare (massime quando i terreni sono duri per l’eccessivo caldo) almeno sessanta; perche li vuole ogni volta un soldo. Et per tanto ho deliberato di farli far d’acciale piu fino che possi trovare: percioche son certo che mi dureranno il doppio, & che non spenderò nell’aguzzarli più di dieci soldi. Senza che non faticaranno tanto i buoi, per non attaccarvisi la terra, come fa à gli altri tristi, per restar quelli lucidi, come l’argento fino.

Vinc. Poscia che mi havete chiarito de gli aratri, & vomeri, & di quella sì utile inventione, aspetto che mi parliate anco de gli erpici, come vi ho richiesto.

Gio. Bat. Veramente che questi stromenti non sono men necessarij de gli altri detti per meglio coltivare i campi. Come dice il Proverbio, Non manco giova il ben’erpicare la terra, essendo male arata, di quel che, fa il bene arare quando è mal’erpicata. Et però ogni Agricoltore doverebbe haver dui erpici di buon legno, ben fatti, ben ferrati, e ben forniti di denti: & che uno fusse grande, greve, & co i denti lunghi per meglio rompere, e tritare ogni terreno, per tanto quanto giungono sotto: & massimamente quando è attaccato à due cavalle, ò cavalli gagliardi, con l’haver sopra de’ legnami grevi, ò che’l bifolco, ò altro huomo vi stà sopra nell’andar sù, & giù, & à traverso. Poi circa all’altro erpice; dico che vuol’esser piu leggiero, & co i denti corti (pur di ferro) per erpicare innanzi al seminare i grani, & dopo ancora, per esser più commodo del grande nell’erpicare su, & giù, & à traverso (se tanto si può fare) fin che siano ben coperti. Oltra ch’egli è migliore per separar quei grani, & non ridurli à mucchio, come farebbe il grande.

Vinc. Di qual modello, & misura debbono esser questi erpici?

Gio. Bat. Si fanno lunghi quattro braccia, sin quattro, & mezo i tre legni quadri co i traversi, & si pongono dentro dieci, ò undeci denti di ferro per legno, lontani l’un dall’altro per drittura, quattro oncie & meza; & che fallandosi anco giustamente le linee, i denti buttano in terra solamente un’oncia, & meza per riga, secondo che va l’erpice: & à questo modo egli erpica benissimo.

Poi si debbe havere ancora un’erpichetta senza denti, e tessuta à traverso di vimini spessi, & grossi com’è un dito, & che avanzino di dietro le cime circa un braccio; accioche si possa spianare la semenza del lino, & calcare benissimo quella del miglio. Laquale, come non s’adopra, sia attaccata in luogo alto, per servirsene anco de gli altri anni.

Vinc. Qual modo vi par migliore à trifogliare i prati, senza solchi maestrali (come alcuni fanno) ò alla usanza della maggior parte?

Gio. Bat. Lodo il seminare il trifoglio ne i terreni senza solchi, & massime quando sono mossi sette volte in quattro arature, come fanno gli Agricoltori di Rovado, & di Coccalio.

Vinc. Chiaritemi vi prego, come si può far questo?

Gio. Bat. Essendo (per essempio) vignato quel terreno, cominciano fare il colmo in mezo della piana con l’aratro, & poi di mano in mano arano da ogni lato, fin che sono giunti à i detti fili, senza farvi solchi maestrali; onde quella piana resta, come se fosse una sola colla: & erpicano dapoi sù, & giù, & per traverso tante volte, quante veggono trito benissimo quel terreno. Poi passati quindici, ò venti giorni, l’arano doppiamente; facendo il primo solco appresso al filo delle viti nell’andare in suso, li volgono adosso il terreno; come sarebbe verso Oriente; e poi venendo in giuso con l’aratro fra il detto solco, & filo lo rivolgono verso Occidente: Et fatto questo, prendono dell’altro terreno seguente al medesimo solco fatto, e ribattuto (andando pure in suso con l’aratro) lo volgono anco da Oriente verso il detto aratro; & come sono in capo (ritornando in giuso) lo rivolgono medesimamente verso Occidente. Et à questo modo arano di mano in mano, volgendo, e rivolgendo ogni aratura, sin c’hanno finito tutta quella terra che vogliono pratare. Et l’istesso fanno nell’arare à traverso la terza volta, & anco la quarta sù, & giù quando seminano il frumento, ò segala. Erpicando etiandio sù, & giù, & à traverso benissimo sempre c’hanno arato, & seminato. Seminandovi poi alla Primavera il trifoglio, ilqual nasce facilmente, & viene bellissimo.

Vinc. Non solamente non è maraviglia se in quei piani mai non fallano i frumenti, ò segale, & meno i trifogli; ma ancora se questo modo di arare, & di erpicare trappassa quello della vanga.

Gio. Bat. Seguendo pure i ricordi utili, dico che ciascun’Agricoltore habbia dui ritoli grandi, e di legno greve, accioche possa far bene fuor le biade con un caval per ritolo; ma meglio è il carriolo con 4. ritoli con dui cavalli, per andar più veloci, e tritar fuori più facilmente i grani.

Ancora dico, che l’habbia una benaccia, e più, secondo l’uve che raccoglie, laquale sia grande, e d’assi à proposito, per condur l’uve à casa, & à i torcoli; havendo anco un benaccietto lungo braccia cinque in circa, per cavare, e tramutare i vini, & servirsene fra l’anno in altre cose.

Appresso ch’egli habbia delle tine, ò tinacci grandi; e più tosto di più, che di manco, le quali siano forti di legname, & cerchiate più tosto di ferro, che di legno: Sapendo anco, che quanto più somma d’uva, & vino bollono insieme, tanto più si purifica, & divien più potente. Ma meglio sono i tinacci quadri, sì perche tengono piu quantità d’uva, & manco luogo de gli altri; & sì anco, perche quando si vogliono adoperare non gli occorre cerchi di ferro, ò di legno ma solamente dar sopra i cogni che stanno ne i traversi; per liquali stringono benissimo.

