La terzadecima giornata dell’Agricoltura aggiunta

Di M. Agostino Gallo,

Nella quale si tratta de i cavalli, & delle cavalle di buona razza.

Ritornato M. Vincenzo Maggio da M. Gio. Battista Avogadro nell’hora solita, & ritrovatolo nel giardino sotto al gran pergolato, che all’hora haveva desinato con M. Lodovico Barignano, salutatoli secondo la loro buona creanza, fu pregato che sedesse: Onde finite le accoglienze, parve al Barignano (come quel ch’era di più tempo) di dire all’Avogadro, & al Maggio queste parole.

Signori, poscia ch’egliè piaciuto à nostro Sig. Iddio, c’hoggi io mi trovi con voi, & che sappia quanto vale la vostra conversatione, e quanto siete soliti discorrere intorno all’Agricoltura, vi priego che domesticamente proponiate qualche bella materia; accioche ci compiacciamo di ragionare in questo tempo, ch’io ho da star con voi.

Gio. Bat. Perche questi dui giorni habbiamo parlato de gli animali che sono solamente commodi à gli huomini, che habitano nelle ville, mi piacerebbe che hoggi ragionassimo de’ cavalli, & delle cavalle; poi che sono cosi commodi à i contadini, à i mercanti, à i nobili, à i Prencipi, & à quanti religiosi & Prelati vivono sopra la terra.

Vinc. Tanto più mi è grata questa vostra opinione, quanto c’habbiamo M. Lodovico, che ne potrà parlare ampiamente, come colui ch’è stato valoroso Cavaliere già cinquant’anni, in piu guerre d’Italia.

Lod. Dalla gioventù, sino à i settantacinque anni dove mi ritrovo, ho fatto sempre professione di cavalcare buoni Cavalli, & di domare poledri di Reame, di Mantova, & di Ferrara, come s’è veduto nella patria, & nelle guerre appresso molti principi. Percioche ho conosciuto, che fra gli animali quadrupedi, che Iddio ha creato à beneficio di noi mortali, niuno vi è che possa aguagliarsi al cavallo di bellezza, di animosità, ne di commodità, & di utilità: conciosia ch’egli è quello che ci serve più d’ogni altro nel cavalcarlo; facendolo noi andare hora pian piano, & hora caminare, trottare, galoppare, & correre: atteggiando con allegrie di rimesse diverse, & di salti à più modi: scacciando da noi i tristi humori, & fortificando lo stomaco, & i membri con tutto il corpo nel manegiarlo diversamente secondo che’l valor suo ci rappresenta.

Che diremo poi delle varie commodità, & benefici grandi che habbiamo da questo cosi bello, cosi agile, & cosi animoso animale? poiche possiamo andare in qualunque viaggio, per fanghi, per sassi, per colli, per monti, per boschi, & per campagne: assicurando egli più volte dalle insidie de gli huomini maligni, i suoi patroni co’l correre, co’l saltare, & co’l combattere cosi valorosamente con urti, con morsi, con calci, e con percosse di piedi anteriori, che finalmente gli hà portati con grandissimo stupore à salvamento. Ma tutto è niente à rispetto di quello che fanno questi arrabbiati animali nelle scaramucce, nelle battaglie, & nelle crudelissime Giornate, quando ne i grandi squadroni son eccitati dalle trombe, da i tamburi, da gli archibugi, & dalle artegliarie à combattere con grandissimo impeto contra i nemici armati cosi à cavallo, come à piedi, che pare propriamente che si spezzino i cieli, & si apra la terra, & l’inferno insieme per gli horribili strepiti, & per li grandissimi gridi d’huomini, che vanno à migliaia in fracasso.

Gio. Bat. Ancorche M. Vincenzo, & io non habbiamo veduti simili terrori: nondimeno perche sappiamo che li dite per lunga prattica, vi degnarete di lasciarli, & di dirci per prima i modi che debbono esser tenuti per formare una buona razza di cavalle, & di cavali universali alle persone basse, alle mediocri, alle grandi, & alle grandissime.

Lod. Parlandovi adunque primamente, come vogliono essere le cavalle: dico, che dovendo esser commode al generare figliuoli, bisogna che siano composte di giusta grandezza, di buona larghezza nelle parti del ventre, & di bella finezza nell’aspetto, & anco ch’elle siano più tosto alquanto magre, che molto grasse: perche ritengono maggiormente il seme de gli stalloni: Non devono parimente esser minori di tre anni, ne di età più di dieci, ò di dodici; atteso, che essendo di complessione più fredde de’ cavalli, s’indebboliscono anco più per tempo. Ne bisogna dar loro cavallo alcuno, senon dall’Equinottio di Marzo, sin’al solstitio di Giugno; accioche portando (come per l’ordinario portano) nel corpo undici mesi, partoriscano i poledri nel tempo che le herbe sono in perfettione.

Vinc. Come si conoscono quando desiderano che sia dato lo stallone?

Lod. Questo si vede facilmente; percioche appetiscono il cavallo, quando gettano l’humore fuori del loro vaso, & hanno la natura più gonfia, & più calda dell’ordinario; & anco che mangiano manco del solito. Et per queste cose, si può dar loro lo stallone nel tempo debito, & non più di due volte al giorno; cioè la mattina, & la sera avanti che bevano. Ma se lo rifiutano il seguente giorno, non si debbe dare per dieci di: & se anco all’hora medesimamente non lo vogliono, siano separate dalle altre come gravide: & sia levato lo stallone, accioche le cavalle non siano disturbate dalla impetuosità di essi.

Vinc. Dopo che hanno fatto il parto, quanti mesi allattano i lor figlioli?

Lod. Ordinariamente danno il latte per un’anno, ò poco più: & non mancano d’haverli sempre appresso di loro, nel pascolar le herbe, ò nel mangiar’i fieni, accioche si avezzino à pasturarsi da lor posta, quando le
madri cominciano à negar loro il latte. Ma bisogna levarli da esse, come sono giunti à dui anni, & ponerli nelle mandre de’ polledri; altramente montarebbono sopra le cavalle, & forse adosso alle proprie madri.

Vinc. Come possono le cavalle venir’à desiderar’il cavallo nel tempo che dite, se convien loro allattare polledri per tanto tempo, come havete detto?

Lod. Le cavalle che non sono regolate, non è maraviglia se sono anco coperte stravagantemente da i cavalli, che non sono tenuti per stalloni, & se partoriscono parimente i loro figliuoli in tutti i mesi dell’anno. Ma à quelle che sono tenute gentili, e con buon’ordine nelle vere razze, non si danno li stalloni se non ogni dui anni, & ne i mesi detti. Et à questo modo, oltra che’l latte è più fermo, & che elle si mantengono in ordine, come quelle che non sono mai cavalcate, & sono ben pasciute; generano, & allevano ancor’i polledri di tal prosperità, & bellezza, che vengono in prezzo grande, come si vede nelle famose razze per tutto il mondo: Et li stalloni hanno medesimamente maggior forza, & maggior copia di seme viscoso; & anco montano con maggior desiderio, & creano i figliuoli robusti, arditi, & grandi. Et avvegna che le cavalle non siano cosi animose, ne cosi gagliarde, come sono i cavalli; sono però più agili nel correre, & si mantengono nel lungo corso. Queste non mangiano buoni fieni, come fanno li stalloni, ma si tengono à pasturar tutto l’anno i buoni pascoli, eccetto che quando le herbe sono coperte dalle nevi; perche all’hora si ritirano nelle stalle fatte à posta; dove si dà loro del fieno, & ne gli eccessivi freddi, ò grosse pioggie. Ma esse però mangiano più tosto volentieri le buone herbe nelle campagne, che i buoni fieni nelle stalle. Et però, si come nelle state devono esser tenute ne i siti freschi, ombrosi, pieni di buone herbe, e ben’accommodati di chiare acque; cosi nel verno non si debbono tenere ne i luoghi dove siano molti freddi, e combattuti da’ venti maligni, ò che siano paludosi, ò privi di buoni pascoli, e di sane acque. Percioche le cavalle gravide, ò che siano per ingravidarsi non debbono esser magre per carestia di pascoli, ò per lo mancar delle buone acque; ne, che siano troppo grasse per lo soverchio mangiare: ma che stiano nella via di mezo.

Non sono n’anche da lodare coloro, che tengono le mandre delle cavalle ne i monti molto erti, & aspri: si perche difficilmente si possono pascere secondo il lor bisogno; & si anco perche le gravide non possono senza fatica salire, & discendere senza pericolo sempre di fare aborso, ò sconciatura di lor figlioli. Sono ben da lodare i colli, & anco i monti che non sono aspri, i quali siano fertili di buone herbe, & che siano dotati di fontane, ò di laghi come si trovano in diversi siti de’ monti nostri.

