La ottava giornata dell’Agricoltura

Di M. Agostino Gallo,

Intorno ad alcune cose, che si cavano dalla terra; le quali non sono per cibo de gli huomini, nè per pastura de gli animali.

Venuto l’ottavo giorno Messer Vincenzo Maggio nell’hora solita da M. Gio. Battista Avogadro, & ritrovatolo che haveva desinato in mezo del suo bellissimo pergolato per godervi maggiormente un venticello soave, che tutt’hora faceva tremolar’i rami de gli arbori del bel giardino, i diversi fiori dell’ameno prato, i palmiti dell’ampio pergolato, & i cedri, i limoni, gli aranci con le herbe del vago horto: dopo l’haversi salotati l’un l’altro secondo il solito, & poi seduti à quel dolce fresco, l’Avogadro mirando prima il Maggio, che altro non parlava, disse. Di qual cosa piace à voi Messer Vincenzo che ragioniamo hoggi, poi che questi giorni passati habbiamo detto delle cose più importanti, che si raccogliono nel Bresciano?

Vinc. A punto discorrendo io questo medesimo nel venir da voi, ho pensato di domandarvi d’alcune cose, che si cavano dalla terra, le quali avenga che non siano per cibo de gli huomini, ne per pastura de gli armenti, sono però di qualche utilità; come primamente desidero che mi diciate del canape; cominciando che terren vi vuole per farlo venir bello, lungo, & di buona seta.

Gio. Bat. Quantunque nel Bresciano non se ne raccoglia se non poca somma à rispetto del Bolognese, & d’altri paesi di Lombardia, non dimeno io lodarei quando se ne seminasse maggior quantità, & massimamente da coloro che non han terreni per seminarvi i lini, ne acqua per adacquarli; ma che hanno i campi ben grassi, & di buona polpa; percioche si vede quanto sono necessarii diversamente nel paese, & che vengono belli senza adacquarli. Trovato adunque il terreno à proposito per seminarvi, il canape, ciascuno può esser sicuro, che quanto più continovarà di anno in anno à seminarlo nel medesimo luogo (però sempre ben letamato di letame buono, & minuto) tanto più quel terreno divenirà migliore per produrne maggior quantità. Et per tanto si comincia a rompere quel campo innanzi il verno, accioche sia ben maturato dal gelo, & passato Gennaro, si taglia, & si erpica benissimo; poi l’ultima settimana di Marzo (trovandosi ben letamato) si ara la terza volta, & si semina, & si erpica quella semenza sin che resta ben coperta. Ma meglio è à fare, come fanno alcuni; i quali havendo letamato quel campo molto bene nel detto tempo, lo vangano tutto, & poi che l’hanno seminato, lo rastellano talmente, che quella semenza si vede tutta incorporata. Et più ancora, come veggono che vuol piovere, subito vi spargono sopra lo sterco di colombi, come se fusse tanta semenza, il quale per incorporarsi nel terreno con quell’acqua che vien dapoi, fà venir il canape in tutta quella bellezza, & quantità che sia possibile: Ma coloro che non hanno sterco colombino, come hanno tagliato tutto il canape con quello, che ha la semenza, al fin di Luglio rompono quel terreno, accioche sia cotto dal Sole, & poi havendolo ben letamato; si seminano la fava all’Ottobre, la quale per ritrovarsi alta al fin di Marzo, la rivolgono sotto con l’aratro, ò più tosto per maggior beneficio, con la vanga.

Vinc. Quanta semenza vi vuole per iugero?

Gio. Bat. Chi ha il campo ben morbido, & alto di buona polpa, non bisogna passar quattro quarte; percioche produrrà il canape raro, & tanto lungo, & grosso di tutta la gamba, che passerà più di vinticinque pesi di canape ben fatto; ma perche restarà morbido, non sarà da far’altro che tele grosse, ò corde fine, & spago sottile. Vero è, che chi haverà il campo mezzamente grasso, & più tosto alquanto soluto, che forte, potrà darvi quarte sei di bella semenza; percioche, nascendo spesso il canape, conseguentemente restarà più minuto di gamba, & manco alto dell’altro: Del quale non solamente si potrà far delle tele grosse per far sacchi, tende, vele, & reti d’ogni sorte per pescare (per durar’assai manco nell’acqua quelle di lino) ma sciegliendo il più sottile, si farà tele buone per far lenzuoli, camiscie, & altre cose per uso delle famiglie.

Vinc. Non lodate voi à zappar’il canape, benche non si zappi il lino?

Gio. Bat. Quando ei nasce raro, si zappa con le zappe solite à zappar’i legumi, i frumenti, & i migli; non essendo spesso ne i terreni (come ho detto) seminati, cosi accioche egli venga sottile, si zappa co i zapparoli stretti non manco di tre dita, & che hanno dall’altro capo dui corni acuti, & lunghi un dito; percioche trovandosi molto spesso, vi si possano cavare le herbe con quelli, & con le mani senza danneggiarlo.

Vinc. Che cosa vi si fà, dapoi ch’è stato ben zappato?

