La seconda giornata dell’Agricoltura

Di M. Agostino Gallo,

Nella quale si tratta dell’herba Medica, & dell’altre cose utili all’Agricoltura.

Desideroso grandemente M. Vincenzo Maggio di osservar la promessa fatta all’Avogadro, non hebbe à pena desinato, che andò al suo bel luogo; dove smontato, lo ritrovò nella molto bella capelletta fabricata in capo del giardino, la quale riguarda à Tramontana, & à rimpetto del gran pergolato, che lo divide: Onde, salutatosi prima l’un l’altro, & postisi à sedere; dopo che hebbero ragionato alquanto della vaghezza di quel sito, & delle figure dipinte, che vi son’attorno; il Maggio, per non perder tempo, cominciò a dire. Hora che ci ritroviamo in questo fresco luogo, caro mi sarà, che voi M. Gio. Battista mi diciate le qualità della vostra florida herba Medica, poiche non ho mai inteso la natura sua, ne il modo di allevarla.

Gio. Bat. Voi non potevate chiedermi cosa piu grata, che il ragionar di questa pretiosa pastura; percioche non solamente è sempre sana à gli armenti; ma, essendo posta in terreno conveniente à lei, rende frutto talmente per vinti, & trent’anni, che (come dice anco Collumela) un iugero Romano, per l’ordinario, debbe far le spese un’anno à tre cavalli; & massimamente quando è accommodato d’acqua per adacquarlo, ò essendone privo, che’l sia almeno de’ migliori, & ben grasso. Percioche quanto più sarà morbido, non meno questa singolar pastura, si segarà (fuor del primo anno) cinque, & sei, & anco sin sette volte ne gli altri seguenti.

Vinc. Essendo questa cosi utile herba cosa antica, per qual cagione non è in più luoghi della Italia? & particolarmente in questo paese, il quale è dotato delle migliori cose, che si possono raccogliere per conto del ben coltivar la terra.

Gio. Bat. Questa delicata pastura fù distrutta da i Gotti con le tante belle cose della infelicissima Italia; onde, per essersi conservata in pochi luoghi della Spagna, & poi tardi ritornata à Napoli, à Volterra, à Scandiano, finalmente è giunta in grembo d’alcuni nostri cittadini, che la essaltano; & specialmente il nobile M. Herculano Cuccho, Agricoltor molto raro.

Vinc. Quai terreni vi paiono migliori per seminarla, & per farla nascere benissimo?

Gio. Bat. Ella vien solamente bella ne i leggieri, casalini, & ladini; ma non si può fallare à seminarla in tutti quei campi, che producono bel lino, arandoli, ò più tosto vangandoli per Luna vecchia, & in tempo asciuto, accioche l’herbe muoiano. Ma poi perche si debbe far’ogni possibile per farla nascere senza altre herbe, bisogna prima che quel campo sia ben piano, netto, grasso, ben arato, & ben’erpicato per lungo, & per traverso à prese senza solchi maestrali. Cominciando al Giugno, & dapoi all’Agosto, all’Ottobre, al Decembre, & al Febraro, accioche quel terreno, & herbe siano ben mortificate dal caldo, & dal gelo: Et passato San Giorgio, ò almeno mezo Aprile sia caricato di letame vecchio, & sotterato subito con l’aratro: Et come è ben’arato, & erpicato tutto piano senza solchi quel campo, si sparga la semenza mescolata col panico, & dapoi si rastelli benissimo co i rastelli di legno non troppo rari di denti per esser nemica del ferro. Ne per lo panico patirà; percioche nella prima segata, si tagliarà tenero, il quale morirà talmente, che le altre segate riusciranno senza cattive herbe; conciosia che ritrovandosi ella bene spessa, & fatta potente, non potrann’haver luogo di nascere, come havrebbon fatto, quando non vi fusse stato il panico. Avertendo però che quel terreno sia in amore: perche altramente tal semenza non nascerebbe senon con difficultà; & anco quando non fusse preparato quel terreno al modo detto, sarebbe cosa perfetta à crivellarlo, & far poi le altre dette.