Gio. Bat. Poscia che ci havete detti i più importanti ricordi intorno alle cavalle buone di razza, sarà bene che ci ragionate ancora, come debbono essere li stalloni, & à che modo si debbono governare, & trattare, accioche siano grassi, & potenti per meglio satisfare alle cavalle.

Lod. Il cavallo, che si hà da sciegliere per buono stallone, bisogna che sia più tosto di sette anni, che di manco, & che non ne passi dodici; percioche in questa età è perfetto per montare, & per generare figliuoli di buona prosperità: & generandone fuori di questo tempo, nasceranno deboli, & viveranno pochi anni.

Poi bisogna che questo cavallo sia grande, & grosso d’ossi, & di buon mantello; & che habbia le unghie nere, piane, liscie, dure, grandi, rotonde, concave, ben’aperte, & rilevate ne i calcagni: havendo le gambe asciutte, nervose, non grosse, ne sottili: & le spalle ampie, piene di carne, & moscolose: & anco il petto largo, ben carnoso: & i lati lunghi, i lombi rotondi, le natiche grandi, piene di carne, & ben rotonde; havendo anco il capo picciolo, & secco talmente che la pelle sia quasi una cosa medesima con l’ossa, l’orecchie picciole, acute, e ristrette insieme; gli occhi grandi, posti in fuori, neri, & ben netti; le narici aperte, gonfie, & grandi; le mascelle sottili, & secche: la bocca ugualmente da ogni lato squarciata; il collo lungo, inarcato, & che sia sottile verso il capo; la schiena curta, larga, & piana; le coste come hà il bue; i crini siano pochi, & quasi crepi: & la coda lunga; & folta.

Gio. Bat. Credete voi, che si possano ammetter per stalloni quei cavalli, che hanno de i difetti nella vita loro, ò che meglio sia à pigliarli più netti di tutte l’infirmità, & vitii che si può?

Lod. Non è dubbio, che non si debbono mai pigliare per stalloni, cavalli ben fatti che siano vecchi, lunatichi, vitiosi, paurosi, restivi, sciatichi, incamorati, cattivi mangiatori, ò che si votino molto, ò che si gittino volontieri nelle acque, overo c’habbiano, formelle, spinelle, galle, crappe, zarde, ò che siano incordati, incastellati, & habbiano altri difetti simili. Ma non si resti di torre un buon cavallo, ancor che li sia stato cavato un’occhio in battaglia, ò c’habbia più segni nella persona di ferite, anzi che si dovrebbono sciegliere di quelli che per un tempo siano stati in diverse fattioni di guerra; percioche generarebbono maggiormente figliuoli animosi, & forti ad ogn’impresa aspra, & lunga. Et però meritano ogni laude quei Prencipi, che spendono i centinara di scudi ne gli ottimi cavalli, per porli nelle loro mandre, accioche vengano parimente fuori da quelle razze bei poledri, e di tutta quella bontà, che sia possibile.

Vinc. Quanti stalloni vogliono per centinaro di cavalle, & come si debbono tenere, e trattare nel vivere, accioche siano perfetti nel montare?

Lod. Non pure ho letto piu Autori antichi, che un buono stallone può supplire fin’à vinti cavalle; ma ancora ho veduto osservar questo nelle razze moderne. Vero è, che non bisogna mancare di tenere li stalloni lontani da quelle ne i pascoli, ò più tosto legati nelle stalle, dando loro però del fieno, & da bere alle hore debite: percioche, quando si mancasse di questo, disturbarebbono le cavalle da ogni tempo, le quali non partorirebbono poi i lor figliuoli con quell’ordine, che ho detto. Avvertiscasi però, che ne i mesi che si fanno montare li stalloni, bisogna trattarli benissimo con buoni feni, orzi, ceceri; overo con spelte, vene, veccie, e robilie, accioche siano all’ordine per montare due volte al giorno. Ma ritrovandoli pigri à questo, gioverà loro una spongia netta, & nuova, con la quale s’habbia fregato la natura di quelle cavalle preparate avanti di essi, & dapoi fregarli bene i loro musi, & le narici. Et questo modo è il meglio di quanti dicono gli Antichi.

Vinc. Vorrei sapere, s’egli è bene à cavalcare questi cavalli ne i mesi che non montano, overo se si debbono lasciarli nelle stalle, & non farli altro, che streggiarli, & dar loro il bere, & cibi necessarij.

Lod. Certo è, che quando stessero continuamente nella stalla à ben mangiare, si marcirebbono nella pigritia, & diventerebbono vilissimi d’animo. Et però io lodo che ogni mattina innazi che bevano siano cavalcati, & essercitati lentamente, accioche questo sia loro più tosto uno sborro per ricrearli, che per affaticarli. Avvertendo anco, che almeno per un mese avanti, c’habbiano à montare, siano copiosamente ben pasciuti con buone pasture; & il medesimo si faccia (come ho detto) ne i mesi che montano.

Vinc. Dapoi che havete detto i più importanti ricordi intorno alli stalloni, desidero che parliate ancora di quanto si debbe fare alle cavalle pregne, & quando sono per partorire, ò che hanno partorito.

Lod. Parlandovi solo delle cavalle valorose di razza, & non dell’altre tenute da i contadini, che cavalcano, & fanno lavorare senz’alcun rispetto d’ogni tempo; dico che si debbono trattar bene ne i buoni pascoli, & anco nelle stalle (come ho detto) quando piove, ò nevica, over ne gli eccessivi freddi, accioche portino i lor figliuoli al perfetto fine. Et come gli hanno partoriti nelle stalle, siano soccorse con buoni beveroni d’acqua tepida, i quali ben’acconciati con sale, & con buona farina; siano dati loro almeno per tre giorni sera, e mattina; non mancando appresso di somministrar loro buoni fieni, e buone biade, e di tenerle ben nette, & con buonissimo letto di paglia, ò d’altro strame, accioche possano riposarsi co i loro parti. Et questa è la vera via per allevare i figliuoli morbidi di carne, & prosperosi, mentre che sono allattati da simili madri ben pasciute, le quali non gli abbandonano mai, fin che non sono condotti nelle mandre de gli altri poledri separati dalle femine, come hanno compiuti dui anni.

Vinc. Di qual’età, & con quai modi si debbe cominciare a domare gli poledri?

Lod. Per l’ordinario, come hanno passato dui anni (benche in alcune razze stanno fino à tre) vedo che ogni buon Cavalcatore comincia pian piano ad accarezzarli, e toccarli, e darli con la mano qualche poco di sale; ponendoli poi il capestro gentilmente al collo fatto di lana più tosto, che di canape, accioche non sentano durezza alcuna; facendo questo nel tempo fresco, & non nel caldo, percioche facilmente patirebbono qualche danno nell’affaticarsi, non volendo consentire à tal legamento posto alla mangiatora con due redine forte di cuoio, ò di canape, facendoli però stare appresso alcuni poledri domati, accioche vedendoli co i capestri, si addomestichino anch’essi, & s’avezzino à sofferire di stare legati. Debbonsi poi toccar con mano piacevole, hora nel capo, hora nel dosso, hora nel ventre, hora nelle groppe, hora nelle gambe, & hor ne i piedi; alzandoglieli spesse volte, & nettandoli, e battendoli gentilmente, come se si volessero ferrare: & finalmente accarezzandoli con tanti modi, che vengano à prender domestichezza non pure de’ suoi garzoni: ma etiandio del cavalcatore, che gli havrà da cavalcare; conoscendolo benissimo alla voce, & all’odore; come di molti, che s’allegrano mentre che vi s’accosta, & che vengono toccati, e maneggiati da lui. Devesi parimente porli sopra la schiena due, e tre volte un fanciullo, accioche consentino à lasciarsi montare adosso; & non è da mancare di dar loro alle hore debite delle buone herbe, e de’ fieni perfetti. Dapoi c’hanno mangiato à sofficienza in compagnia de i domati, si conducono à mano uno di questi, & uno di quelli insieme pian piano all’acqua; & come hanno bevuto, & vi sono stati dentro alquanto di più, si ritornano à i loro luoghi: & à questo modo si vanno adestrando, & domesticando a lasciarsi governare, & maneggiare. Devesi però la mattina dopo il bevere dar meza misura d’orzo, ò d’altra biada per poledro, & à mezo giorno solo del fieno, ò dell’herba, & similmente la sera innanzi che siano condutti all’acqua; ma che vi resti tanta pastura, dopo che havranno bevuto, che vi sia à sufficientia per mangiare, senza dar loro altra biada; perche non bisogna tener questi poledri troppo grassi, ne molto magri, ma solo di tal mediocrità, che maggiormente stiano sani. Non si mancherà poi di far loro buon letto sin’al ginocchio la sera di paglia, ò d’altro strame buono accioche possano la notte riposarvi sopra, il quale levato poi la mattina per tempo, & fregati à loro il dosso, & le gambe con tutto il corpo, siano conduti subito all’acqua per bevere.