Gio. Bat. Altro non vi si fà, fin che non è divenuto bianco; perche quanto più vi sono poche gambe, che non siano bianche, tanto più si debbono all’hora sterpare, ò più tosto tagliare presso terra (come fanno quei paesi che ne raccogliono gran quantità) tutte quelle, che non haveranno la semenza, laqual’è prodotta solamente dalla femina, & non dal maschio: Le quali gambe si lasciano per quindeci, o venti giorni, fin che son mature le semenze; & non tanto si tagliano à modo dell’altre gambe; ma si troncano via anco da quelle tutte le manzette piene di semenza, le quali ponendole al Sole sopra lenzuola, come sono ben seccate, si fanno fuor le semenze, tritandole benissimo con le mani: Onde crivellandole con crivello minuto, ò più tosto nettandole dalla bulla, & da quelle semenze che non sono buone col vallo, si governano poi in luogo non humido, fin che si seminaranno al tempo detto.

Vinc. Che si fa poi di queste gambe che sono troppo mature?

Gio. Bat. Benche in questo paese alcuni cavano qualche poco di stoppa molto grossa per fare delle corde di poca valuta, nondimeno ne i paesi dove colgono gran copia di canapi, quasi tutti, per abbruciarsi benissimo tali gambe, se ne servono nel cuocer’ogni sorte di pane.

Vinc. Seguitate anco à dirmi le cose, che vanno fatte alle gambe, che non hanno semenza, dapoi che sono tagliate, legate in mazzi piccoli.

Gio. Bat. Si mettono questi mazzi nell’acqua poco corrente, dove si fann’inondare benissimo per sei, & sette, & fin’otto giorni che bisognano à mollificarli in perfettione, percioche vi è differentia grandissima da un’acqua cruda, ò dolce, ò dal canape racolto duro, ò molle, ò dal tempo tardo, ò temporito, ò che sia gran caldo, ò tepido, over piovoso, & per questo non si può determinare un medesimo numero di giorni, ma lasciarvi quei mazzi fin che le gambe lasciano alquanto le corteccie loro: Et all’hora sono da cavar fuori dell’acqua, & farle seccar al Sole, & poi quando si vuole, si scavezzano di mano in mano con un legno sopra d’un’assone grosso, ò desco, & dopo si tritano bene con la frontoglia più minuto. Et fatto ben questo, s’involge il canape attorno più volte d’una cavicchia di legno forte, & si tira, & si straccia talmente, che la scorza si parte, & non vi resta à far’altro, che farlo passar per lo spinaccio raro, ò spesso, secondo che si vole per ponerlo poi alla rocca, ò conocchia come altri dicono.

Vinc. Qual canape si adopera per far le corde, & massime le grosse?

Gio. Bat. Non solamente si piglia la stoppa mezana, & la grossa che fà il canape pur’assai, ma ancora quella stoppaccia che esce dalle corteccie, & spccialmente nello scavezzarlo, & nello stracciarlo dalla cavicchia. Dando la semenza del canape all’huomo, li risolve la ventosità; & dandola alle galline tutto il verno fanno de gli ovi assai, quando le altre non ne fanno nell’eccessivo freddo.

Vinc. Non havete voi ancora per grande utilità il seminar’i garzi?

Gio. Bat. Non è dubbio alcuno, che seminandoli ne i terreni à proposito, & ordinandoli con ragione, se ne cava in dui anni, assai più, che non si fà à seminarvi frumento, ò altri grani.

Vinc. Qual terreno vi vuole, per raccoglierli buoni, & in quantità?

Gio. Bat. E perfetto quello, che più tosto si trova soluto che duro, ladino che forte, grasso che magro, netto che sporco, & che non habbia pietre, ò ghiara, over che non sia lamivo, ò paludoso.

Vinc. Che via si tien’à seminar’i garzi, & à governarli bene sin’al fine?

