La prima giornata dell’Agricoltura

Di M. Agostino Gallo,
Nobile bresciano;

Nella quale ragionano i nobili M. Gio. Battista Avogadro, & M. Vincenzo Maggio della qualità de’ terreni, che si debbono comprare, & del modo d’ordinarli, & coltivarli.

Nel Territorio Bresciano copioso di amene, & delitiose Ville, si ritrova essere il Borgo di Poncarale, detto anticamente Ponte Carrato; dove come in un ridutto pieno di ogni dolcezza, & quasi centro fatto dalla Natura di tutti gli altri circonvicini Villaggi, sogliono ragunarsi quei gentil’huomini, che la maggior parte dell’anno vi dimorano per godersi ne i loro honorati diporti. Accadendo adunque un giorno, tra gli altri, à Messer Vincenzo Maggio partire da un suo podere suburbano, & andar colà per visitare M. Gio. Battista Avogadro, fu all’hora non men dell’altre volte caramente ricevuto. Dove, poiche alquanto hebbero insieme pasteggiato, dispensando i ragionamenti loro nelle lodi dell’aere, & dell’amenità del sito, si posero à sedere nel vago giardino sotto un gran pergolato; & dopo alquanto di silentio, M. Vincenzo, ripigliando le parole, cominciò à dire.

Veramente, quanto più io miro questa villa, & questo sito; & che considero lo stato vostro, M. Gio. Battista, tanto maggiormente ho da portarvi una dolce invidia; vedendo massimamente la vita, che voi fate con tanta contentezza d’animo, essercitandovi intorno all’Agricoltura; mercè della molta intelligentia che havete di tal’arte. Ma considerando che à comparatione de’ tanti nostri cittadini, che grandemente se ne dilettano, io ne habbia pochissima cognitione, non posso se non pregarvi, che per vostra cortesia, vi degniate insegnarmi quelle vie, che sono necessarie in cosi nobil professione, accioche per l’avenire, io faccia coltivare i miei campi d’altro modo di quel, c’ho fatto per lo passato.

Gio. Bat. Quantunque M. Vincentio mio, l’opinione vostra vi potrebbe ingannare, per saperne io manco de gli altri assai, nondimeno vedendo il vostro desiderio, mi offerisco à manifestarvi tutte quelle cose, che saprò, secondo che mi chiederete.

Vinc. Mi sarà adunque caro, se voi primamente mi direte le conditioni, & qualità, che si ricercano nel comprare una possessione; giudicando io esser questa (se non m’inganno) la maggior cosa, & la più importante di tutte l’altre.

Gio. Bat. Voi non v’ingannate punto. Et però da questo, come da capo cominciando dico; che a comprare una possessione, la prima, & più importante cosa è, ch’ella sia pigliata in sito di buon’aere, percioche quando ben fusse dottata d’ogn’altra buona qualità, mancando di questa tanto necessaria, sarebbe troppo gran pazzia à comperarla. Et per questo si debbono haver tali possessioni in abominatione; conciosiache sempre egli è d’apprezzar più la salute del corpo, che qual si voglia cosa terrena, ò temporale. Poi debbe torla sana di fondo; percioche giacendo in palude insanabile, ò c’habbia il gesso, ò la creta, overo che sia di crudo, di aspro, di duro, ò di fegatoso terreno, faccialisi pur quanto può humana industria, ch’ella non riuscirà debitamente buona. Ma perche i siti sono diversi, ò piani, ò montani, ò che partecipano dell’uno, & dell’altro; lodo che si accetti quella possessione, che si trova unita col colle; percioche, essendo da Oriente, ò da Occidente, ò da Mezo dì, & non verso Tramontana; renderà maggior copia di frutti, che non farà se tutta fosse piana, ò tutta in collina. Perche le possessioni situate co i colli ben vestiti di boschi, di olive, & d’altri arbori fruttiferi, sono le più accommodate, & utili di tutte le altre, atteso che generalmente rendono d’ogni cosa, che si possa raccogliere nel paese. Ancora, non si compri in villa, ò in altro luogo di mala fama; percioche è dura cosa lo stare sempre in contentione con cattivi vicini; per li quali infiniti huomini hanno venduti i lor poderi, & abbandonata la istessa patria, per viver’altrove in pace. Parimente dico, che ogni possessione vuol’essere lontana almeno due miglia dalle fortezze, dalle fiumare, ò torrenti, & più da quei che tiranneggiano. Percioche, per le fortezze sempre si dubita di qualche novità dannosa; per le acque grosse bisogna continuamente spendere nel riparare: & co i tiranni tutto dì si resta con molto danno. È ben vero, che io lodo quei siti, che sono non molto lontani da i fiumi piacevoli, & da i laghi, ò d’altre acque navigabili: percioche si possono condur l’entrate altrove; & con poca spesa.

Similmente non si può fallare à comprar vicino alla città; concio sia che l’entrate, per l’ordinario, sono di più valuta di quelle, che si trovano di lontano: Oltra che habitando il patrone nella città, può andare spesse volte à vedere se i lavoratori lo trattano bene, ò male.

Vinc. Tutte le cose, che voi havete dette sono d’importantia; ma questa del vedere molte fiate i suoi campi, sempre fu importantissima. Percioche, quanto più sono veduti da giuditiosi patroni, tanto maggiormente divengono buoni, & belli. Come ben si dice per proverbio. L’occhio del patrone ingrassa il cavallo:

Gio. Bat. Poi è cosa da prudente à non comprar possessione, non solamente in aere, dove si hà da far ragione di giorno in giorno con la morte, benche sia fertile; nè sterile, ancora che sia in buon’aere; ma si debbe investigar benissimo che sorte di venti ci regnano, lo stato di luogo in luogo, & quello ch’ella accetta, ò sprezza per natura. Cosa veramente importantissima; perche chi non mira, & non considera bene questo, mai non diverrà buon’Agricoltore.

Vinc. Stando che qui consiste tutto il vero coltivare; vorrei sapere come si possono conoscere le tante diversità de’ terreni; percioche non solo ve ne sono di mediocri, di buoni, & di ottimi; ma anco di cattivi, di peggiori, & di pessimi.

Gio. Bat. Si hà da considerare, che le possessioni sono in diversi siti; come in piano, in colle, in monte, & in valle; & che ciascuna può haver sei qualità di terreno; cioè grasso, & magro; rarò, & spesso; humido, & secco; & che quanto più si trovano mescolate queste qualità: tanto più fanno diverse nature di terreni buoni, & cattivi. Onde fra i tristi sono peggiori i ledosi, cretosi, gessosi, crolli, duri, aspri, & troppo forti: i quali son da rifiutare sempre, come terreni ingrati, maligni, & pessimi. Et però si conoscono i buoni, quando per natura, & non per arte del ben coltivare, ò dell’ingrassare, producono belli arbori, morbide biade, floride herbe, & ottimi frutti.

Ancora si conoscono, quando non sono arati, ò seminati, ò altramente coltivati, & che vi si veggono gramigne, ebuli, rumici, trifoglio, galba & malva, fra le quali herbe non ve n’è poi alcuna che dia maggior’inditio di bontà del trifoglio.

Parimente si conosce ogni terreno nel cavarlo, & ritornarlo subito nella medesima fossa, che calcandolo di man in mano, secondo che si gitta dentro, se ne avanzerà fuori da poi che ella sarà piena, questo sarà perfetto da frumenti, ma se v’entrarà ugualmente tutto, sarà buono per viti, & pascoli. Et se per caso egli mancarà nell’empirla, tanto più mostrarà il suo poco valore.

Medesimamente si conosce ciascun terreno se è buono, ò non, nel pigliar’una lotta di terra ben’herbosa, & bagnarla leggiermente; percioche ritrovandola tenace, & grassa nel palparla con la mano, vi si attaccarà come se fusse pece; & più gettandola à terra, & non spargendosi, quel terreno si farà conoscere con quelle due prove, ch’egli è di buona tempra.

Appresso si conosce se’l terreno è dolce, ò non; piglisi una zolla in quella parte dove più si sospetta, & pongasi in un vaso d’acqua dolce: & disfatta ch’ella sarà, si faccia passar quell’acqua per un panno di lino, & si gusti dapoi che sarà divenuta chiara; percioche quale sarà il sapor suo, tale sarà anco quello del terreno.

Si possono non men conoscere i terreni nel colore, benche sia cosa difficile à conoscerli tutti: nondimeno se ne conoscono alcuni, che sono ancor’i migliori, come sono i casalini, i ladini, & i neri. I casalini si conoscono alle reliquie delle pietre cotte, & spezzate, per essere stati habitati quei siti. I ladini al colore della cera nuova: & i neri all’istesso suo colore, i quali si hanno sempre per terreni grassi, & buoni, eccetto se fussero lamivi, ò paludosi; perche in quel caso valerebbono poco. Vero è che io lodarei, à far’il saggio di pezzo in pezzo con la vanga, cavando in diversi luoghi per veder quanto sono alti di polpa quei terreni, & se hanno sotto gesso, creta, leda (che sono i peggiori) ò ghiara che padisca l’acqua: percioche ve n’è, che chiamiamo ghiarone, ilquale à pena si può trappassare, ò cavare co i picchi bene accialati. Et quelli saggi sono d’importanza, per esservi de’ campi, che non pur si vedono cattivi, ò poco buoni nella superficie loro, ma de gli altri ancora, che paiono buoni, & che sono sotto pieni di varie sorti pessime. E tanto più è vero questo, quanto che vi è gran differenza in bontà da un iugero di terra all’altro, da una pertica all’altra, & da una tavola all’altra.

Lodo poi, che più tosto si pigli la possessione dotata d’acqua, che altramente. Percioche, adacquandosi abondantemente (essendo buona di fondo, ben’uguale, ben quadrata, & ben coltivata) è quasi impossibile, che non se ne cavi il doppio di quello, che si fa di tutte le altre. Conciosia ch’egli è altra cosa raccogliere del fieno, del lino, del miglio, & delle altre cose col soccorso dell’acqua, che haver tai frutti ne i campi, che seccano nel gran caldo.

Ancora, essendo possibile, si compri la possessione unita: percioche oltra, ch’ella si vede da capo à piedi benissimo, si può anco commodamente divisare nel seminarla, nell’adacquarla, nel quadrarla, & nel piantarla. Et più dico, che si può meglio lavorare con un solo aratro, & carro, quaranta iugeri di terra uniti, che vinticinque, che siano in diversi pezzi, & lontani in più contrade.

Vinc. Sempre ho desiderato d’appezzare la mia di Pompeano, ma per mia mala sorte, mai non ho potuto far partito quanto si voglia largo à coloro, che mi doverebbono pregare per loro beneficio, che habbiano voluto accommodarmi. De’ quali, alcuni restano per sola dapocaggine, & altri accecati dalla invidia.