Gio. Bat. Mentre che io mi ricordo lodate voi il dar’il fuoco alle gambe di questi poledri, come vien dato à molti di diverse razze?

Lod. Non solamente lodo à far questo da Marescalchi valenti al tempo della primavera, ò dell’autunno, & nello scemar la Luna, quando hanno compiuti dui anni; ma ancora dico ch’egliè di tanto beneficio, che si doverebbe darlo tanto alle gambe sane, quanto alle inferme. Percioche, il dar’il fuoco cosi alle gambe dinanzi, come à quelle di dietro, constringe & indura le carni lasse, molli, & aperte; le infiate sottiglia & magrisce; le humide secca; le ristrette risolve; le putrefatte ritaglia; i dolori invecchiati risana; le parti del corpo alienate guarisce; & quelle che sono cresciute oltra l’ordinario, minuisce, & non le lascia crescere. Senza che non vi verranno le galle, le spinelle, & altri mali che sogliono venir loro nelle parti al basso. Dato adunque il fuoco, si facciano pascere questi poledri, & specialmente nelle hore della rugiada; percioche li guarira meglio d’ogni altra cosa fatta loro nella stalla; & farà che i segni appariranno assai manco, & molto belli.

Gio. Bat. Credo parimente, che dobbiate lodare il tagliar le narici almeno quando sono fatti cavalli, secondo che li snarano i Valacchi, & altre nationi; poiche si mantengono più facilmente al correre.

Lod. Se non che questo fender le nari fa brutto vedere, nondimeno egliè di tanto soccorso al cavallo gran corridore, che ciascuno può patire tal difformità, la quale giova ancora molto à quelli che sono divenuti bossi i quali servono poi à i loro patroni qualche tempo.

Gio. Bat. Di che età si debbono castrare i polledri, accioche possano conversare con le cavalle, & co i cavalli intieri, & essere cavalcati da gli huomini pacifici.

Lod. Non si castrano fin che non han compiuto l’anno, percioche all’hora mostrano benissimo i testicoli.

Gio. Bat. Ancora, perche vi sono alcuni cavalli talmente furiosi, che non si possono cavalcare, ne men domare, vorrei sapere qual’effetto lodate più, per cavar loro la libidine, con manco mal di essi, lo schizzarli col tanaglione, over’il castrarli benche siano di età?

Lod. Quantunque da pochi anni in qua, si usi castrar questi cavalli; nondimeno, perche ne muoiono di estremo dolore, giudico che sia meglio à tanagliarli, poiche non solo non ne pericola alcuno; ma ancora rimangono più arditi, per quella parte di nervi; ò cordoni, & d’altre reliquie che resta loro, & nel castrarli del tutto vien levata via.

Vinc. Voi cominciaste à ragionare intorno al governar i poledri, ma per risponder’à quanto vi ha domandato M. Giovan Battista havete cessato.

Lod. Dico, che i poledri siano ben governati da’ prudenti, & amorevoli servitori, accioche con la destrezza, diano loro occasione di non pigliare alcuni vitii; poiche non considerano quanto importi à nodrirli con ragione; & quanto sia difficile à levar loro un vitio, dopo che l’hanno pigliato. Et però bisogna che tutti i ministri accarezzino di continuo questi animali, accioche si facciano meglio conoscere, & amare; percioche con questi mesi, si lascieranno governare, dare da mangiare, da bevere, toccare, maneggiare, streggiare, & anco metter pianamente adosso le coperte di lino per le mosche, & quelle di lana per li freddi; le quale siano cinte destramente, & lasciate sin che si nettano la mattina; levando poi di sotto la paglia, & ponendo la più netta sotto la mangiatora, & tutta la sporca con lo sterco portandola al luogo solito. Non mancando à tener ben netta tutta la stalla co i fornimenti che vi convengono ne i luoghi appartati al modo che si osserva nelle honorate stalle de’ Cavalieri, & de’ Principi. Lequali vogliono esser grandi, & ben’accommodate di volti, di porte, di finestre, di mangiatore, & di colonne co i traversi che separino i cavalli, & anco di fuori via di portici spatiosi della medesima lunghezza forniti di anelli, accioche si possano maggiormente legare, streggiare, & nettare di uno in uno, secondo che di giorno in giorno è necessario attendervi senza mancar punto. Facendo però queste cose nel tempo caldo per lo fresco, & quando è freddo, ordinarli nella stalla ben serrata, la quale habbia le spere, ò impannate buone, & chiare. Legando ciascun cavallo co’l filetto fra l’una, & l’altra colonna, facendolo stare con la testa alta, & poi streggiatolo benissimo per tutta la persona, si netta con le pezze di lana, & tutto il capo, gli occhi, il mostaccio, le narici, le mascelle, le orecchie, & tutta la testa con la spongia ben bagnata nell’acqua fresca; bagnando similmente le chiome, & la coda, & poi pettinandoli benissimo. Et fatto ben queste cose, non mancano di stroppicciarli molto bene tutta la persona con tanta paglia ben ritorta, che possano tener’in parte nella mano; stroppicciando anco bene le gambe, & specialmente intorno à i pastorelli; perche, come mancano di questo officio li vien la rogna, & altri mali, per la lor poltroneria, & de’ maestri di stalla, che non solleccitano di veder’i poveri cavalli mal trattati; & massimamente quando sono mal ferrati, & che alle volte per mancamento d’un sol chiodo, sono cagione che sul viaggio si perde un ferro, & per lo ferro, lo sgratiato cavallo di tanto prezzo, perde il piede. Et questa è una cosa delle maggiori, che con gran diligenza bisogna vedere ogni giorno più volte nel viaggio: & specialmente nel passar per monti, ò per vie sassose; poiche quando il cavallo ha lasciato il ferro, & che camina senza quello, in picciola hora, si rompe talmente il piede, che molte volte non è mai cavallo.

Ordinati, & politi i cavalli da i garzoni; come hanno mangiato alquanto di fieno, li conducono all’acqua; & ritornatoli alla stalla, li compartono una prebenda di biada crivellata, & mondata per cavallo. Et mentre che la mangiano, il buon Maestro, passeggiando da l’un capo all’altro, ascolta di uno in uno, quai sono quelli che la mangiano bene, & quali male; crescendo la misura à quelli che la mangiano avidamente, & scemandola à gli altri che la mangiano pigramente: non mancando di guardarli in bocca, & ritrovandoli qualche impedimento, che si possa levare, usa ogni arte (per quanto fà, & può) per guarirli. Percioche, per proverbio si dice. Che i cavalli vanno co i piedi, & col ben mangiare si mantengono alle fatiche. Avvertiscano di non batter’i’poledri, ne di spaventarli con gridare, ò con altri modi mentre che si governano in stalla: anzi bisogna usar loro ogni piacevolezza: toccandoli spesse volte tutto il corpo, & lusingandoli con la voce dolce, ò con dar loro qualche cosetta non ordinaria da mangiare che li piaccia. Et con queste vie si fanno i poledri mansueti, & domestichi talmente che poi si lasciano governare.

Gio. Bat. Ancora voi M. Lodovico non venite al passo, che si deve usare nel principio, quando si ha da cavalcare questi poledri.

