La decimaottava giornata dell’Agricoltura

Di M. Agostino Gallo,

Sopra le cose dilettevoli della Villa, & quanto è meglio habitarvi che nella Città.

Essendosi partito messer Cornelio Ducco dalla possessione di Quincianello per andare all’altra sua della Villa di Piedimonte, & pasando dal Borgo di Poncarale, trovò Messer Giovan Battista Avogadro con amici ch’erano venuti da uccellare à perniconi co i sparavieri; & essendo smontati sulla porta sua per desinare insieme, fù anch’egli ricevuto da lui; onde havendo mangiato nella capella dell’horto unito col giardino; levandosi tutti da tavola (eccetto l’Avogadro, & il Ducco) andarono per lo giardino; il perche havendo commodità Messer Cornelio di parlare separatamente da gli altri, incomincio dicendo.

Posciache voi Messer Giovan Battista, con la vostra innata gentilezza, mi havete interrotto il viaggio per honorarmi à questa tavola, & che i vostri compagni sono partiti da noi per andare à diporto sotto all’ombre del giardino; spinto dall’amore che vi porto, son forzato dirvi, che mi è stato caro l’haver accettato la vostra cortesia; percioche non solamente mi havete dato occasione di veder questo sito, degno veramente d’ogni Principe, per esser’accomodato di sontuoso casamento, di vago giardino, di bell’horto, di ampio pergolato, & di grande peschiera; ma ancora per potervi narrare la maraviglia di molti della Città; i quali (conoscendovi per huomo di valore) vi biasimano che l’habbiate abbandonata per habitare in questa picciola Villa.

Gio. Bat. Messer Cornelio mio, perche sempre vi ho conosciuto geloso dell’honor mio; non posso mancare, che non vi manifesti le cagioni che mi hanno sforzato ad habitar’in quella Villa: Et tanto più potrò narrarvele, quanto che gli amici cominciano à prossimarsi alla porta del giardino per andar à riposarsi secondo la lor’usanza. Et però cominciando dico, che se coloro, che tanto mi biasimano, sapessero le cose che mi han mosso à stantiare in questo luogo, son certissimo che non mi riprenderebbono, ma più tosto, mi ponerebbono sopra la porta quelle parole, che meritamente furono scritte sopra quella del buon Catone Censorino, il quale abbandono le sue grandezze di Roma per godersi il rimanente di sua vita quietamente nel suo picciolo podere, come fece. O ben fortunato Catone, poiche tu solo sai vivere al Mondo.

Voi per più tempo havete veduto quale sia stata la vita mia; & tutto mi è occorso per le cattive compagnie. La onde finalmente (con l’aiuto di Dio) riconoscendomi, deliberai di abbandonare del tutto cotal generatione, & ritirarmi qui con animo di viver più costumatamente che potessi in questo tempo che mi resta: Et tanto più ogn’hora me ne trovo lieto, quanto io conosco, che si come quella vita mi era un’inferno continuo, cosi questa mi pare una vera sembianza del paradiso. Percioche qui sono cittadini accostumati, cortesi, pacifici da’ quali io sono amato assai più di quel che merito: Di maniera che possiamo dire, ogni cosa che si hà, esser più tosto dell’amico, che di colui che si possede.

Poi facciamo la vita insieme, hora nell’andar’à caccia, & uccellare; & hora à ragionare, leggere, cantare, sonare, giuocare, & mangiare come stamane havete veduto. Et se per caso nasce qualche rancore fra alcuno di noi, subito tutti gli altri fanno ogni buon’officio per addolcir quegli animi, accioche restino amici come di prima.

Cor. Veramente, si come mi è piaciuto udir per quali cagioni voi havete abbandonato la Città, & riduttovi in questa bella Villa, non meno questo del mantener tra voi la santa pace, mi gradisce tanto, che mai non lo potrei narrare. Che beata la Christianità se per ogni Città, Castello, & Villa si osservasse questo modo divino, & non il diabolico che oprano le lingue di Satanasso; non cessando di accender fuoco fra questo, & quello per aumentar’ogn’hora più le ire, & le controversie; gloriandosene dipoi come se fussero fatte cose degne di memoria.

Gio. Bat. Ancora ci possiamo contentare de’ nostri contadini, i quali non mancano d’amarci, & honorarci, con rispetto. Et guai à colui c’havesse ardimento d’offenderci, ò fare nella terra qualche cosa sporca; percioche concordevolmente lo scacciaressimo fuori de’ nostri confini per sempre.

Cor. Parimente questo non è poco bel modo per mantenere questa Villa netta di malfattori: Che per certo sono pur’infelici quelle, dove i cittadini à gara favoriscono cotali huomini; onde non è poi maraviglia se vi nascono tanti scandali, & specialmente molte fiate tra coloro, che non tanto fanno il fratello con essi maligni contadini; ma anco per ogni scelerità (contra di qual si voglia in secreto, & in palese) li difendono sfacciatamente. Che si come sono da biasimare coloro, che li trattano da schiavi, cosi sono da lodare quei cittadini, che han per cari i buoni, & i tristi se li tengono di lontano.

Gio. Bat. Sappiate poi che non manchiamo di soccorrer loro nelle avversità, & farli creare i figliuoli nelle lettere, & costumi, secondo la loro conditione; sovenendoli nondimeno con la borsa, ò con la robba quando non possono cosi in tutto maritar le figliuole, accioche maggiormente habbiano buona ventura. Et queste sono nel numero delle vere lemosine, per non esser’ingannati, come sempre avviene de’ tanti furfanti, e gabbadei che tuttodì van’attorno; dicendo diverse cose colorate di pietà; mescolate però con mille superstitioni, accioche (con queste vie diaboliche) essi scelerati possano più commodamente trionfare nella loro dishonesta vita.