Vinc. Dapoi che voi lodate questi quadri, che costano assai, & che vi vuol grand’arte à farli bene, non sarebbe meglio farli di quadrelli murati con calcina; poiche costarebbono manco, & non accaderebbe farvi altro che nettarli, & lavarli bene al tempo della vendemia.

Gio. Bat. Sarebbono buoni questi quando i vini non vi venissero più deboli, & di minor colore, che non fann’in quei di legno: Et questo è cosa credibile; percioche i vini non bollono cosi ne i vasi di terra (per esser freddi) come fann’in quei di legno, che sono per natura caldi. E ben vero, che li fodrasse benissimo d’assi di dentro, bollirebbono poi con facilità; oltrache sarebbono molto commodi; perche se ne potrebbono far più numero insieme co i tavolati d’un quadrello tra l’un, & l’altro.

Dico anco che l’Agricoltore habbia etiandio in copia botte grandi, mezane, & picciole, le quali siano buone, & ben cerchiate; vedendo ogni sera quelle, che han dentro vino, se gocciano, ò se patiscono per altra cosa. Ma non raccogliendo gran quantità di vini, è ben’haver le botte solamente d’un carro; perche oltra che sono commode nel maneggiare, & che vi si può tener più sorti di vino, non si patisce ne anche tanto quando si guastano, quanto si fà in quelle di quattro, ò di più carri.

Similmente ch’egli sia non pur copioso di gerle, sogli, barili, bottacci, fiaschi, & fiaschette per servirsene d’ogni tempo; ma ancora che l’habbia una statera grande per pesar’i fieni, & altre cose grosse: havendone anco una mezana, & una bilancia, & che siano sempre giuste: Havendo non meno una mazza per tagliare commodamente i detti fieni.

Ancora che l’habbia una quarta, & un coppo più tosto di ferro, che di legno per misurar’i grani, & altre cose: Havendo non meno un cavezzo tondo di braccia sei, il quale sia imbroccato, & con le vere d’ottone, ò di ferro à i capi, per misurar terreni, fabriche, & altre cose.

Vinc. Stanno certamente ben’in casa d’ogni Agricoltore tali stromenti, per non andar’à cercarli da i vicini quando bisognano.

Gio. Bat. Non manco è necessario, ch’egli habbia un palo di ferro grande per far buche alle piante di salice, di albera, & à i legnami che si pongono à le viti, & in altri luoghi: Tenendo anco tre, ò quattro mazze d’oppio ben cerchiate di ferro, & quattro, ò sei conii pur di ferro lunghi un palmo, & mezo per fender’i legni da brusciare. Havendo ancora buone securi, & forti securotti per tagliar, & fender detti legni, & per tagliarli dal piede, & per troncar, & quadrar’ogni sorte d’arbori. Oltra che sta bene ch’egli habbia delle falci per segare, messore per mietere, podetti per scalvare, & ronconi per tagliare spini, frasche, & altre cose. Et non meno che l’habbia podettini, coltelli, scarpelli, rasechine per incalmare, e tanagliuole per conciare viti novelle, cedri, & altre cose gentili.

Parimente ch’egli stia non tanto fornito di rasiche, di pione, e pionini; ma ancora d’una secure perfetta per tagliare, di manara per quadrare, di ascia per ugualare, di zappa secure per cavare, & di più trivelle, trivellini, martelli, tenaglie, sesti, cacciole, piombini per marangonare. Essendo poi non pur copioso di zappe, zapponi, picchi, rastri, badili, vanghe, pale, & forche d’ogni sorte; ma che l’habbia ancora un luogo accommodato per tenervi separatamente tali stromenti, ilquale sia sempre chiavato; & ritornatovi ogni stromento, com’è adoperato al suo luogo.

Vinc. Sì come mi piacciono i ricordi di tanti stromenti necessarii all’agricoltura, & alle fabriche; non meno io lodo quel luogo, che dite di tenerli uniti; percioche non sono cosi facilmente rubbati, & si possono ancor’havere senza cercarli per tutti i luoghi della casa.

Gio. Bat. Hora che habbiamo ragionato di queste cose tanto necessarie, è bene che parliamo anco d’alcune altre di commodità, & d’utilità. Et però io lodo a tener quel piu, & meno di vacche, che si può. Percioche oltra le vitelle, e vitelli, che si possono amazzare, vendere, & allevar commodamente, si cava anco copia di buoni formagi, butiri, fioriti, cavi di latte, giuncate, e ricotte: Cose tutte necessarie per la famiglia, & per li lavoratori pertinenti all’Agricoltura. Oltra che sono di beneficio per lo letame ch’è tanto stimato da noi Bresciani. Tenendo però solamente di quelle vacche, che sono allevate nel piano; percioche, tenendone di forestiere, bisognarebbe mandarle in monte al tempo del gran caldo; cosa che sarebbe di travaglio al patrone, per non poterle veder di continuo; senza che perderebbe anco le loro grasse.

Ancora si debbe tenere de’ porci per amazzarli grassi al tempo del freddo per bisogno della famiglia, & de’ lavoratori; tenendoli però serrati in luogo commodo per lo verno, & per l’estate, ilquale sia solato d’assi di larice sopra i travi di rovere, ò più tosto di castagna, le quali non si tocchino appresso un dito, & non vi sia il terreno appresso un braccio, accioche il piscio loro possa penetrare, & star maggiormente asciutti. Essendovi poi un’albio talmente accommodato, che vi si possa metter’il lor mangiare senza aprir’altramente l’uscio. A i quali si possono dare le lavature della cucina, il brodo del latte, le ghiande di rovere, i frutti de i giardini, la diversità dell’herbe, le rape cotte con la semola, & senza; la melica macinata, ò cotta, & il farinaccio de’ pellizzari, ma non già quello de’ molinari; percioche fà la carne spongiosa, che abonda di spuma nel cuocerla. Ma sappiate, che non ogni porco è buono d’ingrassare; attesoche secondo la buona; & cattiva natura vengono anco più, & meno grandi, & grassi. Et però quando non si sà da chi siano nati, si piglino lunghi di schiena, di muso, di orecchie, & che mangino assai. Et chi può havere il porco maschio, lasci la femina; percioche la carne sua sminuisce più nel cuocerla, per non esser cosi soda, come quella del maschio: Avvertendo sempre ad amazzarli in Luna nuova, piu tosto che nella vecchia.