Gio. Bat. Si rompe prima il terreno innazi il verno con l’aratro, accioche si cuoca ben dal gelo, & poi si ritaglia, & si erpica benissimo al Febraro. Et quando si vogliono seminare al fin di Marzo, ò al principio di Aprile (letamato però prima quel terreno) si ara, & si erpica, & dapoi si seminano i garzi più tosto rari, che spessi, & si rastellano benissimo dentro co i rastelli di ferro. Ma meglio sarebbe in vece di arar tre volte quel terreno, à letamarlo, & subito vangarlo innanzi il verno, overo quando si vogliono seminare i garzi; & poi rastellarli al modo detto: Non mancando à mondarli con le mani al principio di Maggio, & zapparli ancor’al Giugno, ò al Luglio, secondo è bisogno. Poi innanzi S. Michele, si cavano con la vanga, & cimati tutti, si ripiantano nel terreno ben’ordinato, co i cavicchi di legno, lontani l’un dall’altro mezo braccio, & si caccia ne i buchi di gamba in gamba tutta la radice (laqual’è di forma simile à i ravanelli) & vi si calca attorno bene la terra. Oltra che si zappano asciutti, quando sono mossi (cioè come cominciano à germogliare) & anco al Marzo, all’Aprile, & al Maggio (se cosi è bisogno) percioche vi si giova sempre, pur che non buttino i garzi: Nè altro vi si fà, eccetto che come sono produtti, si levano, & si tagliano quei soli, che sono quadri, accioche maggiormente l’humor della terra, vada ne gli altri buoni. E perche nel lor fiorire, comincia a fiorire la manza d’ogni gamba in cima, e poi di mano in mano fin ch’è fiorita tutta; come son caduti i fiori appresso un dito al picolo, si tagliano la sera, ò la mattina co i picoli lunghi un palmo, & si accomodano à dieci, ò dodeci per mazzo, & s’appiccano separati all’ombra, al vento, & non al Sole, nè all’humido; osservando questo di giorno in giorno, fin che sono raccolti tutti i buoni. Ma raccogliendone gran quantità, si pongono ne i cesti grandi, & si riducono à casa; distendendoli al coperto, & non più alti d’un palmo. Et dopo che sono posati cosi per alcuni giorni, si scielgono (per huomini periti) i buoni da garzar berette, & gli altri da garzar panni; perche vagliono sempre quelli quattro, & cinque volte piu, che non fanno questi. Ma alcuni Agricoltori ben prattichi di simile arte, seminano i garzi della miglior semenza, che possono havere (per esser cosa importantissima à far cosi di tutte le semenze) pur ne i terreni, che sono a proposito, & ne danno meza oncia per tavola. A i quali, ben che nascano spessi, non fanno altro che tenerli netti; & poi havendo raccolto quei che fioriscono il primo anno, lasciano venire gli altri per raccoglierli l’anno seguente quando saranno fioriti. Et come gli hanno raccolti, li pongono al Sole per mezo giorno, & li volgono due, ò tre volte, & dapoi li mettono ogni dui mazzi attaccati, ò sopra à traverso una pertica, come se fussero due staffe di sella, & in luoghi asciutti, & che i venti possano penetrare; lasciandoli cosi fin che li scielgono al modo detto per vendere. Vero è, che vi sono alcuni altri ancora, che pongono i medesimi garzi sopra le grati fatte à posta (pure in simil luoghi) conciandoli in piedi; cioe, con le teste disopra; percioche à questo modo non si maccano le spine per via alcuna. Et quando li vogliono portare à vendere in qualche citta, ò altro luogo, li conciano in bei mazzi grandi in lunghezza dui, o tre braccia, e larghi in tondezza uno, ò poco più intorno ad un bastone co i piccioli di dentro, & con le spine di fuori; per portarne dui di quei mazzi in spalla commodamente, come se fossero due secchie d’acqua.

Vinc. Vi prego che mi ragionate anco del seminare il guado, & qual terreno egli gradisce, & poi come si semina, & da qual tempo.

Gio. Bat. Ogni sorte di guado, gradisce piu il terreno forte, & di buona polpa, che’l mediocre, & manco il leggiero; & poi si semina in questo paese l’ultima settimana di Febraro, ò la prima di Marzo: Ma non vien bello ne i terreni colturati, come fa ne gli altri paesi, dove lo seminano in quelli, che sono posati, & stati voti tre, ò quattro anni; & per questo bisogna seminarlo nelle cotiche di trifoglio, che siano pratate per dui anni avanti, come medesimamente vi si semina il lino, le quali non si rompano con l’aratro, eccetto quando si vuole seminare il guado.

Vinc. Lodate voi à letamare all’hora quel terreno innanzi che’l si rompa con l’aratro, per rivolgerlo sotto?

Gio. Bat. Se al Febraro avanti è stato molto ben letamato quel prato, si può arare, & seminar quella cotica di guado; nondimeno chi li desse dell’altro letame buono, & fresco, tanto maggiormente venirebbe bello, & di più bontà. Percioche com’egli per natura magrisce sempre i terreni; cosi sono pazzi coloro che non solamente lo seminano, ne i magri, poiche, sempre vi vien poco, & cattivo; ma ancora spargono la semenza in quelli, che non sono à proposito.

Vinc. Quanta semenza vi pare, che vi si dia à ragion di iugero?

Gio. Bat. Essendo ben’ordinato quel campo, se li può dare sino quarte sei colme, come si costuma, di buona semenza; percioche, quanto più nascerà spessa, tanto più vi si potrà lasciar delle gambe assai, se saranno morbide, ò essendo magre, si potranno cavar le superflue, con la zappa.

Vinc. Quante volte vi pare che si debba zappare questo guado?

Gio. Bat. Essendo erpicata la semenza sin ch’è ben coperta, & ben’incorporata nel terreno, come le sue gambe haveranno produtte le foglie alte due, ò tre dita, bisognarà zapparle la prima volta, & far’il medemo nella prima settimana d’Aprile, & anco più presto, & più tardi, secondo che’l tempo haverà servito intorno al piovere, ò alla secchezza. Poi come saranno raccolte dopo i quindeci giorni di Maggio, si zapperanno la terza volta le medesime gambe, ò radici spogliate dalle dette foglie; facendo quell’istesso, come saranno raccolte nel mese di Giugno, & poi di Luglio, di Agosto, & di Settembre; di maniera che, si come si raccogliono tutte le foglie di gamba in gamba cinque volte, cosi si zappano, ancor di volta in volta subito che sono raccolte: Il qual zappare si fa sempre sette volte; cioè quelle cinque, & le due prime innanzi che si raccogliono le dette foglie per far’il guado.