Gio. Bat. Seguitando pure come debbono essere le possessioni belle da vedere, commode nel coltivare, & che rendano maggior copia di frutti; dico, che si quadrino di pezzo in pezzo non piu lunghi di quaranta cavezzi l’uno, nè manco di trenta, ò di venticinque; facendo i fossi attorno, & piantando da ogni lato gli arbori, i quali siano piu tosto salici, che albere. Percioche, sì come per natura la salice ha l’ombra buona, & poche radici, cosi l’albara l’ha sempre cattiva, & produce radici lunghe, grosse, & in quantità. Vero è, che la salice non viene, nè si mantiene se non nel buon terreno, ò che sia humido; & l’albara divien bella ancor nel tristo, & nell’arido.

Poi non si piantino mai onizzi intorno à i campi, che si arano: & massimamente da Mezodì, da Oriente, ò da Occidente, atteso che per la lor malissima ombra, mai non si veggono belle biade, bei legumi, lini, ò migli, tanto quanto ella vi giunge. Stanno solamente bene à i prati, che mai non si rompono: percioche quelle herbe vengono piu belle sotto à quella parte, dove l’ombra arriva, che non fanno nel resto: oltra che le foglie loro rendono buona grassa, quando sono ben marcie, & sparse sopra quei luoghi.

Vinc. Per qual cagione vorreste voi, che i campi non passassero in lunghezza quaranta cavezzi?

Gio. Bat. Perche, se’l campo che si adacqua è lungo settanta, fino ottanta cavezzi, nell’adacquarlo, come l’acqua è giunta a mezo; dovendosi adacquare l’altra metà, convien che quella parte già adacquata riceva altretanta acqua, insino che questa seconda parte sia bene adacquata. Che se egli fusse in dui pezzi, adacquato che fusse il primo, si levarebbe subito quell’acqua, & si ponerebbe sopra al secondo. Et à questo modo ciascun pezzo haverebbe solamente il suo bisogno.

Che danno credete sia poi di quegli altri campi, che si adacquano, essendo lunghi cento, cento cinquanta, & piu cavezzi? I quali se fussero in tre, ò quattro pezzi (cioè, alla rata come ho detto) sentirebbono grandissimo beneficio. Perche, dando ad ogni campo quell’acqua, che vi conviene, egli l’accetta sempre per buona madre; ma quanto piu la tiene adosso, tanto maggiormente la pruova per pessima matrigna. Percioche la troppa acqua sempre rende freddi, sporchi, & duri tutti i terreni; & etiandio fa smarrire molto la grassa, menandola parte altrove, & parte cacciandola ogni hora piu sotto terra. Oltra che essendo il campo curto, non solamente si adacqua presto, & si spende assai manco acqua à tanto per tanto di quello, che fa un’altro lungo, ma ancora abbassando di soprà, & di soto le ripe, si conduce commodamente quella terra fin’à mezo, & per ogni luogo. Ma quando è lungo cinquanta, settanta, cento, & più cavezzi, mai le carrette non sono condutte à i luoghi, che sono in mezo, onde non è poi maraviglia se vi fà valle per l’aratro, che ne conduce via sempre, & mai non ve ne ritorna, & se le acque innondano quelle valli.

Ancora, si come un campo lungo cavezzi cento non ha se non due ripe, cosi facendolo in tre pezzi, ne haverebbe sei, che renderebbono anco maggior beneficio. Come per esperientia si vede, che passando l’aratro dall’una ripa all’altra, sempre se gli attacca la più grassa terra, onde giunto in capo, nettandolo l’Agricoltore (come sempre fà) ella resta tutta sopra di quella ripa, laquale poi ogni tre, ò quattro anni, si abbassa, & si conduce quella terra per tutto il campo per ingrassarlo ogni volta più. Et medesimamente cagionano i fossi arborati, che vi son’attorno nel curar le grasse di foglie, & di acque interracciate, che vi entrano, quando però siano chiusi: dove l’acqua havesse da uscire, percioche ella le condurrebbe altrove, & i fossi ne restarebbono privi, quando fossero aperti.

Appresso alle utilità, che si veggono ne i campi curti, vi è ancora che i buoi lavorano con men fatica, conciosia che non pur si allegrano sempre nel giungere cosi dall’un capo all’altro; ma risposano etiandio mentre che’l bifolco netta l’aratro, & che poi lo porta à far l’altro seguente solco.

Vinc. Solamente adesso io conosco il danno, che patiscono i miei campi si lunghi della villa di Pompeano, per adacquarli tanto come si fà, ma delibero di ridurli questo verno al modo che havete divisato.

Gio. Bat. Tanto più vi lodarò se farete questo, & se levarete anco tutte le viti, le quali vi rendono più danno assai, che utile. Che beati molti se facessero il medesimo ne i campi buoni, & massimamente in quei, che rendono gran copia di lini, & migli & piantassero un vignale spesso in luogo men buono de gli altri, che mai non si adacquasse, perciò che, oltrache si cavarebbe maggior quantità di Uva, & che il vino sarebbe assai migliore, si coltivarebbe anco con maggior commodità, & si custodirebbe con più facilità da gli animali, & da gli huomini, che per l’ordinario danneggiano le uve, & simili arbori. Et questa è la vera perfettione d’ogni vero Agricoltore (come ho detto) quando fà produrre ogni terreno quel frutto, che più gradisce per natura.

Vinc. Non tanto vi prometto di cavar tutte le viti, & oppij a i detti campi, ma anco gli arbori grandi, che vi sono attorno, percioche essendo bene scoperti, so che maggiormente haveranno beneficio dal Sole, da i venti, & dall’arare per lungo, & per traverso.

Gio. Bat. Mi piace che conosciate la importanza dell’arare per lungo, & per traverso, & il beneficio che fanno i venti à i terreni scoperti nello spolverarli, & nel difenderli molte fiate dalle nebbie, dalle brine, & dalle tempeste.

Vinc. Hora che vi resto obligato di questi utili ricordi, vi prego che mi diciate appresso, come si debbono fabricare i casamenti per l’habitare, & per lo coltivare commodamente le possessioni.

Gio. Bat. Debbe il padre di famiglia fabricarsi l’habitatione in sito sano, & commoda ampiamente per l’entrate della possessione, facendola guardare più tosto verso Oriente, ò Mezodì, che verso Occidente, ò Tramontana; & massimamente quando queste parti non trapassano l’una verso l’altra; percioche se i venti, che entrano non potessero uscire, l’aere loro non sarebbe cosi sano, come sempre è quello di Levante, & Mezodì per cagion del primo Sole, che giova spetialmente nel Verno à scacciar’i freddi humori. Ma essendo possibile, si fabrichi nella possessione, o almeno non molto di lontano; percioche non si può esprimere le commodità, & benefici, che apporta il casamento quanto più è prossimo, & quello che si patisce quanto più è di lontano.

Ancora sia accommodata la fabrica, parte per la state, & parte per lo verno, accioche maggiormente il patrone sia invitato ad habitarvi da ogni tempo. Et non manco siano accommodati i casamenti de’ massari, lavoratori, malghesi, pecorari, & castaldi secondo la conditione loro; percioche essendo cosi, vi veniranno, & habitaranno sempre volentieri. Accommodando le stalle per la quantità de gli animali, che vi sono per dimorare in parte, ò tutto l’anno. Le quali siano più tosto maggiori del bisogno, che minori; facendo le finestre à Tramontana, & Mezodì, ò da Oriente, & da Occidente; percioche passando i venti, resteranno più sane d’ogni tempo; facendovi i volti, & non solari: atteso che saranno sempre più sicure dal fuoco, ma che vi siano più buchi non maggiori d’un palmo, accioche possa penetrare il calore de gli armenti al tempo del verno ne i fieni, & altre pasture; perche staranno con più humore, & pesaranno più, che non sarebbono senza buchi. Havendo poi i fenili sopra tanto grandi, che habilmente vi si possano governare i fieni, le veccie, le stoppie, migliarine, favali, & panicali per lo vivere de’ bestiami: Oltra che desidero che vi si possa conservare la paglia, & altri strami per farli lungamente letto. Et questo dico per coloro, che ne hanno carestia, percioche, non è proportione dallo strame asciutto à quello, che è bagnato; nè dal suspeso, à quell’altro che è calcato ne i pagliari.

Appresso stanno ben’i fenili à mezodì, con l’haver dinanzi in lunghezza altrotanto portico, il quale sia largo undeci, o dodeci braccia di dentro da pilastri. Percioche non è di minor comodità un bel portico, quanto è un bel fenile, sotto al quale si può conservare le cove da battere i frumenti, & altri grani; & massimamente al tempo de’ migli, perche venendo le pioggie, come all’hora facilmente vengono, vi si possono far fuori, seccare, & ordinare. Oltrache vi si possono tenere, & conservare i tinacci, le benaccie, & altri vasi per far i vini; & anco i carri, gli erpici, & altri stromenti necessarij all’Agricoltura.

Che diremo poi del gran giovamento, che sentono da quei portichi i fieni, & altri strami nello scaricarli, nel pesarli, & nel trarli in terra per darli à gli animali? Et per contrario il gran detrimento, che ricevono i fieni, quando ne sono privi; percioche si trovano talmente arsi dal Sole, & da i venti nella parte dal mezo innanzi, che perdono la loro bontà, & restano molto leggieri.

Vinc. Dapoi che mi havete cosi ben divisato delle necessarie fabriche, che vi ho richieste; desidero che mi ragioniate anco delle acque, che convengono à diversi siti.

Gio. Bat. Si come ordinariamente si fanno ne i monti, & colli le cisterne, per ricever le acque piovane, poi che sono le più leggieri, le migliori, & le più sane di tutte le altre, cosi generalmente facciamo i pozzi nelle valli, & per tutto il piano. I quali non solamente non convengono appresso alle fosse, dove si tengono i letami, ne alle stalle, ò porcili, & altri luoghi, dove gli animali possano loro nocere co’l piscio (se non fussero molto profondi) ma bisogna anco farli più tosto al coperto, che in altro luogo, accioche non siano penetrate dal Sole la state, ne offese le genti dalle pioggie nel cavare l’acqua. Vero è che quanto più queste acque sono prossime alla superficie della terra, tanto più sono di state calde, di verno fredde, & d’ogni tempo crude.

Vi sono poi quelle de’ fonti correnti, le quali, fuori che ordinariamente sono crude, sono però di state fresche, & di verno calde. Ma sono tanto più buone quell’altre, che vengono da i monti, & quanto piu discendono da alto; perche sono maggiormente rotte da i sassi.

