La nona giornata aggiunta dell’Agricoltura

Di M. Agostino Gallo,

Nellaquale si tratta di più cose diverse, ò piu tosto stravaganti.

Giunto M. Vincenzo Maggio il nono giorno da M. Gio. Battista Avogadro, & ritrovatolo ch’egli passeggiava nella sala grande; salutatosi prima amorevolmente l’un l’altro secondo il costume loro; & numerato le quindeci hore, che all’hora sonarono, si posero à sedere: Onde dopo alquanto, l’Avogadro guardando il Maggio, disse. Di quali cose, havete voi pensato M. Vincenzo, che parliamo hoggi?

Vinc. Perche habbiamo questi otto dì ragionato di molte cose con qualche ordine (quando vi piacesse) mi sarebbe caro, che dicessimo d’alcune ancora, che ci paressero da esser preposte diversamente, se ben’havessero, dello stravagante; com’anco venendo da voi, ho pensato di chiedervi.

Gio. Bat. Drizzate pur’il parlar vostro à quella via, che vi piace, che vi risponderò, per quanto sarà in me, à quel che mi domandarete.

Vinc. Io comincierò dunque à pregarvi, che mi diciate s’è meglio arare co i buoi, che co i cavalli, ò co i muli over con gli asini solamente, come fanno infiniti Agricoltori fuori d’Italia.

Gio. Bat. Non è dubbio alcuno, che à noi Italiani sono migliori i buoi di tutti gli altri animali; percioche la prattica ci fà vedere che sono più forti, più destri, & più commodi per coltivar le tante diversità de i terreni nostri, che si trovano ne i monti, ne’ colli, nelle valli, costiere, campagne, & piani. I quali, perche sono sterili, & fertili, leggieri & forti, aspri & ladini, duri & soluti, crolli & fegatosi, humidi & cretosi, ghiarosi & ledosi; giessosi & sabbionosi, neri & bianchi, rossi & bigi, & d’altre sorti che sarebbono impossibili à raccontare; non è dubbio che noi non possiamo adoperare animali più à proposito di questi, per arargli bene. La onde, per non essere generalmente simili terreni nella Germania, & in altre Provincie di quei climi prossimi, non è maraviglia se vi arano quasi tutti co i cavalli, come quelli che ne hanno una infinità, i quali sono talmente agili, che arano il doppio di quel che facciamo noi: Et questo avviene, perche essi hanno ancora gran copia di campagne spatiose, lequali sono per natura più tosto di terreni leggieri, che d’altre sorti. Et però non è gran cosa se raccolgono quei paesi tanta quantità di biade, come fanno; poiche sono cosi ricchi di terreni, che li lasciano riposare, non coltivandoli ogni anno, come per l’ordinario facciamo noi. Vero è che habbiamo questo vantaggio, che quando habbiamo adoperato i buoi nel coltivar’i nostri campi per qualche tempo; li possiamo ingrassare, & vendere à i beccari, over mangiarli in casa; cosa che non possono fare quei Settentrionali de’ lor cavalli, ne de gli altri animali detti.

Vinc. Poscia che io resto chiaro di questa prima domanda, desidero che mi ragionate intorno à i precetti del ben’arare, de’ quali (ancorche ne parlaste il primo giorno) son certo però, che non diceste tanto quanto se ne può dire.

Gio. Bat. Lasciando la maggior parte delle cose, che all’hora vi dissi, dico che non solamente la terra vuol’esser minutamente aperta, & fondata benissimo con l’aratro; ma bisogna ancora che sia bene spianata, bene netata, & bene ingrassata. Percioche, essendo fatta ben’uguale, oltra che le pioggie, & l’adacquare non la danneggiano nel condur’i grassumi altrove; il Sole parimente, il caldo, il freddo, & i venti maggiormente la bonificano. Et più dico, che, si come ritrovandosi ben’arata, si mescola la forte, con la soluta, la grassa con la magra, & ciascuna di esse col letame; cosi le semenze s’incorporano benissimo seco; & questo massimamente occorre, quando sono state ben rotte tutte le zolle grosse, & che la terra è divenuta ben trita, minuzzata, & ridutta in polvere. È vero, che alcuni Antichi vogliono che non si arino i terreni molto secchi, conciosia che si corrompono, & non ricevono i semi (cosa che facilmente poteva essere cosi ne i loro Climi) ma noi in questo nostro, ritroviamo esser sempre in contrario, & specialmente quando non si trovano humidati innanzi dalle pioggie; percioche, venendo dapoi elle sopra à i grani sparsi, non è dubbio che giovano perfettamente al nascimento loro, perche spolverandosi quei terreni subito (come fanno) nascono anco in un subito tutti i grani che sono per nascere. Lodo bene che non si arino quegli altri, che sono troppo molli, poiche vengono talmente duri, che per più anni non ricevono semenze. Et questo non falla mai; eccetto però, che se si aiutano col darli tanta somma di letame, innanzi che si rompano con l’aratro, per la potentia di quello, producono alle volte il solito ricolto. La onde non pure sono da lodare molto quelli Agricoltori che arano i loro campi, per non lasciarli indurire in tal modo che di vengono poi aspri grandemente; ma ancora che gli aprono in tal tempo, & con si buona industria, che le lor fatiche partoriscono sempre buoni frutti. Et certamente è di tanta importanza questo; che, si come arando l’Agricoltore i terreni quando fà bisogno li bonifica pur’assai; cosi arandoli ne i giorni quando sono molto bagnati; ò che non sono posati almeno un’mese dopo l’una, & l’altra aratura; pensando di far loro giovamento, fà il contrario; percioche, ò nuoce loro molto, ò almeno gitta al vento quelle fatiche.

Devono arare poi gli Agricoltori le terre deboli, & leggieri più tosto nel verno, che nella state; percioche quella per l’eccessivo caldo, risolve quella poca sustantia che esse hanno; & quello incorpora l’humore delle acque che vi giovano con la loro humidità. Ma le altre terre, & massimamente le forti, quanto più si arano di verno, & di state, tanto maggiormente maturano, & s’ingrassano. Oltra che fondandole benissimo (come ho detto) & con l’aratro, & tagliandole minutamente; non solo si distruggono le herbe cattive, & si rivolgono alla superficie quell’altre, che poi son percosse dal Sole, dal gelo, e da i venti, talmente che muoiono (& massimamente essendo cavate con gli erpici, ò co i rastelli, & abbrusciate) ma ancora per contrario, quanto più terra piglia il bifolco con l’aratro, e meno l’affonda, tanto più ella resta mal coltivata.