Vinc. Che cosa si serva di mano in mano, fin che si raccogliono queste herbe per ridurle in guado perfetto?

Gio. Bat. L’Agricoltore ben prattico di questo, non tanto come vede che di tosco in tosco le foglie cominciano à colorire solamente attorno, & non in mezo, le piglia tutte di gamba in gamba con le mani, & le straccia con tal modo appresso alle radici che paiono tagliate con la falce, & le pone di volta in volta ne i casuoli; ma le porta all’ombra, accio che non siano danneggiate dal Sole, & poi le mette cosi fresche sotto alla pietra grande, la quale egli fà girar’in piede con un cavallo nel vaso legato poco più largo del giro ch’ella fa nell’andar attorno: Onde macinata tutta quella parte, che può capir quel vaso; ferma il cavallo, & riduce le foglie macinate nel vaso medesimo talmente da parte, che tutto il succo uscito da quelle foglie, si ritira nel luogo più basso di mezo, il quale levatolo ben fuori con la caccia, & asciugato tutto il fondo, vi ritorna le medesime foglie sotto alla pietra, per rimacinarle asciutte, & dapoi le riduce in palle grosse d’oncie vinti, ò vintiquattro l’una; & fattole seccar’al Sole, overo nel forno quando sono cattivi tempi, le tien in solaro fin che innanzi al San Martino le macina l’ultima volta; & poi riduce quella polvere in mucchio tanto alto, quanto è la quantità del guado, il quale come comincia à scaldarsi, esso spiana tutto il mucchio, & vi pone sopra dell’acqua di mano in mano secondo che di luogo in luogo lo va volgendo, & che’l vede esser temperatamente imbeverato; perche si come la troppo acqua l’annega, cosi per la poca s’abbrucia, & poi lo ritorna à mucchio non molto alto, ma lungo; & cosi non manca à gittarlo da un luogo all’altro ogni giorno, over’un giorno si, & l’altro nò, fin che comincia à divenir freddo, & dapoi lo move ancor’ogni quattro, ò sei giorni finche totalmente è ben fatto freddo. Et questo fà con gran diligentia; percioche quando mancasse, il guado si cuocerebbe insieme, & non varrebbe niente. Il quale, per ritrovarsi affinato con le regole che vi vole, lo lascia ne’ luoghi freschi, che siano ben mattonati, fin che lo vende; onde quanto più tempo vi sta ammuchiato tanto più s’affina, & divien migliore.

Vinc. Che modo si tien’à raccogliere tutta la semenza che vi vole, per andarvene tanta somma per iugero, come dite?

Gio. Bat. Poniamo che’l guado sia dui iugeri; il quale finito di raccogliere al Settembre (per l’ordinario) si seminano di frumento; ma volendone lasciar per semenza, non passa la quarta, ò quinta parte per raccogliere poi al Maggio, ò al Giugno seguente, la quale com’è tagliata si porta nell’ara distesa al Sole; ma battuta, & palata si governa nel granaro, per seminarla al tempo suo. Poi non solo il valor del guado è molto necessario per tingere i panni neri, et d’altri colori; ma ancora le foglie impiastrate risolvono tutte le posteme, saldano le ferite fresche, ristagnano i flussi del sangue, guariscono il fuoco sacro, et le ulcere che van serpendo per tutto il corpo.

Vinc. Dapoi che mi havete mostrato ciò che si debbe osservare in torno al guado buon da tingere, desidero parimente che mi diciate quello che si debbe fare, per seminare, & raccogliere la roza, & pergolino, per haver’inteso che sono di maggior utilità del guado, di minor fatica, & di manco spesa.

Gio. Bat. Non solamente è vero quel che dite, ma questi vengono in ogni terreno sano. E ben vero, che quanto più si trova esser buono, & non forte, ò non molto leggiero, tanto più abondano di anno, in anno, fin che le radici sono cavate. Si semina il terreno con tanta semenza per iugero, quanto si fà col canape al principio di Marzo nelle colle ben letamate, e ben’arate di quattro, ò sei solchi, le quali lodo che più tosto siano vangate, che arate; overo per maggior beneficio, crivellate; percioche, se ben’il crivellare porta più spesa, & più tempo ad ordinarle; nondimeno (stando che questa è la perfettione del coltivare) non si dovrebbe restar’à crivellar’un iugero, ò dui per lo grand’utile, che ne segue. Et però seminata la semenza, & poi incorporata benissimo nel terreno con l’erpice, & co i rastelli, non vi si fa altro che tenerla ben netta dalle cattive herbe, fin che non si taglino al Settembre tutti i rami produtti, per raccoglier la semenza, & che poi si coprano tutte le radici di gamba in gamba con due dita di terra, tolta ne i solchi maestrali, accioche non siano offesi i cuori dal gelo, & che maggiormente le radici s’ingrossino; onde uscendo l’anno seguente de gli altri rami tagliati che siano al Settembre, & raccolta la lor semenza, si coprano le medesime gambe al San Martino al modo detto; Et questo istesso si fà di anno in anno, fin che si cavano tutte le radici, & si riducono in roza, & in pergolino.