Parlando parimente de’ laghi, de’ fiumi, & d’altre acque correnti; dico che quelle generalmente suono buone, eccetto che di state sono calde, & di verno fredde. Resta, che si come sempre sono cattive anco quelle, che corrono per le paludi; cosi sono pessime quell’altre, che non si muovono mai.

Vinc. Perche son chiaro benissimo di tre elementi, & che non accade domandarvi del fuoco, che è il quarto, poiche ogn’uno sà il suo valore, però mi manifestarete quelle cose, che debbe far l’huomo per essercitar ben l’Agricoltura.

Gio. Bat. Chi vol farsi buon’Agricoltore, debbe haver prima il desiderio d’imparar quell’arte, il modo di essercitarla, la diligentia di essequirla, & la dilettatione continova di conoscere la natura de’ campi, che egli ha da coltivare. Percioche quella cosa è di tanta importanza, che (come non mi satio di dirla) chi non si dispone ad impararla bene, mai non haverà ricolto buono. Ma per far risplender maggiormente il suo ingegno, & le sue fatiche; dico che non accetti mai più terreno di quello, che sono le sue forze; percioche chiaramente si vede, che più rende un picciol campo ben coltivato, che un grande doppio, lentamente lavorato.

Ancora se pur’egli non vuol vender la casa della città, come essorta Magone Agricoltore eccellentissimo, almeno non si parta da’ suoi poderi, se non rarissime volte; dimorando massimamente al tempo del piantarli, dell’adacquarli, & del seminarli. Che ben veramente sono mal’aventurati quei campi, di cui il patrone non sà niente di quello, che vi fa bisogno, & che sempre si rimette al voler de’ suoi lavoratori. Et però sono da commendar coloro, che conversano con gli huomini di questa professione; percioche non tanto acquistano de’ secreti da quei, che sono valenti, quanto assai volte etiandio da gli altri, che si hanno per ignoranti; poi che si vede, che’l proverbio non mentisce. Un sol’huomo non, ma tutti gli huomini sì, sanno ogni cosa.

Lodo poi grandemente, che egli impari le regole, che osserva il buon padre di famiglia nel coltivare i suoi campi. Il quale primamente non comanda ad altri quelle cose d’importantia, che commodamente può far per se medesimo; nè mai tarda fin dimane, potendole fare hoggi; conoscendo che’l tardare è quasi sempre dannevole; si perche il tempo, che è tanto pretioso, continuamente passa; come anco, perche molte occasioni, che più volte sopravengono contra i disegni, interrompono tali cose.

Ancora ogni sera egli disegna à ciascun della famiglia quelle cose, che si hanno da fare il seguente giorno; che quando mancasse di questo bell’ordine, assai volte sarebbono operate confusamente.

Appresso non manca à levare nel far del giorno, & anco più tosto quando è bisogno, per vedere se essi si drizzano à gli officij designati: Mirando poi con diligentia, quali sono solleciti nel lavorar fedelmente, & quali usano poca discretione; provedendo sempre à quelli con prudentia, secondo i tempi. Onde, si come non si debbe mai pigliare lavoratori, ò servitori cattivi, potendone haver de’ buoni, benche costassero di più; cosi si debbe far quanto si può co i non buoni nel sopportarli mentre è forza fare le cose importanti, & che non si può haverne di migliori.

Vinc. Voi mi fate hora conoscer benissimo la pazzia di molti, iquali per scacciare con colera i lavoratori, & i servitori, & non trovarne poi de’ buoni, nè de’ tristi, quando vi bisognano; entrano talmente in disperatione, che al fine gittano à terra il mal’aventurato lavoro.

Gio. Bat. Si vede ancora, che’l prudente padre di famiglia è sempre benigno, amorevole, & liberale verso coloro, che lo servono; accarezzando i fedeli, & quelli che più tempo l’hanno servito. Usando loro non meno qualche cortesia nel donarli robbe, ò danari, & massimamente à quei che sono poveri, & più degni di compassione. Oltra che sempre li paga in contanti, & non con robbe, accioche non si lamentino che la cosa sia cara, ò che non sia buona. Et se pur ne vogliono, li serve bene, & piu tosto per un soldo manco del precio corrente, che un sol quattrino di più. Che per certo s’ingannano grandemente coloro, che cercano di arricchirsi con simili persone; percioche, pensandosi di guadagnare un carlino, si peggiorano à bei ducati; come chiaramente ne mostrano i loro campi, che sempre vanno di male in peggio. Et certamente, quando non fusse mai per altro, che per l’honore, ciascuno doverebbe sempre pagare liberalmente tutti i mercenarij. Oltra che essi servono più fedelmente, & non ve ne mancano à i tempi necessarij.

Similmente l’amorevol padre di famiglia dà sempre alle hore debite il mangiare, & bevere conveniente à quelli, che è obligato; & mentre che mangiano, non comanda loro cosa alcuna, se non per gran necessità, fin che non sono satisfatti del lor bisogno. Et questa è la vera via per farsi servire con amore, & non quell’altra di molti, che non pur discommodano simili persone per ogni cosarella quando mangiano; ma più volte ancora vi stanno presenti, quasi per numerare i bocconi; onde, come parlano più di quello, che essi han divisato, si attristano, come se gli mangiassero il proprio cuore.

Non manco il discreto padre di famiglia ha gran rispetto à non mandar’attorno i servitori quando piove molto, ò nevica; & spetialmente di notte, se non per cose importanti; ne anco dice loro mai villania. Et se pur non sono à proposito, li paga prima d’ogni lor’avanzo, & poi li dà buona licentia.

Vinc. Poscia che io ho inteso questi buoni documenti, aspetto che mi ragionate etiandio delle cose importanti, che si debbon fare co i massari.

Gio. Bat. Chi non vol coltivar’i suoi campi, debbe acquistarsi un buon massaro, & farli buona compagnia; non mancando però à sollecitarlo, & massimamente nelle cose d’importantia. Sopportandolo poi quando dice qualche parola da suo pari, ò che piglia qualche cosetta, oltra la parte sua. Percioche, per esperientia si vede, che coloro, che vogliono contendere tuttodì con tali huomini, non solo non stanno seco in pace, ma sono sforzati ogni anno à cambiarli. Onde, il più delle volte, pensandosi pur di trovarne di buoni, ò di men cattivi, s’inciampano in altri peggiori. Et però non è maraviglia se tali possessioni vanno ogni hora più di mal’in peggio; & meritamente, dapoi che non si aveggono, che quanto più mutano lavoratori, tanto più perdono il lor credito. Come ben si vede, che i buoni massari non vogliono i loro campi, ancorche siano buoni; percioche son certi, che non li coltivarebbono più d’un’anno. Che à dir poi il vero, vi son’alcuni patroni tanto ciechi, che per volere un careggio di piu, ò altra simil minutia, per non poterla havere da un buon massaro, lo cambieranno in un tristo, per haverla. Errore notabilissimo, conciosia che per guadagnare regalie per un sol ducato, ne perderanno vinticinque & forse cinquanta d’entrata. Onde se fussero circonspetti à capitolare solamente quelle cose, che sono di beneficio alle possessioni, l’una parte, & l’altra ne farebbe bene.

Vinc. Quai capitoli intendete voi, che si facciano co i massari?

Gio. Bat. Principalmente si deono obligarli ad arare, erpicare, & nettar benissimo i campi, & poi darli quella quantità di belle semenze, che conviene alla lor possanza, & che oprino ancor di tempo in tempo le cose necessarie alle viti, à gli arbori, à i prati, & alle altre cose, secondo il lor bisogno. Specificando sempre di capitolo in capitolo ciò che debbono fare, & à che modo, & à che tempo, & quante volte all’anno, accioche più chiaramente sappiano quello, che hanno à fare.

Poi si debbono obligare à zappar benissimo, non solamente i legumi, meliche, panichi, & migli, ma etiandio i frumenti al Marzo, se non tutti, almeno quel più che possono; percioche non spenderanno marcello, che non migliorino il patrone più di quattro, & se stessi altro tanto. Et quella parte, che non zapparanno (cosa che non doverebbono mai lasciare, massimamente coloro, che non hanno da zappare grani marzuoli) obligarli à mondarla al principio d’Aprile. Et questo non è di poca importantia; percioche molte fiate le cattive herbe suffocano quelle biade, & le tirano facilmente à terra, & massimamente quando sono rivoltate da i venti, ò dalle pioggie. Et però non è gran maraviglia se una gran parte di quelle spiche restano vote di grani; ò se le altre gli hanno mal maturi, & imperfetti. Oltra che quanto più sono accompagnati di veccia, di quaciuola, di loglio, & d’altre cattive herbe, tanto maggiormente il pane resta tristo, mal sano, & maccato: di maniera, che alle volte non pare la metà di quel che mostra l’altro fatto di frumento netto. Et oltra, che non solo tre some di simil biada non rendono quell’utile, che fanno due, & manco di grano netto: quei campi etiandio più volte non producono la metà del frutto, che fanno questi altri mondati.

Vinc. Quantunque io non habbia mai udito ad obligare i massari in questa cosa di tanta importantia: nondimeno, per esser di grandissimo beneficio, tanto à loro, quanto à i patroni, non dovrebbe mai alcuno mancare à poner questo capitolo, & con gran pena.

Gio. Bat. Dapoi questi capitoli cosi honesti, & utili, si oblighino ancora à carrettare, & trainare tanti giorni all’anno; & non meno a curare i fossi, à nettare gli adacquatori, & altri vasi, & anco à rimettere gli arbori, & viti dove mancano.

Parimente che non possano carreggiare ad altri nel tempo delle facende: cominciando al Maggio, insino che hanno seminato le biade; percioche alle volte per guadagnare un ducato, peggiorano se medesimi, & il patrone quindeci, & venti. Et però fallano non poco quei patroni, che si fanno condur delle robbe alla città co i carri à quei tempi, che doverebbono seminare i grani, & fare delle altre facende necessariissime. Percioche non si può giudicare il danno, che ne segue per lo tardare da una settimana all’altra, & da un sol giorno all’altro. Et questi sono i necessarii capitoli per lo beneficio del patrone, del massaro, & della possessione: ma non giamai quegli altri, che solamente sono utili al patrone, & dannosi sempre al massaro. Il quale, per vedersi angariato, ò più tosto scorticato da lui, non tanto non lavora con buon’animo quei campi; anzi, come tristo, sempre và chimerizando da partirsi, quanto più tosto può trovar miglior partito.