Vinc. Vorrei saper’ancora, qual letame lodate voi, che sia migliore per dare à campi, che vanno seminati, il vecchio, ò il nuovo.

Gio. Bat. Quantunque gli Antichi dicano, che à questi terreni si spargano più tosto i letami vecchi ben marci, che i giovani ben freschi, poiche questi producono assai più herbe cattive, che non fanno quelli; nondimeno perche i nuovi hanno maggior possanza d’ingrassare, io non istimo tanto quel produr di herba, quanto faccio conto dell’utile che rendono à i frumenti, & à gli altri grani. Come ben col fondamento della lunga prattica vediamo, che più beneficio rendono due carra di letame giovane, che non fanno tre & quattro di quello, che più è vecchio. Percioche, si come questo, quanto più tarda à spargerlo nella terra che và arata, tanto più di tempo in tempo và perdendo il suo vigore; cosi quello quanto più è sparso fresco, & rivoltato sotto subito con l’aratro, tanto più ha forza d’ingrassarla. Che se vi fusse qui il nostro nobile M. Alovisio Rodengo Agricoltore eccellente, voi lo sentireste dire à questo proposito, che quando fusse possibile, si doverebbe dar’alla terra ogni sterco subito, ch’egli è caduto dall’animale, poiche in sua specie hà quella perfettione di beneficiarla, che hà di giovare all’huomo l’ovo della gallina quanto più è nato di fresco.

Vinc. Chi facesse questo, si spargerebbe inutilmente la paglia posta sotto à gli animali, poiche ella restarebbe cruda, & non ben marcia, come si trova quando è stata ammucchiata con lo sterco almen’un mese.

Gio. Bat. Perche egli è altra cosa à parlar della paglia come paglia, & altra e à ragionar della bontà dello sterco, come ho fatto. Percioche volendosi l’Agricoltore beneficiare della paglia, ò dell’altro strame simile, non è dubbio che bisogna lasciarli in massa, ò pila, non meno d’un mese, accioche si marciscano bene. Ma si ha da sapere che quanto si tarda à spargerli & à sotterrarli, tanto più lo sterco perde il suo vigore, & la sua virtù.

Vinc. Ho pur’udito alcuni, che fanno professione dell’Agricoltura, i quali dicono che quanto più il letame è fresco, ch’egli maggiormente col suo gran calore affoga le semenze.

Gio. Bat. Se questo fusse vero, sarebbono malamente trattati i campi che vengono ingrassati malamente con la calcina viva in molte Ville del Comasco. Laquale rende tanta utilità almeno per tre anni, che io mi maraviglio che non sia usata tra noi, & ne gli altri paesi c’habbiano dello sterile, come hà il nostro.

Vinc. Voi adunque lodareste che s’ingrassassero i nostri terreni con quella, benche ordinariamente ci costa dui & tre marchetti il peso, & che ve ne debbia andare buona somma per iugero.

Gio. Bat. Considerando che à ingrassarne uno per tre anni almeno, ve ne basterebbe ottanta, sin cento pesi al più; io ho per certo che faressimo molto bene à darla à quei terreni che l’aggraddirebbono; conciosia ch’ella sarebbe di minore spesa del letame, il quale in più ville costa almeno cinque marcelli il carro; ma in alcune altre costa non manco di otto; & ve ne vole per iugero almeno cinque carra, & vi dura poco più d’un’anno. Perche non solamente havete da saper che la calcina rende più frutto del letame, & che il secondo & terzo anno giova più à i campi del primo; ma cuoce anco talmente i terreni, & distruge le cattive herbe, che le biade restano nette quando si mietono. Senza che non è poco utile, che in tre anni basta à dui iugeri, un sol carreggio di cento ottanta pesi, ò poco più di calcina; dove à letamarli di sterco in quel tempo al meno due volte, non ve ne vol meno di venti careggi.

Vinc. Quai sono quei terreni, che non sarebbono à proposito per ricevere questa calcina?

Gio. Bat. Dandola à i cretosi, à i pietrosi, à i ghierosi, sabbionosi, ledosi, crolli, & à i troppo duri, non solo non ve ne vorrebbe per iugero meno di ducento pesi, di vinticinque libre alla sottile, ma finalmente sarebbe ancora un gittar tale spesa al vento.

Vinc. Mi piacerebbe saper’anco, se si può dar questa calcina à i terreni con minor spesa, da qual tempo si debba spargere, e i modi che s’osservano.

Gio. Bat. Quanto sia à colui che l’ha da cavare pura dalla cesta per compartirla sopra la terra, non solo bisogna che sia vestito di tela bianca, & habbia coperto talmente la faccia, che per modo alcuno non li possa entrar la polvere, ne gli occhi, ne gli orecchi, nel naso, & nella bocca; ma ancora bisogna ch’egli sia seguitato dal bifolco, che di mano in mano la rivolga sotto terra con l’aratro; & dapoi vi semini sopra il frumento, ò altri grani secondo che ha dissegnato.

Poi perche vi sono altri che non vogliono spender tanto nella calcina, ne pigliano, come sarebbe la quarta parte manco per iugero, & l’accompagnano al Maggio con la terra cavata da i fossi, ò dalle ripe, essendo asciutta; facendo un suolo di quella, & un altro di calcina, fin che l’hanno finita, lasciandola cosi tre, ò quatro mesi; compartendo poi questa mescolanza al medesimo campo innanzi che l’arino l’ultima volta; & seminandolo subito che l’hanno arato, overo innanzi volendo che l’aratro rivolga i grani sotto. Ma meglio sarebbe à mescolarla con la polvere raccolta nel gran caldo per le strade, perche si spargerebbe meglio, & si compartirebbe minutamente per lo campo, & sarebbe anco maggior’utilità della detta terra per esser migliore.