Lod. Addomesticato ben’il poledro, l’eccellente cavallerizzo li pone prima il cavezzone con ogni destrezza, senza farli altro, che lasciarglielo con le due redine (pur di corda) per due, ò tre hore: & levatogliele, il giorno seguente dopo il vespro gliel riorna, & lascia alquanto; & poi pigliate le redine, lo rivolge pian piano fuori della barra, & lo conduce sotto al portico, ò in altro luogo; hora fermandosi, & hora passeggiando gentilmente per quel tempo che li pare conveniente alla sua domestichezza, ò durezza. Onde, ritornatolo alla stalla, subito il garzone al solito lo piglia, & li leva il cavezzone, & li ripone la cavezza, & poi all’hora consueta (havendo prima mangiato del fieno) lo bevera, & dapoi li dà la biada ordinata. Et il terzo giorno, non solo il cavallerizzo li ritorna il medesimo cavezzone all’hora solita, ma con ogni gentilezza li pone adosso la bardella, ò bastina senza staffe, pettorale, & groppiera, & la cinge con carezze, & la stringe pochissimo, senza farli altro che menarlo fuori della stalla col cavezzone, & condurlo con piacevolezza sotto al portico, & altrove per quelle strade, ò campi, come li piace; & ritrovando campi arati, vi entra dentro; onde facendosi dar’una bacchetta alquanto lunga dal garzone che lo seguita, si ferma, & fà andare pian piano il poledro, sin che à poco à poco và crescendo passo; toccandolo qualche volta leggiermente con la detta bacchettina, col fargliela vedere, & dapoi fermatolo lo carezza con la voce, & lo tocca con le mani, & poi si rivolgono verso la stalla; & giunti lo disegna al garzone, il quale lo governa nel levarli destramente la bardella, cavezzone & nel metterli in quell’istante la cavezza. Et venuto il quarto giorno, nell’hora solita, li pone la bardella, & il cavezzone; & accarezzatolo alquanto, li fà montare adosso un garzonetto; & vedendo che non fà straniezze alcune, lo leva con le redine fuori della barra, & lo conduce sotto al portico; & vedendolo star quieto, lo fà passeggiare per un poco, & poi accarezzatolo, li tocca & palpa con la mano il petto, il collo, il capo, e lo conduce à luogo alto fatto à posta per montare, & smontare, mentre che si cavalca senza staffe, & che i poledri sono grandi: Et fatto discendere il garzonetto, egli entra leggiermente nella bardella; tenendo benissimo le redine giuste; onde fermatosi alquanto, si fà porger di dietro una bacchettina picciola, con la quale li tocca il collo; & allegando un poco le redine, lo fà andare commodamente per lo portico, ò per altro luogo appresso. Ma se per caso fà qualche atto contrario, lo ferma col cavezzone, & l’accarezza con voce, & con atti piacevoli; & vedendo che si acquieta, lo fà andare pian piano; crescendo poi à poco sin che lo fà caminare, & trottare: & fatto questo con ogni destrezza per un buon pezzo, lo ritorna verso la stalla, & giuntovi, lo disegna al garzone solito, il quale havvendoli posto la cavezza, & legatolo alla mangiatora, lo copre con la coperta, accioche ritrovandosi accaldato, non si reffredisca; & passato poco più d’un’hora, li leva la coperta, & la bardella; & fregatolo alquanto con la paglia, massimamente dove si trova bagnato dal sudore, lo copre con la medesima coperta, & dapoi fregatoli le gambe, & i piedi, gli ordina il mangiare, il bere, & il buon letto. Venuto poi il quinto giorno, essendo stato ben’ordinato dal proprio garzone (all’hora solita) gli è porto dal cavallerizzo il cavezzone, & la bardella ben cingiata; e menatolo al luogo consueto del montare, ascesovi gentilmente, lo fà andare per le vie, per li prati, & per li campi, hora commodamente, & hora caminando, & trottando sin che comincia à scaldarsi; facendo il simile di giorno in giorno: accrescendoli ogni hora più la fatica; conducendolo specialmente ne i campi arati, & ivi facendolo caminare, & trottare sin che comincia à stancarsi; poiche questa è la via di assuefarsi al levar ben’i piedi, & à spalleggiarsi benissimo: non mancando poi di volgerli verso la stalla pian piano, accioche giunto, sia pigliato dal garzone per farlo passeggiare con le redine in mano, fin che è asciutto, & condutto al suo luogo, per ordinarlo à quanto si fà bisogno.

Parimente ne gli altri giorni non manca il cavallerizzo di cavalcare il poledro ogn’hora più; & come vede ch’egli è addomesticato, lo fà ferrare tanto ne i piedi di dietro, quanto in quelli dinanzi, & con ferri leggieri, accioche maggiormente egli possa cavalcarlo per luoghi pietrosi, & montuosi, senza rompersi le unghie, ò divenire stroppiato; non adoperando altro che una bacchettina, & il cavezzone per farlo andare pianamente, & fortemente facendolo non tanto caminare, trottare, galoppare, & correre velocemente, ma ancora atteggiare rivoltare, & saltare, & anco tirare ben de’ calci, & urtare con la testa, & con le spalle secondo che conosce esser’espediente. Non manca poi di farlo ascendere sopra i poggi, i colli, & i monti, & discendere non meno benissimo; conducendolo anco dove siano molini, folli, fucine, rasiche, macinatore, pestatore, & dove si battono biade, legumi, lini, & altre cose, accioche non si spaventi nel vedere, & udire simili strepiti. Et oltra che lo conduce à veder’andare cocchii, carri, carrette, & gran numeri di porci, di vacche, di pecore, e di capre, lo fà passare ancora dove sono de gli agnelli morti, de’ vitelli, de’ manzi, & d’altri animali che si mangiano. Osservando di dì in dì tutte quelle cose fin che lo vede ben’addestrato nell’andare, & ben’assicurato nel vedere, & nel sentire tutte quelle cose, che vi ho narrate.

Hora vedendo il prudente Cavallerizzo che’l poledro è homai domato in buona parte, non solamente li pone dopo nona in bocca un morso immelato fatto in un canone; con la testera di cuorame, & con le sue redine; ma lasciatoglielo cosi masticare sin’all’hora consueta del cavalcarlo, vi mette anco sopra il cavezzone, & li cinge la bardella: Onde, montandovi il cavalca in diversi luoghi; facendolo hora andare passo passo, & hora trottare, galoppare, correre, & fare più rimesse, & anco saltare fossi, & passare più fiumi, & altre acque. Non mancando di darli quel buon’andare, ch’egli maggiormente apprende. Percioche altro andare vuole il ginetto, altro il caval di lancia, & altro un mezano, ò ronzino per un gentil’huomo.

Gio. Bat. Come si può conoscere di tempo in tempo la età loro?

Lod. Alcuni Autori sono differenti nel raccontare questi ordini; percioche anco i cavalli sono, come gli huomini; de’ quali vi sono che hanno vintisei denti, altri vintisette, & vintiotto, & altri vintinove, e trenta. Vero è, che Aristotele vuole che’l cavallo ne habbia quaranta, benche in questi paesi ne ho veduto sino à quarantadui, cioè vinti nella mascella, ò ganassa disopra, & vintidui in quella disotto. Et però dico, che’l poledro nasce senza denti, & poi ne i dui, ò tre primi mesi, comincia à buttarne, & in capo dell’anno ne ha fatto sei disopra, & sei disotto; onde giunto a i trenta mesi, ne muta nel mezo dui disopra, & dui altri disotto, & ne i quarantadui, ne ha mutati altri quatro per lato che toccano i primi mutati.

La onde, passati i sette anni, non si può conoscere più la età di cavallo alcuno per conto de’ denti, fuori che ne i dodeci anni, vedendosi nel mezo d’essi denti una negrezza non solita, & quanto più egli và nell’età, tanto più li divengono lunghi, eccetto però quelli, che noi domandiamo scaglioni, i quali per cagion del freno, dopo il quinto anno divengono ogn’hora piu piccioli, & vanno consumandosi.

I dodici denti per cavallo, che sono dinanzi, sono chiamati voraci, per li quali si conosce la età sino al settimo anno. Poi non solamente ve ne sono quattro detti canini per l’acutezza, i quali noi chiamiamo scaglioni, ma ancora ve ne sono vintiquattro di dietro, che si veggono malamente detti da gli antichi molari, & da noi ganassali, ò mascellari, i quali sono talmente grossi, che ciascuno è maggiore tre volte tanto d’ogn’uno, che sono dinanzi. Di maniera che tutti ascendono al numero di quaranta, & sino à quarantadui, quando però ve ne sono dui altri nati della mascella di basso appresso gli scaglioni, & verso i ganassoni. Vero è, che sì come vi sono de’ cavalli che più tosto producono i denti, che non fanno de gli altri, cosi ve ne sono che tardano à mutarli, & à produr gli scaglioni, che mai non si mutano. Poi oltra che la età de’ cavalli non si conosce passati (come ho detto) i sette anni, per conto de’ denti, si conosce però alle crespe del labro disopra, come alcuni vogliono, che tante sono le crespe, quanti sono gli anni. Senza che si conoscono alla tristezza, alla malenconia della fronte, all’abbassamento del collo, alla pigritia di tutto’l corpo, al langore de gli occhi, & alle canitie, che specialmente si veggono à i cavalli morelli, bai, sauri, rovani, saginati, & d’altri colori, che ritirano all’oscuro, conoscendo similmente la vecchiezza ne i cavalli leardi rotati, che erano scuri, essendo divenuti chiari, overo essendo bianchi del tutto, & fattisi moscati. Oltra che si conoscono esser vecchi, tirando la pelle, non tanto delle mascelle, ma di tutto il corpo, laquale quanto più tarda à ritornare, tanto più fa vedere che la vecchiezza è maggiore: & per contrario, ritornando subito, mostra il cavallo giovine.