A conoscer poi se un massaro ha da mantener quelle cose, che promette, osservi il patrone nel leggerli i capitoli se egli contradice, ò, non, massimamente à i più importanti. Percioche, si come contradicendo mostra che non vuol promettere se non quel tanto, che’l pensa di fare, con effetto: cosi promettendo di uno in uno senza difficultà, è da credere, che egli ha nel cuore di volerne far poco, ò niente. Et però sono male aveduti quei patroni, che accettano cotai huomini: conciosia che si pongono à pericolo di provare in parte le pene del purgatorio in questo mondo.

Vinc. Certamente questo ricordo non è meno importante de gli altri, c’havete detto. Percioche non sò la maggior disgratia d’un patrone, che havere un lavoratore perfido, negligente, rissoso, col quale tutto’l giorno bisogna gridare, protestare, minacciare, & alle volte venire à certi garbugli, che non è sì modesto huomo, che finalmente non perdesse la patientia.

Gio. Bat. Lodo ancora, che’l patrone pigli informatione di quel massaro, che ricerca havere, & non solamente da quel patrone donde ha da partirsi, come anco da’ vicini, & d’altri che lo conoscono. Et ritrovandolo cattivo lavoratore, & di mala natura, patisca piu tosto ogni interesse, che mai accettarlo. Oltra che non fermi mai alcuno; se primamente non ha buona licenza dal proprio patrone, accioche maggiormente sia sicuro d’haverlo al tempo suo, senza litigare, come piu volte occorre.

Lodo poi à farli i suoi conti almeno una volta all’anno; percioche, sì come il massaro lavorerà con maggior’animo la possessione, non manco il patrone acquisterà buon nome. Senza che egli darà occasione à quel massaro di non partirsi mai, ma di perseverare nel coltivare allegramente ogni hora meglio; poi che vedrà che li vien fatta buona compagnia dall’amorevol patrone. Et da quì si potrà dire quella sententia, che dice: Felice quella possessione, ch’è coltivata da lavoratori nati in lei: percioche l’amano come sua, & conoscono benissimo di luogo in luogo la natura di quei terreni.

Vinc. Dapoi che difficilmente si trovano massari fedeli, & valenti; credo che non vi sarebbe meglio, quanto che noi altri coltivassimo i nostri campi, & specialmente chi non ne ha molta somma. Percioche, oltra che non c’intricaressimo con lavoratori cattivi, ho per fermo, che faressimo anco questo con utilità.

Gio. Bat. Beati noi, & beata la terra, se fusse lavorata da noi con quella purità, & diligentia, che facevano i nobilissimi Romani. Percioche, oltra il viver felice, che faressimo, ella parimente produrrebbe assai piu di quello che fa; per vedersi un’altra volta accarezzata da giudiciosi cittadini, & liberata da rozzi contadini; contra de’ quali, è talmente sdegnata, che non è maraviglia se non rende quei buoni ricolti, che soleva à quei felici tempi. Et meritamente, dapoi che non conoscendo essi il vero coltivare, vogliono ancora prendere il doppio, & treppio di quello, che doverebbono fare; pensando i ciechi di arricchirsi in campi assai con poche fatiche. Onde non è maraviglia, se tali sgratiati stanno sempre poveri, & se apportano danni infiniti à i lor patroni. Che se si costumassero i Censori sopra questa misera natione, come facevano quei sapientissimi Romani, non è lingua, che esprimesse mai la utilità grande, che uscirebbe dalle tante possessioni, che hoggi sono cosi mal trattate.

Vinc. Ogni hora vengo più in cognitione, che voi coltivate questa vostra possessione con maggiore utilità di quel, che fanno infiniti massari.

Gio. Bat. Chi non sà, che ciascun par nostro può far lavorare i suoi poderi con altro vantaggio, di quel, che possono i tanti contadini, à i quali, ò per povertà, ò per dapocaggine non val lo scudo otto carlini? Et questo dico, perche (dove per essempio) io dò à gli huomini, che scalvano gli arbori, & acconciano le viti, marchetti otto al giorno, & non altra cosa, essi li danno quasi tanto, & ben da mangiare da pari suoi. Et quel medesimo potrei dire del tagliare, & ordinare i fieni, & altre cose, che occorrono alla giornata. Et è cosa maravigliosa, che piu volontieri servono à me (benche non dia lor da mangiare, come essi fanno sempre) che non fanno ad essi; percioche li pago col danaro di sera in sera; dove per contrario sono stentati da loro nell’haver la mercede à settimane, & à mesi; senza che il più delle volte, sono pagati con robba per più pretio di quel che vale, & della più trista.

Lasciando da canto le persone inutili di casa, & altre cose assai, che gli apportano danni grandi, quanti credete siano gl’interessi, che gli occorrono ogni anno nel comprare buoi, cavalli, panni, & altre cose assai, à pagarli al nuovo ricolto? Che se pigliano per cinquanta scudi, fra il costar di piu del pretio corrente à danari, & il darli tanta biada à quel tempo, che ordinariamente vale manco di tutto l’anno, piu volte ne pagano più di cento. Et vi sarebbe da dire anco de’ danni grandi, che patiscono per lo carreggiare ad altri, per lo morire de’ bestiami per sua cagione, per lo mal lavorare, per lo mal seminare; ma lasciandoli da parte, ritorno à dire, che se molti cittadini coltivassero i suoi poderi, non solamente havrebbono doppie entrate nella parte dominica, ma ancora nella colonica.

Vinc. Dapoi che mi fate certo di questa sì grande utilità, vi prego che mi diciate quelle cose, che mi converrebbono per coltivare i miei campi suburbani.

Gio. Bat. Primamente vi bisogna un valente bifolco, non guardando à pagarlo bene; percioche da lui depende tutto quell’utile, che si può aspettare dall’Agricoltura. Che ritrovandolo da bene, non tanto sarà amorevole à i buoi nel darli da mangiare, & bene con misura; ma etiandio li fregherà la sera molto bene innazi che si colchino nel buon letto fatto da lui con paglia, ò con altro strame; & la mattina per tempo li netterà, & streggierà benissimo; oltra che li laverà spesse volte la coda con acqua tepida, per esser cosa che li giova assai. Et gli haverà rispetto à non farli lavorare nel gran caldo, nè quando piove, ò nevica, se non per la gran necessità; ne anco li caricherà, nè faticherà per lungo viaggio; non battendoli se non rare volte, & con discretione. Et come saranno giunti à casa scalmanati, li spruzzarà del vino in bocca, & non li legherà alla mangiatora, fin tanto che non haveranno cessato di sudare, & di ansare: Dandoli dapoi il loro cibo, secondo che di mano in mano lo mangiano; & come ne haveranno mangiato una parte, li condurrà all’acqua, accioche bevano secondo il lor bisogno.

Ancora egli arerà, erpicarà, & seminarà sempre con ragione. Et non meno sarà diligente nel levar per tempo; & massimamente ne i gran caldi, per arare nelle hore fresche sin’à terza, ò poco più; & da poi vi ritornerà passate le vint’hore, & arerà sin’all’Ave maria; percioche à questo modo si mantengono sani i buoi per lungo tempo. Et come haverete un’huomo simile, pigliarete ancor’un’altro per boaro, accio che lo aiuti à governare, & à cacciare i buoi, & i cavalli; anco à caricare, & scaricare i carri, & in altre cose assai. A questi darete la casa dove stà il massaro con l’horto, & le cose necessarie per lo viver loro, come faccio ancora io à i miei, senza haverne altro incommodo, & con lor contento; percioche mangieranno alle sue hore, & senza rispetto alcuno.

Vinc. Ditemi quanto salario date loro, & la quantità, & sorte del vivere.

Gio. Bat. Primamente io dò al bifolco quindici scudi ogn’anno, & al bovaro dieci: Et per lo vivere, dò à ciascuno some tre di farina, otto brente di vino, & tante libre di carne salata, di formaggio, di oglio, di sale, & le legne che li bisognano. Ma sappiate, che io son’amato da loro, & mi servono con diligentia; perche ancor’essi veggono, che hanno buona compagnia da me, cosi nel vivere, come nel pagarli liberamente.

Vinc. Mi piace questo bell’ordine, che voi tenete, & che trattate cosi ben questi nostri servitori. Che se molti osservassero queste cose, ò non li stentassero nel darli la lor mercede, ò non minacciassero di dar lor in cambio di essa delle bastonate, ò delle ferite non gittarebbono à terra il coltivar de’ loro campi, come fanno. Ma lasciando questi tali; vi prego che mi diciate anco la sorte de’ buoi, che io debba comperare.

Gio. Bat. Vi consiglio che non spendiate i cinquanta, & sessanta scudi il paro, come costano i Bolognesi per esser grandi; ma che pigliate buoi mezani, giovani, ben quadrati, robusti, & in luoghi sterili, & aprichi; percioche si mantengono in ogni luogo, benche sia morbido, ò molto caldo. Ma se li potete haver nelle contrade vicine, ò nella propria terra, lodo che li pigliate piu tosto per qualche pretio di più, che de’ forestieri; atteso che non periranno, come faranno quelli. Et se pur saranno d’altri paesi, & giovani, per lo primo anno gli haverete rispetto à non faticarli molto, & specialmente nel gran caldo: Tenendoli piu tosto à buon fieno, che farli pascer herba, perche non solo si manteneranno ad ogni fatica, & temeranno manco il caldo; ma dureranno anco lungo tempo sani, & spenderanno poco più, conciosia che, per non pascolar’i prati, ricogliete più somma di fieno, & migliore, che non fareste se fussero pascolati. Avvertendo parimente à non prestarli ad altri, & manco à mandarli in careggio di lontano, perche li godereste poco tempo.

Vinc. Poiche io ho inteso questi si utili precetti, desidero che mi diciate la natura de’ terreni diversi, che si trovano ne i colli, & nel piano nostro, accioche sappia quanta differenza vi vol nel coltivarli, per farli produr quei frutti, che meglio appetiscono.

Gio. Bat. Mi piace, che non mi dimandiate la grandissima varietà, che dicono gli autori antichi; & però vi ragionarò solamente de’ nostri petrosi, gerrosi, sabbiosi, ladini, & casalini; & poi de’ forti, crudi, & duri; tacendo quegli altri, che sono paludosi, ledosi, gessosi, & cretosi; percioche questi sono (come ho detto) da schifare come peste.

Cominciando adunque à narrare di quei, che sono contigui à i monti nostri, i quali ordinariamente sono più tosto forti, che altramente; dico che abondano di vini, di frumenti, & d’altri frutti. È ben vero, che quei di Franciacurta, & delle terre vicine non sono in tutto cosi, come quei di Piedemonte, ma fanno i miglior vini di tutti gli altri; riservando però molte ville della Riviera di Salò, che avanzano tutte le altre del paese.