Altri per spender ancora meno, pigliano solamente dui terzi di calcina per iugero, & lo mescolano al modo detto, quindici giorni innazi al seminare, col letame che si fà per le strade frequentate dagli animali. Et questa mescolanza finisce di fumare, e di cuocersi in manco di dieci dì: Laqual si sparge prima per lo campo, & poi arato innazi, ò dapoi che l’hanno seminato.

Vi sono ancora alcuni altri, che trovandosi haver buoni letami di stalla, non pigliano più che la metà della calcina per iugero, & poi mescolandola pur con essi à suolo sopra suolo dieci, ò dodici dì innazi al seminare, finisce di fumare cosi mescolata in poco più di sei giorni; onde sparsa che l’hanno per lo campo l’arano, & poi lo seminano di quello che piace loro.

Vi sono molti altri ancora il quel paese, che per manco spesa comprano da i conciatori di corame, il calcinaccio che loro avanza, & ne danno il doppio per iugero, di quel che fanno la calcina sola, & se ne trovano satisfatti almeno per dui anni. Et oltra che quelli Agricoltori comprano quanta cenere ritrovano nella città, & nelle fornaci, per dare à i campi dove seminano i lini, pagano non meno tutte le cenerate che avanzano alle donne nel fare le loro bucate. La onde io sono sforzato a dire che quelle genti avanzano tutte le altre dello stato di Milano in coltivar’il lor paese, che per natura ha dello sterile assai, come quello, che è pieno di una infinità di colli: i quali nondimeno con lo sforzo della lor grande industria, fanno riuscire fertili, & abondanti di tutti i beni; si come apertamente si può vedere dalla bella e dotta opera della nobiltà della città di Como, descritta in dui libri elegantissimamente dal mio M. Thomaso Porcacchi: il quale, si come è giudicioso, & intendente; cosi per la bontà, & facilità de i suoi nobili, & honorati costumi è da me singularmente amato & havuto per caro; & dal mondo per le molte sue opere, homai è conosciuto, & honorato grandemente.

Vinc. M. Thomaso è veramente come dite, & per tale l’ho io conosciuto, quando per vostra bontà ne havete fatto contrahere amicitia insieme, di che vi tengo obligo. Ma dapoi che havete parlato di questa cosi rara coltivatione, vorrei saper’anco, perche quegli Agricoltori seminano ne i lini più tosto il trifoglio, che il miglio?

Gio. Bat. Questo non ho veduto fare sul Comasco, ma si ben’appresso alla Gonzaga sotto Milano, & senza offesa alcuna del lino; percioche, com’è divenuto alto intorno à tre dita, vi seminano sopra il trifoglio, il quale viene tanto bello, che, cavato il lino maturo, lo trovano si alto, che lo segano poi innanzi san Iacopo; di maniera, che quando sono per seminarvi il frumento di Settembre, ò d’Ottobre (ancor che sia divenuto tanto alto, spesso, & netto d’ogni altra herba, che si potrebbe tagliare per pastura) lo rivolgono prima sotto per grassume con l’aratro, & poi vi si seminano sopra: Cosa che vien lodata da molti intendenti, per essere più utile il far’à questo modo, che non è dopo il lino, seminarvi il miglio, il quale, benche renda più utilità del trifoglio segato, nondimeno immagrisce di tal sorte quel terreno, che non tanto vi viene poi l’anno seguente à pena la metà del frumento di quello che vi fà venir’il trifoglio, ma ancora sente di quella magrezza almeno per dui anni.

Vinc. Ancora che voi mi diceste il primo giorno dell’abbruciar le stoppie, nondimeno mi sarà caro che mi ragionate di quali si debbono abbruciare, & il modo che intorno à ciò si debbe tenere.

Gio. Bat. Sono da lodare quegli Agricoltori, che non hanno carestia di paglie per far letto à gli animali, che le abbrusciano, & specialmente quelle che si trovano sporche di più herbe salvatiche; percioche, oltra che ingrassano quei terreni, che son restati deboli per il lor fruttare, abbrusciano anco talmente le dette herbe cattive, che con esse distruggono le radici, & infiniti animaletti, che danneggiano alcune volte le biade. Vero è, che bisogna far questo officio quando l’aere è quieto; accioche la cenere non fusse portata altrove da i venti grandi, ò che quel fuoco non danneggiasse i vicini, overo se medesimi; accendendolo anco sempre da quella parte dove spira qualche poco di aura, & massimamente quando è nuvolo, & che si può sperare qualche pioggia; percioche, sopravenendo dopo che fussero abbruciate, l’acqua vi gioverebbe nell’incorporar quelle ceneri con la terra, poiche sono cosi buona grassa, per giovar’à i grani nel nascere, & nel produrli al perfetto fine.

Vinc. Poscia che voi mi havete detto del far nascer ben’i grani, per ricordarmi anco che mi deste il secondo giorno alcuni modi pertinenti al far nascer ben’i migli, vorrei saper se li fate seminare prima, e dapoi volgerli sotto con l’aratro; perche doverebbono nascer più facilmente, per non esser cosi percossi dal calor del Sole, come sono essendo seminati sopra terra.

Gio. Bat. Mi dispiace che non vi dicessi, che mai non li faccio seminare sopra le arature; attesoche la prattica mi fà veder che essi nascono sicuramente à seminarli dopo ch’è spartito il Sole, & volgerli il dì seguente con l’aratro più per tempo che si può: I quali, per esser’humidati dalla rugiada, & coperti con poca terra, & dapoi calcati con l’erpichetta ben pesante, per due, ò tre mattine seguenti; non è dubbio che non facciano primamente le radici, & che non spuntino poi con facilità; percioche sono di tal natura, che passarebbono ogni grossa colla di terreno, che fusse sopra, non che la terra cosi ben calcata, la quale (come dissi) quanto più è soppressata, tanto manco son’offesi quei grani dall’eccessivo calor del sole.

Vinc. Hor che mi havete mostrato con quanta facilità si possono far nascere questi migli ne i caldi grandi, mi pare che ci dovrebbe esser’anco qualche via per far nascer’all’hora delle altre semenze.