Vinc. Quanti anni si coprono questi toschi, ò gambe, per cavarle poi in tante buone radici.

Gio. Bat. Vi son’alcuni pochi, che havendo il primo anno tagliati i rami, & raccolta la semenza, & anco coperte le gambe al San Martino, & poi l’anno seguente fatto il medesimo intorno al tagliar’i rami, & raccoglier la semenza, cavano le radici, le quali, essendo prima fatte seccar’al Sole, & poi quando si vogliono macinare, seccate anco ne i forni grandi fatti per questo, le macinano sotto alla pietra medesima, che macina il guado; & questa si domanda roza buona, & non pergolino fino: Ma la maggior parte de gli huomini, che desiderano di cavar’assai più utile del lor terreno, non tanto non si contentano per anni quattro, & sei à raccogliere la semeza di anno in anno, & coprir sempre al detto tempo i cuori delle gambe con la terra; ma fanno questo medesimo ordine per anni otto, & dieci, & fin dodici; conoscendo per buona prattica, che quanto più tardano à cavare tali radici, tanto maggior somma di pergolino raccogliono ad anno per anno, & anco sempre più fino, che non farebbono quando le cavassero più tosto.

Vinc. Da qual tempo si cavano queste radici?

Gio. Bat. Raccolte che sono l’ultimo anno le semenze al Settembre, si cavano con le vanghe tutte le sorti di radici che sono state sotterrate, & coperte ogni anno con due dita di terra fin’à quel tempo, le quali seccate al Sole, & ben nettate dalla terra, si portano poi (quando si vole) ne i forni prima scaldati, & nettati; & come son ben seccate, & ben macinate, si crivella minutamente la polvere buona, & più fina delle guscie, le quali macinate un’altra volta, si mescola questa polvere con quella macinata grossamente dalle radici di diciotto mesi, & questa si chiama roza terzanina, & tutta l’altra pergolino, la qual’è tanto più bella, & tanto più fina, quanto più sono state le radici sotterrate.

Vinc. Quanto può valer la roza il migliaro, & parimente il pergolino?

Gio. Bat. La roza si vende (per ordinario) scudi quaranta, & quarantacinque il migliaro; & sessanta il bel pergolino.

Vinc. Quanti scudi credete voi, che si possano cavare ogni anno sotto sopra da un iugero di buona terra?

Gio. Bat. Io non saprei determinare prezzo certo; percioche non pur’un terreno (benche sia buono) sarà più atto à render maggior’utile d’un’altro; ma ancora il cavar le radici, ò più tosto, ò più tardi, fà che se ne hà più, ò manco beneficio: Nondimeno considerando che solamente la semenza, che si cava di anno in anno, rende non minor’utilità di quello che farebbe ogni frumento, credo che si dovrebbe cavar’in sei anni, non meno di scudi nonanta, di semenza, di roza, & di pergolino.

Vinc. Essendo questa coltivatione di poca fatica, di poca spesa, & di grand’utilità; per qual cagione non se ne semina in più paesi, che sarebbono atti à raccoglierne assai ò perche rispetto quei che ne raccogliono poca somma, non ne seminano in quantità?

Gio. Bat. Per due cose non si fà questo. L’una, che si vede, che ogni paese hà certe inclinationi à far produr’i suoi terreni alcune rendite utili, che gli altri non se ne dilettano; come ben si vede delle infinite sete che si cavano da i morari nel Friuli, Trivisano, Padovano, Vicentino, Veronese, & Polesene; & nondimeno nel Bresciano, Bergamasco, Cremasco, & altri paesi vicini che medesimamente potrebbono dilettarsene, ne raccogliono pochissime à paragone di loro. L’altra cosa è, che non se ne semina maggior quantità, percioche è molto difficile mantenervisi lungo tempo quelli huomini che stanno presenti à macinar la roza, & pergolino; concio sia che quella polvere è tanto sottile, & di natura penetrabile, ch’ella si caccia talmente nel naso di ciascuno in un subito, che l’avvelena, & lo atterra finalmente in pochi anni: Et perciò non è maraviglia se ne vien seminato in pochi luoghi, come si fà, poi che si hà d’haver più cara la sanità del corpo con poco guadagno, che guadagnar’assai, con perder la salute, & la vita.

Vinc. Lodate voi à seminar’un’altra volta tal semenza in quel terreno medesimo, dove sono state le radici cavate?

Gio. Bat. Perche egli si trova più grasso all’hora de gli altri terreni, gli Agricoltori prattici, vi seminano il frumento per dui, ò tre anni per venirvene assai, & poi seminano alla primavera la semenza detta in altro sito, accioche quel terreno divenga grasso, il quale si può dire che riposa per quel tempo, che le radici non fann’altro che i rami della semenza che si raccoglie di anno in anno (come ho detto) & anco per le foglie, che vi cadano da quelli.

Vinc. Come si semina, ò si pianta il ruso che comprano i tentori per tingere i panni, & i conciatori de’ corami?