Poi parlando de’ terreni forti, dico che producono frumenti assai quando vi và il tempo secco, & particolarmente di Maggio, & poche altre rendite; ma se va piovoso, fanno molta paglia, & poco grano. Ma di quei, che sono crudi, aspri, crolli, ò troppo forti; dico che sono di poco valore; percioche, se non hanno le stagioni temperate di secchezza, & di pioggia, malamente producono frumenti, & altri frutti. Et oltra che quasi sono difficili da coltivare, ancora non bisogna adacquarli mai, per l’acqua, che vi sarebbe tanto veleno.

Vinc. Non vi sarebbe qualche rimedio, per giovar’à simili terreni?

Gio. Bat. Si potrebbono arare, & erpicare più volte benissimo; percioche quanto più si rivoltassero con l’aratro, & si tritassero con l’erpice, tanto più sarebbono dimesticati dal Sole, dal gelo, & da i venti; & anco dal letame quanto più somma vene fusse dato.

Vinc. Che rimedio sarebbe à quelli altri terreni, che sono talmente maligni, che come sono assaliti dalle pioggie, resta l’acqua nella superficie, finche non è consumata dal Sole; overo come sono percossi dalla secchezza, si fessano di tal sorte, che vi si nasconderebbono delle lepri, & forse maggiori animali?

Gio. Bat. Si aiutarebbono questi terreni, quando si conducesse lor sopra gran quantità di sabbia, & mescolarla con seco nell’arare, come se fusse tanto letame: Et se la prima volta non fussero migliorati almeno in buona parte, far’il medesimo un’altra volta, & un’altra, se tanto bisognasse. Che facendo ben questo, non pur si mollificarebbono, & si coltivarebbono con qualche commodità; ma ancora digerirebbono maggiormente le acque pluviali, & quelle si danno loro, quando si adacquano. Vero è, che quando se ne trovassero, che havessero della sabbia, ò ghiara minuta sotto un braccio, ò due (come ve ne sono) in quel caso sarebbe forse meglio à far de’ fossi non molto lontani l’un dall’altro, & tanto alti, quanto bisognassero per cavare, & trarre tai terreni in cima da un lato, & gittar poi in fondo altro tanto del cattivo; perche cosi si mescolarebbono insieme benissimo.

Vinc. Dubito, che à far questa spesa, ella non fusse maggiore della utilità, che si potesse havere.

Gio. Bat. Ancora io sarei del vostro parere, quando si facesse questo in molti paesi, dove i lor terreni vagliono poco pretio: Ma vedendo che i nostri peggiori vagliono otto, & dieci scudi il iugero, come fussero conci al modo detto, non valerebbono meno di cinquanta, & cento. Ma quando non si facessero queste spese, lodarei almeno che vi si piantassero de gli arbori più tosto che seminarvi biade, ò prati; & specialmente delle viti spesse, quando fussero della medesima trista sorte di alcuni terreni di Gottolengo, i quali quanto più sono disperati da coltivare, producono però le viti talmente belle, & buone, che fanno i migliori vini di tutto il piano. Et questa è la maggior virtù, & più importante d’ogni Agricoltore (come non mi satio mai di replicare) à saper cavar quelle rendite più utili, che si può raccogliere da tutti i terreni, secondo la lor natura.

Vinc. Poscia che à voi mi riporto di quanto havete detto, aspetto anco che seguitiate nel chiarirmi de gli altri terreni promessi.

Gio. Bat. Fra i leggieri di questo paese, vi sono i sabbiosi, che sono i più deboli, & i più magri di tutti gli altri terreni; percioche, quantunque se li diano grasse assai, non sono però cosi tosto sparse, che sono arse dal Sole, ò cacciate al basso dalle pioggie, & più se si adacquano. Ma venendo à i terreni ladini, & casalini, dico che benche siano la manco parte del paese nostro; sono però il fiore di tutti gli altri: De’ quali è anco il più perfetto il ladino per essere più molle, & più dolce d’ogni altro da lavorare. Il quale, per esser quello, che arricchisce la nostra patria di tanti lini, & che rende tanta copia di frumenti, migli, fieni, & altre rendite; però non è maraviglia se in più ville si vende cento cinquanta scudi il iugero. Onde, si come non errano coloro, che comprano tali terreni; cosi s’ingannano grandemente quegli altri, che li pigliano cattivi, ancorche costino poco pretio; attesoche quanto più spendono, tanto piu si disperano per non vedervi mai un bel ricolto. Lodo ben’à comperar’i campi rovinati, ma buoni di fondo, & ben situati; percioche in poco tempo si possono ridurre al pari de’ migliori.

Vinc. Hora che mi havete mostrato benissimo la natura de’ terreni principali del nostro piano; mi sarà grato, se mi divisarete non meno le qualità de’ colli & come si debbono coltivare.

Gio. Bat. Bisogna primamente, che io vi distingua le quattro parti de’ nostri colli, & dare à ciascuna quel tanto che le conviene. Percioche, altra cosa cosa vole il sito, che è verso Tramontana, & altra quello dell’Austro. Altro vole quello, che è verso Oriente, & altra vole quello dell’Occidente. Onde parlando prima del sito, che è verso Tramontana; dico che’l proprio suo è piantarlo di castagne, accioche si habbiano i loro frutti, & si possa servire di quegli arbori, secondo che sono atti per fabricare, ò per far’altre cose necessarie: percioche da quelli si haverà altra utilità, che non si haverebbe da altri arbori, ò da i pascoli al tempo loro. Ne vi sono da ponervi altri arbori fruttiferi, & manco da seminarvi grani; conciosiache si haverebbe poco frutto. Et quanto alle tre altre parti; dico che vi si piantino delle olive, & più tosto al Mezodì, che all’Occidente; ma meglio all’Oriente; percioche simili arbori amano il primo Sole: Et il medesimo dico delle mandole, de’ pomi granati, & de’ fichi.

Vinc. Considerando che i colli vicini alla città sono habitati da i nobili, credo anco vi starebbono benissimo da Oriente, & Mezodi i cipressi, pini, lauri, mirti, & altri arbori gentili.

Gio. Bat. Lodo ancora io quelli per bellezza; ma per utilità è meglio piantarvi de’ pomi, peri, moniache, & brogne, overo (come ho detto) delle mandole, pomi granati, & fichi; perche questi arbori ricercano simili siti.

Non manco lodo à piantarvi delle viti buone, & spetialmente delle vernaccie gentili, & delle moscatelle; se però quei siti producono uve delicate; percioche quanto più saranno buone, tanto miglior bevande faranno.

Vinc. Qual modo lodate voi circa il coltivare ben’il fondo d’ogni colle, l’arare, ò zappare, over vangare?

Gio. Bat. Si coltiva perfettamente con la vanga, ma perche molti colli sono duri di terra compagnata di pietre assai; però bisogna lavorarli con zapponi lunghi, ma non larghi, & da huomini gagliardi; percioche, lavorando valentemente, vi faran produrre de’ grani in quantità; senza che quegli arbori renderanno de’ frutti in copia. E vero che quando vi si potesse arare, che si farebbe con minor spessa; ma quel fondo non restarebbe cosi ben concio, come farebbe da i zapponi à braccio. Et pur chi volesse arare, non ari mai sù e giù, ma solamente à traverso, & con tal modo, che le acque pluviali nel discendere, essendo ritenute da quei solchi, non possano condur le grasse altrove.

Vinc. Non vi sarebbe qualche rimedio, che queste pioggie non menassero tali grasse in altre parti?

Gio. Bat. Si potrebbono fare i sostegni alti, & larghi à banche in fila, secondo che i colli fussero più, & meno erti, & massimamente à quelli che han sotto i sassi piani; percioche, spezzandoli, & cavandoli, si farebbono tai sostegni di muro secco, cioè senza calcina; facendoli dentro delle finestre penetranti in quantità, ma non più larghe d’un palmo di mano in quadro, & lontane una dall’altra per fila non meno d’un braccio, per piantarvi poi de’ cappari, quando il terreno di sopra sia fatto uguale sin’alla cima d’ogni muro. Che facendo questi muri di mano in mano con bell’ordine, & con le dette finestre, non solamente si raccoglierà ogni anno gran copia di cappari, quando habbiano vigore dalla terra di dietro, & dal Sole dinanzi, & senza nocumento di Tramontana; ma anco si potrà empir sopra d’artichiocchi tutto quel sito piano. Mi potreste dire, che simili muri sarebbono di qualche spesa; ma stando la grande utilità, che renderebbon i cappari, & gli artichiocchi, si farebbono anco con gran vantaggio.

Vinc. Non è dubio alcuno, che quando si facessero queste cose con diligentia; renderebbono altra sorte di utilità, che non sarebbono le viti, olive, mandole, & altri arbori fruttiferi, che vi fussero. Ma, & all’uno & altro modo si caverebbe da questi colli non men’entrata di quello, che si potrebbe fare d’ogni altro buon sito del piano.

Gio. Bat. Molto mi maraviglio, che non siano pregiati i colli ben situati, assai più di quel che sono. Percioche non pure ogni spirito gentile vi può goder la soavità dell’aere, l’amenità de’ siti, la vaghezza delle prospettive, & i tanti piaceri che vi si pigliano; ma etiandio questi luochi piantati di arbori fruttiferi, ne capiscono quattro volte piu, che non fanno i luoghi piani; peroche, si come questi, piantandoli spessi si ombrano l’un l’altro; cosi quegli altri si trovano (secondo che quei siti ascendono) di arbore in arbore superiori à gli altri, non occupandosi in modo alcuno.

Che diremo poi quando si ponessero questi colli ad argini, cioè à banche come ho detto; che non essendo troppo erti crescerebbono quei medesimi fondi almen’un quinto di più? Che in verò appresso alla grand’utilità, che si cavarebbe, questo aumento pagarebbe quanta spesa vi fusse fatta.

Vinc. Non mi maraviglio dell’accrescimento che fan gli arbori in tali siti nel numero; ma ben mi stupisco di quel che dite, che gli arginati, cioè fatti à banche, crescano in misura un quinto di più.

Gio. Bat. Non è dubbio, che questa cosa è certa, percioche, misurando lo spatio de’ muri in piede, & de’ terreni spianati, fà che cresce quel che ho detto. Et questo cel mostrano benissimo gli scalini d’ogni scala, i quali misurandoli in altezza, & in larghezza, sono di piu, che non è à misurar quella per drittura in lunghezza.

Vinc. Vi sarebbe da ragionare ancora della diversità de’ tanti monti nostri; ma perche vi vorrebbe tempo assai, sarà meglio che mi ragionate de’ modi, che si ricercano à coltivare ben’i campi.