Cor. O quanto sarebbon’avventurati i poveri di questo paese, & d’altri pur’assai; se per ogni luogo vi fussero gentil’huomini che facessero si fatte opere di pietà, & non li tiranneggiassero nella robba, nella vita, & nell’honore, come più volte vien fatto da molti huomini indemoniati.

Gio. Bat. Che pensate poi di quanta satisfattione mi siano le tante doti di questo sito non più lungo di un miglio & mezo, & altro tanto largo; il quale (per luogo piano) forse non hà pari in tutta Lombardia? Primamente si vede ch’egliè di aere assai buono, vicino alla Città cinque miglia, abondante di frumenti, migli, legumi, vini, & fieni; ma di lini non molto, i quali non sono men belli de gli altri. Oltra che di arbori non solamente tutti i campi sono benissimo piantati attorno, ma d’ogni lato anco tutte le vie, che da ogni hora che il Sol risplende vi si può andar per tutte le contrade sotto l’ombre.

Che dirò io poi delle tante acque limpidissime? Che certamente voi potete andar per contrada alcuna, ò volgervi à qual parte volete, che sempre non vediate diverse sariole, fiumi, acquedutti, rivoli, & altre acque correnti: Le quali d’ogni tempo mostrano (per modo di gara) di contender nel correre di continuo, come ben si possono mirare di una in una; percioche, qual corre à mezzo dì, quale a sera, quella dimane, & qual di pari và con veloce corso: Senza che (fra molte di queste) l’una sotto l’altra, & l’altra sopra à quell’altra per canali con si bel modo caminano, che paiono propriamente con arte fatte cosi, per fare stupir coloro, che vagamente le rimirano.

Cor. Confesso haver veduto più paesi di Lombardia che si adacquano; ne però mai ho trovato luogo pari à questo d’acque correnti; cose in vero, che hanno nella diversità, nella vaghezza, & nella utilità del maraviglioso.

Gio. Bat. Poi si come queste acque sono l’ornamento di questa Villa, cosi sono ancora il nostro tesoro; conciosia che irrigano abondantemente tutte le possessioni. Le quali, oltra che sono fresche nella stagion presente, & nel verno mezanamente calde, non meno sono ottime à gli armenti che all’hora mangiano i nostri fieni; attesoche (per raccoglierne noi in gran copia) alle volte vi si sono trovate più di cinquecento vacche, & innanzi, senza il buon numero di pecore. Et oltra che le dette acque ci sono di molta satisfattione per la bellezza, & per l’allegria che continuamente ci donano; ci sono anco di assai piacere, & utilità nel pescare: Perche fra gli spassi che prestiamo à gli amici che ci vengono à trovare, questo è il più grande; percioche quando vogliamo pescare, in poco d’hora asciugamo hora questa sariola, & hora quel fiume, ò fiumicello. Onde poi essi amici si compiacciono grandemente di quei maravigliosi effetti, che occorrono (quasi sempre) nel pescare. Poiche non è al mondo il maggior contento, che il veder venire da ogni lato, huomini & donne, vecchi & giovani, grandi & piccioli (& tutti scalzi, con guade, con stambucchine, con zappe, zapponi, badili, vanghe, pale, zucche, secchie, conche, ceste, & altre gnaccate simili, per poter meglio pescare. La onde, tantosto che veggono le acque divertite altrove (entrando allegramente tutte nel vaso) si pongono dietro à i pesci che guizzano, alle anguille che fuggono, alle lamprede che si infangano, alle rane, che saltano, alle bozzie che si nascondono, & à i gambari che s’intombano.

Poi non so huomo si malinconico che non scoppiasse di ridere, vedendo gl’infiniti atti che fanno queste buone genti nel pescare; perche alhora si vede chi chiude l’acqua, & chi asciuga il vaso; chi corre, & chi salta; chi cade, & chi leva; chi ride, & chi canta; chi piglia, & chi non sa tener la presa; & chi con cridi, & morfe non fann’altro che à questo, & quello dar la baia: Senza che alle volte si è veduto (volendo tre, ò quattro, ò più affrettarsi l’un più dell’altro per pigliare uno, ò più pesci) cadere sotto sopra mescolati nell’acqua, ò fango. Onde, per essere veduti talmente ingarbugliati, & levarsi poi in piede del tutto bagnati, & infangati, sentivasi da tutti gli altri un rumor grande di ridere, di gridare, di batter di mani, di badili, di vanghe, & d’altre cose assai; che per verità io non so qual ricetta si trovasse pari à questa per cacciare i tristi humori.

Chi non riderebbe fortemente ancora quando si mira questa buona gente haver (qualche volta) pigliato delle biscie per anguille, delle cagne per lamprede, & de’ rospi per rane? Tenendo poi in mano questi cosi abominevoli animali, per correr dietro à questo, & quello che ne ha paura. Per le quai cose, non meno allhora si è veduto gran rumore per lo fuggir di molti, per lo pianger de’ fanciulli, per lo cridar di giovanette, & per lo contrastar di donne, dico non solamente nel minacciarli con parole assai, ma con bastoni, con zappe, con pietre, & con altre cose adosso à quelli, per difendere se stesse, & gli altri travagliati. Hora che voi M. Cornelio mi havete ascoltato cosi attentamente, ditemi vi priego, che vi pare di queste nostre rusticane commodità, & di questi cosi piacevoli spassi.

Cor. Non tanto gli apprezzo pur’assai, per esser cose degne di ricreare ogni gentil’huomo, ogni Signore, ogni Prencipe, & ogni spirito gentile, ma ne sento gran consolatione ancora, per haverle voi narrate con tanta bella gratia, che mi è parso vederle, come se vi fossi stato presente.