Vinc. Fra le cose, c’havete dette di questi animali, mi piace che si tengano serrati; percioche mancando di questo, non solamente nell’andare tutt’hora quà, & là (com’è la natura loro) fanno disperar quei della famiglia; ma spesse volte ancor’i vicini, dove occorre poi de’ rumori, e tal’hor de’ fatti cattivi. Et se pur si vogliono mandare à pascer nel tempo che non s’ingrassano; li mandino sotto la custodia de’ porcari soliti, ò d’altra guardia.

Gio. Bat. Parimente si debbe tenere una copia di buone galline, le quali non passino quindici sotto ad un gallo; percioche è meglio haverne poche, e buone, & pascerle bene, che haverne assai di tali, & quali; & questo è occorso alla mia consorte quando ne teniva 25. e trenta, non curandosi d’altro, che fossero solamente di belle piume, benche facessero pochi ovi: Onde vedendo io questo danno, ne trovai quindeci di bella piuma nera, e tutte capellutte col gallo simile, e molto bello, le quali ci fanno piu ovi in una settimana, che non facevano quell’altre in un mese.

Vinc. Per qual cagione le havete nere, & non d’altro colore?

Gio. Bat. Si come le galline bianche furono sempre biasimate da gl’intendenti, per esser deboli da allevare, da conservare, & perche fanno pochi ovi; cosi per contrario, le nere sono lodate, per esser piu forti di natura, piu saporite, piu sane, & perche fanno maggior quantità di ovi, & migliori de gli altri. Et questo si vede per isperienza, che gli Eccellenti medici lo dano à gli amalati, che più tosto mangino delle pollastre nere, che d’altra sorte (lasciando sempre i maschi, perche sono manco sani di tutte le pollastre) dicendo similmente de gli ovi. Aggiungendo che quelli delle pollastre sono più sani, più delicati, più pieni, & più copiosi di latte, che non sono gli altri delle galline; & specialmente quanto più queste sono vecchie. Et però ciascuno doverebbe rinovarle ogni dui anni, ò al meno ogni tre; percioche non solamente havrebbono maggior copia d’ovi, e migliori (per farne sempre manco numero, & manco buone le galline, quanto più s’invecchiscono) ma ancora sarebbono migliori da mangiare, che non sono le vecchie; le quali, alle volte sono di tanti anni, che vi bisogna una cavallata di legna à farle cuocere.

Vinc. Che cosa date loro da beccare tutto l’anno?

Gio. Bat. Io le dò più sorti d’herbe, delle conciature di biade, de’ migli, & de’ legumi. Poi oltra che le dò della melica, delle ghiande peste, & del pabulo raccolto col guadetto di tela ne i prati nuovi di Luglio, ò d’Agosto (per farle abondar d’ovi) le dò parimente della semola cotta nel brodo della cucina, del riso con la guscia, del miglio, & maggiormente del panico, & della vena. Ma per ingrassar quelle, & i capponi per mangiarle poi, non vi è cosa pari al panello di sevo.

Vinc. Che conditioni commode vogliono havere i pollari?

Gio. Bat. Non debbe esser posto il pollaro mai appresso alle habitationi del patrone; percioche i polli sono fastidiosi, & sporcano, & molestano di continovo la famiglia: & però stà bene che sia lontano dal casamento, & posto à Mezodì con un portico dinanzi tant’alto, che’l Sole nel verno possi penetrare per le finestre, & starvi sotto le galline con gli altri polli à beccare, & riposare. Il qual luogo sia più tosto grande, che picciolo, & c’habbia sopra un solaro buono, overo un volto bene intonicato, bene imbiancato in ogni parte, e ben mattonato il pavimento, accioche nè serpi, nè sorzi, ò altri animali possino noiare i polli. Non mancando à loro del beccare, del bevere, & del tenerli netti, & accommodati del dormire, & del far ne i muri i suoi nidi, per fare gli ovi: mutandovi la paglia almen’ogni dui mesi; & havendovi poi una quantità d’arbuscelli spessi non molto distanti dal pollaro, accioche vi stiano all’ombra al tempo del caldo, & si possano conservare da gli uccelli di rapina: I quali arbori siano di più sorti, per modo di vivaio: come sono oppii, morari, pomi, peri, & altri frutti, per piantarli di tempo in tempo, secondo che son buoni, & medesimamente rimetterli ogni anno. Et come sono nati i pollicini siano messi piu tosto dietro ad un cappone, che alla gallina; percioche sono meglio allevati, & difesi da ogni uccello, & quella fa anco più presto de gli ovi.

Vinc. Come si fa per introdurre tal’uccello à questo ufficio?