Gio. Bat. Fù sempre l’arte talmente amata da gli huomini ingegnosi, che essi molte volte suppliscono à quello in che la natura ha mancato, ò manca. Ho voluto dir queste poche parole; perche non è dubbio che l’huomo giudicioso, può far con l’artificio nascer’ogni semenza al tempo de’ grandi caldi, nè vasi piccioli, & grandi al modo che vi dirò; nondimeno io lodo che si facciano solamente nascer quelle che vanno trapiantate, & massimamente stà ben’à seminare le semenze di mori, poiche queste nascono con maggior difficultà, di quel che fanno le altre. Onde à narrarvi il modo che si debbe fare, dico che bisogna primamente seminare tutte le semenze nel terreno buono, ben netto, & ben minuto, il quale sia posto (per più commodità del seminare qualche somma) in un vaso d’asse, che habbia le sponde intorno alte non più d’un palmo, & che sia largo & lungo quanto sono le carriuole, che si tengono sotto alle lettiere, per dormirvi detro; accioche havendo quel vaso le rotelle al modo che hanno le dette carriuole, si possa cacciarlo fuori alla rugiada, & come la mattina il Sole comincia à puntare molto, tirarlo all’ombra; & come la sera comincia à sparire, ritornarlo alla rugiada. Et questo si può fare di Maggio, & d’altri mesi caldi, & anco ne gli altri vasi mezani, e piccioli, per portarli dentro, & fuori à braccio. Avvertendo però sempre, innazi che si spargono tali semenze di ponerle nell’acqua per alcune hore; & come sono alquanto asciutte all’ombra incorporarle nella terra benissimo col rastro, ò rastello, bagnandole con la scopetta, quando havessero sete, & tenendole anco ben monde dalle herbe, che sopravenissero. Non mancando poi di ripiantar’alla primavera, per Luna nuova, tutte le piante d’herbe, ò d’arbori, che vi sono à proposito, e specialmente quelle de’ mori occuparanno, nel compartirle più di vinti volte sito; & ritrovandosi in buona terra, cresceranno con facilità.

Vinc. Come si potrebbono far in polvere tutte le zolle grosse, le quali sono alcune volte fatte tanto dure dalla gran secchezza, che il tempo passa del seminare?

Gio. Bat. Io non consiglierò mai alcun’huomo, che possa adacquare i campi copiosi di queste zolle dure, che gli adacqui; per disfarle; percioche vi farebbe assai maggior danno, che beneficio; ma li dirò bene, che pigli delle mazze lunghe un braccio, & non più grosse d’una gamba d’huomo commune appresso al piede, con lequali (essendo prima ben cerchiate di ferro attorno a i capi, & inhastate nel mezo, com’è grossa un’asta di zagaglia, lunga di tre braccia) batta di una in una le zolle con quei capi cerchiati; percioche à questo modo egli le manderà tutte in polvere, & con facilità.

Vinc. Poscia che mi havete facilitato questa cosa, che mi pareva difficile, ardisco di pregarvi d’un’altra, ch’è tenuta impossibile; cioè che mi diciate qualche via per far dileguar le nevi, quando massimamente sono state sopra le biade più di trenta giorni, & che finalmente le distruggono come vidi pochi anni sono.

Gio. Bat. Quantunque si dica per proverbio, che la neve per quindici, ò vinti dì è madre alle biade, & come giunge à i trenta diviene matrigna; & poi come passa le dà al sicuro la mala tigna: Nondimeno dico, che non solamente si può scacciare col farle andar’adosso l’acqua (quando però quei terreni non siano maligni, ò troppo forti) & romperla di mano in mano co i retaboli, co i rastelli, & con altri stromenti simili, finche fusse dileguata; ma che chi non havesse acqua, può erpicarla benissimo di giorno in giorno innanzi che’l Sole sia alto; percioche, essendo rotta l’agghiacciata crosta, egli col suo calore, più facilmente la scaccierà; Overo quando sia nuvolo, ella si dileguerà per lo tempo dolce, ò per la pioggia, overo finalmente per li venti.

Vinc. Se io dicessi queste cose à’ miei massari, mi risponderebbono, che nello scacciarla con l’acqua, si danneggerebbono le biade, & i terreni; & che nell’erpicarla tante volte, vi sarebbe di molta fatica, & spesa.

Gio. Bat. Quanto al danno dell’acqua, questo sarebbe poco a rispetto del gran beneficio che si farebbe à quelle biade; & quanto alla fatica & spesa dell’erpicarla, non è dubbio che sempre fù buono quel carlino, che guadagnò il ducato.

Vinc. Certamente questo ricordo è talmente buono, che non saprei pensarne un’altro migliore, eccetto se voi non mi diceste qualch’uno, che fusse potente contra alle tempeste.

Gio. Bat. Quantunque mi domandiate cosa, che non è in potestà dell’huomo; nientedimeno mi par di dirvi quel che fà ogni anno il nostro buon Curato. Il quale, già da quindici anni, non manca di benedire i campi confinanti alle altre Ville, il giorno di San Marco; per laqual benedittione, & per le Letanie cantate da tutto il populo, mai luogo nostro non hà patito danno alcuno dalla tempesta, dove per innanzi, ella ci dava di gran percosse.

Vinc. Perche io non ho mai veduto osservare questa divotione, mi sarà caro che mi diciate, d’onde questo Reverendo l’ha cavata.

Gio. Bat. Fra molti libri pertinenti alla cura delle anime, ch’egli studia di continuo, hà per molto caro il Sacerdotale, il quale hà una rubrica circa ciò, che dice cosi. In festo sancti Marci, sacerdos es benedicturus segetes, exiens cum clericis in agrum cum Cruce, & cereis, paratus cum superpelliceo, & stola; incipit Litaniam, qua finita, dicit. Kyrie eleison. Christe eleison. Kyrie eleison. Pater noster. & Avemaria. Domine exaudi orationem meam. Et clamor meus ad te veniat. Dominus vobiscum. Et cum spiritu tuo. Oremus.

Pietatem tuam quesumus omnipotens Deus, ut has primitias creaturæ, quas aeris & pluviæ temperamento nutrire dignatus es; bene † dictionis tuæ imbre perfundas, & tribuas populo tuo de tuis muneribus tibi gratias agere, ut à sterilitate terræ esurientium anima bonis affluentibus repleas, ut egerus, & pauper laudent nomen gloriæ tuæ. Per Christum dominum nostrum. Amen.