Gio. Bat. Vorrei che fosse stato quì la vigilia di S. Giovanni, quando passarono innanzi terza con tre carrette le Illustri Signore, la Sig. Isabella Martinenga, la Signora Nostra Cavriola, & la Sig. Barbara Callina. Le quali accompagnate da più gentil’huomini, andavano à desinare à Dello col Magnifico Cavalier Carlo Averoldo, vero amator dell’Agricoltura, come testificano i suoi rarissimi giardini. Onde vedendo elle, che noi patroni havevamo asciugato il vaso della Garzietta, & che vi pescavano gran numero d’huomini, & di donne; si fermarono appresso la porta de’ Nobili Nascini, à preghiere però delle nostre gentildonne: dove ponendosi à mirare benissimo quei diversi atti risibili, che facevano quelle semplicissime genti nel pescare; ridevano di tal sorte, che parevano havessero à scoppiare. Et vedendo le nostre madonne questo sì bello trattenimento, si posero (con tal prestezza) à cuocere quivi su la ripa nelle padelle diversi pesci, ch’erano veduti da quelle Signore con tanta satisfattione, che non si potrebbe esplicare. Et fritti che gli hebbero, non solamente li presentarono ad esse con altri vivi conci in bei canestri; ma ancora una quantità di bei gambari donarono loro, dicendo. Dapoi che à vostre Signorie non è piaciuto di mangiar con noi di questa pescaggione, le preghiamo si degnino d’accettare almen questo presente, non havendo riguardo alla sua bassezza, ma al cuore di ciascuna di noi, che cosi amorevolmente glielo porge: Et elle rendendo infiniti ringratiamenti, come se havessero ricevuto ogni gran dono; dissero anco. Veramente che tutti voi siete degni d’essere invidiati da ogn’uno, godendovi sì felicemente (come fate) in questa sì rara Villa, che’l Sig. Iddio vi conservi in questo stato sin’al fine. Et dette queste cosi amorevoli parole, i loro carrettieri spinsero i cavalli al lor viaggio.

Cor. Si come quelle gentilissime Signore furno avventurate nel ritrovarvi in simili trastulli, non men ventura fù la vostra, havendo si bella occasione di accarezzarle, & d’honorarle con tali cortesie.

Gio. Bat. Ritornando pur’à gli effetti del pescare, dico che oltra à i detti spassi, prendiamo anco quella quantità di pesci, & gambari che noi vogliamo; de quali (quasi sempre) ne mandiamo à gli amici non poca somma, & quello che serbiamo, lo mangiamo cosi fresco fresco: Et questa è la vera via del mangiare ogni buon pesce.

Cor. Non è dubbio alcuno, che non vi è comparatione in bontà dal pesce morto, à quello che si cuoce vivo.

Gio. Bat. Seguendo similmente le commodità, che habbiamo quì; dico che pigliamo etiandio molta satisfattione da i buoni lattecini, che quasi tutto l’hanno habbiamo in copia. Et oltra che siamo patroni de’ buoni formaggi, & butiri freschi; più volte (per frugalità) mangiamo delle ricotte, fioriti, giuncate, capi di latte, lattemeli, & altre somiglianti cose; hora pure come vengono fatte, & hora diversamente artificiate, per farle più delicate: Senza che habbiamo non solo buona commodità di vitelli, di castrati, di pollami, di colombi, di anitre, di oche, di pavoni, di galline indiane, di carne salate, & di perfetti formaggi; ma ancora di buoni frutti, di cedri, di limoni, di aranci, di asparagi, & di artichiocchi.

Che diremo poi della satisfattione che noi habbiamo da i giorni che si mostrano più chiari, più sereni, & più lunghi che non fanno à coloro, che habitano nella Città? Percioche quando qui si scopre il Sole, ivi à pena comincia à comparere il chiaro: Similmente quando è nascosto nell’Occaso, si come nella città entrano subito le tenebre, qui senza lucerna poco men di un’hora si vede bene.

Parimente chi potrebbe mai esprimere la gran contentezza che pigliano coloro, i quali non pur gradiscono lo star’in Villa, ma amano etiandio maggiormente la pretiosa lucidezza del giorno, che la oscurità della notte? Onde udendo i vegghianti galli avanti il giorno, cominciando ad allegrarsi (per haver’in odio le piume) subito si levano fuori; ponendosi più volte nel gran caldo à mirare, & contemplare l’allegro nascimento della bellissima Aurora; mirando similmente la sua divina chiarezza, che à poco à poco và crescendo, finche il Sole (mandando primamente innanzi di se quei primi à guisa di striccie, ò faville d’ardente fuoco) co i suoi splendidissimi raggi, ferisce prima le superbe cime de’ monti altissimi, & poi uscendo pian piano fuor del mare, si fà compiutamente vedere splendentissimo. Scala certamente perfetta à tutti i belli spiriti, per salire, & penetrare ne i divini chiostri del cielo, per contemplare poi quelle altissime cagioni che malamente si possono spiegare con la lingua humana: Rendendo infinite gratie al sommo Fattore dell’universo, ilquale (fra gli innumerabili benefici che ci ha donati per sola sua bontà) ci ha proveduto d’una tanto chiara luce, per aiuto di tutti i bisogni nostri necessariissimo.