Gio. Bat. Per essermi piaciuti questi brevi discorsi, havrei caro che mi faceste un ritratto d’un bel cavallo; cominciando dalla testa sin’a’ piedi.

Lod. A formarvi un bel cavallo, bisogna c’habbia prima la testa picciola, allegra di fronte, asciutta, e secca di carne, perche si veggono maggiormente le vene, & i nervi, che lo mostrano vivace di spirito.

Bisogna poi ch’egli habbia gli occhi neri, grossi, & che escano in fuori: percioche quel cavallo, che gli ha bianchi, ò di colore del gatto, non vede di giorno molto lontano, ma si ben di notte. Et sono anco cattivi quegli occhi, che sono incavati, ò gazzolini, ò della forma de’ porcini: senza che fanno parere ancora disforme il cavallo, come fanno il medesimo quando uno è bianco, e l’altro nero, ò che sono dissimili d’altri colori, ò d’altre forme, come variatamente se ne ritrovano.

Ancora stà bene, che habbia le orecchie curte, acute, & diritte: perche, sì come quel cavallo che le ha ben formate si dimostra animoso, feroce, & potente ad ogni gran fatica. cosi quello che le ha grandi si dichiara esser vile, & di poco valore.

Appresso, è cosa buona che habbia le mascelle picciole, sottili, secche & non disuguali: percioche quando il cavallo ne havesse una tenera, & l’altra dura, ò che fossero grosse tutte due, & il collo curto, sarebbe difficile ad imbrigliare il freno al luogo suo.

E bene parimente, che habbia la bocca grande, squarciata, di molta fessura, & bene aperta, poi che egli sarà sempre facilissimo l’imbriarlo, & il maneggiarlo, senza che egli habbia le labra sottili, & rivolte in fuori, accioche non impediscano l’effetto della briglia, come occorre à certi cavalli, che divengono sboccati, & non per altra cagione, che per le labra disconcertate. Oltra che quanto piu si trova la barba picciola, asciutta, & non piena d’ossi, nè dura, nè bassa, tanto meglio il barbozzale aiuterà il freno à far migliore effetto.

Similmente è bene che habbia le nari bene aperte, gonfie, vermiglie, & grandi: percioche dinotano che il cavallo ha il calor vivace di spiriti, & i meati del fiato molto ampi, i quali lo fanno parer piu terribile. Senza che ritrovandosi ben dotato di nari, le sommerge anco profondamente nell’acqua, mentre che beve.

Dapoi bisogna che’l cavallo habbia il collo ascendente dal petto verso il capo, come lo porta il gallo, curvandosi però talmente, che’l capo venga à stare davanti al cavaliere, & gli occhi riguardino a’ suoi piedi. Ma perche vi sono alcuni, che lodano per bello quel collo, che piu nel cavallo è lungo, & altri quel ch’è molto curto, dico che bisogna, che sia nè troppo lungo, nè molto curto; ma che sia elevato, scarico di carne, & incurvato: percioche quanto più è grosso, curto, & carico di carne, tanto maggiormente è difficile ad infrenarlo, & à farlo ubidiente.

Vuole esser’anco il collo adornato di crini sottili, crespi, & in quelli del ciuffo lunghi, accioche gli occhi non siano molestati dalle mosche, ò d’altri impedimenti.

Appresso bisogna che’l cavallo sia di petto largo, molle, & uscito fuori à guisa del colombo. Ilquale, oltra la bellezza, lo fà più idoneo alla forza, & à far’i passi più lunghi, senza incavallarsi le gambe dinanzi, come gli occorre quando è per natura stretto. Et non falla, che’l petto bello hà le spalle forti, & lo stretto le hà sempre deboli.

Non meno bisogna che’l cavallo sia ben formato di buone gambe, le quali siano grosse d’osso, scarnose, diritte, alte, & egualmente distesse dal ginocchio al piede, Havendo anco le coscie grosse, lunghe, musculose, & nervose; lequali siano cosi carnose di dentro, come di fuori, & corrispondenti al petto, & à i lati; percioche quanto più intervallo è tra esse sotto la coda, tanto maggiormente verranno l’anche ad allargarsi; & da qui il cavallo sarà più fermo, più forte, & più agile. Havendo non meno i calcagni alti con le giunture grosse, curte, & non vicine alle unghie; lequali siano dure, alte, concave, rotonde, & nere; percioche le bianche sono cattive, per esser tenere; & le nere dure.

Bisogna parimente che’l cavallo sia curto di schiena, non gibbosa, ò acuta; ma più tosto talmente piana, che paia haver’un canale sin’à la coda; & il dosso sia non molto alto, ne molto basso; & il dipartimento delle spalle sia distinto, lequali siano larghe, lunghe, grandi, diritte, & fornite di carne. Havendo parimente la groppa piana, soda, grossa, & quasi doppia con un certo canale, in mezo; & non meno la coda sia di fusto curto, sottile, & fermo con le sete lunghe, & ch’egli la porti stretta fra le coscie.

Poi bisogna che’l cavallo habbia i lombi ampii, & tondi; perche meglio alzerà i piedi dinanzi, & conseguentemente quei di dietro; senza che i fianchi appariranno piccioli: poiche essendo grandi, parte lo difformano, & parte l’indeboliscono. Oltra che bisogna haver’i lati pienotti, & lunghi di sopra del ventre, stando che lo dimostrano più bello, più robusto, & più atto al cavalcare.

Bisogna similmente che’l cavallo habbia il ventre picciolo, tondo, & ben sotto alle coste: Lequali siano ben larghe, & lunghe con picciolo tratto da l’ultima di dietro al nodo dell’ancha. Percioche non solo il cavallo sarà più espedito nel corso, & nell’altre attioni: ma il cavalier’ancora potrà con maggior commodo entrar’in sella. Et vi resta ch’egli habbia i testicoli piccioli, & eguali; percioche manco gl’impediscono, & li danno occasione di minori mali in quelle parti. E vero, che essendo grandi, hà più forza in tutti i membri, & più virtù nell’animo.

Gio. Bat. Ancora che sia stato bell’udir questi vostri discorsi; nondimeno il nostro famoso Ballino marescalco in Manerbio, in poche parole formava un bello, & buon cavallo, dicendo.

Bisogna che’l cavallo habbia gli occhi, & le giunture del bue; i piedi, & la forza del mulo; le unghie, & le coscie dell’asino; la gola, & il collo del lupo; le orecchie; & la coda della volpe; il petto, & le chiome della donna; la ferocità, & l’ardire del leone; la vista, & i giri del serpente; la netezza, & l’andare della gatta; & la velocità, & l’agilità della lepre.

Lod. Appresso i nostri detti, bisogna che’l cavallo habbia il passo elevato, il trotto sciolto, il galoppo gagliardo, il correre veloce, il saltar’aggroppato, il maneggiar sicuro & presto; essendo leggier’alla mano, & ubidiente nel volgersi da ogni banda; portando la testa giustamente, senza sdegnarsi della briglia, ne dello sperone; ma conformandosi alla volontà dell’huomo che lo cavalca: non movendosi, ne spaventandosi per novità ch’egli sentisse, ò vedesse; ne bravando, ò percotendo altri cavalli; ne per alcun’odore di giumente infuriandosi nell’anitrire, & nel calcitrare con essi.

Finalmente è da lodare il cavallo di spirito vigoroso, ubidiente, mansueto, agile, veloce, & che habbia bocca piacevole, piedi buoni & robusti lombi: percioche sarà sempre commodo à qual si voglia cavaliere, ò Principe, per apportarli in qualunque impresa, honore, & certa salute. Ma quel cavallo, che ò per vigliaccheria hà bisogno di sperone, ò di sferza: over per ferocità, hà bisogno di molte carezze; dà sempre gran molestie al patrone, & poi ne i pericoli li perturba l’animo di continuo.

Vinc. Quanti anni può viver’un cavallo ben trattato dal patrone.