Vinc. Quanta semenza vi vuole à seminar questa si buona pastura?

Gio. Bat. Vi bisognano almeno tre oncie per tavola, che fanno vinticinque libre al iugero; ma chi ne dasse anco di più, sarebbe meglio. Percioche quanto più nasce spessa, tanto maggior quantità produce d’herba; oltra che (come ho detto) non vi nascono altre herbe, se non con difficultà: Non mancando però à seminarla per Luna nuova, & nell’hora tarda; percioche, essendo inhumidita dalla rugiada, nascerà con facilità, & seminandola nel caldo creparebbe quasi sempre.

Poi essendovi acqua, bisogna la prima volta adacquarla pian piano; perche quando si adacquasse con impeto, facilmente si sterparebbe in parte: Et manco bisogna adacquarla dopo Settembre insino che è passato Aprile. Vero è, che potrebbe esser tanta secchezza all’Ottobre, & al principio d’Aprile, che sarebbe bene à bagnarla, ma leggiermente: Avenga che vi son’alcuni nostri cittadini, che restano di adacquarla, perche le danno tanta copia di letame perfetto, ch’ella è sempre morbida.

Vinc. Vorrei saper’ancora quando è da segare, & come si debbe ordinare.

Gio. Bat. Si taglia la prima volta ogn’anno, intorno a gli otto della luna; percioche, per l’ordinario, si sega anco ogni trenta giorni. Ma non si lasci mai tal’herba à mucchio più d’un giorno, & medesimamente quella del trifoglio; percioche, come stà di più in un luogo, si scalda di tal sorte, che fa morire tutta quell’altra, che si trova sotto, la quale più non rinasce. Et però non solamente stà ben’à farla seccare più tosto che si può; ma quando non si potesse, non si manchi ogni dì à poner quei mucchi in altri luoghi. * Advertendo à non lasciarla pascere, perche patisce tanto dal dente, & dal fiato delle bestie, che ella non produce, ò cresce se non malamente, ò che del tutto muore. *

Quanto poi al raccoglier la semenza di questa Medica, dico che non si può tener’il primo anno (per esser debile) ma gli altri si; tenendo la seconda tagliata, perche matura nel caldo di Maggio, di Giugno, & di Luglio; come non vi vuole manco tempo: Benche quella parte fà anco facilmente dapoi due segate. Ma bisogna che i cornicelli dove ella si trova dentro, siano talmente secchi, che nello spezzarli vi si veggano ben maturi, cioè quando sono divenuti gialli. Et perche le herbe medesime, ne producono alle volte delle altre nuove (per tardar tanto à segar le prime) le quali facilmente si piegano, & qualche volta vann’à terra, però bisogna usar buona diligentia nel tagliare con un fiocchello ben tagliente, tutte quelle cime che hann’i cornicelli, & ponerle di mano in mano ne i sacchi, & vottarli nell’ara ben netta; facendole seccare, & battere; & dapoi, levato via quel pagliuzzo, si crivellerà con crivel minuto tal semenza, & i non ben rotti cornicelli si tornaranno à battere tante volte, sin che restino ben disfatti. Sedacciando poi quanto sarà passato dal crivello; percioche quella polvere anderà in terra, & la semenza rimanerà dentro con la bulla, la quale nel venir’à cima, sia levata di volta in volta con la mano, finche la semenza resti ben monda. Ma perche non si può cavar tutta la semenza da i cornicelli ritorti, ne rimane nella bulla, però è bene à servarla, & darla sopra alla semenza, che sarà primamente sparsa, & poi rastellare benissimo ogni cosa insieme: Che facendo ben queste cose, non si raccoglierà manco di cento libre di semenza per iugero, & due carra di pastura tagliata con la falce, laquale non sarà inferiore al fieno, fuori che sarà più matura.

Vinc. Credete voi, che questa herba sia cosi buona verde à gli armenti, come quando è fatta in fieno?