Omnipotens sempiterne Deus arbiter throni, qui molem terræ ex nihilo pendentem gubernas, & ad victum humani generis, corporisque sustentationem agros operibus excolere iussisti, misericordiam tuam supplices exoramus, ut quicquid in hos ægros salubris seminis satum atque plantatum est, respectu tuæ clementiæ prospicias, & aeris temperiem moderare digneris, ut resecate atque obsecto omnium tribulorum spinarumque squallore efficias, fruges fæcundas, & ad maturitatem perfectam tribuas pervenire, ut nos famuli tui uberem tuorum domorum fructum cum gratiarum actione percipientes; debitas atque acceptas nomini tuo laudes referre mereamur. Per Christum Dominum nostrum. Oremus.

Te Domine petimus ac rogamus, ut hos fructus seminum frugum, frumenti, siliginis, hordei, avenæ, ac aliorum cuiuscunque generis existant; tuis oculis hilarique vultu respicere digneris, sicut testatus es Moisi famulo tuo in terra Aegypti dicens. Dic filiis Israel, cum ingressi fuerunt terram Promissionis, quam eis daturus sum, ut primitias frugum offerant Sacerdotibus, & erunt benedictæ fruges; ita nos oramus te Domine, ut auxilium gratiæ tuae super nos, & hos fructus ad bene † dicendum proferendæ concedas, ut non grando surripiat, non turbo subvertat, nec vis tempestatis detruncet, nec aeris serenitas exurat; non inundatio pluvialis exterminet, sed incolumes superabudantes propter usus hominum ad plenissimam maturitatem perducere digneris. Per Christum dominum nostrum, Amen. Oremus.

Domine sancte pater omnipotens æterne Deus, mitte Spiritum sanctum tuum cum Angelis, & Archangelis tuis; & cum eis omnes sanctos & electos tuos, ut defendant segetes nostras à vermibus malis, sive ab avibus, ut magnificetur nomen tuum Deus in omni loco. Per Christum dominum nostrum, Amen.

Tunc sacerdos circumeat agrum, vel partes eius, aspergendo aquam benedictam. Et postea dicat.

Et benedictio Dei omnipotentis, Pa † tris, & Fi † lij, & Spiritus † sancti descendat, & maneat super has fruges, Amen.

Vinc. Resto molto sodisfatto di questa santa usanza, laquale si doverebbe fare in qualunque Villa, & lasciare homai le molte superstitioni, che si fanno, quando compaiono alcuni nuvoli neri, che minacciano tempesta, ò che la mandano; per le quali non è maraviglia se molte volte provocano l’ira di Dio, vedendo che molti danno più tosto fede alle false divotioni insegnate da diversi vagabondi, che alle buone che osserva la catolica Chiesa Romana, laquale non può errare, per esser governata sempre dalla santissima Trinità.

Gio. Bat. Sappiate ancora, che non pure questo nostro Parocchiano ha talmente disposto il popolo di questa Villa, ch’egli ha lasciato ogni sorte di superstitione, & d’incantesimi; ma specialmente ancora la festa commandata non balla, non giuoca à cosa alcuna di peccato, nè manco lavora, ò carreggia per qual si voglia cosa utile, ò per servire ad altri: Facendoli constare, che le avversità (per l’ordinario) vengono per li peccati nostri; come debbiamo credere, per li protesti, che faceva il Sig. Iddio al popolo d’Israel, che s’egli osservava i suoi commandamenti, gli haverebbe dato abondanza di frumento, di vino, & d’oglio con altre cose necessarie; & facendo altramente, l’havrebbe flagellato con diverse maniere di castighi, come faceva.

Vinc. Ritornando ancora à domandarvi delle cose, che sono in potestà dell’huomo, dico che sì come mi diceste il primo giorno del pigliare le topine, & il modo di far morire i vermi innanzi che si seminano le biade, cosi (essendo possibile) desidero che mi mostriate come si potrebbono amazzarli quando le mangiano nel tempo che non fa gran freddo.

Gio. Bat. Si vede chiaramente, che non è molto difficile all’huomo ingegnoso il provedere à cose assai, che paiano ad altri impossibili nell’Agricoltura, pur ch’egli voglia considerare il principio, il mezo, & il fine della materia, che vi si rappresenta. Et però, qual’è colui cosi rozo, che vedendo mangiar da i vermi le radici delle sue biade nel comparire, ò nel tramontare il Sole, non debbia conoscere, che ogni verme è vicino alla superficie? come molte volte in quel medesimo tempo muove anco le foglie. Onde non è cosa difficile, che allhora non lo possa scoprire col badile, & amazzarlo. Che veramente è gran pazzia d’ogn’uno, che miri ogni giorno il danno che gli vien fatto, & si rammarichi, come se gli rodessero il cuore, & non ci provegga mai al modo detto.

Vinc. Perche mi havete mostrato questo rimedio, desidero che mi mostriate anco qualche via per asciugare i paludi, che non sono circondati da’ monti, ò da’ colli, ò da’ siti più alti della superficie loro; percioche à questi non bisogna pensare, non che disegnare.

Gio. Bat. Si come voi dite, sarebbe impossibile à far’uscire le acque che giacciono fra i monti, e i colli, eccetto se non fussero scarpellati, ò vi fussero fatti gli sboccatoi sotto i piedi (cosa c’havrebbe molto del difficile) cosi sarebbe anco ne i piani, quando non si trovasse qualche poca, ò gran caduta; come al presente si vede c’hanno fatto i nostri Illustriss. Signori nella palude grande di Moncellese; laqual’è forse stata sempre inondata, dal tempo del Diluvio fin c’hanno forato l’uscita alla Battaglia, sotto al fiume della Brenta, & della strada maestra, che vanno di compagnia verso Padova. Onde passando queste acque con gran caduta verso Oriente, si cava da quei ritratti gran copia di frumenti, & d’altri ricolti. Ma perche vi sono pur’assai paludi prossimi alla Marina de’ nostri Illustrissimi Signori, & del Duca di Ferrara, che inondano una infinità di campi, perche non vi sono vie alcune da dar loro essito; non vi sarebbe altro soccorso, fuor che dove andassero le acque bassamente, far loro de’ fossi assai; i quali fossero talmente larghi & alti, che si potesse con quella somma di terra cavata, inalzar quei pezzi quadrati di lunghezza, come sarebbe 25. cavezzi sin’à trenta, & di larghezza poco di più; perche quanto più si trovassero questi campi di poco quadro, e co i fossi larghi, & ben fondati, non solamente si alzarebbono maggiormente con quella terra cavata; ma ancora le acque piovane, ò maritime, ò d’altre sorti, si governerebbono facilmente tutte in quei fossi, senza inondare altramente i campi.