Gio. Bat. Si piglia prima un cappone sano, e potente, & pelatolo tutto sotto al corpo si ortica benissimo con ortiche forti, e dapoi s’inebria con suppe di pane in vino, & cosi ebbro si pone in un foglio, ò altro vaso coperto d’assi, accioche non fugga. Et fatto questo per tre dì continui, si pone sotto ad un cassolo di vimini con un pollicino c’habbia almeno venti giorni; onde (per l’amore che li piglia) vi si dà il giorno seguente quei pollicini che si vuole. Il quale, com’è posto in libertà, si vede cose grandi che fa nel pascerli, nell’allevarli, & nel custodirli. Percioche, non solo s’impazzisce di loro, quanto fa ogni altro uccello de’ figliuoli, ma ancora non gli abbandona mai nè di, nè notte, fin che le pollastre fanno de gli ovi, & i polli son divenuti capponi. Ma per haver de’ polli per tempo, si piglia una gallina Indiana passato Natale, la quale (essendo sana) si pone in luogo alquanto caldo con vinti, ò 25. ovi sotto di galline nostrane: Da i quali (essendo cosi buoni, & ella ben trattata) in diciotto, ò vinti giorni, escono tutti i pollicini, i quali si pongono con lei sotto un cassolo per giorni sei, ò poco più; non mancando lor mai del beccare, & del bevere, fin che vanno fuori sotto alla sua custodia.

Parlando poi delle qualità che debbe havere il Gallo, dico, che si pigli non molto grande, nè molto picciolo; percioche non sono cosi commodi per le galline, come sono gli altri. Ilquale sia di piuma nera, ò rossa, & con la cresta vermiglia, & ben crespa à guisa d’una corona, & non mai piana, per esser cosa che lo dichiara d’animo vile. Et oltra c’habbia la testa grande, il becco grosso, e curto, l’orecchie grosse, e bianche, gli occhi neri, la barba lunga, il collo alto, il petto largo, i piedi grossi, le unghie forti, le ali grandi, & la coda tant’alta, che le penne si rivolghino sin’al capo; sia anco (sopra tutto) innamorato delle galline, & audace per affrontar qual si voglia animale che le volesse offendere. Et veramente questo animale non pur è necessario per le galline; ma ancora perche col cantare à certe hore di notte, sveglia i religiosi ad orare, i letterati à studiare, gli artefici à lavorare, i viandanti à caminare, i mercanti à cavalcare, i massari a carreggiare, i linaiuoli à spatolare, & gli Agricoltori à preparare gli armenti per arare, per seminare, per adacquare, & per far dell’altre cose necessarie. Et però con ragion si dice, Che’l Gallo è l’horologio de i contadini: Come anco lo prezzano gli Alemani, i quali lo portano in pugno; & non solo ne i paesi loro, ma ne gli altri quando vanno alla guerra.

Qual’è poi quella creatura che faccia fuggire il ferocissimo Leone (signor di tutti gli animali quadrupedi) com’egli fa sempre? Percioche questo singular’uccello ha nel corpo, e ne gli occhi certe virtù spiritali, e certi sottilissimi spiriti (come dicono i Sapienti) che tantosto che si rappresentano alla vista di questo fortissimo animale, vi feriscono talmente le pupille de gli occhi, che li danno grandissimo dolore: Senza ch’egli è singolare nell’atto generativo, stando che non v’è altro uccello, che satisfaccia à tante femine, com’egli fa; nè che cosi animosamente le difenda da i nemici loro; & manco che sia cosi amorevole nel participar con loro ogni cibo, ch’egli trova. Et oltra ch’egli è singolare nelle cose dette, è anco singolarissimo nel portare le penne alte come bravo, la barba come huomo, li speroni come Cavaliero, & la corona come Rè.

Vinc. Veramente si può dire, che sì come il Leone merita il principato de gli animali quadrupedi, cosi quello rarissimo uccello è degno di maggior lode di tutti i pennati.

Gio. Bat. Dovendovi parlar’ancora circa il tener delle galline, & galli indiani; dico che ci vol un giardino, ò prato appresso alla casa; percioche oltra, che si posson’allevare, & tenere con poca spesa, si conservano anco più facilmente d’ogni infirmità; conciosia che’l proprio loro è di pascersi di herbe, di animali, & di aere: Ma vi bisogna un gallo audace, & gagliardo; il quale, passato l’anno, sarà perfetto per quattro, ò cinque galline, almeno per dui anni. Et come sono nati i polli, siano tenuti per un mese in luogo non freddo, & non lasciati andar fuori, fin che sono ben coperti di piuma, ò che faccia caldo; non mancando à pascerli di diverse herbe dell’horto cotte, di pane, & di ricotta. Et benche costino assai nell’allevarli; nondimeno perche sono delicati da mangiare, stà bene à tenerne & massimamente ad ogni persona nobile, per honorarsene con gli amici, quando questi maschi alle volte ne ho donati, & morti, che giungevano à trenta & trentacinque libre l’uno; onde le femine sono à pena la metà, lequali covano i loro ovi d’ogni tempo, & ogn’una sedeci, sin diciotto. Et perche è bene che quei polli nascano in Luna crescente (da che vengon tosto grossi) però si pongano à gli otto ò dieci giorni del nascimento di essa, che medesimamente nasceranno nel detto tempo.

Vinc. Mai non ho voluto tener di questi uccelli; parte perche muoiono facilmente, mentre sono piccioli; & parte anco, perche sono sporchi, dishonesti, & horridi da vedere per conto della loro testa: Et oltrache stroppiano, & amazzano molte fiate i galli nostrani; i pollicini loro spendono anco quattro volte tanto nel beccare, che non fanno i capponi.

Gio. Bat. Ancora io lodo à tenere de i pavoni colorati soliti, over de i bianchi; percioche non pur sono bellissimi da vedere, & molto buoni da mangiare, ma si allevano anco più facilmente de gl’Indiani: Senza che i maschi vivono i vinti, & vinticinque anni; & sono parimente guardia de i cortili; perche quando veggono gente che non conoscono nell’entrare avisano quei di casa col cridar loro. E vero che hanno tre difetti dannosi à i patroni. L’uno che consumano gli horti quando non hanno vicini i giardini, over’i prati. L’altro che, per dimorar volentieri ne i luoghi alti de’ casamenti rompono i tetti co i piedi. Il terzo perche sono molto lussuriosi, furiosamente rompono gli ovi alle pavone quando covano, accioche le habbiano in liberta loro. Et però lodo che all’hora siano poste in luoghi talmente serrati, che non siano molestate: Ma meglio sarebbe a metter quegli ovi sotto alle galline nostrane; percioche li caverebbono sicuramente, & le pavone attenderebbono à farne de gli altri in quantità: I quali siano posti in covo più freschi, che si può, & in Luna nuova; percioche escono gli uccelli, & più quantità di maschi. Non mancando di dar’alle pavone da beccare, & bere vicino al nido, accioche non si levino fuori, & raffrediscano gli ovi.