Che è poi quando egli si colca nell’occidental mare?Poiche quasi solamente quelli che stanno in Villa, possono veder, & considerar’i diversi effetti, che fa col suo incomprensibile splendore sopra la terra, sopra le acque, sopra i monti, & sopra i nuvoli; facendoli parere molte fiate di diversissimi colori, & alle volte tanto rossi, che pare propriamente che ardano insieme con tutto il Cielo. Le quai cose, pochissimi, ò niuno della Città possono vedere, ne considerare (eccetto coloro, che fan la guardia al Castello, ò alle mura della Città) si per essere impediti dalle loro case alte, & si anco per non esser tal proprietà de’ cittadini, come di quei che stanzano in Villa: Et questo avviene massimamente, perche una gran parte stanno nelle piume in fin che’l Sole è alto; & altri per esser la maggior parte lanaiuoli, testori, ferrari, & d’altre arti; benche levino per tempo, non possono però à quell’hore vederle; conciosia che stan rinchiusi ne i lor’occupati alberghi. Il perche si vede quanta differentia è tra essi, & i lavoratori della Villa, i quali ordinariamente lavorano allo splendor del Sole, & quei della Città nelle oscure botteghe, & tenebrose case. Et però non è maraviglia se gli habitanti della Villa sono sempre sani, robusti, & di vigorose ciere; & se (per contrario) quei della Città sono squallidi, macilenti, & di poca lena, & di più breve vita.

Cor. Si come mi sono piaciuti questi dilettevoli discorsi, cosi non posso tacere quanto sia la bella vista (come voi sapete) del casamento mio della Villa di Piedemonte, donde (per esser sopra di quell’eminente colle) si può benissimo vedere simili tesori dell’Aurora, come più volte mi è occorso rinfrescarmi nel gran caldo, & insieme insieme pigliarmi gran diletto nel considerar minutamente le varietà de’ colori, che nella medesima hora mi mostrava di mano in mano nell’Oriente il Cielo; risplendendo poi à guisa di chiarissimo christallo sopra i nostri monti, i quali parevano dipinti di finissimo azurro mescolato di lucentissimi raggi solari. Che per verità io non vi potrei esplicare la centesima parte dall’allegrezza, che sentiva, & godeva lo spirito mio.

Gio. Bat. Non è dubbio ch’egliè da lodar’il vostro colle, tuttavia mi pare più bell’assai quel di Ciliverghe, il quale non solamente è accommodato in cima di casamenti, ma ancora è adornato di giardini, di prati, di vigne, di peschiere, & d’altre molte belle cose.

Chi non dovrebbe sommamente desiderare di goder quella si bella prospettiva lontana da’ monti Aquilonari, & che dalle altre parti signoreggia per molti miglia la pianura Bresciana, & altri paesi? Sito veramente commodo per veder, & considerar gli effetti dell’Aurora, & del Sole, la bellezza del Cielo, l’ordine delle Stelle, la mutatione della Luna, la serenità dell’aere, l’altezza de’ monti, la vaghezza de’ colli, l’amenità delle valli, & la spatiosità delle piaggie, & delle campagne.

Cor. O ben’avventurato monte, poiche non tanto già più centinara d’anni sei stato posseduto dalla nobile famiglia Apiana, ma hora più che mai dell’eccellente Giureconsulto, e oratore Messer Lanterio, & da’ gentilissimi fratelli sei amato, abbellito, & ben coltivato.

Gio. Bat. Non è ancora gran libertà, & commodità lo stare in Villa, che quando vogliamo andar’in qualche luogo, montando à cavallo per tempo, haveremo fatto (alle volte) le quindici, & vinti miglia innanzi che niuno possa uscir di Brescia? Oltra che possiamo tardar di sera quanto ci piace, che per questo non ci vengono serrate le porte, come di continuo vien fatto alla nostra Città, passate che sian poco piò di vintidue hore.

Qual’altra libertà, & commodità può esser pari alla nostra? conciosia che nella Città ci convien’andar ben vestiti, con servitori, & pieni di mille rispetti; sbrerrettando questo, & quello assai volte contra il voler nostro; non parlo però mai di quelli, che sono meritevoli d’ogni honore; ma dico, che io cavo la berretta mal volentieri a quegli altri, che sono voti di valore, & gonfi talmente di superbia, che si tengono offesi da ciascuno, che non gli honora al modo loro: Onde qui ci è lecito andare, & stare senza servitori, senza cappa, & senza saio: vestendoci come più, & meno ci gradisce. Poi come ivi siamo spesse volte biasmati da molti per non andare, & viver secondo le voglie loro, qui (non essendo invidiosi, ò menabeffe) non ci è, che del proceder nostro ci dia noia, ò censori. Et questi privilegi sono non meno grati alle nostre donne, che a noi: percioche assai più si contentano di stare qui in vita positiva, col godersi gratiosamente con noi in questa si pretiosa liberta, che di stare da matrone legate con tanti rispetti nella Citta.

Cor. Certamente che dovete haver loro non poco d’obligo di questa cosi lodevole conformita. Percioche conosco molte, che hanno tanto fumo nel suo camino, che non patirebbono mai di star fuori della Citta: Et questo aviene, perche vogliono d’ogni hora poter’andare dove piace loro, & con più modi ben vestite, imbellettate, profumate, & gonfie di mille vanita, accioche maggiormente siano rimirate, & vagheggiate da questo, & quello che le vede. Non pensando mai in altro, che discorrere qua, & la secondo i loro capricci: presentandosi sempre dove si balla, si fanno comedie, tragedie, giostre, bagordi, & torniamenti, ò la maggior parte del giorno starsi in porta, & alle finestre a guisa di donne pazze, & senza punto di vergogna; lequali sono poi, & saranno sempre scandalo à tutta la Città: Usanza non antica già; ma introdotta dapoi che i barbari hanno corrotto co i mali costumi, non pur questa Patria (che soleva essere essempio à tutto’l mondo di honestà) ma ogni altra ancora di tutta Italia.