Gio. Bat. A lavorare ben la terra, vi bisognano tre cose. L’huomo di giudicio, i buoi à proposito, & l’aratro ben’ordinato. Ma sopra il tutto consiste, che’l bifolco conosca bene la natura de’ terreni, & fondi l’aratro quanto può in quei che sono di buon fondo, & ne gli altri tanto quanto se ne trova di buono. Percioche, si come fondando l’aratro ne i buoni, rivolge sempre quella miglior parte, che si trova grassa per non haver fruttato, come ha fatto quell’altra che era di sopra; cosi quando si fondasse troppo ne i cattivi, potrebbe volgerne di quella, che mai non fruttarebbe. Vero è, che non si può errare à pigliare sempre poca terra con l’aratro; percioche non solo quanto più entrarà nella buona, & la taglierà sottilmente, tanto maggior copia di frutti renderà; ma anco in molti campi dove vogliono quattro buoi, & due persone per ararne malamente sei, over otto pertiche al giorno, ve ne basteranno due, & il bifolco solo per ararne perfettamente tre, le quali renderanno anco più frumento con quattro quarte di semenza, che non saranno le otto dette, con quarte dodici.

Vinc. A questo modo, voi mi fate veder’il gran vantaggio, che si fà nell’arar bene; percioche non tanto si risparmia la metà delle persone, de’ buoi, & della semenza; ma si raccoglie ancora tanto con vinti iugeri di terra ben’arati che costino due mila ducati, quanto si fa con quaranta, che siano arati male, & che costino quattro mila.

Gio. Bat. Hora, si come vi ho detto, che l’arar bene importa à prender sempre poca terra con l’aratro, & fondarlo quanto più si puote; cosi perche ordinariamente non si fonda la prima volta, come bisognerebbe per trovar la terra dura, siano fondate le altre quel più che si può: non fondando però tanto l’ultima, sopra della quale si seminano i grani, overo che si rivolgono sotto con l’aratro. Percioche, si come molti Agricoltori, mentre che’l tempo è dolce, arano prima il campo, & poi subito seminano sopra il frumento; erpicandolo talmente, finche è coperto con due, ò tre dita di terra; cosi venendo il primo freddo seminano primamente i grani, & dapoi vi rivolgono addosso non men d’un palmo di terra: Et però non è maraviglia, se per questo, non possono uscir fuori cosi facilmente, come fanno quando sono coperti con poca terra, & se nascono cosi rari; percioche quanto più tardano à nascere; tanto più vi si guastano gli occhi, & sono roduti da gli animaletti sotterranei.

Vinc. Io non so chi potesse mai biasimare questi avvertimenti, poi che questi tali coprono (per essempio) per tutto Settembre i grani con due ditta di terra nel seminarli sopra; & il primo giorno d’Ottobre vi rivolgono tanta somma nel ridurli sotto con l’aratro.

Gio. Bat. Poi il buon’Agricoltore, oltra il fondar l’aratro, & pigliar sempre poco terreno, lo rompe prima per lungo, & nel ritagliare, lo ara per traverso. Dapoi si come la terza volta lo fende anco per lungo, & la quarta similmente per traverso; cosi l’ultima, che è la quinta, volendo seminare ritorna ad ararlo per lungo. Et non ostante che egli erpica di aratura in aratura sempre per lungo, & per traverso, tritando le dure con erpice grande ben fornito di denti lunghi di ferro; cava parimente le cattive herbe co i rastelli di ferro, & le bruscia in monticelli come sono ben seccate dal Sole. La onde, arando, & erpicando, & rastellando; non pur netta benissimo ogni campo sporco in tre, ò quattro arature, & erpicature, ma il frumento che vi nasce, produce anco più lunghe radici, che non sarebbe quando nascesse in altro terreno lavorato basso; senza che le acque pluviali non le possono offendere; atteso che trappassano più facilmente di sotto, le quali per contrario vi rimanerebbono addosso, quando le radici havessero sotto, & attorno quel terreno duro.

Vinc. Questo modo d’arare, & d’erpicare mi pare perfetto ne i campi scoperti, ma non so come si potesse arare, & erpicare à traverso in quelli, che sono vignati.

Gio. Bat. Che ha gli arbori, & viti che rispondano per drittura ben giusti in ogni parte, può imitare gli Agricoltori di Rovado, & di altre terre vicine, i quali arano, & erpicano tanto per traverso ne i vignali, quanto per lungo; levando le viti con le mani, ò con due forcelle talmente, che gli animali vi passano benissimo sotto, senza danneggiarle.

Vinc. Possiamo adunque assomigliare queste cinque arature, & erpicature al vangare à braccio, per esser’il miglior coltivare, che si possa fare.

Gio. Bat. Non è dubio, che’l vangar la terra è cosa di maggior coltivatione, che l’arar a qual si voglia modo; ma sappiate, che egli è d’altra perfettione il crivellarla co i crivelli di fil di rame, ò più tosto di ferro; percioche non tanto ella si trita, & si netta quanto si può desiderare; ma anco resta talmente sospesa tutta per un palmo, & quel più in altezza che si vole; che non vi è semenza buona, che non renda più del doppio, che non sarebbe in altro campo. Perche considerando, che quella terra si trova come cenere, si può creddere che dove ne nascerebbono cento nelle altre, in questa ne nascerebbono più di cinque cento. Vero è che non sarebbono buone quelle terre, che hanno delle pietre assai, ò che sono dure, ò crude ò molto forti; ma si ben quell’altre, che sono à proposito, & che all’hora si trovassero asciutte.

Vinc. Credo che questo si farebbe commodamente all’Agosto, al Settembre, & alla primavera; & massimamente per piantarvi asparagi, artichiocchi, zafrani, & altre cose gentili, che sono di utile assai.

Gio. Bat. Seguitando pur quello che fà il buon’Agricoltore; dico che non ara mai terreno alcuno nel tempo che è talmente bagnato, che nell’ararlo resti in pezzi grossi; & spetialmente quei che sono molto forti, ò duri, ò crolli, percioche divengono tanto serrati, che poi non si possono ridur’in polvere, & manco ricever’in se la semenza per darle vigor di nascere, ò da produr’al tempo sicuro frutto. Et oltra che mai non ara i terreni fangosi; perche se non sono asciutti, restano difficili da maneggiare, & manco habili da seminare per più tempo; usa ogni diligenza anco nell’arar sempre tutti gli altri in quel migliore stato, che sia possibile.

Poi quando ara à canto delle viti, & d’altri arbori, non trapassa gli impedimenti delle lor radici, con levare l’aratro, & passare sopra ogni volta che le sente, come fanno molti; ma sempre si ferma, & le taglia con l’acceta, senza stracciarle à pericolo di spezzar l’aratro, & danneggiar’i buoi. Cosa in vero vituperosa di coloro, che non le troncano; conciosia che ingrossandosi, & allungandosi ogn’hora più, fanno notabil danno alle seminate; si perche divorano le loro grasse, come per che impediscono l’aratro, che non può mai mover quella tanta parte del terreno, ch’elle occupano.

Vinc. Perche vi sono alcuni, che dicono esser molti terreni, che quanto più si arano, tanto più divengono magri, & fanno manco frutto; però vorrei saper da voi quello, che ne sentite.

Gio. Bat. S’ingannano nel dire, che ve ne siano molti. E ben vero che se ne trovano alcuni pochi, che sono talmente leggieri, che quanto più sono arati nel gran caldo, tanto più sono traffiti dal Sole; onde restano poi deboli nel produr’i grani. Ma però la esperientia ci fà vedere, che fuori di questi pochissimi, quanto più si arano gli altri a i tempi debiti, tanto maggior ricolto producono.

Vinc. Parimente desidero, che mi diciate de gli alteri riti, che servano i nostri buoni Agricoltori nel coltivar diversamente i campi.

Gio. Bat. Parlandovi primamente delle nostre contrade, le quali participano della natura di tutte le altre del paese; dico che quando un campo ha fatto un sol frumento, ò altra biada grossa, che sia per farne un’altro il seguente anno; levata che sia tal biada in paglia, sia segato lo stipulo più tosto che si può, & poi arato quelle volte, & erpicato al modo che ho detto; non mancando di seminarlo per tempo, & per Luna nuova, essendo possibile, purche quel terreno non tema i vermi, ò che non sia molto forte; percioche più ricolto renderanno cinque stara di semenza, che non faranno sette à seminarli tardi; come per proverbio si dice. Si come il seminar per tempo inganna alcune volte, cosi seminar tardamente inganna quasi sempre.

Poi non ritrovando il campo ben netto, ancorche fusse ben’arato, & grasso; dico che non si semini, perche produrrà assai manco d’ogni altro che fusse magro, ma ben coltivato, & netto. Et d’un’altro, che habbia fatto frumento per dui anni continovi, & che nel seguente resti voto; levate fuor le cove, sia segato subito lo stipulo, & seminato di miglio, inanzi che finisca Giugno; percioche sin’à quel tempo è il fior di seminarlo, & dapoi sia ben zappato per due volte. Et appresso San martino, sia ben carrettato, & poi ben’arato. Et cotto dal gran gelo, sia alla fin di Gennaro ritagliato, & erpicato. Et letamatolo bene, sia seminato di veccia, & vena per metà nella terza aratura fatta al principio di Marzo; dandoli la istessa misura, che si fà del frumento.

Vinc. Non sarebbe meglio à ponervi più veccia, per esser’anco miglior pastura della vena?

Gio. Bat. Ho detto di seminar quelle due cose per metà; accioche maggiormente sia sustentata la veccia dalla vena nel crescer ben’alta; benche la vena è poco men buona in tal caso, che la veccia. Et passati i quindici di Maggio, essendo quasi compiuto il grano di quella pastura, sia tagliata; & come sarà secca, sarà anco perfetta per li buoi, & per li cavalli, i quali staranno grassi senza darli altramente biada. Et oltra che ella non dannegia quel terreno, renderà ancora assai più herba d’ogni trifoglio. Onde, levata dal campo, all’hora vi si potrà seminar subito de’ fasoli, over del miglio intorno à gli otto di Giugno. E vero, che seminandovi fasoli, quel terreno produrà l’anno seguente più frumento, che non farà à seminarvi miglio. Percioche, si come questo lo magrisce sempre, cosi quello l’ingrassa.

Vinc. Adesso io conosco la gran dapocaggine di tanti, che fanno colture per seminarvi à quei tempi fasoli, ò migli; non avisandosi à seminare prima questa pastura, la quale si raccoglie da un tempo, che quel terreno dorme, ò posa.

Gio. Bat. Sappiate che ne raccoglio tanta da tredici, ò quattordici iugeri, che ella mi mantiene tutto l’anno sei animali, che io tengo per la coltivatione, senza darli fieno, ò biada.