Gio. Bat. Questa herba non si semina per non far semenza di valore alcuno, ma si piantano i rami che hanno le radici, i quali per far che ne habbiano in copia, si provanano, & si rivolgono sotto terra di gamba in gamba à modo di chioccia, come vi dissi che si provanano i mori; onde alla primavera seguente, si cavano, & si piantano di ramo in ramo con le radici, l’un’appresso all’altro circa un braccio per lungo, & per traverso, accioche nel crescere di gamba, in gamba si possano ben zappare, & colmare attorno di terra con le zappe, ò vanghe avanti il freddo, & poi aprirle fuori alla primavera.

Vinc. Che cosa vi si fà dapoi che queste gambe sono scoperte?

Gio. Bat. Non vi si fà altro, fin che al principio d’Agosto si troncano tutti i rami ben bassi (eccetto quei che si provanano per piantarli come ho detto) & secondo che si tagliano, si legano in tanti mazzi, come si possono tener’in mano; & poi si conducono nell’ara, & si tagliano minuti talmente, che niun ramo, ò ramicello, & foglie non siano più lunghi, come è grosso un dito, ò lunga una oliva. Et fatto ben questo, si spargono cosi ben tagliati al Sole, & si movono più volte co i rastelli ogni giorno, fin che sono ben seccati; & all’hora si porta ogni cosa co i sacchi ne i granari, ò altri luoghi; & votativi di mano in mano, lasciando cosi questo ruso, fin che lo vendono.

Vinc. Quanto può valer’egli à ragion del peso, come sempre si vende?

Gio. Bat. Essendo ben’ordinato, i mercanti (per l’ordinario) lo pagano per marchetti dieci il peso; che essendo piantato il luogo à proposito, & ben coltivato, non pur dura in terra gran numero di anni bello, ma se ne cava à ragion di iugero, non meno di lire vinticinque delle nostre, le quali si cavano senza spesa di semenza, ò d’altra cosa importante, fuori del zapparlo all’autunno, & alla primavera, & poi nel tagliarlo, & batterlo bene quando è secco fin che le foglie sono ben trite.

Vinc. Quando questo ruso ricercasse terreni, dove si seminano i lini, dubito che’l renderebbe manco utile, di quel che si ha da loro.

Gio. Bat. Voi havreste ragione se questo fusse necessario. Ma perche di sua natura è tale, che tanto viene ne’ terreni molto leggieri, quanto ne’ mediocri, ò ne’ buoni; però in questo paese si semina solamente in quei più deboli, che forse non renderebono un ducato il iugero; onde considerando che non vi và altrimenti spesa d’acqua per adacquarlo, sempre lodarò coloro che hanno simili terreni deboli, à piantarne quanto possono. Percioche oltra che se ne cava assai più di quelli, che non sarebbe à ponervi ogni sorte di legume, ò di biada, ò di pastura, & che si ha subito il danaro, com’è ordinato; vi si può piantar, & allevar’anco della viti, ne’ fili, per convenirsi insieme, cosa ch’egli non conviene cosi con gl’altri arbori per le ombre loro.

Vinc. Non havete detto cosa alcuna circa del letamare questo ruso.

Gio. Bat. Lodarò sempre à letamare il terreno innanzi che si piantino i rami, & poi anco ogni dui anni à dargliene di ben minuto innanzi che si colmino le gambe. Vero è, che per minore spesa, vi si potrebbe dare all’hora della polvere raccolta per le strade, come più volte vi ho detto, che si raccoglie ne i tempi del caldo; percioche, come fusse passato il verno immorbidarebbe non poco tutte quelle gambe.

Vinc. Havete voi cognition della maggiorana, che si semina nel Milanese, laquale (per quanto io ho inteso) rende grossa utilità per la semenza, che si vende à i mercanti, che la mandano in Fiandra, & in Germania?

Gio. Bat. Io ne ho veduta di molto bella vicina à Milano; nondimeno se’l terreno non è à proposito, rende poco frutto; oltra ch’è talmente delicata, che ogni poco di nebbia che vi sopravenga, ò d’altro mal tempo quando fiorisce, si cava poca semenza, ò niente: Ma se questa herba è posta in sito buono, & che’l tempo le prosperi, sappiate che non si raccoglie cosa in quello stato che dia tanto utile, quanto fa questa; atteso che se ne può seminare à numero di pertiche, come cosi chiamano la lor misura; ma perche vi vengono facilmente delle nebbie quando fiorisce, però non è maraviglia se spesse volte vi falla, come fà. Et però ho per fermo ch’ella riuscirebbe meglio in questo paese, per non esser cosi sottoposto alle brine, & alle nebbie, come facilmente occorre à quello di Milano.

Vinc. Che sorte di terreno vi pare ch’ella gradisca?

Gio. Bat. Non è dubbio, che’l ladino debbe esser più à proposito di ogn’altro, per esser molle, & senza pietre; & però non si potrebbe fallare à seminarla dove vengono i lini belli.

Vinc. Come si debbono ordinare simili terreni, & quanta semenza vi va al iugero, & da qual tempo si semina.