Gio. Bat. Volesse pure Iddio che cosi non fosse (parlando però solamente di quelle che son tali, & non mai di tante altre che sempre furono specchio di buona vita) ma peggio è, che ogni hora più cotal morbo và crescendo; mercè de’ ciechi mariti, & sciocchi padri, che sono cagione di questa sì vituperosa usanza: Nè vi sarebbe maggior rimedio, per esterminare questa pestifera semenza, che l’esseguir quella giusta sentenza fatta pur solamente contra à tutte le male donne.

Si come alla cattiva figliuola si debbe dare per dote la morte, per vestimenti i vermi, & per casa la sepoltura; cosi alla infame maritata, si debbono cavare gli occhi, tagliare la lingua, e troncare le mani, o più tosto (per levarla dal mondo) abbrusciarla viva.

Cor. Desidero che cessiamo da questo ragionamento (poi che non vi si può provedere) & che voi seguitiate il parlare delle contentezze, che quì godete sì felicemente.

Gio. Bat. Ancora dico, che in questa Villa non si ode chi dica male d’altrui, come vien fatto alle volte sotto la loggia della Citta, ò nelle botteghe de gli artegiani, & altri luoghi: Sparlando non tanto delle persone infami, ma di qual si voglia huomo, e donna da bene; non havendo rispetto a tor la fama alle honeste maritate, alle pudiche vedove, alle donzelle ben create, & sin’alle spose di Christo claustrate. Ragionando etiandio di più cose odiose da sentire; & massimamente del valere, ò infondacar biade, di amassar danari, di fare stocchi, & barocchi, & d’altri contratti illeciti.

Poi qui non sono ambitiosi, invidiosi, orgogliosi, insidiosi, ne che siano disleali, iracondi, vendicativi, assassini, & beccari d’huomini; & men vi sono falsi testimoni, perfidi notari, bugiardi procuratori, infedeli avvocati, ingiusti giudici, ne ingarbugliosi causidici.

Qui parimente non si sentono spazzacamini, & zavattini che gridino, facchini, & brentatori, che urtino, ruffiane, & meretrici che inveschino, malefici & incantatori che fascinino, ariole & fitonesse che indovinino, mariuoli & tagliaborse che truffino, & manco hippocriti & gabbadei che abbarrino.

Qui finalmente non si veggono à strascinar’in prigione debitori, incarcerar per forza malfattori, mandar’in galea truffatori, cavar gli occhi a’ stronzatori, tagliar le lingue a’ bestemmiatori, bollar le faccie a’ mariuoli, troncar le mani a’ falsi testimoni, mozzar le teste a’ micidiali, impiccar per la gola i ladroni, fare in quattro quarti i traditori, e tanagliar & scannar gli assassini. Spettacoli veramente di non poca compassione, di assai tristezza, & di molta abominatione, & di grandissimo horrore; & massimamente quando (alle volte) si mira la piazza fornita à guisa d’una beccaria di carne humana.

Cor. Vi prego certamente che lasciate queste cose si spiacevole da sentire, & che ragionate di quelle che vi fan viver qui allegramente.

Gio. Bat. Chi non dovrebbe adunque habitar’in Villa, poiche non tanto vi si trova la buona pace, la vera libertà, la sicura tranquillità, & ogni soave riposo; ma vi si gode anco l’aprico aere, le verdi fronde de gli arbori, i frutti loro pelegrini, la chiarezza delle acque, l’amenità delle valli, la prospettiva de’ monti, l’allegria de’ colli, la vaghezza de’ boschi, la spatiosità delle campagne, la fertilità delle possessioni, la utilità delle viti, & la bellezza de’ giardini?

Similmente, chi non dovrebbe habitar’in Villa, vedendovi la diligentia de gli Agricoltori, la obedientia de’ lor’armenti, in ben’arar & seminar’i campi, il bel crescer & raccoglier’i loro frutti, l’udir le canzoni delle villanelle, l’incerate canne de’ pastori, le silvestre sampogne de’ vaccari, & il dolcissimo cantar de’ diversi uccelli?

Cor. Questi certamente sono i parlari che mi gradiscono, & che mi fanno maggiormente conoscer le delitie della Villa.

Gio. Bat. Hora che vi sono piaciuti questi discorsi, voglio ragionarvi ancora della medesima libertà che godiamo qui con alcuni ordini, che (quasi ogni giorno) osserviamo; cominciando primamente à presentarci alla Santa Messa, & com’è finita (salutatoci l’un l’altro) c’inviamo à caminar’il più delle volte, verso la nostra bella strada maestra, la quale non solamente è lunga, & dritta di tante miglia, ma ancor’è molto larga, & accompagnata dalla bell’ostaria, che fù fatta essente da’ nostri Illustrissimi Signori nel 1484. per haver’ivi sigillata la pace col Duca di Calavria; oltra ch’è dotata da ogni lato di gran quantità di arbori, & chiare acque. Et mentre che pasciamo l’occhio nel mirar d’ogni parte tali cose, & la bellezza di quell’ampio Naviglio, veggiamo tuttavia andare, & venire diverse genti dalle Ville, da Brescia, ò da Cremona; con le quali spesse volte pigliamo gran piacere nel farle ragionar delle faccende che intendono di fare, ò che hanno fatto. Vedendo anco più fiate passare de gli amici, de’ quali quasi sempre intendiamo qualche novella; facendovi poi ogni cortese invito per condurli à mangiare allegramente con noi.

Similmente dall’hora istessa, qualche volta andiamo à godere la Villa di Poncarale, la quale (come sapete) è dotata di ameno colle, di vaghe prospettive, di folti boschi, di copiosi vignali, di bei giardini, di sontuose stanze, di limpide acque, & di cittadini ben creati, co i quali spesse volte, hor quà, hor là vi godiamo amorevolmente insieme: Onde, per esser madre della vostra, non posso mancar, che non l’ami, & commendi grandemente quel sito posto dalla Natura, quasi nel centro del paese, il quale per esser coperto di belle fabriche, à guisa d’un’alta torre, mira, & signoreggia tutto il bellissimo piano. Et però non è maraviglia se quei gentil’huomini lo godono si lietamente quasi tutto l’anno come fanno.