Vinc. Quantunque la carne del pavone sia delicata, & duri più tempo di ogn’altra, tuttavia ho inteso ch’è di poco nodrimento, di dura digestione, & genera humori melanconici .

Gio. Bat. Parimente stà bene l’haver due, ò tre oche, & un maschio (che cosi conviene) le quali siano più tosto bianche che berettine, per esser la loro carne migliore, & la penna più bella da vedere. Et questi uccelli, tanto più s’allevano facilmente, & vengono belli, quanto che son accommodati d’acqua corrente. Per tanto lodo metter’à covare al tempo loro de gli ovi assai, e più tosto sotto alle galline nostrane, che alle oche; percioche ne faranno maggior quantità: Non ponendone più di sei, ò sette per gallina (per esser grossi) & alle oche non più di quindeci. Ma perche vi sono delle oche, che più tosto morirebbono di fame, che partirsi mai dal nido; però si dia loro da beccare, & bere talmente appresso, che senza levarsi, possano satisfarsi del lor bisogno. Poi come sono nati gli ochini, non si dia loro, per dieci giorni, se non ortiche tenere tagliate minutamente con la farina, laquale sia più tosto di miglio, che di frumento; dandoli dapoi delle lattuche, ò maicole, ò altre herbe simili.

Vinc. Fuori che le oche sporcano dove habitano, & dannaggiano l’herbe col beccare, & con lo sterco loro; nel resto mi piacciono, perche sono buone da mangiare di prima penna, & quando han più tempo, essendo grasse; oltra che sono utili per la penna, & perche col lor vegghiare sono guardie fedelissime di notte; come mostrarono nel Campidoglio di Roma, quando destarono le guardie; le quali, combattendo valorosamente, ributtarono i nemici, ch’all’hora entravano.

Gio. Bat. Appresso io lodo à tener delle anitre; le quali (fuori che sono più picciole dell’oche) sono però quasi d’una medesima specie. Vero è, che’l proprio loro è di stare, & pascersi nell’acque; & massimamente nelle correnti, & basse che siano fangose, ò almeno herbose: Non lasciandole andar nelle peschiere; attesoche mangiano i pesci mezzanetti; & non essendovi tali acque, bisogna che habbiano una fossa d’acqua più tosto larga, che profonda, & sempre come piena. Onde, essendovi commodità di queste cose, & di cortile grande, stà ben a tenerne in copia; percioche, non tanto si allevano facilmente, & sono buone da mangiare; ma ancora sono utili per la loro penna (la quale è migliore, & più minuta, & più sana per dormirvi sopra, che non è quella delle oche) & perche fanno de gli ovi assai; i quali, benche non siano cosi perfetti per gli amalati, nè cosi delicati, come sono quelli delle galline, sono però buoni fritti, in torte, in minestre, & altri modi: oltra che si possono cosi metter sotto alle galline per covarli, come alle anitre. Tenendole però all’hora in luogo serrato, accioche non si partano dal nido, & vadano à bagnarsi, perche ritornando cosi sopra gli ovi, non sarebbono più buoni.

Similmente lodo à tener delle anitre Indiane; si perche sono più grosse di corpo, come perche mai non stridono. E ben vero, che fanno pochi ovi, & sono difficili d’alevar gli anitri; senza che i maschi non sono cosi buono il primo anno, come sono i nostrani per conto del generare, & perche sono meno lussuriosi. Et però vi vole gran diligentia nell’allevarli per quindici giorni, dandoli solamente del pane trito, dell’acqua assai ne i vasi dove si tengono; aggiungendoli dapoi della semola, & lasciandoli andar’all’acqua di fossa, & corrente, accioche possano pascersi d’herbe, & d’altre cose secondo la lor natura.

Poi à volerne allevar’assai, si pongono due anitre nostrane per ogni maschio indiano; percioche fanno de gli ovi’in quantità, & gli anitrini grossi; i quali si allevano più facilmente, & non assomigliano à quei forestieri, & manco à i domestici. Et oltra che sono di buona carne, & grossi di persona, non stridono mai, & fanno de gli ovi d’ogni tempo; da i quali però non nascono mai anitrini alcuni, per esser nati di due sorti, come anco fanno i muli, con le mule.

Vinc. Mi piace talmente questa terza sorte di anitre, che per lo avenire, vi prometto di non allevarne, nè di tenerne d’altra.