Poi vi vorrebbe à pezzo per pezzo un ponte, accioche potessero passare dall’uno all’altro gli huomini con gli animali, co i carri, & con altri stromenti che vi bisognassero per coltivarli; Oltra che vorrebbono esser ben fornite tutte quelle ripe di salici, di onizzi, & d’altri arbori, che vengono belli in simili siti, & massimamente quando fussero di terreno leggiero, ò di sabbia, come ordinariamente sono: Et questo dico, perche quando si mancasse di piantarvi simili arbori, non è dubbio che le ripe caderebbono, & spianarebbono quei fossi.

Vinc. Veramente che io consento à questo che dite; conciosia che ho per fermo, che di tempo in tempo si leverebbono ogni hora più questi siti: percioche quanto più si curassero, & si fondassero i fossi, & si conducessero quelle curature sopra; tanto più è cosa certa, che non pur l’acque ò maritime, ò d’altre sorti che venissero in quei fossi, vi ridurrebbono continuamente delle sabbie, & altre terre (come sempre tendono a condurvene, & spianare) ma anco gli arbori farebbono tante foglie, che ingrasserebbono, & alzarebbono quelli campi, & massimamente quando di anno in anno si curassero benissimo, dove fussero cadute.

Gio. Bat. Oltra che sono buoni questi vostri discorsi, vi vorrebbe ancor’un fosso attorno tutto questo sito, il quale fusse molto più largo, de’ detti, che sono fatti per mezo in lungo, & à traverso; percioche si curarebbe tanta terra, che farebbe un’argine di fuori via cosi grande, che le acque grosse non entrarebbono da tempo alcuno, & specialmente che questo fosso passasse unito per una sola bocca, la quale si potesse serrare con una chiavica accompagnata da dui stivadelli di pietra, ò di legno di rovere, ò di castagna, & dalle catene (come in più luoghi simili si costumano) quando massimamente le dette acque grosse si gonfiano ne’ tempi de’ Sirocchi, ò d’altri venti potenti. Onde à questo modo non vi entrerebbono altre acque, eccetto che le piovane, le quali capite da i fossi, e come fusse aperta la chiavica, passarebbono per lo vaso maestro verso la marina, ò verso i laghi, ò ad altri liti bassi.

Vinc. Quando questi siti, si ritrovano accommodati a questo modo, come giudicate voi, che si debbiano coltivare?

Gio. Bat. Perche ordinariamente questi luoghi non sono molto levati dalle acque che vi restano sotto, ne dalle altre che vi portano i venti, ò pioggie, si appratano per sempre, ò almeno sin che sono talmente asciutti che si possano seminare di frumenti, ò d’altri grani secondo che più aggradiscono. Et quando sono pratati, vi si fà tanto numero di fenili con le stalle sotto, & co i portichi dinanzi, quanta è la quantità de i fieni, che si raccolgono, per ponerli à coperto, & albergar le vacche, ò altri animali che vi bisognano per mangiarli. Oltra che vi si accommodano le habitationi per gli huomini, che attendono à questi bestiami, & che governano i fieni. Vero è, che se questi siti si riducono in tal’essere che si possano arare tutti, ò almeno la maggior parte, & piantarvi delle viti, si compartono in belle possessioni, & vi si fabricano di una in una case & fenili talmente accommodati, che i lavoratori, ò i massari possano habitarvi volentieri.

Vinc. Come si potrebbe accommodare ancora in modo che desse qualche entrata quella parte di terra, che vien’anneggata solamente dalle acque piovane che non possono uscir fuori de gli argini fatti, accioche l’altre ò di mare, ò d’altri luoghi non entrino, come facevano innanzi che fusse circondata tutta la somma, che fù pigliata da sanare?

Gio. Bat. Io non direi mai che si seminassero questi siti di grani alcuni, poiche sarebbe difficile il raccoglierli, ma lodarei per sicura utilità, che s’empissero di onizzi, & si piantassero lontani l’un dall’altro un braccio per quadro; percioche non solamente ve n’entrarebbono quattordici mila quattrocento per iugero, ma ancora quanto più vi stessero, tanto più alzarebbono il fondo per le foglie che ogni anno caderebbono, & più per le radici che accrescerebbono sempre in grandezze sotto terra co i tronchi loro. Et oltra che queste cose asciugherebbono di anno in anno maggiormente i superflui humori di quei siti; verrebbono ancora gli onizzi talmente potenti, & spessi, che renderebbono ogni tre anni le tredici, & le quatordici mila fascine lunghe di due braccia l’una, & anco tutta quella quantità d’arbori grandi, quanti si vorrebbono per palificare ogni sorte di fabrica, che andasse posta sopra pali. Ma quando non piacesse di occupare tali siti à questo modo, vi si potrebbe far de’ fossi larghi almeno quattro ò cinque braccia l’uno, che cominciassero dal più alto luogo, & andassero drittamente al più basso ò fondarli quanto più si potessero, i quali si facessero lontani l’un dall’altro non più di vinti braccia, & si conducessero le terre cavate egualmente per tutti i siti vacui, ò vallati, piantando poi le ripe di onizzi, ò di salici, accioche non si spianassero quei fossi, & ponendo tra essi de gli altri onizzi spessi, come ho detto di sopra, ò seminandovi delle quercie, overo facendovi de’ prati, secondo che si giudicasse esservi maggior utilità. Non mancando però di curare poi i detti fossi almeno ogni dui anni; percioche oltra, che si farebbono maggiormente capaci per ricever le acque che vi venissero adosso; si alzerebbono, & s’ingorgherebbono sempre più questi campi fatti à prati, over’à bosci.

Vinc. Sapereste mai qualche rimedio buono per estinguer’un acqua non troppo grande, che risorgesse in una parte d’un campo, la quale non tanto lo danneggia, ma attrista ancor’il patrone, che per non haver caduta alcuna, non la può levare?