Gio. Bat. Anzi che ordinariamente la mangiano più volentieri verde, ma bisogna dargliela un dì dapoi ch’è tagliata; percioche potrebbono patire per la troppa morbidezza, ch’è in lei, quando la mangiassero fresca, & non passa. Ma dandola al modo detto, non scalda, ne offende gli animali, come fa il trifoglio, & altre herbe fresche, anzi li mantiene sani, & gagliardi.

Vinc. Hora che resto satisfatto di questa pastura, vorrei saper non meno, come si debbono tagliare, & ordinare, & anco conservare i fieni.

Gio. Bat. Essendo possibile, dico che si taglino per Luna nuova; percioche quei prati produrrano più facilmente l’herba, che non farebbono quando è vecchia, tagliandoli anco più tosto teneri, che troppo maturi; conciosia che restano più saporiti, & ingrassano più gli animali: Et oltra che fanno produr gran copia di latte, & quei prati ritornano più presto à crescere. Quando i malghesi, & pecorari vengono al principio d’Ottobre alle cassine, ritrovano le herbe alte da pascere, & i fieni sul fenile ben’ordinati. Et simili huomini pigliano mal volentieri fieno molto maturo; percioche non solo non fa abondar di latte i lor bestiami, & lo mangiano malamente; ma fa della rusia assai, la quale non è buona da altro che di farne letto.

Poi nel segar’i prati, siano sparse quelle antane solamente, che si possano rastellar la sera, & ridurle in mucchi. Percioche quell’herba che sarà distesa, & percossa dal sole, & poi non ammucchiata avanti la notte, sarà danneggiata molto dalla seguente rugiada, la quale rode talmente il fior suo, che le vacche & altre bestie la mangiano malamente quando è secca; oltra che sempre nel peso resta non poco leggiera.

Ancora si faccia ben seccar quel fieno, che han da mangiar’i cavalli, & buoi che lavorano; atteso che darà loro più forza, & li farà manco lubricare; & quell’altro che han da mangiar le vacche, & le pecore, sia alquanto mal secco, & massimamente le due prime segate; percioche lo mangiano meglio, & fa produr loro del late assai.

Quanto sia poi à quel che dite di conservar’i fieni, che non si marciscano; dico che come sono posti sul fenile, vi sia posto anco sopra della paglia ben’asciutta, & alta per ogni luogo non men d’un braccio; percioche non tanto li conservarà dal calore, & fetore della stalla, quanto che ella tirerà queste cose talmente à se, che niuna particella di quei fieni perirà. Et questa è la vera via del troncar’il gridare co i malghesi, & pecorari, i quali non cessano mai di gittar da parte quel fieno, che si trova un poco muffolente, ò alquanto humido per lo ruotto, ò per lo calore della stalla. Il qual fieno, con la importunità del gridare, & lamentarsi vogliono finalmente per niente.

Vinc. Tanto più mi è caro questo rimedio della paglia, quanto che i pastori, & i bergamini mi han più volte posto in disperatione di non trifogliar campo alcuno, & quei pochi vecchi di farli arare.

Gio. Bat. Non faceste mai arare simili prati; che se pur non vi piacessero cosi, meglio sarebbe farli brusciare. Inventione per certo utilissima à quei luoghi, che sono à proposito, & che non producono fieno. Percioche si raccoglie più anni tanto ricolto di segala, di frumento, & di miglio, che quasi è cosa da non credere.

Vinc. Quali ordini si osservano nel brusciare questi prati, & come si cava tanto frutto?