Gio. Bat. Essendo il terreno à proposito, bisogna romperlo con l’aratro innanzi il verno, accioche sia ben cotto dal gelo, & passato S. Antonio ritagliarlo; & essendo poi letamato benissimo con letame vecchio minuto, & rivoltato sotto con l’aratro, gittarli sopra almeno una libra di questa semenza la pertica al principio di Marzo; cioè, quattro, ò cinque libre al iugero; laquale sia sparsa con altrotanta sabbia, accioche si comparta meglio. Non mancando però à rastellarla dentro benissimo, accioche vi resti bene incorporata. Vero è, che meglio sarebbe à vangare tai terreni dopo S. Martino (essendo però prima ben letamati come ho detto) & non farli altro sin che si seminassero, & ordinassero à i modi detti. Et più dico, chi crivellasse questi terreni vangati alti un palmo innanzi che si spargesse la semenza, lo farebbe con maggior’utilità, per esser questa herba cosi gentile, & che rende tanto piu semenza, quanto ch’è ben’ordinata.

Vinc. Quali cose vi si fanno fin ch’è ricolta?

Gio. Bat. Non solamente bisogna zapparla, & ricalzarla di gamba in gamba, com’è fuor di terra, ma ancora essendo troppo spessa, si levano le gambe superflue, & si ripiantano fin due insieme, dove sono troppo rare, lequali ricercano di star lontane l’una dall’altra gamba poco men d’un palmo; percioche essendo fatte loro le cose come ho detto, renderanno maggior copia di semenza, che non farebbono quando fussero più spesse. Poi si taglia, & si raccoglie di tempo in tempo la semenza cominciando al Giugno, al Luglio, & all’Agosto secondo che si matura & si vede ch’è secca; come si chiarisce, nel pigliar le cime de i fiori, & romperle tra le mani, che essendo ben matura la semenza, saltarà facilmente fuori. Avvertendo à non tagliar di volta in volta se non la matura, & batterla sopra i lenzuoli, & seccata benissimo crivellarla non solo, ma venderla anco, & dapoi sedacciarla, accioche la polvere cada in terra, & tutta la semenza rimanga ben netta nel sedaccio; ribattendo però quella bulla grossa che restarà nel crivello, & riducendola in buona semenza netta come sarà tutta l’altra.

Vinc. Quante libre di questa semenza debbe render’un iugero?

Gio. Bat. Ordinariamente, ne dovrebbe dare cento, cento vinti, fin cento quaranta, & cento sessanta, la quale si vende in Milano sei, & sette reali la libra. Oltra che si vende la bulla asciutta, per esser perfetta a mangiar polverizata nelle minestre, & altre cose per esser di buon’odore.

Vinc. Sapete voi in che cosa se ne servono quei popoli che la pagano cosi bene?

Gio. Bat. Per adesso non vel so dire; nondimeno non credo che la comprino per cosa medicinale, ma più tosto per mangiarla polverizata ne i loro cibi, come facciamo anco noi il pepe, la canella, & altre specierie; & massimamente perche essi, non raccogliendo vino forse se ne servono nelle loro artificiate bevande, per esser questa semenza odorifera, & di sapore molto delicato.

Vinc. Vi prego parimente che mi diciate per quanti modi si può far dell’oglio oltra quel, che si raccoglie dalle olive.

Gio. Bat. Voi primamente sapete la gran quantità che ne caviamo dalla semenza del lino, del quale non solamente nel farci lume, durano tanto nove oncie, quanto fanno dodici d’oliva, ma ancora assai volte stà seco al pari di pretio. Et questo lo possono sapere i Milanesi, & i Bergamaschi, i quali ne comprano da noi in gran copia per bruciare, & per mangiare quando l’hanno purgato del cattivo odore ch’egli hà. Onde fra le buone dotti che questo oglio hà, essendo fatto senza acqua quanto più è vecchio, tanto più bevendolo teppido, scaccia ottimamente il mal di punta: come per infinite volte si è veduto. Et oltra che voi sapete la somma d’oglio che caviamo da i vinacciuoli rastellati fuor de’ graspi torchiati, il quale fa luce chiara; Sapete anco che alcuni buoni Agricoltori di questo paese seminano delle dradelle nelle fave, & altri legumi, le quali essendo zappate di compagnia, & lasciate rare, crescendo alte rendono à gamba per gamba tanta copia di semenza al suo tempo, che ciascuno se ne maraviglia; la quale fà dell’oglio assai perfetto, & chiaro da brusciare.

Vinc. Non credete voi che la semenza delle rape non dia dell’oglio assai, come alcuni dicono?

Gio. Bat. Se voi parlate delle rape, che noi mangiamo per piu mesi, & che caviamo alla fin di Novembre, queste non danno semenza, eccetto se non sono poste dapoi con le loro foglie nella sabbia per il mese di Decembre, di Gennaro, & di Febraro, ripiantandole poi di Marzo con le istesse foglie, accioche facciano la semenza di Maggio, laqual produce però poca somma d’oglio, à rispetto d’un’altra che si semina solamente per questo; & che non occorre à sterpar queste rape, e ponerle con le foglie nella sabbia con tanta fattura, accioche non gelino nella terra, come sarebbono le dette quando vi restassero. Et però chi vuol cavar dell’oglio in copia, semini di quell’altra sorte di rape medesimamente di Luglio, non facendo lor’altro, che zapparle al tempo come si fanno le altre, le quali non solamente veniranno floride alla Primavera, ma faranno gran quantità di semenze al Maggio; onde raccogliendole mature, e macinandole prima alla pietra grande, dove si macinano quelle del lino, & d’altre sorti, si cavarà dal torcolo le sedici, & le diciotto libre per quarta, ilquale oltra che farà bella luce, & sarà buon da magiare per gente popolare, restarà ancor bello, e granirà come quel d’oliva.