Che dirò io poi della grandissima satisfatione che continuamente prendiamo nel ricrear gli spiriti nostri con questo soavissimo aere? Il quale, oltra la mirabil’allegria che ci presta sempre, ci rasserena la mente, ci purga l’intelletto, ci tranquilla l’animo, & ci corrobora il corpo.

Appresso chi potrebbe mai pensare il gran contento che pigliamo tuttodi nel pascer gli occhi, mentre che miriamo, & consideriamo le prospettive de’ monti altissimi, l’amenità de i colli, la diversità de gli arbori, la verdezza de’ prati, la bellezza de’ giardini, & la vagghezza delle acque con tante altre cose? Le quali la nostra Città, con tutta la sua magnificentia non può vedere, & manco gustare cosi compiutamente, come noi facciamo: Oltra ch’ella resta priva del cantare de gli uccelli, che noi udiamo giorno, & notte. Et se pur vi è chi desideri udir cantare uccello alcuno, li convien tenerlo in gabbia, & darli da beccare, & bere: Onde, si come noi fruiamo il cantar de nostri con libertà loro, cosi quei prigioneri sempre cantano sforzatamente; temendo di morir di fame se non cantassero. Per tanto, non è maraviglia se’l cantar de’ nostri è più allegro, più sonoro, & più soave (stando che cantando i lor’amori con mirabil festa) che quello di quei meschini, i quali co i lor tristi, & aspri accenti; non par che cantino, ma amaramente pianghino la loro dura sorte; conoscendo che non possono cantar nelle selve, ò sopra gli arbori tra molte herbe bellissime, ò à canto alle chiare, fresche, & dolci acque, come facevano. Per il che, possiamo dire, che si come noi habitatori della Villa ci assomigliamo à i nostri nella libertà, & vita lieta, cosi quelli della Città s’assomigliano à i suoi, per conto della prigionia, & malinconia. Et di qui se vede ch’essi sono assai men prudenti de’ detti uccellini; perche potendo, non vogliono uscire della Città; come quei meschini si sgabbiarebbono volentieri se potessero, per fruir la pretiosissima libertà, la quale fù tanto apprezzata da infiniti famosi antichi.

Chi mosse mai quegl’innumerabili Romani a lasciar le grandezze per andar’à vivere, & morir nelle loro Ville? se non che conoscevano chiaramente, che ivi si trova il tesoro della liberta accompagnata da tutte quelle delitie, che goder si possono da ogni savio huomo in questo mondo?

Parimente ci hà indutto già tanti centinara d’anni tutti i personaggi di Francia, di Fiandra, di Boemia, di Polonia, di Ungaria, & d’altre Provincie, à starsene alle lor’accommodate Ville, nè mai d’alcun tempo habitar nelle Città? senon ch’eglino ancora conoscono benissimo che’l viver’in Villa e il maggior riposo, & la maggior contentezza, che trovar si possa in qual si voglia Città.

Medesimamente chi spinge i Signori di Roccafranca, di Barco, di Villachiara, di Virola, di Pralboino, & i Magnifici Cavalieri, con tanti altri nobili, à viver di continuo alle loro Ville? senon che per esperientia veggono che ivi godono altra maniera di libertà, altra sorte di piaceri, & altra qualità di delitie, che non sono quelle che trovar si possono nella nostra Città: Laquale, per esser piena di littigi, & di travagli, non è più quella ch’era nel felice tempo de’ nostri avoli, & bisavoli; i quali, con la loro disciplina, erano cagione, che ciascuno stimava non esser’altro maggior tesoro, che la pace, la carità, & la fede. Che veramente se quei venerandi vecchi risuscitassero adesso con potestà di punir quella parte che lacera i tanti che vorrebbono pacificamente viver nella quiete, io son certissimo che vi darebbono quel castigo che le nefande lor’opere meritassero.

Cor. Quantunque ogn’hora più mi piaccia il vostro lodar le cose, che si godono si felicemente in Villa, nondimeno (perdonatemi se vi pungessi) mi pare che trappassiate i segni nel dir male della nostra Città, poiche ella fù sempre di honore, & di religione in grandissima riputatione à tutto il mondo.

Gio. Bat. Se io dicessi ciò che ho detto con quell’animo che alcuni dicono (che non mi par di nominare) confesso che lo sarei da ingratissimo cittadino; percioche, senza comparatione, vi sono assai più le persone da bene che non son’i tristi; ma ho detto solamente queste cose, accio che si conosca meglio, che tanto più si debbe habitar nelle Ville (& specialmente nelle picciole) quanto che sono nette d’huomini maligni, che generalmente non sono le Città.

Cor. Si come accetto la vostra intentione per buona, cosi vi prego che mi diciate, come dispensate il tempo di mese in mese.