Gio. Bat. Non ogni prato (benche tristo) è buono da brusciare, come i ghiarosi, ò gessosi, ò cretosi, & quelli che non hann’in cima almeno tre dita di buon terreno; ma si ben s’han d’abbrusciare gli aridi, & che producono poca herba, ò che sono ben coticati, & ben radicati di herbe più tosto cattive, che di buone. Percioche tagliando le lotte, stann’insieme come se fussero tante pelli di pecore. Et questo si fa nel gran caldo, cominciando all’Aprile sin per tutto Agosto. Ma meglio è all’Aprile per seminarvi il miglio, & dapoi la segala, ò frumentata, & non frumento per li due primi anni; perche andarebbe à terra per la troppa morbidezza, la quale vi si cava col miglio per più anni, secondo la possanza di quel terreno; conciosia che se ne trovano alcune volte di tanta grassezza, & potentia, che supportano per otto, & dieci anni continovi, miglio & segala, ò frumentata, ò frumento.

Poi à brusciarli, bisogna far come fan gli huomini eccellenti à questo. I quali essendo forniti di zapponi ben taglienti, & ben fatti per simil effetto, tagliano la cotica del prato in lotte lunghe un braccio & mezo, & larghe non più di uno, & poi in altezza non meno di due dita. Onde, pigliandone come sarebbono dodici braccia per quadrotta tagliano per dritto dall’un capo all’altro; & dapoi un’altra simile tagliata lontana da quella un braccio; tagliandone una per ogni braccio è mezo, & drizzandole in piedi di mano in mano, fin che son finiti tutti quei dieci, ò dodici tagli per quella via. Facendone poi anco per traverso, & lontani l’un dall’altro non meno d’un braccio e mezo. Le quali lotte, oltra che restano lunghe un braccio è mezo, & larghe uno, le tagliano, & levano, & conciano (dandole col piede, & rivolgendole à dietro) di una in una à fila verso il sole in piedi, & aperte; dico con tanta agilità, & prestezza, ch’egliè una maraviglia da mirare. Onde, secche in otto, ò dieci di ben dal sole, le brusciano commodandole però prima di mano in mano à guisa d’un fornello tondo con un buco da un lato, in fondo, per potervi dar’il fuoco, il quale sia largo di dentro non men di due braccia. Ponendo il primo cerchio di lotte doppiate à modo d’un foglio di carta, & poi dell’altre scempie con l’herba di sotto; facendo questo di cerchio in cerchio, fin che ogni fornello sia alto un braccio e mezo. Mettendo dapoi dentro un poco di paglia, & sopra à quelle lotte due fascine à traverso, per involtar meglio con le altre che vi vanno; restringendo però di cerchio in cerchio ogn’hora più, sin che han finito d’involtare con quelle lotte, che bastano. Et finiti quei fornelli, che essi divisano, li danno il fuoco, il quale brusciando la paglia, fascine, & lotte, dura vinti, & vintiquattro hore innanzi sia finito. I quali fornelli non sono mai abbandonati da quei lavoratori con forche di tre denti di ferro nel conciar’il fuoco, ò lotte cadute; levando le mal brusciate, & quelle che sono doppie in fondo, & rimettendole tutte distese sopra à i detti fornelli, per lo fuoco, che ascende in su’. Et brusciati che sono, li lasciano raffreddare per sei, ò sette giorni, & poi spargono tutta la cenere di mano in mano per tutto il campo; non lasciandone alcuna parte in quello spatio dove sono stati quei fornelli; percioche per esser ben cotto quel fondo, fruttarà assai più, che non sarà ogni altro luogo coperto di cosi perfetta polvere. Ne altro vi fanno, aspettando solamente che piova un’acqua per tutto Maggio, accioche ella tempri, & incorpori quella cenere nella terra; arandola bassa, & non pigliandone con l’aratro più di quattro dita, quando si è per seminar’il miglio intorno à gli otto di Giugno; & non accaderà à zapparlo per quattro, & più anni; attesoche non vi veniranno herbe cattive; ma solamente vi bisognerà cavare con la zappa quel miglio, che tall’hor fusse nato troppo spesso, & seminar’all’Ottobre, & non più presto della segala, ò frumentata, com’ho detto; percioche vi venirebbe troppo morbida.

Vinc. Quanta spesa vi può entrare à conciare un iugero di prato?