Vinc. Poiche siamo sopra il pascere gli armenti, desidero che mi diciate, come si semina il trifoglio, per haver del fien’assai.

Gio. Bat. Quantunque generalmente si semini di Marzo nelle biade; tuttavia mi piace più a seminarlo da San Bartolomeo sin’à i dieci di Settembre nel terreno seminato di segala erpicata. Percioche gittando all’hora quella semenza nella polvere, & erpicandola almeno due volte dentro, oltra le erpicature fatte alla segala, s’incorpora talmente in quella terra, che ve ne resta poca che non s’appigli. Ma seminandola di Marzo, non tanto non può nascere cosi bene, come fa ne i detti giorni (per esser gittata sopra la terra dura) ma muore anco tutta quella, che rimane sopra le foglie della biada. Et oltra che quella di Agosto, & de’ detti giorni di Settembre, è piu alta al San Martino seguente, che non è quella della primavera, quando si tagliano le biade, non teme ne anche le pioggie, i freddi, & la secchezza per esser benissimo radicata. La onde, segandola dapoi subito che saranno tagliate quelle biade, non pur si farà una buona stoppia trifogliata, ma produrrà etiandio due segate di fieno, se però il tempo non le sarà molto contrario. Et questo posso dir per la lunga pratica, benche fin’hora pochi mi habbiano imitato.

Vinc. Qual semenza vi par migliore per seminar questo trifoglio, quella che ha attorno la guscia, ò quell’altra che n’è senza, & ben netta?

Gio. Bat. Non è dubio, che quella della guscia è assai migliore per haver’i grani più vivaci, & perche vi presta aiuto nel farli nascere. Et coloro che la fanno fuori della bulla, non per altro la nettano, che per conservarla in poco luogo, & per commodar’i compratori, che la portano di lontano.

Vinc. Quanta somma dell’una, ò dell’altra semenza vi pare, che se ne dia a ciascun iugero di terra.

Gio. Bat. À far che un terreno ben netto di tal misura, produchi del fieno assai, non bisogna seminarvi manco di cinque pesi di buona bulla, over mezo di bella semenza netta; & spetialmente al Marzo per le cose dette. Percioche, quanto più se ne spargerà di manco, tanto più ella nascerà rara, & le cattive herbe maggiormente vi veniranno in luogo del buon trifoglio. Et però, si come sono da biasmar questi, che seminano tai semenze scarsamente, benche i terreni siano ben netti; cosi non sono da lodar coloro, che la spargono abondantemente in quei che sono sporchi, perche tutti raccoglieranno poco fieno.

Vinc. Poscia che mi havete mostrato chiaramente quanto importa questo seminar di trifoglio; vi prego che mi diciate anco del modo, che si tiene à pratar’un campo per sempre.

Gio. Bat. Bisogna primamente nel verno ugualarlo bene, & da poi ararlo tutto sottilmente senza solchi maestrali almeno due volte per lungho, & per traverso, & erpicarlo anco ogni fiata benissimo. Onde, essendo ben netto, & ben’ordinato, & ben letamato, bisogna parimente ararlo, & seminarlo di vena, pur senza solchi maestrali; & erpicatola una volta, seminar sopra la semenza di trifoglio abondantemente, per le cagioni che havete intese; erpicandola almeno due volte dentro. Et come sarà tagliata la venna alla fine di Giugno, ancor’a mezo Luglio sia segata la stoppia per gli animali, & dapoi il fieno che venirà. Non mancando mai à letamare quel prato ogn’anno, & massimamente quando non vi è acqua per adacquarlo; ma havendola, passato il primo anno, sia cacciata addosso tutto il verno per ogni luogo; percioche à questo modo si farà sempre più grasso, più spesso, & più abondante di herba.

Vinc. Havereste altri modi per giovar maggiormente à simili prati.

Gio. Bat. Per far che abondino d’herbe, non vi è cosa pari al letame mescolato con la polvere; percioche, oltra che costa manco del puro di stalla, fà produr’anco assai più pastura d’ogni altra grassa. Et però si raccoglie prima la polvere per le vie frequentate al tempo del gran caldo, ben secca, & si conduce nel cortile, ò più tosto nel prato che si hà da letamare, la quale hà tuttavia con seco dello sterco degli animali, della paglia, & delle altre grasse. Et seminate che siano le biade, tutto quel letame che si cava dalle stalle si conduce di volta in volta dove sia tal polvere bene ammucchiata, & nello scaricarlo si mescola benissimo con lei di mano in mano per meta, finche vi è da crescere cotal materia. La quale si lascia cosi finche è dalle acque, & dal gelo ben trafitta, & ben matura. Onde spargendola al Gennaro, ò al Febraro per lo prato, rende (come ho detto) assai più herba, che non sarebbe altrotanto letame puro di stalla; percioche questa mistura essendosi fatta cosi minuta, penetra più alle radici d’ogni herba, che non fà quel letame, il quale restando grosso, giova manco à i prati, che à gli aratori, per non potersi incorporar in quelli cosi, come fà in questi.

Vinc. Chi non havesse letame da componer con questa polvere, non sarebb’ella anco buona per far produr dell’herba in copia, quando si spargesse cosi pura inanzi il verno?

Gio. Bat. Non solamente sarebbe perfetta à i prati, & alle biade, quando se gliene desse almeno dieci carra, per iugero, spargendola come si fà lo sterco de’ colombi; ma alle viti ancora, dandone una palata per gamba, quando si colmano all’Ottobre.

Vinc. Mi piace che ella sia cosi buona per le viti, poi che si sparagna il letame puro, il quale è perfetto per li terreni aratorij; ma non sò come sia bene à darla alle biade, per esser sì potente nel far produr l’herba.

Gio. Bat. Voi havereste ragione quando fusse arata sotto, come si fa il letame; ma à spargerla sopra al S. Martino, si mortifica talmente dal freddo, che ella non può fare, che non le sia di giovamento grande.

Vinc. Vi prego che mi diciate ancora quante grasse sapete, oltra queste dette, accioche io sappia con quante vie possa far produrre à i prati dell’herba in quantità.

Gio. Bat. Primamente vi sono buone le curature de gli adacquatori, & fossi loro, le quali siano però posate à mucchi per qualche mesi. Oltra che lodo à curar le strade nel verno, & lasciar quel fango à mucchio, fin che si conduce al fin di Marzo per li prati. Ma sono migliori le curature dell’ara, delle corti, le spazzature delle case, lo sterco de’ polli, & quello de’ colombi, le quali cose giovano tanto più, quanto sono ben marcite. Vero è, ch’egli è gran beneficio, & con poca spesa, il sollecitar le acque il verno nel farle correr sopra, giorno, & notte (potendolo fare) & particolarmente quando le foglie cadono; fregando, & redabolando più volte à quel tempo i vasi maestrali co i rastelli di ferro, redaboli, rastri, zappe, erpici, & altri stromenti atti à commover le grasse che si trovano sul fondo di quelli, accioche maggiormente corrano insieme con le acque per ogni luogo. Facendo questo di Novembre, di Decembre, di Gennaro, & di Febraro; ma non mai a’ prati trifogliati, che si arano il secondo anno per seminarvi i lini, & frumenti; percioche morirebbe ogni sorte di trifoglio. Avvertendo ancora à non far correre l’acqua sopra à i prati vecchi, quando sono gli eccessivi freddi, se ella non ha da continovare; percioche, quando mancasse, quella cotica patirebbe molto per il gelo.

Io commendo non poco gl’inventori delle lupe di grasse, che si fanno à i cantoni de i vasi, tanto profonde, & lunghe, che nel voltarsi le acque, che continovamente corrono sopra, ne adunano dentro tanta quantità, che nel curarle all’Autunno, & carrettarle alla Primavera per li prati, ò per li campi, quando si arano, ne restano con poca spesa molto beneficiati. Facendo etiandio di quelle lupe ne i fossi maestrali, che corrono di acqua tutto l’anno, le quali siano lunghe almeno un cavezzo, & lontane una dall’altra, tre, ò quattro.

Vinc. Non manco sono da lodar coloro, che hanno drizzati tanti poverini, che per la città nostra raccogliono tutto’l giorno ne i gerletti lo sterco, secondo che passano i cavalli, & buoi, di contrada in contrada, il quale apporta grande utilità à i campi suburbani, & beneficio a quei fanciulli, che lo vendono dui quattrini il gerletto, cosa che anco và crescendo ogn’hora piu per le ville.

Gio. Bat. Da qui si vede quanta è grande la industria, che si usa tra noi nell’accumular diverse grasse, per le quali non è maraviglia se i nostri campi (benche generalmente siano per natura sterili) producono più ricolto d’anno in anno, di quel che fann’i buoni di molti paesi.

Vinc. Dapoi che habbiamo detto assai di queste tante grasse, desidero che mi diciate anco qualche via per ugualar’i prati, che hanno i dossi, & valli. Percioche, si come ogni campo, ancorche non si adacqui stà ben’uguale, & piano; maggiormente quello convien ad ogni prato, & specialmente quando si adacqua.

Gio. Bat. Per abbassar’un dosso non molto largo, & lungo: dico che si taglia la cotica del prato in tanti quadretti, che siano lunghi, & larghi non più d’un braccio, & non men grossi di quattro dita, i quali non solamente si levano con tal modo, che non si rompono nel ponersi dal lato; ma etiamdio, cavato via quel terreno superfluo, si ritornano dapoi di mano in mano al suo luogo con si bell’ordine, che quella cotica non resta di produrre l’herba, come di prima. Ma se’l dosso tiene spatio assai, per manco spesa, si leva via la cotica à pezzo à pezzo col terreno, ò più tosto si ara, & si riduce l’uno, & l’altro in più macchi, accioche si cuocano dal gran gelo, & dal gran caldo; Si che dopo un’anno si spargano al Decembre, ò al Gennaro, dove è più magro il fondo; percioche vi produrranno, per più anni, dell’herba in copia. Et se per caso quel dosso fusse alto assai, all’hora si conduce quel terreno con la cotica ne i più bassi luoghi, & si rastella poi al Febraro co i rastelli di ferro benissimo d’onde è levato, & anco vi si semina il trifoglio; spargendovi dapoi del letame minuto, & non mancando à rastellare, & seminare al modo detto, tanto quanto sarà condutto quel terreno nelle valli; atteso che l’una, & l’altra parte si praterà più facilmente.

Quanto sia poi dell’empire le valette, & specialmente dove giace l’acqua; bisogna prima empirle con quella, & dopo ficcarvi all’hora tanti bastoncelli lunghi, & curti, quanto si trova la larghezza, & altezza sua; ponendoli lontani l’un dall’altro non più di due braccia con le cime di sopra dell’acqua, com’è grosso un dito, & non di più; accioche levandola via, ò lasciandola smarrire, si vegga da quei bastoncelli la quantità di terreno che vi bisogna, il quale sia condutto di luogo in luogo, fin che à pena si vedano.