Gio. Bat. Non essendovi via alcuna per dar’effetto à simili acque, altro non so, eccetto che alcuni nostri Agricoltori mi accertano haverle estinte del tutto; non facendovi altro, che mandarle sopra delle altre acque correnti, per tanti giorni, che finalmente quelle sono state sforzate à pigliare altro camino, senza alcuno detrimento di esse.

Vinc. Mentre, che io mi ricordo, vorrei saper ciò che sentite nel seminar’i campi all’autunno; percioche molti paesi d’Italia, & forse tutti, non crescono la misura delle biade nel seminarle quanto più ritrovano i terreni grassi, anzi la ritirano dell’ordinario più tosto, & non à i magri. Et noi Bresciani, si come diamo à i mediocri ben coltivati sei quarte per iugero; cosi ne diamo sette, & otto, & più ancora à i grassi; & à i magri non passiamo quattro; percioche vediamo che questi per la lor debolezza, non hanno forza di portarne più, & quelli per la loro fertilità sono potenti per portare la detta somma.

Gio. Bat. Per lunga esperientia si vede, che i terreni grassi ben coltivati, figliuola sempre maggior copia di spiche più lunghe, e più piene, che non fanno i magri, ancorche siano ben’ordinati; però è da lodare non solo quanto voi dite che fà l’Italia, ma ciò che dice ancora il famoso Columella, il quale similmente ordina, che si dia manco semenza di biade à i campi grassi dell’ordinario che si fà à i mediocri, & à i magri di più; dicendo, perche questi non hanno tanta possanza di far nascer’i grani, e di farli figliuolare, come hanno i grassi, che vi convien’anco maggior somma: Et quelli per contrario, che se fusse data loro quella semenza, che si fà à questi altri deboli, non è dubbio che non potrebbono figliuolare, come fanno sempre, & non si avanzarebbon quelle due quarte, ò più di semenza, che non si spargono per iugero.

Vinc. Poiche voi lodate questo seminare forestiero, per qual cagione gli Agricoltori nostri fanno sempre al contrario?

Gio. Bat. Quantunque questa cosa paia à molti di tanta maraviglia, nondimeno à gli Agricoltori detti pare che non vi sia molta differentia (quanto alla utilità) nel seminar’in un medesimo tempo dui iugeri vicini, & di un’istesso terreno fertili; dando al primo sette quarte di frumento, & del medesimo darne al secondo solamente cinque; percioche, si come il primo non può figliuolare senon poche gambe, per rispetto che vi è nata molta semenza di grani, alliquali bisogna anco tutta la sua grassezza per nodrirli fin’al fine; cosi questo secondo iugero, perche ve ne sono nati manco, figliuolarà talmente con la potentia della sua fertilità, che aggiugnerà à quel numero di gambe; che non ha potuto far nel nascere, le quali saranno più grosse, più lunghe di spiche, & di più bei grani, poiche egli sgorga solamente tanto quanto è la sua forza; e quell’altro primo, perche vi sono nati spessi i grani, non pure produrrà minori spiche; ma ancora farà talmente sottili le gambe, che per ogni poco di vento, ò di pioggia anderanno à terra. La onde possiamo concludere, che ogni Agricoltore, non può mai errare nel fare sempre tutte quelle cose, che la lunga prattica gli hà mostrato più utili; percioche non è dubbio alcuno, che questa sola è la vera maestra, che scopre i secreti diversissimi della terra, secondo che si trovano i climi suoi.

Vinc. Poscia che siamo intorno al seminare, desidero ancora che mi diciate la via di far nascer tosto i melloni, le pepone, & le zucche.

Gio. Bat. Si piglia al principio di Maggio del bullaccio (detto d’altri loppa, ò loccho) di frumento ben marcio di due anni, & si pone in un canestro, alto tre dita, & poi si mette sopra quella quantità delle dette semenze, che si disegna di far nascere; ponendovi altro tanto bullaccio, & dapoi altretante semenze; facendo cosi di suolo in suolo sin ch’è pieno. Il quale, posto nel forno dopo ch’è stato cavato il pane, & che’l calore resta alquanto tepido; subito sia chiusa la bocca benissimo, & vi si lasci cosi dentro per dui giorni, & dapoi toltolo fuori, & si trovano nate le semenze, le quali si piantano nelle buche col detto bullaccio posto prima in fondo mescolato però con alquanto di terra ben grassa; senza porvi più di quattro, ò cinque piante per buca.

Vinc. Mai non ho udito lodar tanto questo bullaccio, quanto fate voi in questo, & nel far’uscire in poco tempo le viti al far dell’uva.

Gio. Bat. Certamente se noi Bresciani non facessimo immarcire questo bullaccio all’autunno per darlo sopra i prati (come facciamo) & lo tenessimo separato in qualche luogo allo scoperto sin che fusse ben’immarcito, di dui anni, non solamente ce ne serviressimo nelle dette semenze, ma ancora nel piantare una vite à tutti gli arbori, che sono attorno à i pezzi di terre (quando havessero massimamente le radici di dui anni) & nel farla ascender tanto sopra à i grandi, quanto à i mezani, ò piccioli, poiche si cavarebbono tante uve senza impedimento di quei campi, che renderebbono un notabilissimo aumento di vino; oltrache si terrebbono talmente le ripe nette con la zappa nel coltivar le viti, che vi si potrebbe seminar bene sin’à canto à i fossi ogni sorte di grano; & non lasciarle occupar dalle spine, & da altre radici nascenti, ò dalle herbe salvatiche; come fanno molti Agricoltori ignoranti, che non si curano di coltivarle, ne per la utilità che ne caverebbono, ne per la bellezza che renderebbe non poco honore.

Vinc. Perche siete entrato à parlar di viti, mi sarebbe caro, che mi diceste il beneficio, che elle ricevono da gli Agricoltori, che le sotterano per tutto Ottobre, over sin’al San Martino.