Gio. Bat. Ordinariamente si spendono dodici lire, ò poco più; ma è spesa fatta per una sola volta.

Vinc. Benche il grand’utile possa portare questa spesa, non si potrebbe però ritrovar’un altra via, che non si spendesse tanto?

Gio. Bat. Vi son’alcuni, che nuovamente fanno con diligentia le lotte con l’aratro, & poi le partono, & conciano pur’in fornelli al modo detto. A i quali, avenga che paia, che non avanzino molto, per andarvi più legna nel brusciarle; nondimeno, oltra che si espediscono assai più tosto, questo modo è anco più utile del primo, percioche si come i zapponi non tagliano la cotica più di tre dita; l’aratro trovando terren buono di polpa, fonda almeno il doppio; onde, essendo ben brusciato, resta talmente morbido, che non men di dieci anni frutta tanto, che è cosa molto maravigliosa.

Vinc. Non credete voi, che in tali campi vi venirebbe benissimo la Medica, per essere grassissimi, & perche non produrrebbono herba alcuna?

Gio. Bat. Non tanto vi venirebbe floridamente questa singular pastura, ma chi desse tal terra à gli asparagi, à gli artichiocchi, alli cedri, & alle altre piante gentili, non è dubbio ch’ella avanzarebbe ogni altra grassa pur’assai.

Vinc. Perche si vede anco l’utilità grande, che riesce à seminar’i risi ne i campi magri, & sporchi, poi che si riducono in buono stato; mi sarà caro, che mi diciate i modi che si osservano.

Gio. Bat. Seminando ne i campi detti, tanto più ne producono, quanto son più potenti quei terreni, i quali voglion’etiandio manco acqua de’ deboli, & leggeri, laquale non può giovar loro, se non sono ben’uguali, ò almen non sia sostentata con gli argini. Si ara adunque il campo avanti il gelo, & poi si ritaglia al fin di Genaro, & s’interza, & si semina al principio d’Aprile con quatro quarte di bella semenza per iugero, la quale sia stata nell’acqua un giorno, accioche nasca piu presto; anzi vi sono alcuni che la pongono dentro, essendo ne i sacchi, & la lasciano cosi, fin che quei grani germogliano, & dapoi li seminano. Havendo però fatto prima gli arginetti per lungo, & per traverso, spessi, & lontani l’un dall’altro, quanto più, & meno quel campo è piano. Cosa che ogni esperto Agricoltore vede con l’acqua, che di luogo in luogo li mostra à qual modo vi vanno fatti tutti quelli, che vi bisognano. Et oltra ch’egli è diligente nel lasciarla di quadro in quadro non più alta di due dita, con lo inondare ugualmente tutti; fa anco che ella non cessa di correre (eccetto in alcuni casi che vi dirò) sin che son maturi i risi. Et ancor non manca à sollecitarla spesso, vedendo come stan gli arginetti, & bocchetti di luogo in luogo, & provedendo sempre à quanto fà bisogno. Ma quando s’immorbida troppo il riso, egli la leva, & non la ritorna sin che non vede, ch’el Sole l’habbia mortificato; & come vede che egli è per far la spica (sapendo anco che all’hora fiorisce, & produce tutto ad un tempo il grano) subito raddopia l’acqua per assicurarlo, che non sia nebbiato, come più volte aviene, se non è difeso da lei. Basta, chi fà ben queste cose, può star sicuro di raccogliere le dieci, le quindeci, & le vinti some di riso per iugero. Et oltra, che se ne può seminare il secondo, & terzo anno (stando che non produce minor ricolto del primo) è anco gran giovamento à quel campo per trovarsi ben grasso, & ben netto di quante herbe cattive, & animaletti dannevoli, che vi erano. La onde sicuramente per due, & tre anni continovi, vi si può seminar del frumento, ò frumentata, che sempre vi veniranno belli.