Gio. Bat. Ancora sommamente io lodo l’haver’una buona colombara, & più secondo la possibilità di ciascuno; percioche è cosa di utilità, & commodità per più mesi. Ma, volendole buone, vogliono esser separate da gli strepiti, dalle genti, da gli arbori, & dalle vie correnti; altramente sono molestati i colombi, & insidiati da gli uccelli di rapina. Et pero (essendo possibile) stanno bene ne gli spatiosi siti, & coltivati, & vicine alle acque correnti, accioche i colombi non vadino lontani à beccare, & bere in luoghi sospetti d’esser’amazzati, ò presi. Fabricandole però non troppo alte, accioche i colombi volino sù, & giù con men fatica, & che siano poste sopra l’Austro; percioche si compiacciono molto del Sole, quando batte ne i tetti, ne i corridori, & penetra per li finestroni, ò luceroni; & specialmente al tempo del verno. * Non facendo finestre picciole per entrare, & per uscire verso tramontana, ma dalle altre parti si; overo essendovene per la state, perche rendano fresco, siano chiuse innanzi del freddo. * Conciando talmente di dentro, che non vi entrino gatti, nè sorci; intonicando, & imbiancando cosi di dentro, come di fuori; & mettendo anco sopra i cantoni le sue lamere; percioche oltra che i colombi si compiacciono della bianchezza, non sono ne anche cosi insidiati, & mangiati dalle serpi, dalle lucerte, ò da i gatti, e sorci; come spesse volte occorre nell’altre colombare. Si entri poi per pigliar i pipioncelli, ò per farvi altra cosa, solamente per la usciera fatta à posta nel solaro, con scala da mano; & come si vien fuori (serrata prima la detta usciera) sia subito posta per terra, accioche qualche animaletto non vi rampasse, & entrasse. Non mancando à fornir le colombare di nidi per habitarvi, & concavi i colombi: I quali siano d’assi, di quadrelli, & di cavagnoli tessuti; accioche i colombi (secondo l’humor loro) habitino in quello, & non in quell’altro: Accommodando però quei nidi di mano in mano; ascendendo sin al tetto, sotto il quale sia intavellato, & imbiancato; ponendo i cavagnoli nel mezo sopra le pertiche, & canteri per accommodar meglio i colombi; nettando tutti i nidi più volte dello sterco, & d’altre cose; & massimamente nel gran caldo; percioche alle fiate abondano talmente di pedocchi, & camele, ò tarme, che li conducano co i pipioncelli quasi alla morte. * Oltra che bisogna non solo nettare benissimo tutti quei nidi, come ho detto; ma ancora al Marzo, & al principio di Novembre con tutto il pavimento, & ogni altro luogo. *

A fornire poi una colombara, si pigliano i pipioncelli di buona sorte, & non mai de’ bianchi (per esser’i primi veduti, & amazzati dagli uccelli di rapina, & si pongono dentro in libertà, con darli da beccare & bere col cornetto due volte al giorno, fin che beccano per se medesimi; & di più vi si cavano le penne maestre, come sono per volare, accioche vi stiano cosi almeno per cinquanta giorni: Che uscendo dapoi, non mancano à ritornare, & perseverare, come se vi fussero nodriti da i padri loro: Pigliando però solamente di quei che sono nati di Maggio, perche non sono offesi dal freddo, & sono di maggior prosperità per crescere, & per buscarsi più presto il lor vivere. Ma per ampliare ogni colombara per l’anno seguente, si lascian’andare tutti i pipioncelli che nascono da Maggio sin’à Settembre: ma gli altri anni solamente quei di Giugno, per essere quella stagione buona, per non mancar lor il beccare di tempo in tempo sin’al San Martino.

Io saprei dir’alcune vie per riempir le colombare de’ colombi di altri, ma perche non è cosa Christiana à spogliar qual si voglia, non sia mai vero che le palesi. Ricordo bene che non si manchi di dar da beccar’à i suoi quando non ne trovano in campagna; & massimamente d’Aprile, & di Maggio, per haver sotto gli ovi, ò scossi i pipioncelli; & darli più tosto del miglio, ò panico, ò granaccio cavato dalle biade, overo del pabulo che costa manco, il quale è anco perfetto per le quaglie & per li polli; non dandoli à quel tempo orzo, ne spelta, ne vena, ne melica, ò legumi: percioche i pipioncelli, non li potrebbono inghiottire, se non malamente. Et per minor spesa si dia di Decembre, di Gennaro, di Febraro, & di Marzo de’ vinaccioli; per liquali, oltre che viveranno quei colombi, non covaranno ne anche fin passato Marzo; onde quanto più tosto covano, tanto più facilmente i pipioncelli muoiono di freddo. Et per questo lodo che all’Ottobre si pongano le vinaccie con le guscie in quantità mucchiate in qualche parte separata del cortile, accioche i colombi possano intertenersi con quelle, quando altrove non trovano da beccare; & massime essendo coperta la terra dalle nevi; scoprendole però quando fusse nevicato. * Et però chi darà abondantemente da beccare à i loro colombi ne i tempi necessarii, non tanto ne cavarà sempre buona utilità, poiche non mai si partiranno; ma ancora venendone de gli altri, à i quali i loro patroni sono scarsi, gli acquistarà con buona conscientia.*

Vinc. Certamente che una buona colombara è di più utilità, & di minor incommodità, che non sono gli altri pennati che si allevano in casa; percioche si procacciano la maggior parte del tempo il lor vivere, & ordinariamente fanno sei, & sette volte gli ovi all’anno; & più ne farebbono, & venirebbono maggiormente grossi, quando si cambiassero le colombine casalenghe, come sono nate di otto giorni, con quelle delle colombaie, accioche si accompagnassero con quei maschi; ma fare con tal modo, che i padri & madri non se ne accorgessero: non ponendovi però maschi casalenghi, perche si accompagnerebbono con quelle della lor sorte, & ritornarebbono di compagnia ad habitar’al basso.

Gio. Bat. Non solamente mi piace questa mescolanza per le cause che dite; ma anco lodo che si tenga di puri casalenghi qualche numero, i quali siano però appartati dall’habitatione, accioche non la sporchino, & disturbino la famiglia; oltra che covaranno, & nodriranno con più commodità i loro pipioncelli. Onde essendo di buona sorte, & ben’accommodati di stanza, & del vivere, sono sempre più utili, più grossi, & più delicati di tutti gli altri.

Vinc. Hora che mi havete detto de gli uccelli, che commodamente si possono tener ne i cortili, vi prego che mi ragionate delle peschiere.

Gio. Bat. Quando vi sia commodità di acqua corrente, & di sito à proposito, e cosa buona à farne una bella intorno al giardino, over’al casamento (se tanto si può) à modo d’una fossa; percioche sarà sempre utile, s’ella sarà talmente accommodata, che non si possa rubbare ò fuggir’il pesce, ò romper il vaso.