Vinc. Che quantità di semenza si può raccoglier per iugero?

Gio. Bat. Essendo seminata in buon terreno ben’ordinato, & ben zappato al suo tempo, ordinariamente può dare some cinque di quarte dodeci l’una di semenza netta, che sarebbe circa libre ducento per soma.

Appresso voglio ragionarvi di quell’herba che fa medesimamente la gamba alta, & grossa della forma loro, ma le foglie più strette, le quali producono tanta semenza, che ogn’un se ne maraviglia, dalla quale si cava gran quantità d’oglio buon da mangiare, da brusciare, da far sapone, & da ungere le lane per far panni, come ampiamente ne parla il Dottor Fioravanti, ilquale in Venetia dà tal semenza à chi ne vuole senza danari.

Vinc. Da qual tempo si semina questa semenza, & quanta ve ne vuole per iugero.

Gio. Bat. Essendo ben’arato, ben letamato, & ben’ordinato il terreno, se ne sparge una libra per iugero nel mese di Febraro, ò di Marzo, mescolata però con la sabbia, accioche sia meglio compartita, alla quale da poi ch’è ben’incorporata con l’erpice, ò co i rastelli, non vi si fa altro che zapparla quando è nata, e poi quando è matura, raccoglierla di notte, overo di mattina con la rugiada, & non d’altra hora del giorno, perche tutta si perderebbe nel cader’in terra: Laquale, portata nell’ara, si batte, & si netta col crivello minuto, & col sedaccio, & dapoi si fa l’oglio, ilquale quanto più si tarda à torchiarlo, tanto minor quantità se ne raccoglie. Et però fia quanto piu tosto macinata benissimo con quell’acqua, che le conviene, e poi torchiata strettamente, come si osserva. Et oltra che questo oglio rende grande utilità, come si vede, è perfetto ancora per sanar coloro che patiscono il mal di renelle, & che orinano con difficultà.

Vinc. Benche tra noi non si fa oglio di noci, però mi sarà caro che me ne parliate.

Gio. Bat. Gran pazzia sarebbe la nostra, se volessimo usare l’oglio in copia di questi arbori sì grandi, come verrebbono massimamente in pochi anni ne i campi, che tuttavia coltiviamo con grande industria, & che compriamo à cento, e ducento scudi il iugero; percioche se consideriamo il gran danno che si havrebbe dalla loro cattiva ombra, dalla gran copia delle radici, & quello che si patirebbe nell’entrate che sono in terra dalle genti quando cominciano à mangiar’i loro frutti sin che gli hanno ricolti, non è dubbio che sarebbe assai maggior’il danno, che non sarebbe l’utile, che si cavasse. E ben vero che io lodo piantar le buone noci nelle ripe delle vie larghe, nelle campagne sterili, ne i colli magri, & ne gli altri luoghi deserti, ma non mai ne i campi che rendono buoni frumenti, floridi prati, delicate uve, & altre fertili rendite; perche in vero non si può negare, che si cava gran quantità di oglio da questi arbori, quando sono di buone sorti, & che i tempi non vi sono contrari. Il quale, per esser lucido, è perfetto da mangiare, da far chiara luce, e da servirsene in altre commodità.

Io vi potrei dire ancora l’oglio che si potrebbe cavare dalla semenza del mirazole, del sicomoro, dell’egheno, delle ghiande, di rovere, & d’altri arbori, ma perche vi sarei forse troppo lungo, dirovvi solamente in poche parole quello che si cava della semenza del faggio, il quale non solamente è perfetto da mangiare, da far bella luce, & altre cose buone; ma ancora ella rende tanta somma ch’è cosa quasi da non credere. Et però i nostri montanari, che sono vicini à i Grisoni, & à gl’Illust. Conti di Lodrone, & di Arco, dovrebbono raccoglier di questa semenza, che cade in terra in quei grandissimi boschi di faggi, à centinara di sacchi, per cavare poi il tanto oglio, come ella rende, con loro grande utile, & beneficio anco di noi, per esser tanto alti di pretio, questi altri, che homai non vi si può vivere.

Vinc. Mi è piacciuto che habbiate finito, poi che mi convien ritrovarmi in Brescia all’hora di ragione, à instantia d’un mio caro amico; & però con vostra buona licentia andarò à montar’à cavallo; non mancando dimane di ritornar da voi, accioche mi ragionate anco delle altre buone cose, come sin’hora havete fatto.

Gio. Bat. Venirete pur’al piacer vostro, che sarò sempre apparecchiato à sodisfarvi.

Il fine della ottava giornata.

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