Veramente se questo frutto non cagionasse cosi cattivo aere, come fà per l’acqua, che vi vole di continuo per cinque mesi, lodarei che se ne seminasse quattro volte tanto, come si fà; percioche si vede quanta soventione rende à questo paese nel mangiarlo in minestra, & più nel macinarlo con la segala, & miglio insieme, ò con quella solamente per far’il pane con maggior utilità.

Vinc. Qual usanza vi par migliore circa il seminar le biade, sopra terra, ò volgerle sotto con l’aratro?

Gio. Bat. Non tanto son’alcuni che prudentemente seminano sotto, & sopra come conviene à i siti, & à i tempi tardi, ò temporiti; ma i più seminano secondo le loro usanze, le quali possono esser cosi cattive, come buone. Vero è, che quanto più si semina per tempo, tanto più si debbe seminar sopra; si perche i grani nascono più facilmente, per esser coperti con poca terra, che non fan quegli altri che sono seminati sotto, che ne hanno sopra maggior somma; & si anco per che oprano più cinque quarte nel figliuolare, che non fanno sei, & sette à seminarle tardamente. Ma se’l seminar si tarda fin che sopragiunga il freddo, all’hora si debbe generalmente in tutte le sorti de’ terreni seminar sotto, & coprire il frumento con l’aratro cosi leggiermente, che non sia coperto più di quattro, ò cinque dita dal terreno, ilquale si debbe anco erpicar come di sopra. Et pero fallano grandemente coloro, che havendo seminato sopra, mentre che’l tempo è stato dolce (com’è cosa ragionevole) coprendo di terra i grani con l’erpice non più di due dita, come poi compar’il freddo seminando sotto (come allhora stà bene) ve ne volgono adosso più d’un palmo; onde non è maraviglia se quelli poveri grani quasi sempre muoiono in grandissima quantità per non poter spuntar fuori di terra se non malamente, per trovarsi sotto di essa troppo sepulti: Et tanto più occorre quello, quanto più si tarda à seminarli.

Vinc. Quante quarte di bel frumento credete voi che nascono di quarte sei seminate in un iugero di terra ben’ordinata?

Gio. Bat. A punto io aspettava, che voi mi domandaste questa cosa tanto necessaria; poiche tutto il mondo non si avvedesse d’un si gran danno, ch’egli patisce tuttavia per non seminar le biade, come dovrebbe fare, le quali nascerebbono sparse come fà il lino, & non à linee dritte, & lontane l’una dall’altra quasi un palmo, & più ancora, secondo che è arato grosso quel terreno: Il qual errore non pur cagiona, che frà quelle non si veggono se non pochi, ò niuni grani; ma fà che quei primamente seminati sparsi, corrono insieme; onde per ritrovarsi suffocati l’un dall’altro, non è poi maraviglia se ne nasce cosi poca parte, come fà.

Vinc. A che modo mi mostrarete, che non nascono tutti, ò almeno la maggior parte?

Gio. Bat. Havete prima da sapere, che à seminar quarte sei di frumento in un terreno di mediocre bontà, egli non rende (per l’ordinario) più di trenta quarte per iugero; cioè some due è meza; che viene à dar per ogni quarta, cinque quarte; che se nascesse tutto, bisognarebbe anco che ogni spica non producesse più di cinque grani. Poi, si come dando le spiche dieci grani per spica, nascendo tutto dovrebbe dar sessanta quarte, che sono cinque some; & non facendone più di due è meza, è chiaro che non nasce più della metà; cosi producendo vinti grani, & non facendo le cento vinti quarte (come dovrebbe fare quando nascesse tutto) che sono dieci some, ma solamente le due e meza, è certo che non ne nasce più della quarta parte. Ma quando le spiche rendono quaranta grani l’una (come generalmente possono fare in quei campi) si come quando nascesse tutto quel frumento renderebbe ducento quaranta quarte, che sono vinti some; & non facendone se non le due e meza dette, si vede che non nasce se non l’ottava parte: Che è poi quando la maggior parte de’ grani che nascono, figliuolano anco più spiche? Che producendone almen due per grano, & non passando le due some e meza, è cosa certa, che non nasce se non di sedeci l’uno. Pensate poi quando molti grani producono le quattro, le sei, le dieci, & più spiche, & che per questo quei iugeri non passano le trenta quarte, quanta parte di frumento debbe nascere?