Voi vedete, quanto è bella la mia, la quale non pur’è larga vinti braccia, & lunga seicento, ma vi entra l’acqua di continuo per la portella concia con la ferratella fatta con più buchi piccioli, & poi esce nel capo di sotto per un’altra più spessa di buchi di modo che non vi può uscir sorte alcuna di pesce, & ha tal sorte siepe di spini nella ripa della possessione, che nessuno può entrare per rubbarlo da qual si voglia hora.

Vinc. Si come io veggo che questa peschiera è una delle più belle, & delle più grandi, & delle più fornite di pesci grossi, & piccioli, di tante altre di questo paese; cosi desidero di saper’il modo che voi teneste nel fornirla.

Gio. Bat. Tantosto che hebbi fatto il vaso con le ferraglie, mandai di Maggio al fiume d’Ollio à comprar diversi pesci (per esserne all’hora abondantia, per andare in amore) cioè, carpene, dorade, cavecini, barbi, e tenche: I quali feci portare da dui cavalli in quattro barili con cambiarli l’acqua più volte; oltra che gittai dentro gran copia di gambari, lamprede, bozzie, serle, & verovi tolti nell’acque nostre; à tale che in un’anno l’hebbi fornita, come vedete. Ma non vi posi lucci; perche, come sono grossi, vivono solamente de gli altri pesci: cosa che non fanno quelli che ho detto, per non havere i denti, come hanno questi. Et però chi vuol buona peschiera, non solo non vi ponga luccio alcuno, ma venendovi, ò nascendovi, non manchi à levarli fuori; altrimenti distruggeranno in poco tempo tutti gli altri.

Vinc. Tanto più è da lodare una peschiera buona, quanto che non è di spesa alcuna, ma di assai commodità, di certa utilità, & piena d’allegria nel mirar l’acqua, & nel veder vagare, & guizzare i pesci.

Gio. Bat. Io haveva animo di ragionarvi intorno al governo delle api, ma perche vi sarebbe da dir’assai, & che’l Sole ci mostra c’habbiamo parlato lungamente, metteremo questo trattato ad un’altro giorno.

Vinc. Iddio sà quanto udirò volentieri questa divina cosa; percioche è di poca spesa, & di grande utilità. Ma non parendovi di ragionarne adesso, vi priego innanzi che ci leviamo, che mi chiariate almeno alcune cose che desidero sapere: cominciando à mostrarmi qual’è meglio à scalvare gli arbori all’Autunno, ò alla Primavera?

Gio. Bat. L’openione d’alcuni eccellenti Agricoltori nostri è, che in questo paese non si scalvino innanzi al verno: percioche sopravenendo gli eccessivi freddi, patiscono talmente nelle parti dove son tagliati, che tardano più anni à venir floridi come di prima: oltra che spesse volte seccano, come s’è veduto nel tagliare i boschi, & specialmente in quelli della nostra Città. Perche non curandosi coloro, che li pigliano del tanto male, che vi fanno nel tagliarli avanti il verno; li tagliano per la lor sola, & propria commodità: cosa che non farebbono quando fossero loro proprii. Et però gl’intendenti che ne hanno, non solamente non li tagliano dal piede in quel tempo, ma vendendo quelle legne, obligano i compratori à non tagliarli, fin che non è passato S. Antonio, & per Luna crescente. È ben vero, che per brusciarle, durano più su’l fuoco se sono tagliate per Luna vecchia.

Vinc. Ancora io ho sempre osservato questo nel tagliare i miei boschi di Piedemonte, & massimamente quella parte che giace di dietro de’ monti per esser più sottoposta alla Tramontana, & à i grandissimi freddi. Oltra che ho ancora osservato à non scalvare sorte alcuna d’arbori, quando si trovano bagnati: perche sò quanto all’hora patiscono.

Gio. Bat. Similmente vogliono che più tosto si piantino gli arbori che van troncati, passato ch’è mezo Gennaro, & per Luna nuova, che piantarli innanzi al verno: Percioche, venendo i potentissimi freddi, patiscono grandemente in quelle parte ch’è appresso al taglio. Ma lodano però che sempre si facciano le buche, ò fosse almeno per dui, ò tre mesi avanti che si piantino: & osservano non meno l’altre cose che vi dissi l’altro hieri nel piantar’i giardini.

Vinc. Si come mi havete ragionato del battere le biade, aspetto parimente che mi diciate come voglion’esser le are.

Gio. Bat. Bisogna che siano primamente alquanto rilevate, & pendenti à mezo giorno, & talmente libere dalle muraglie, & da gli arbori alti, & folti (& specialmente da Oriente, & da Occidente) che i venti vi possano giovare nel palar’i grani; facendole anco lontane da gli horti, da i giardini, & dalle vigne; perche altrimenti patirebbono per la polvere, & per la bulla che d’indi escono. Siano poi serrate d’ogni intorno di legnami, ò di siepi basse, ò per altri modi, accioche non siano calpestate da i bestiami; tenendone non meno ben concie di terreno proportionato senza pietre, ò ghiara, ò sabbia, & che non si fessi; ma che egli stia ben liscio, & ben’uguale: Coprendole dapoi con paglia, ò stoppia, ò con meligazzi quando non s’adoprano, accioche non siano danneggiate da’ i venti, dalle pioggie, dal gelo, & dal Sole. Ordinandole poi innanzi che si comincino à batter fuor’i grani, con l’acqua mescolata con lo sterco de’ bovi, accioche s’inastrichino benissimo, & stiano ben salde alle percosse, che vi si fanno co i fielli, co i ritoli, ò co i carrioli. Havendo un portico aperto, & tanto lungo quanto elle si trovano larghe: per ridurvi sotto i grani netti, ò fatti fuori solamente quando sopravengono le pioggie all’improviso, & non meno al Settembre, & all’Ottobre (quando il tempo non è fermato) per farvi fuor’i migli, & ivi seccarli al Sole che all’hora vi batte sotto quasi tutto il giorno.