Vinc. Perche poco mi varebbono quelli secreti, se poi non sapessi proveder’alle topine, che tanto rovinano i prati, i lini, & i giardini nel gittar la terra fuori delle loro tampe; però mi sarebbe caro, se mi mostraste qualche modo di poterle esterminare.

Gio. Bat. Tre vie vi sono per pigliarle. La prima è, che bisogna fare la guardia, quando comincia à comparir’il Sole ne i luogi dove han gittata ultimamente la terra; percioche in quell’hora medesima sogliono regittarla fuori. Che havendo chi le attende, ò badile, o vanga in quel gittar, che fanno, facilmente le levarà fuor di quelle buche.

La seconda è, che dove han cavato di fresco si mandi l’acqua; per che tantosto che la sentiranno, usciranno fuori per ridursi sopra qualche dosso; onde all’hora si amazzaranno, & si pigliaranno anco vive.

La terza è, che pigliatone una viva nel mese di Marzo, al qual tempo vanno in amore, si deve porr’in un bacile, ò paroletto la sera dopo l’Ave maria, il quale sia primamente sotterato in tal modo, che l’orlo sia uguale alla terra, che vi si trova attorno; accioche possano saltarvi dentro quando la prigionera griderà la notte; onde quelle che la sentiranno (per haver l’udito perfettissimo) caminando al modo loro, entraranno nel vaso ad una ad una per aiutarlo: Et quante piu ve n’entraranno, tanto maggiormente gridaranno; ne pur’una potrà uscire, per esser quel vaso di dentro liscio.

Vinc. Poscia che io resto satisfatto di questa bella inventione, non posso fare, che non vi preghi anco d’un’altra, benche sia difficile. Et questa è la spietata crudeltà, che fann’i vermi alle biade, dopo che sono nate sin che si tagliano: ilche è d’altro dolore, che non è la tempesta; percioche questa rovina in un subito, & quelli per molti mesi non cessano di roder le biade, & quasi il cuore, alli sventurati Agricoltori.

Gio. Bat. Io non mi maraviglio, se gli Agricoltori hebbero sempre questa maledittione per cosa disperata; ma ben mi stupisco delle città, castelli, & ville, che non pongano taglia addosso à questi pestiferi animaletti, i quali sono la rovina di molti massari, & patroni, & alle volte accrescono le carestie: Che se si facesse questo, se ne raccoglierebbono le migliara di sacchi, come piu volte si è fatto delle fanfogne, che rodono talmente i pampini, che le viti, & uve paiono abbrusciate; Ma perche vi è poca speranza di tal provisione, dirò almeno quel poco, che posson far’i diligenti Agricoltori per distruggerli.

Primamente si sa che fra i vermi, che rodono le nostre biade, i piu dannosi sono quelli, che noi chiamiamo zaccarole, grossi, & lunghi poco men d’un mediocre dito: I quali, per esser di natura frigidissimi, non escon mai fuor di terra; ma, quanto piu cresce il caldo, tanto piu si approssimano alla superficie. Et pero si distruggono con piu facilita nel gran caldo, che d’altro tempo. Bisogna adunque, che l’Agricoltore fondi all’hora l’aratro, & ari sottilmente: percioche, si come nella prima aratura si scoprirano la maggior parte; cosi nella seconda, & più nella terza, pochi saranno, che non siano veduti. Ma perche egli non potrà tutt’à un tempo arare, & amazzarli; però sarà bene havere una persona, che lo seguiti con un canestro, & metterli dentro vivi, ò morti, secondo, che l’aratro li scoprirà, per darli poi alle galline, le quali diverranno grasse, & faranno de gli ovi assai. Basta che, chi farà ben questo, vedrà, che in due, ò tre arature, non vene resteranno se non pochissimi.

Ancora si possono amazzare à un’altro modo ne i campi, che si adacquano che saranno rotti con l’aratro di Giugno, ò Luglio; & è, che essendo ben’arso quel terren dal Sole, vi si ponga dopo nona adosso l’acqua, ma con si fatto modo, che ella vada lentamente di mano in mano per tutto il campo, & si lascia suso fin tanto (e non più) che quei vermi sian venuti fuor di terra per fuggir la morte. Onde non pur essi vi annegaranno, & saranno beccati da gli ucelli, ò si potranno raccogliere con le mani, ò pale, ò con altri stromenti; ma si distruggeranno i lucertoni, musoni, sorzi, topine, & quanti animaletti dannevoli sono fra due terre.

Vinc. Mai non intesi questi secreti. So ben che molti seminano de’ lupini per ingrassar’i campi, & anco (come alcuni credono) per far morir questi animaletti, ò almen per farli ritirare al basso.

Gio. Bat. Lodo ancora io il seminarli di Luglio nella seconda aratura per ingrassar’i terreni magri; ma non gia in quelli che sono freddi; perche restano piccioli, & manco fan morir’i vermi. È ben vero, che per quell’anno non molestano le biade seminate; percioche, andando per roderle, & trovando prima i lupini essere amarissimi, si ritirano al basso. Ma sappiate, che per ingrassare i campi, è d’altra utilità il seminare i fasoli, subito, che’l frumento, & stipula son levati fuori; percioche non vi và se non due quarte il iugero, & de’ lupini cinque ò sei: Et dove questi non danno frutto alcuno, quelli andando buon tempo, rendono due, & tre some per iugero; oltra che per zapparli, si netta anco quel terreno. Poi voltandoli, senza segarli altramente, sotto terra con l’aratro, & seminandovi il frumento, non manco beneficio li renderanno, che farebbono i lupini. Et benche i vermi si nodriranno in quelli (per non’esser amari) però non molesteranno il frumento.

Vinc. Mi piace questa inventione de’ fasoli; percioche, appresso quello che voi dite, si fà anco se non un’aratura per seminarli.

Gio. Bat. Vi è ancora un’altro rimedio, che si come dove è stato il miglio, seminandovi il frumento, ò altra biada, questi animaletti non vi danneggiano cosa alcuna; conciosia che si pascono, de festuchi, & peduzzi che vi restano sotterrati dall’aratro, dapoi che’l miglio è levato dal campo, & segato il migliarizzo; cosi si conduca questo nel campo colturato, & si sparga talmente sopra, che resti ben coperto: Che voltandolo poi sotto terra con lo aratro, vi si può sicuramente seminare ogni biada, atteso che si nodriranno in quel medesimo.

Vinc. Se havete etiandio de gli altri modi per ingrassare i campi mi farete cosa grata se me li darete tutti.

Gio. Bat. Il primo modo per beneficiare ogni terreno magro, & più generale, è à lasciarlo posare almeno un’anno, ò due, ma ararlo più volte di verno, & di state, fin che si semina di biada.

Il secondo è à cavare le ripe da ogni lato del campo per due cavezzi innanzi del verno (abbassandole verso i fossi almen due vangate) & nel buttar quel terreno à modo di un’argine, mescolarlo di mano in mano con la calcina nuova, poi che si cuocerà talmente, che conducendolo per tutto il campo al fin di Febraro, farà produr piu ricolto, che non farà qual si voglia letame.

Il terzo modo è romperlo al San Martino seguente al frumento tolto fuori, & poi ararlo un’altra volta alla fine di Gennaro, di Marzo, & di Maggio anco dopo San Bernardino, per seminarvi all’hora i fasoli, & dapoi un’altra volta quando si seminarà il frumento, ò altra biada.

Il quarto è letamarlo bene con letame, che sia piu tosto fatto di fresco, che vecchio, & darlo per Luna crescente poco innanzi del seminare; & sotterrarlo con l’aratro quanto più presto si può, accioche non sia arso dal Sole, & da i venti; percioche quanto più è sparso, & rivoltato sotto fresco, tanto maggiormente morbidisce; & giova à tutti i grani, & alle altre semenze. Vero è, che’l produce piu copia di herbe, che non fa il letame vecchio, la qual cosa è biasimata da gli antichi, ben che da noi Bresciani la lunga prattica fa osservare il modo detto.

Il quinto è, che essendo il terren leggiero, si faccia andar di continovo al Febraro, dell’acqua buona sopra la biada, almeno per dieci giorni; percioche vi giovarà, come se ella fusse letame.

Il sesto è, bruciarsi le stoppie, & altre herbe, dapoi che è mietuto, & per maggior beneficio bruciarvi delle legne, che ne ha abondanza, empiendo i solchi maestrali dall’un capo all’altro, & poi dargli il fuoco, perche ella brusciarà quanto sarà giunto quel fuoco, & anco dove quella cenere sarà sparsa.

Il settimo è, lo sparger della calcina, la quale ingrassa grandemente, & netta benissimo ogni terreno dalle cattive herbe.

L’ottavo modo è lo spargere ancora la terra cavata per fare il salnitro, quando è finita di cuocere, & che egli è finito di fare.

Il nono è (come ho detto) il dare sopra le biade dopo San Martino, la polvere raccolta nel gran caldo per le strade frequenti.

Il decimo, & ultimo modo (benche ne potrei dir de gli altri) è il seminarvi non solamente de’ lupini, & fasoli (come ho anco detto) ma etiandio della veccia, fava minuta, & senauro; & sotterrare qual si voglia cosa con l’aratro, quando si seminano le biade. Et qui faccio fine, per esser l’hora tarda, & perche mi pare che habbiamo ragionato assai.

Vinc. Tutte queste cose sono di gran beneficio, eccetto che sarebbe più la spesa del brusciar le legne, & del sparger la calcina (per esser’à noi di tanto costo) che non sarebbe la utilità dell’ingrassar la terra, & brusciar le cattive herbe con le loro radici: Et non meno sarebbe il brusciar le stoppie quando è mietuto; percioche è d’altro beneficio al nostro раеse (il quale per natura è cosi sterile) à consumarle sotto à gli animali; compartendole poi bene stercorare à i campi, che brusciarle, come si facevano già più anni; attesoche all’hora non vi era la buona intelligentia del ben coltivare, che hora si vede, & tuttavia và crescendo di bene in meglio. Ne questo ho detto per contradirvi, anzi vi ringratio di quante соse mi havete detto si cortesemente in questa honorata professione. Et che questo sia vero, vi prometto di ritornar dimane; sperando che non manco mi siate liberale nel chiarirmi delle altre cose, che io son per domandarvi.

Gio. Bat. Et io ancora mi obligo di ragionarvi di quanto sarà il desiderio vostro, & tutti quegli altri giorni che voi designarete.

Il fine della prima giornata.

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