Gio. Bat. Questo modo di sotterrare, non si fà senon à quelle viti, che si trovano ne i siti bassi, & molto scoperti alla tramontana, laqual le percuote talmente di continuo, che sopravenendo il gran freddo; facilmente gelano da la cima sin’alle radici; di maniera, che gelando, bisogna che siano troncate tanto quanto si veggono sopra terra, & raccolte per abbruciarle; aspettando poi che ributtino al piede de gli altri magliuoli, per produr dell’uva l’anno seguente. Là onde, non solamente non fallano quegli Agricoltori che le sotterrano ben cernite, & ben potate inanzi al verno; ma ancora, quantunque non gelassero se non più che rare volte (essendo solite ad esser sotterrate) pazzia sarebbe à non coprirle di terra; percioche, non essendo state rotte nel distaccarle da gli arbori, che le sostentano, & piegate sopra terra con destrezza, & dapoi coperte com’ho detto; non è dubbio che le assicurano che non gelano, come fanno le altre, che sono percosse da le acque, dalle nevi, e da i freddi; ma per essere state ben’ordinate nel potarle, si accommodano parimente in poco tempo à gli arbori, & si legano facilmente, & con vantaggio, secondo le usanze di quegli Agricoltori.

Vinc. Stando questi benefici, che voi dite, io mi maraviglio, che la maggior parte de gli Agricoltori non le sotterrino ogni anno; percioche se ben non vi fosse altro, che’l commodo del potarle in simil tempo, per esservi poco da fare, ciascuno non dovrebbe tardare sin’alla Primavera.

Gio. Bat. Veramente non ci dobbiamo maravigliare di questo, poi che quasi tutto’l mondo fa solamente secondo le sue usanze vecchie, non volendo accettarne molte altre assai migliori, che fanno infiniti paesi, & anco i proprii loro vicini.

Vinc. Mi havete ricordato della buona usanza de’ refi cosi belli, che si biancheggiano solamente in questa Patria à decene di migliara di scudi, che vanno per tutto’l Mondo; arte certamente degna d’ogni gran matrona, per esser cosa molto rara, & molto polita. Et perche io so che le gentildonne di questa Citta ne biancheggiano pur’assai; mi sarà gratissimo che mi diciate i modi, che si osservano.

Gio. Bat. La mia consorte con le donzelle, & con le servitrici, ne ordinano buona somma con piacere; facendo primamente la liscia piu forte, che possono, per mettervi dentro le accie, & poi levate fuori il secondo giorno, le scuotono benissimo, & le pongono in un’altra netta. Et questo fanno alternatamente per quindeci giorni, cioè un dì sì, & l’altro non. Et come sono divenute ben molle, vi fanno un’altra bucata; e nel metterle nel vaso di legno, detto da noi il solio, e da altri mastello, ò bigonzo, vi tagliano del sapone di mano in mano, secondo che le pongono dentro di suolo in suolo; e poi il dì seguente, le scuotono di accia in accia, & le distendono sopra le assi ben nette al Sole, & la sera le ritornano nell’istessa liscia ben chiara, & con l’istesso sapone, facendo quest’ordine di giorno in giorno, fin che le accie siano divenute à quella perfettione di bianchezza, che conviene a simil refi bianchissimi. Non si debbe però mancar di lasciare le accie sopra le tavole (fuor che quanto si scuotono con le braccia) e di far loro ogni dì la bucata perfetta sin’al fine. Et oltra che sapete, che sendo i refi ben lustri, e molto sottili, si vendono à i mercanti, che li portano in diversi paesi, i trenta, & quaranta soldi nostri l’oncia (come nel vero vene sono alcuni di tanta bellezza, e di tanta sottigliezza, che trapassano le sete, poi che stanno al pari de’ capelli di donna sottilissimi) sapete ancora che se ne spende in questa città gran quantità nel fare tanta diversità di opre à cartelle, che solamente i mercanti di Spagna ne levano à migliara di scudi; il che è grossa utilità; perche vi lavorano dentro le fanciulle, come passano sei anni, non che quelle di maggior’età, lequali guadagnano i tre, i quatro, e i cinque soldi de’ nostri il giorno, & anco più le ben prattiche. Et però non è maraviglia, se questi refi sono in tanta riputatione, che homai non vi sono se non pochissimi, che facciano lavorare con sete camiscie, & altri panni sottili di tela, ò di renso; percioche vedono, che le opre fatte di refe, son più durabili, e più vaghe, che quelle di seta, laquale per isperienza fa vedere, che non pur perde il colore com’è posta in liscia, ò bucata; ma ancora in poco tempo va in niente; cosa che non occorre al refe biancheggiato, ancor che sia lisciato, & fatto lustro al paro della seta. E ben vero, ch’io vi ricordo il modo che vi dissi il secondo giorno nel trattato de’ lini; che se l’osservarete, farete anco più facilmente bianchi i refi.

Vinc. Dapoi che vi resto obligato di questo bel presente, mentre che non vi chiedo se non cose senza ordine, vi prego che mi diciate ancora il modo del coltivare il zaffarano.

Gio. Bat. A piantare le sue cipollette, si vanga il terreno posto all’aprico, e non troppo magro, nè troppo grasso, e si piantano al principio di Settembre, lontane l’una dall’altra quattro dita, & si raccogliono i fiori aperti nell’Ottobre ogni mattina, e sera sin che fioriscono; i quali, scielti prima dalle foglie, si seccano al Sole, accioche il zaffarano si conservi. Et lasciate quelle cipollette cosi si coprono dopo S. Martino con quantità di graspi di uve torchiate, & si cavano al Marzo, dapoi che havranno prodotti i fiori per sette anni; le quali, fatte seccar’al Sole, e conservate in luogo asciutto, si ripiantino in altro terreno ben’ordinato nel tempo, & al modo detto. Et questo si fa, perche queste cipollette figliuolano tanto di anno in anno, che quando non si cavassero ogni tre anni, non solo non fruttarebbono, ma si suffocarebbono di tal sorte, che si distruggerebbono del tutto.

Vinc. Quanta utilita di zaffarano si può cavare à ragion di iugero?

Gio. Bat. Considerando che’l Bresciano val più d’ogn’altro forestiero, sendo in terreno à proposito, e ben coltivato, non si dovrebbe cavare meno di quindeci, e venti ducati il iugero. Et questo basta, poi c’habbiam ragionato assai. Dimane v’aspettarò, e trattaremo di quanto vi sie grato.

Vinc. Et io non fallarò a venire, per ritrovarvi ogn’hora più cortese.

Il fin della nona giornata.

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