Gio. Bat. Primamente, per l’ordinario mi levo nel far del giorno, & nel tempo presente io mi trovo à quell’hora co’ compagni, dove con gli sparavieri ci procacciamo d’andare quà, & là, traversando piaggie, costere, vignali, acque, cespugli, prati, meliche, stoppie, & altri luoghi; hora in compagnia, & hora separati, per pigliare più perniconi che possiamo. Et à questo modo andiamo stozzando insin ch’è passato terza: Et giunti à casa, assai volte mangiamo insieme, come stamane havete veduto; ragionando mentre si mangia, non solamente di quanto s’è trovato, & preso, & de gli accidenti contrari, ò favorevoli che sono occorsi; ma ancora d’altre cose piacevoli, fin che giunge l’hora di riposarsi, ò di diportarsi secondo che à tutti piace. Et dapoi questo, ordinariamente ci troviamo ancor’insieme, occupandoci chi à leggere, chi giuocar’à carte, chi à tavoliere, chi à scacchi, & chi si pone à cantare, ò sonare, come vedrete poco dopo che sarà sonato nona: Trastullandoci in queste cose con modestia sino al tardi; fuggendo quanto si può il gran caldo, come richiede la stagion presente. Et come habbiamo cenato, quasi sempre andiamo di brigata pian piano per la terra; hora à casa di questo amico, & hora à casa di quell’altro; per veder delle vaghezze de’ lor giardini, de gli horti, delle peschiere, ò de’ fonti accompagnati d’alcuni bei ricetti. Ne’ quali ragioniamo al fresco con dolce trattenimento; come spero anco questa sera di farvi veder simili cose, & con vostra satisfattione; & son certo che voi giudicarete non esser manco la civiltà col candore della politia, & buona creanza in questa picciola Villa, quanto si sia nella nostra Città, ò in altro luogo. Che direste poi, quando alle volte ci è occorso trovar le nostre gentildonne nella medesima hora, prender diversi piaceri al modo loro, andando per la Villa à veder delle dette vaghezze, con ragionar’ancora à canto di qualche peschiera, ò chiaro fonte? Et noi salutatole con le debite accoglientie, entrar’à parlar con loro di cose allegre, accompagnate hora d’alcuni bei quesiti, & hora da piacevoli motti, ò da honeste beffe: Senza che ponendosi qualche un di noi à sonar di liuto ò di viuola, ò d’altro stromento simile, veder levar la moglie, & prender il marito per mano, il padre la figliuola, il figliolo la madre, la nuora il suocero, il fratello la sorella, il zio la nipote, il compare la comare, & cosi gli altri di mano in mano, danzando tutti lietamente con ogni honestà, & purità. Che Iddio volesse, che’l general ballare di hoggidì fusse di tal maniera; percioche non vi nascerebbono i tanti enormi peccati, & scandali grandissimi, che tutto il giorno nascono per tutta la Christianità. Poi finito questo giocondissimo spasso, le accompagniamo con dolci ragionamenti di una in una alle stanze loro.

Cor. Tanta è la vostra bella gratia, che tenete nel recitarmi questi stupendi spassi, che mi sento uscir fuor di me; dubitando più tosto sognarmi queste cose, che udirle dalla vostra voce come odo, & credo per vere.

Gio. Bat. Certamente quanto sin’hora vi ho narrato, e sono per narrarvi; tutto è, & sarà la semplice verità. Confesso che alle volte odo volentieri, qualche honesta beffa, ma però non ne saprei pensare, non che affermare.

Cor. Io non poco mi maravigliai (poiche dite delle beffe) che à tavola non rideste, quando Messer Giulio Emiglio disse haver passato in quattro salti il Naviglio per aiutar dal cane il suo sparaviero, senza bagnar punto i sui bianchi stivaletti;

Gio. Bat. Sappiate ch’egli disse il vero; percioche per cagion della gran secchezza, quell’acqua è molto bassa, & esso leggiadro di gamba. Ma havete ben’havuto gran suggetto di ridere, se haveste udito il nostro dolcissimo Gavaccio, quando ci contò il caso maraviglioso, che occorse à lui, & alla consorte nel passar’il Chiese.

Cor. Benche io non habbia mai conosciuto questo gentil’huomo per presentia; ho però più volte inteso, che non ha pari per narrar cose stupende da ridere. Che quando vi piacesse di dire, come fu questa historia mi farete cosa grata.

Gio. Bat. Havendo, la gioventu di questa terra tolto una coppia di pistari per ballar’à questo San Bernardino, & io parimente havendo invitati più gentil’huomini; fra quali scrissi anco a lui, essendo in Carpenedolo, & giunti quasi tutti, lavatisi le mani per ponersi à mensa, ecco ch’egli comparse, con gran contento d’ogn’un di noi: Onde beato colui, che più tosto corse ad abbracciarlo. Che per verità, non vi potrei esprimer’il gaudio che ne sentissimo: percioche eravamo certissimi ch’ei sarebbe stato il condimento d’ogni nostro spasso. La onde pigliatolo per lo braccio destro il valoroso Conduttiero, il Signor Camillo Avogadro, e per lo sinistro il suo Luogotenente, Messer Gio. Antonio Cavallo, lo posero per capo di tavola: Nè a pena si fù posto à sedere, ch’egli comincio à dire.

Signori, innanzi che pigliate cosa alcuna per mangiare, vi prego che mi ascoltiate d’un caso, che stamane m’è occorso nel passar’il Chiese. Ma perche dubito che sarete molto duri à crederlo, vi supplico con tutto il cuore, che se mai deste fede à cosa che vi dicessi, mi crediate questo: Et noi aspettando una filistocca secondo il suo costume, ci ponessimo a mirarlo fissamente in faccia: Et egli seguitando disse. Non potendo io mancare al cortese invito del mio caro patrone Avogadro, dico che hoggi per tempo, montai à cavallo con la mia consorte; e giunti per passar l’acqua del Chiese, mi posi a far’il vado, & ella seguendomi non so à che modo cade da cavallo nella più alta parte. Basta che fui tanto presto à smontar nel bel mezo, & ripigliarla in braccio, & rimetterla in sella, & à raccogliere il capello, il velo, e le pianelle, (che andavano quà, & là) & rimontarmi à cavallo, che la tanta acqua non pote bagnarci in parte alcuna.