Lod. Questo non si può determinare, si per la diversità de’ siti, & per la natura de’ lor cavalli; & si anco per l’esser bene & mal pasciutti, & per esser’affaticati assai, ò troppo poco. Nondimeno ordinariamente nel nostro Clima, essendo ben trattati, vivono commodi fin’à i sedeci, & vinti anni. Et però ciascun patrone dovrebbe trattar il suo cavallo sempre con prudentia, poiche egli lo goderebbe più anni assai, di quel che fanno infiniti huomini: I quali fallano, ò nell’affaticarli senza misura, ò in non dar loro da mangiare, ò in non tenerli ben governati, overo perche gli amano troppo, gli amazzano col tenerli molto delicati, senza cavalcarli, ò dar loro fatica alcuna.

Vinc. Vorrei che ci diceste le qualità de’ mantelli che sono da lodare, e quelli che sono da biasmare; poiche molti prattici stimano che i cavalli, quasi sempre mostrino ne i loro peli, il valore, & la loro poca bontà.

Lod. Quantunque vi siano diversissimi colori, nondimeno tutti derivano dal baio, del sauro, dal leardo, & dal morello. I quali quattro colori dipendono da i quattro humori, che’l cavallo hà nel corpo: & che hanno convenientia con i quattro Elementi: cioè fuoco, aere, acqua, & terra. La colera adunque che assomiglia al fuoco, genera il baio. Il sangue che ha convenientia con l’aere, genera il sauro. La flemma che corrisponde all’acqua, genera il leardo. Et la malinconia che si attribuisce alla terra, genera il morello.

Però comincierò à ragionarvi del color baio, ilquale è il miglior mantello di tutti gli altri, come quello che dimostra più vigore, & più ardimento alla guerra, & à i duelli: atteso che questi cavalli non si spaventano ancor che siano feriti, perche non veggono il sangue ch’esce loro dal corpo. Et questo colore, non solo si divide in baio castagnato, dorato, rotato, pomellato, & sauro; ma ancora il castagnato è il migliore, quando inclina all’oscuro, overo che le castagne sono sparse sopra la groppa, & per tutto il corpo.

Il color sauro fa il cavallo presto, ardito, pronto, ma non di molta forza. Ilqual’è tanto migliore, quanto ha buona mescolanza d’altri humori. Et però, si come i sauri abbruciati, ò metallini, sono superbi, capricciosi, saltatori, robusti, & di natura nobili: cosi i molto chiari, non sono tanto buoni, come sono gli oscuri.

Il color leardo si può dividere nel rotato, moscato, mellato, argentino, & stornello. Et di questo il rotato è eguale in bontà al baio. Et è simile anco il moscato nero, per esser migliore del moscato rosso: percioche questo è sempre superbo, & sdegnoso quando ha i segni nella testa, & appresso al muso. Poi non solo il mellato è riputato fiacco, & di poche forze, benche sia savio; ma ancora lo stornello non senza cagione è detto cosi, come quello ch’è di poco intelletto: ma è però veloce nel correre, & in ogn’altra attione. Et del leardo argentino, egli dimostra lustrezza mescolata di nero, laquale dinota spiriti purificati, che dissecano la malignità della flemma, & dell’humor freddo, & humido.

Il color morello, fa il cavallo malinconico: & alle volte di mala natura. E benche, per proverbio si dice, Caval morello, ò tutto buono, ò tutto fello (parlando di quelli, che sono neri, come sono i corvi) nondimeno, pochi vi sono che non siano agili, presti, vivaci, e superbi. Ben’è vero, che tanto piu variano in bontà, quanto piu son diversi di pelo. Ma essendo rotati, moscati, & pezzati di bianco, ò nella fronte, ò ne i piedi: maggiormente si fanno conoscer per cavalli buoni ad ogni impresa. Et questo basta.

Gio. Bat. Perche il Sole comincia a voltarsi, sara bene che ci diciate solamente quei piu segnalati rimedii, che sono buoni per sanare le infermita, che communemente vengono a i cavalli.

Lod. Comincierò per sanare i dolori, che vengono al cavallo per superfluità di sangue, ò d’humori, che si conoscono nel movere i fianchi senza gonfiarsi in altro che nelle vene, & si gitta in terra per troppa passione, bisogna cavarli del sangue dall’una, & l’altra parte della vena cingia, ch’è appresso alla cintura, & menarlo passo passo à mano, & non li dar da mangiare, nè da bevere sin che non sarà liberato.

Al dolor poi che viene al cavallo per ventosità, ne i fianchi, si rimedia col porli nel culo la maggior parte d’un canello di canna molto grossa, di lunghezza d’un palmo, unto di olio commune: il quale si lega talmente al tronco della coda, che non possa uscir fuori, & dapoi si cavalca per lungo spatio; trottando più tosto per luoghi montuosi, che per piani: Et ritornato à casa, essendo tempo freddo, vi si getta adosso subito una coperta di lana; & si frega fortemente i fianchi con le mani ben’onte di olio, fin che si riscaldi, & mandi fuori la ventosità per lo canello. Nè vi si manchi di darli da mangiare cibi caldi, & dell’acqua cotta con comino, & con semenze di finocchio per ugual parte in quantità, & con farina di frumento mescolata insieme; e tenerlo in luogo caldo, ò ben coperto con schiavina.

Al dolore che viene al cavallo per mangiar troppo orzo, ò altra morbida pastura se li gonfiano i fianchi, & il corpo; Onde à guarirlo si fa una decottione di malva, di marcorella, di orsina, di violaccia, di parietaria, & d’altre herbe che lubrichino; aggiungendovi mele, sale, olio, & semola; & fatta tepida quella decottione, & posta in un ventricolo che habbi un cannello convenevolmente lungo, & grosso à modo di cristero, si fa entrare nel ventre del cavallo, quando sia concio, che stia più alto di dietro che dinanzi. Et fatto ben questo, si frega il ventre ben’onto d’olio con un legno tondo pulito da dui huomini, l’uno dall’una parte, & l’altro dall’altra; cominciando dinanzi, infino alla parte di dietro à calcare benissimo per un pezzo, & dapoi chiuso il postirone, si cavalca pianamente di continuo, sin che gitta fuori non pur tutto quel che truova posto nel ventre; ma ancora gran parte dell’altro sterco; e restarà liberato.

Al dolore che viene al cavallo per ritentione d’orina, che si conosce dal gonfiarseli la vesica, & intorno alla verga, si medica con l’herba curtana, con la parietaria, con la senatione, & con le radici de gli asparigi, per egual parte, le quali cotte insieme, si pongono cosi calde intorno alle parti della verga con una fascia lunga, & larga quanto bisogna, facendo queste cose tante volte con l’empiastro sempre caldo, finche si vegga orinare. Ma se per caso non li giovassero questi rimedij, per l’ultimo si lascia andare con una cavalla liberamente per la stalla, perche al sicuro egli orinerà, per lo desiderio del coito, che fortifica, & conforta la natura in questo, & in altri dolori.

Al dolore che viene al cavallo, detto da noi le vidi, per troppo riscaldarsi, & poi raffreddarsi che non può mangiare, nè riposare, & le orecchie li vengono fredde, bisogna subito cavarle; piegando prima l’orecchia fra la ganassa & collo; & dove aggiunge la punta, pigliar quella pelle col cordone, si taglia ivi, & si cava con la lancietta tutta quella marcia dura, che pare nervo bianco: & poi con coperta di lana si copre il cavallo, & si fa passeggiare sin che le orecchie ritornano calde, & se gli dà il beveraggio fatto con farina, & sale, dapoi che h’haverà mangiato un puoco di buon fieno, che se queste vidi non si ritrovano più che montate, il cavallo guarisce; ma se si tarda à provederli, in poche hore l’amazzano.

Alla infermità dell’anticore, che tosto amazza il cavallo, come la giandussa cresce nel petto, bisogna subito estirparla del tutto; ma se per caso si rompesse qualche vena nel cavarla, usisi anco subito ogni ingegno per pigliare i capi, & legarli con filo di seta. Perche mancando di questo, quanto più cresca quella giandussa, tanto più si fa maggiore la postema, & li dà subito la morte.

A guarire il mal de gli strangoglioni, che vengono al cavallo, con giandusse sotto alla gola, & che discendono dal capo quando è infreddato, vi si mettono convenevoli setoni sotto à quella, i quali si menano mattino, e sera; ponendoli sopra al capo un panno di lana, e tenendolo di continuo in luogo caldo; ungendoli poi la gola, & le giandusse col butiro. Et s’elle non si disparessino, si esterpino infin’alle radici, & dapoi si curino le piaghe con stoppa bagnata nelle chiare d’ovo, legata in modo, che non possa uscirne cosa alcuna.