Vinc. Poscia, che son chiaro di questi ricordi, vi prego che mi diciate anco i mezi, per li quali si può sperar d’haver copia di frumento, & altri grani.

Gio. Bat. Cose assai si potrebbono dire intorno à questo che mi chiedete; tuttavia la prima è, che si rompano i terreni con l’aratro nel gran caldo, accioche siano (come più volte ho detto) trafitti ben dal Sole, il quale li matura, & gli netta benissimo.

Poi bisogna che le biade nascano bene, & che’l verno vada asciutto & con gran freddo; percioche andando cosi per tutto Gennaro (oltra che le biade maggiormente figliuolano) i vermi, & altri animaletti non le mangiano sotto terra. Ma vi resta che la primavera, & altri mesi seguenti facciano secondo che desiderano gli eccellenti Agricoltori, i quali per proverbio antico dicono.

Il gelo di Gennaro, il mal tempo di Febraro, i venti di Marzo, le dolci acque d’Aprile, le rugiade di Maggio, il bel mietere di Giugno, il buon battere di Luglio, & le tre acque d’Agosto per buona stagione, vagliono assai più che’l carro, & buoi d’oro del savio Salamone.

Vinc. Ho più volte udito questo proverbio da gli esperti; ma ne dicevano anco un’altro per conto del mal ricolto.

Maggio hortolano, assai paglia, & poco grano.

Gio. Bat. Sempre le molte pioggie furno dannose à tutti i grani, & alle viti quando producono i pampini, & più nel fiorir le uve, & gli arbori fruttiferi. Senza che li nuocono molto i freddi, & le nebbie che vengono à quei tempi, & anco quando fioriscono all’Agosto

Vinc. Dapoi che parliamo della varietà de’ tempi, vorrei sapere ancora i segni che occorrono quando ne i gran caldi, il bel tempo è per mutarsi in pioggia.

Gio. Bat. Parlandovi da Agricoltore solamente, & non da Astrologo, dico che tanto più segni mostra il tempo, quanto più per molti giorni non è piovuto. Come per un giorno, ò dui avanti si veggono la notte più numero di Stelle, la Luna circondata di vapori; & che gli armenti saltano, gli asini ragghiano, i lupi urlano, & gli uccelli non cessano di volare, i galli di cantare, le mosche, vespe, tafani, & pulici di morsicare, i delfini, & altri pesci di guizzare, le rane, & rospi di gridare, & le bisce, & benole di vagare; oltra che’l sale si fà humido, le cloache maggiormente puzzano; & le creature humane finalmente non riposano. Ma ancora è gran segno quando il Sole la sera innanzi s’insacca ne i nuvoli, & che la rugiada cade più del solito.

Vinc. Similmente vorrei sapere, come si debbe governar l’huomo, nel vender le biade, per esser cosi mutabili di precio?

Gio. Bat. Due vie ho vedute osservarsi da gli huomini prattichi. L’una è, che non le vendono quando sono in vil precio; & poi come ascendono quanto più gli altri le tengono, essi sempre le vendono. L’altra è, che quando vagliono conveniente precio, ne vendono una parte, come sarebbe al Carnovale, l’altra alla Pasqua (se la campagna è bella) & il resto al Maggio. Et à questo modo non si può fallare; percioche si vien’ad osservare quel proverbio che dice.

Meglio è vendere, & pentirsene, che tener, & disperarsene.

Ho poi veduti alcuni esperti, che quando vedevano le biade morbide al Marzo, nascondevano le chiavi de i granari; ma come à quel tempo era la terra bene scoperta, si mettevano à venderle; percioche, si come questo da speranza di gran ricolto, cosi quando è morbida, fà temer non poco d’haverlo cattivo.

Vinc. Tanto più mi piacciono questi ricordi, quanto che più volte ho veduto alcuni tanto crudeli, & pertinaci nel tener le biade quando erano pregati, che poi per esser’abbassate di pretio assai, sono poco men che morti di dolore, & altri si sono impiccati per la gola.

Gio. Bat. Avvertisca però ogn’uno à non misurar quelle biade, che sono state ammuchiate per alcuni mesi & anni, se prima non sono ributtate con le pale da un luogo all’altro; perche altrimenti perderà sei, & sette per cento. Vero è che la linosa fà al contrario; attesoche, essendo fatta fuor di Luglio, & d’Agosto (non havendo molta herba) sempre al San Martino si trova di più, sette & otto per cento. Et questo aviene, percioche quando si fà fuori, tal semenza al detto tempo, è talmente ristretta dal gran caldo che l’oglio (ch’è dentro) sentendo le prime pioggie, ò freddo, subito si gonfia, & cresce come ho detto.

Vinc. Che dite voi ancora intorno al vender de’ fieni.

Gio. Bat. Non si venda mai quel fieno à misura, ch’è tagliato, tenero, ma si ben’à peso; percioche l’esperientia ci fà vedere, che quanto più è segato men maturo, tanto più si calca insieme; onde si come misurando si mostra poco; cosi pesandolo si trova esser’assai più di quello ch’è stimato. Et per contrario, quando è tagliato troppo maturo, non è da comprarlo à misura, per mostrarsi più di quello ch’è à pesarlo. Ma sia sempre venduto ogni fieno di anno in anno; percioche tenendolo, quanto più è vecchio, tanto maggiormente peggiora in bontà, & nel peso.

Vinc. Non accade dir queste cose à i Bergamini, & manco à i pecorari, perche sono per natura talmente astuti, che tantosto che han veduto il fieno, giudicano con quanto vantaggio lo possono pigliare. Et però ci resta che finiamo per esser tardi. Dimane, non occorrendomi altri in contrario sarò da voi secondo il solito.

Gio. Bat. #id___DdeLink__62780_1165150356Et io vi aspettarò più che volontieri.

Il fin della decima giornata.

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