Sappiate, che à pena hebbe finito questa cosi forbita ciancia, che tanto fù il rider che venne in tutti noi, che fussimo sforzati a levarci da tavola, & andare, chi in quà, chi in là col corpo à terra. Et mentre che ridevamo si saporitamente, levandosi anch’egli in piede, si pose à giurar più volte, che quanto haveva detto era verissimo. Et noi, quanto più radoppiava cotai giuramenti, tanto maggiormente scoppiavamo di ridere: Di maniera, che vedendo egli la cosa andare in lungo, e che’l tanto giurare era riputato vano, finalmente come stanco disse. Sappiate Signori, che quantunque io habbia detto il vero, nondimeno per esser cosa difficilissima da credere, ancora io ritorno à giurare, che non ne credo niente. Et noi udendo questo, pure allhora entrassimo à ridere, dico talmente che’l petto, & le mascelle non solo ci dolevano fieramente, ma etiandio ci si sarebbono potuti trarre ad uno ad uno tutti i denti. Finalmente quando piacque à Dio, ritornassimo à tavola: onde per spatio di due hore, mai non si fece altro che ridere, & non solamente per le cose dette; ma ancor per altre stupende novelle, ch’egli con gran vehementia tuttavia raccontava, impastate però sempre al modo solito. Bada, che se non fosse stato, che tutt’hora giungeva gente di fuoravia per ballare, non so quando vi si fosse posto fine.

Cor. Ditemi vi priego, che mente è quella di questo singolar cervello, quando racconta queste menzogne? le dice forse solamente per far rider coloro che le sentono, ò pur pensa egli di farle credere, ò le narra credendosi ch’elle siano vere?

Gio. Bat. Piu volte è stato proposto tra noi questo medesimo dubbio; onde sempre è stato risposto per coloro, che hanno havuto lungamente sua prattica, per non rider mai (mentre le racconta) che egli le narri per cose certe.

Cor. Questo è bene humore, non pur sopra gli altri humori mirabilissimo, ma molto medicabile per tanti humoristi pari miei.

Gio. Bat. Sappiate poi, ch’egli è stupendo nel gloriarsi di medicare huomini, donne, fanciulli, cavalli, buoi, vacche, pecore, cani, sparavieri, astori, falconi, & saper scacciare spiriti, maleficii, fatturie: & per contrario fare strigarie, & malie per stroppiare, & far morire ogni sorte di persone, & di animali. Ma tutto è niente, se non quando disputa co’ dotti di Astrologia, Chiromantia, Geometria, Cosmographia, Arithmetica, & finalmente di scientia Logicale, Fisicale, Canonicale, Theologale, & di quante altre furono mai. Et com’ei vede che sono conosciute per colorate, palleate, & sofistiche, & che non può mantenerle al martello (come si dice) subito mette mano à certi suoi chiribizzi sillogistici, & empiastrati con una scienza cabalistica molto eccelsa, esprimendola con tanta vehementia di parole, e di acuti stridi, che non solamente confonde qual si voglia dottissimo, ma sforza ancora quanti audienti vi si trovano à crepar di ridere.

Cor. Voi maggiormente m’accendete il desiderio di conoscer questo miracoloso intelletto; che se mi farete degno d’udirlo, ho per fermo che mi giovarà assai piu, che non mi fecero l’anno passato i tanto lodati bagni d’Acquario.

Gio. Bat. Io spero che ve lo farò goder fra dui, ò tre giorni, per essere andato à medicare alcuni uccelli, & cavalli a certi gentil’huomini nostri in Bornato, & Callino (Ville veramente piacevolissime) & son certissimo che voi havrete per molto cara la natura giocondissima di questo raro spirito; alquale, fuori che poche volte, ò non mai, si può creder cosa che dica (per compiacersi molto di questo) è poi da tutti havuto per accostumato, benigno, cortese, fedele, e pieno di assai virtù. E tanto più lo goderemo dolcemente, quanto che dimane i nostri compagni anderanno alla caccia generale de’ lupi, cinghiali, cavrioli, cervi, & altri animali che si trovano ne’ più gran boschi del Bresciano: Cominciando à cacciare in quelli de’ Signori di Vrago, di Roccafranca, di Bargo, di Villachiara, & d’altri di mano in mano sino à Virola, Pralboino, Gambara, Asola, Carpenedolo, & Calvisano. Impresa certamente d’ogni gran Prencipe; alla quale si trovaranno molti Signori, con una infinità di Gentil’huomini, & d’altre genti che havranno il fiore di quanti cani si trovano in questo paese. Che à cercar solamente le fere che sono ne’ boschi Martinenghi, non vi vorrà manco di quattro giorni, e forse più.

Cor. Veramente che quei Signori sono copiosi di boschi grandi, & di possessioni fertili, che sono il fiore del Bresciano. Ma più si può dire, che sì come quella antichissima famiglia è la più ricca di possessioni di tutte l’altre della Patria, stando che ogni anno passa di entrata scudi ottanta milia; è medesimamente la più copiosa d’huomini strenui, magnanimi, & illustri. Che lasciando quelli che valorosamente sono morti solo a’ tempi nostri nelle imprese honoratissime de’ nostri Illustriss. Signori, & d’altri Prencipi; adesso più che mai ve ne sono in gran numero, che per le lor prodezze, hanno da farsi immortali.

Gio. Bat. Veggo che ci convien far fine à questi ragionamenti per gli amici che cominciano à comparir di mano in mano nella sala grande al modo solito. Et però è bene, che anco noi vi andiamo per goderci con loro ne i piaceri, come vederete.

Cor. Et questo mi sarà sommamente caro, conciosia che desidero di vedere il loro virtuoso procedere.

Il fine della XVIII. giornata.

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