Vinc. Hora che havete dette alcune infermita, che danno la morte à i cavalli in poco tempo (benche ve ne siano infinite) vorrei che ci ragionate delle altre, che si rendono più facili nel medicare.

Lod. Parlandovi del cavallo, ch’è divenuto bolso di poco tempo (per esser infermità che si può sanare innanzi ch’entri nel polmone) si fa un beveraggio con garofani, noce moscade, gengivo, galanga, comino, & semenze di finocchio, per egual peso, & polverizato tutte queste cose, con quantità di ovi aggiunti & alquanto di zafrano si pongono nel vino, & si danno al cavallo acconcio col capo alto, per farle discender per la gola; nè se li lascia abbassare al meno per mez’hora, accioche il beveraggio discenda tutto nelle budella. Bisogna poi menarlo à mano, ò cavalcarlo con lento passo, per fare che non lo possa vomitare, & non lasciarlo mangiare per mezo giorno avanti, & altro tanto dopo, acciò che’l beveraggio non sia impedito di far l’opera sua; dandoli poi dell’herbe fresche, ò frondi di canna & di salice, per temperare il medesimo calor del beveraggio. Ilquale (come ho detto) guarirà il cavallo se’l male sarà fresco, ma se sarà vecchio si aiuterà per qualche tempo, incendendogli i fianchi con due linee l’una sopra l’altra da ciascun capo, accioche per lo constringimento del fuoco, si scemi il battimento de’ fianchi; fendendoli ancora le nari, accioche tiri a se il fiato, & lo mandi fuori più facilmente; dandoli non meno dell’uva matura, & facendoli bere del mosto dolce, & poi mangiare per molti giorni delle graspe: & con questi soccorsi si manterrà (come sano) per qualche tempo.

Alla riprensione poi del cavallo, che gli occorre quando si trova riscaldato molto, & ch’è posto in luogo freddo; perilche si ritirano i nervi, e la pelle, che non si può pigliare con la mano, se non con difficultà; si mette in luogo caldo, & si stuffa con una coperta di lana, talmente grande che lo copra tutto sin’in terra; & poi se li pongono sotto al ventre otto, ò dieci pietre vive ben’affocate , & à poco à poco spesso innaffiate con acqua ben calda, accioche quel calore, per un pezzo lo faccia sudare benissimo. Et fatto ben queste cose, si levi il cavallo dalle pietre, & s’involga nel detto panno, & si tenga cosi cingiato, fin che son cessati quei dolori; & dapoi spesse volte al giorno, si freghino le gambe con le mani ben’unte con butiro caldo, ò con olio comune, sin ch’è liberato.

Alli cimori, che vengono nel capo al cavallo, & che poi discendono per le nari con flusso continuo à modo d’acqua, si fà una coperta al capo solo, & si tiene in luogo caldo, & se li dà cibi caldi; ò se li manda, per la via delle nari il fumo delle straccie abbruciate, percioche dissolve gli humori vecchi.

Al male de gli occhi, quando lagrimano, se li fà uno strettoio d’incenso, & di mastice ben polverizati, & dibattuti con chiara d’ovi, si pongono sopra una pezza di lino larga almeno quattro dita, & lunga tanto, che posta sopra la fronte prima rasa, si possa legar sotto alle tempie, lasciandolo cosi, sin che gli occhi cessino di lagrimare; levando dapoi la benda con l’acqua calda, & con l’olio dibattuti insieme.

Al male che vien’al cavallo in bocca per enfiarsi, si taglia prima la vena, sotto la lingua, & poi si piglia del sale, & altrotanto di tartaro ben pestati insieme; et posti nell’aceto fortissimo, si fregga ben la bocca nel lato di sopra: Et se per caso vi fussero giandusse che non scemassero con questo rimedio, siano tagliate, & estirpate, & dapoi fregate subito con le medesime cose. Ma se’l cavallo havesse enfiato solamente il palato, sia fenduto con la lancetta ben’acuta per lungo, & poi fregato solo con lo sale trito, che senza fallo guarirà.

Al male della palatina che vien al cavallo quando non può mangiare, per haver enfiata la lingua, se li dà del cece; perche nel mangiarlo, la rompe, & scaccia; ma quando ritornasse non è da tagliar la lingua, come molti fanno; ma bisogna dar il fuoco; poiche piglia bando, benche il cavallo patisce per alcuni dì, quando si manca di ungerla col mele bollito con cipolle, & con cacio arrostito.

A sanar il dosso offeso per peso della sella, si taglia prima intorno al male, & poi si pone sopra stoppa bagnata con chiara d’ovo tre volte in tre giorni. Ma meglio è à mettervi della polvere di risagallo. Et se per caso tal male fusse molto enfiato, et molto duro, si cura co i cavoli, con assentio, con parietaria, et con branca orsina, pestati con songia di porco; & dapoi cotti insieme, si pongono sopra, fin ch’è mollificato, e poi si taglia et vi si mette la polvere del risagallo.

Ancora à guarir simil male quando è scoperto l’osso, si lava prima bene col vino, ò con l’aceto forte; & poi si pone sopra della polvere di calcina mescolata col mele: facendo questo ogni giorno fin che la carne ha coperto l’osso.

Poi à farli ritornare i peli, si pesta di gusci di avellana arsi, & posti con olio, si unge il nudo spesse volte, sin che sono ritornati.

Al male che vien’al cavallo per portare più peso delle sue forze, chiamato, mal feruto. si radono bene le reni, & i lombi, & poi si fà un strettorio con pece navale distesa sopra una pellicina tanto grande, che copra tutto il raso, & poi si piglia bolo armoniato, pece greca, galbano, olibano, mastice, sangue di drago, galla, e tutte queste cose di egual peso polverizate, si spargono sopra la detta pece navale alquanto calda, e si metton subito dov’è raso il male, laqual pelle non si leva fin ch’ella vien via facilmente, et all’hora è guarito, il cavallo.

Si guariscono ancora le zarde, toccate prima con ferro affoccato per lungo, & per traverso nel luogo enfiato; & tagliate alquanto, vi si pone sopra sterco bovino con aglio pesto, una sol volta. Legasi poi i piedi al cavallo cosi dinanzi, come di dietro, & in tal maniera, ch’egli non possa morder le cotture, ne fregarle per nove, ò dieci giorni; & come è levato il cuoio dalle dette linee, si tien nell’acqua corrente dalla mattina per tempo sin’à terza, che sia tanto alta, ch’ella vadi di sopra delle cotture. Et condutto à casa, che sia posto sopra le linee della polvere sottilissima di terra, ò cenere settacciata di selice.

Ancora si guariscono le galle nel raderle prima, & poi ungerle con olio di ginebro almeno per quattro dì, sera & mattina. Ma non bisogna che’l cavallo vadi in acqua, sin che’l pelo non è ritornato. E vero che si sanano anco col toccarle col fuoco, per lungo, & per traverso.

A guarire similmente le crepaccie, che vengono à i cavalli tra la giuntura della gamba, & l’unghia, non solo si radono prima i peli, & poi si lavano di vino; ma si ungono ancora con unguento fatto con caligine, con verderame, & con mele eguali di peso: & pestati insieme, & cotte sin che sono spesse, si mescolano con la calcina viva con la spatola fin ch’è divenuto unguento, col quale alquanto caldo si ungono due volte al giorno, sin che sono saldate. Ma essendo delle grandi, tra la carne viva, & l’unghia, si curano col darle il fuoco, dal capo sin’alle radici.

Si guariscono poi le gambe enfiate per gli humori discesi, allacciata prima la vena, & vacuata di sangue convenevole, si piglia della creta bianca ben trita, mescolata con aceto forte, & sale minutissimo: & venuta à modo di pasta, s’empiastra tutta l’enfiagione due volte il giorno: essendo però rinovata di volta in volta.

A guarir la formella che vien’al piede del cavallo per troppo fatica sopra la coronella, si lava prima benissimo con vino bianco caldo, & si taglia fra l’unghia, e’l pelo, & dapoi per tre giorni, si frega la piaga col sale pestato. Onde passato il nono giorno, essendovi cavato del sangue & non asciugandosi, si dà il fuoco nel medesimo luogo fra il pelo, & l’unghia; & vi si fa lo strettorio con la cimatura di lana, & guarisce in vinti giorni.

Si guariscono ancora le spinelle che vengono al cavallo per soverchia fatica, rasi prima i peli, si pungono minutamente col medesimo rasoio, & poi si coprono con empiastro composto di pepe pestato con tartaro, & con gomma elemi, incorporati con sapone saracinesco; legandolo per tre giorni, & dapoi levatolo, ponendovi sopra una lama sottile di piombo lavando quel male tre volte al giorno con l’orina, con l’aceto, & co’l sale, fin che le dette spinelle saranno disseccate. Et quando con queste cose non si liberassino, diasi loro il fuoco, al modo detto, alla formella, per che questo non fallirà.

Alla setola che fende per mezo l’unghia al cavallo, si guarisce con discoprir le radici verso il tuello, appresso la corona del piede tra il vivo, & il morto dell’unghia, & col tagliar la rosetta di sopra, sin che l’unghia comincia a sanguinare: Et poi trovato una serpe minutamente tagliata (ma però senza coda, et capo) si fà bollir nell’olio sin che la carne è ben liquefatta dall’osso; et con questo unguento un poco caldo, si ungono le radici delle setole due volte al dì, sin che restano mortificate, & che l’unghia sia restaurata. Avvertendo che’l cavallo non mangi herba, ne tocchi acqua quel piede, ò altra bruttura.

Al cavallo inchiodato, si guarisce à cavarli il chiodo, & poner nel buco dell’oglio bollito con alquanto di sale, & poi anco un poco di bombagio bagnato nel detto olio. Et se’l cavallo fusse stato inchiodato un giorno, ò più, si fà star quel piede à molle nell’acqua calda ben salata; facendoli una poltiglia di semola, & di sungia con l’acqua, & legandola sopra (essendo però posto nella piaga del zucchero con olio caldo) rimettendovi poi il ferro quattro chiodi; & empiendo la casella del piede di sungia porcina; & stata cosi tanto che basti, si riserra, & si empie la casella di pegola, & si tiene ben’onta con la medesima sungia.

A mantener poi l’unghia ben verde, si piglia malva ben bollita, ben pestata, & mescolata col mele, & con un poco di farina, si unge la corona, & il calcagno. Overo che si unge queste due parti con songia di ocha, di gallina di medolla d’osso, e di largato; empiendo la casella di semola bagnata, ò di cera nuova, di sevo di castrato, e di largato mescolati insieme. Et si guariscono anco i calcagni, et i fettoni: ponendo nelle caselle de’ piedi il sevo di castrato una volta al dì, e poi sopra impiendole del sterco suo con l’aceto, e con la cenere calda.

Si guariscono ancora le crepaccie, ungendole col vino, et con butiro distemperati, ò col lardo lavato benissimo in diverse acque. Oltra che si saldano, ungendole con olio laurino mescolato, con mastice, incenso, biacca, rossolo d’ovo, & aceto, tanto dell’uno, quanto dell’altro.

Volendo guarir’un calcio con un strettorio, si pigliano draganti stati nell’acqua calda, & cosi caldi ben liquefatti col mele vi si mettono sopra.

Si guariscono non meno i ginocchi rotti, pigliando olio commune, semenza di lino, & paglia di segala abbruciata, & poste insieme, si fà unguento ottimo per ungervi sera, et mattina sin che sono sanati.

Si guarisce anco il nervo torto nelle gionture, quando il cavallo mette il piede in fallo, pigliando una libra di fien greco, una di semenza di lino, quattro oncie di largato, & quattro di grassa di porco, & fatte bollire queste cose fin che restano poco & spesse, si pongono sopra, & si libera con facilità. Ma essendo solamente enfiato, si piglia meza libra di mele, tre oncie di lardo, tre di largato, tre di comino pestato, & sei di semenza di lino, & bollite nel vino bianco, si pongono raffreddite sopra il male.

Si guarisce poi il cavallo, che si è sopragiunto co i piedi di dietro, essendo prima raso il nervo offeso, & fregato con sal commune, legandovi sopra una piastra sottile di piombo per tre giorni, & poi lavandolo con vernaccia.

Agli occhi percossi, non tanto è buono porvi sopra della midolla di pane stato nell’acqua fresca: ma ancora à empir tutta una crosta di pane di carboni, & farla abbruciare cosi insieme, & stata poi in vin bianco, sia fasciata sopra l’occhio. Et quando questo non giovasse siali cavato del sangue dalla vena della testa.

A scacciare i vermi che vengono al cavallo nel corpo, è buono il farli bever l’acqua, dove sia bollita la segala, & mangiare quella. Ma è anco meglio il farli mangiar del solfo mescolato con la semola.

A far cessar la tosse al cavallo, si dà quattro branche di frumento ben lavato, ben cotto, bene asciutto mescolato con una libra di mele.

Si guarisce il cavallo raffreddito con darli bever del sangue caldo di porco battuto con vino. Et anco à darli mastice, & ruta bollita con mele, & alquanto d’olio comune con pepe. Oltra che sono buone le gramigne lavate, le frondi di canna, e le foglie di miglio, e poi bere acqua tepida con farina d’orzo.

Si fa stallare un cavallo che non può, ungendoli la verga con assentio pestato, & bollito con aceto. Et anco gittandoli un secchio d’acqua fresca ne i coglioni.

A sanare il male della lupa, che ha il cavallo sotto il corpo, vi si rade prima, & si punge minutamente con la lancietta, & poi si unge per otto giorni sera, & mattina con dialtea.

A guarir similmente il cavallo, che ha la stizza, si lava piu volte al giorno con l’acqua bollita con le foglie di sambuco fin ch’è liberato. Et havendo la rogna, si unge con tre oncie di songia porcina, & due d’argento vivo, bollito con radici pestate di viole, & si parte in poco tempo.

Si guarisce non meno il cavallo desfilato, pigliando meza oncia di olibano, meza di colofonta, & un quarto di sangue di drago, uno di consolida maggiore, uno di boloarminio, uno di sangue di cavallo, uno di aromati, uno di galbini: & disfatti tutti insieme, si mettono nell’aceto fortissimo per una notte. Et cavati poi fuori, & mescolati bene con sei chiare di ovi, si pongono sopra al detto male, & si libera.

A far’andare un cavallo restivo, si attacca una corda à i testicoli, la quale sia tanto lunga, che passando fra le gambe dinanzi, colui che sta à cavallo, la tenga in mano; et come non vuol’andare, egli la tiri, che senza fallo anderà per ogni luogo, et finalmente lascierà tal vitio. Ma se’l cavallo sara castrato, è cosa perfetta à scottarli le culate con un bastone lungo cavato all’hora dal fuoco ben’arso in cima, che al sicuro anderà; & ritornando anco à tal pazzia, la lasciera facendo il simile con scottarlo in dui, & tre luoghi pur di dietro.

A guarir’il cavallo lunatico, si piglia il rosso dall’ovo ammassato col sale, col quale essendo ben’arso, & polverizato, si netta l’occhio con quella polvere. Vi giova anco il sale ammoniaco, lo sterco di cocodrillo, il zaffrano, & la mirra, ana scrupoli dui, con dieci di rasura d’osso di sepia.

Vinc. Poscia che voi M. Lodovico ci havete detto i più importanti rimedij per sanare i cavalli, che resta solo che ci ragionate alcune vie facili per ingrassarli, & poi che facciamo fine.

Lod. S’ingrassa un cavallo magro, facendolo mangiare de’ fasoli cotti nell’acqua, mescolati con la biada; & se per caso non potesse per troppa debolezza mangiarli; si ristaura, buttandoli per la gola de’ rossi d’ova mescolati col zucchero, & in quantità: poiche facilmente mangierà i detti fasoli, & biada. Et s’ingrassa anco presto con l’acqua tepida con la farina di miglio col sale, sera, & mattina, & darli della biada abondantemente: Oltra che è perfetto il miglio, ò panico, over riso, cotti, & mescolati con la farina di fava, & darglieli salati quattro volte al giorno, ma non molto per volta, accioche non gli abborrisca. Io vi potrei dire ancora de gli altri secreti, ma perche vi ho detto i più brevi, & i migliori pigliero licentia da voi, poiche per le hore, che son sonate, havemo ragionato assai; & con la vostra buona gratia andarò à montar’à cavallo.

Vinc. Non solamente vi ringratio di quanto ci havete detto, ma ancora venirò con voi, per saper alcune altre cose.

Gio. Bat. Andate, che Iddio vi feliciti sempre, & vi aspettero diman voi M. Vincenzo.

Il fine della XIII. giornata.

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