Vinc. Poscia che mi havete fatto capace d’un tanto danno, vorrei etiandio che mi diceste, donde procede quest’errore.

Gio. Bat. Certamente che non proviene da gli uccelli, che alle volte beccano qualche particella di quei grani che restano scoperti, ò da i vermi, ò d’altri animaletti che rodono gli altri sotto terra; percioche questo molte fiate falla, come si vede, che quando il grano è rivoltato sotto dall’aratro, gli uccelli nol possono beccare, & manco roder’i vermi quando è seminato co i lupini, ò co i fasoli, ò migliarizzi, over che non ve ne sono. Et però la maggior colpa di questo, è sempre di quel bifolco che ara, & semina: Percioche, volendo che’l grano resti sotto terra, gitta prima via il frumento bene sparso, & dapoi nel volgerlo sotto con l’aratro, lo fà correr’à fila secondo, che và arando; come ben si vede, che nascendo egli, esce dalla terra sempre in tante righe dritte fra un solco, & l’altro, quante sono anco le arature fatte grosse, ò sottili: Et medesimamente aviene quando si semina il frumento dopo, che è arata la terra; percio che, spargendole sopra le arature che non si trovano piane, ma à costere, & vallette fatte per drittura dall’aratro; & quella parte che cade nelle vallette, vi si ferma, & tutta quell’altra che cade sopra le coste della terra più levata, subito si unisce col detto, che è à basso: Di maniera che, erpicando dapoi, non solamente si coprono quegli istessi grani, che si ritrovano uniti in linee, ma trovandone qualch’un su l’alto, il medesimo erpice gli urta giù, & li caccia adosso à tutti gli altri.

Vinc. In qual modo si debbon’addunque seminar le biade per farle nascere, sparse, come fà il lino & non à righe dritte?

Gio. Bat. Volendo seminar sopra, bisogna prima arar la terra, & spianarla con l’erpice: & dapoi sparsa la semenza ritornare ad erpicarla benissimo per lungo, & per traverso, & poi rastellar di colla in colla pure à traverso; stando una persona da un lato, & un’altra all’incontro, accioche sia ben rastellata. E vero che son migliori i rastelli co i denti di ferro, che quei di legno; percioche ficcano i grani meglio nella terra, & maggiormente la tritano; & anco cavano benissimo le cattive herbe.

Vinc. Chi osservasse ben queste cose non tanto non si suffocarebbon’i grani l’un l’altro, ma credo che si avanzarebbe il quarto, & forse più della semenza. Ma però non so quanto sarebbe bene à rastellare nei
terreni molto forti; atteso che nel tirare i rastelli à se, si tirarebbe anco la terra di mano in mano ne i solchi maestrali: I quali, come si trovano spianati, è dubbio che’l frumento non perisca per le pioggie.

Gio. Bat. A questo è riparo; percioche cominciando à rastellar ne i solchi maestrali, & tirar à se la terra fin à mezo delle colle, & non più; non solamente non si spianaranno in modo alcuno; ma si voteranno, & si alzeranno ancor’i colmi di quelle colle; le quali, finite di rastellare da ogni lato al modo detto, si potrà conzar la terra di quelli colmi secondo che vi sarà bisogno.

Vinc. Che rimedio sarebbe à quei terreni che son talmente deboli, & maligni, che seminandovi le biade pur’al modo detto, dal gran freddo, & dall’eccessivo caldo, sarebbon morte quasi sempre?

Gio. Bat. Il rimedio è, che essendo arati, & erpicati quei terreni, si seminino primamente le biade, & s’incorporino di tal sorte dentro con l’erpice, che l’aratro nel rivolgerle sotto non possa farle correre à mucchio in fila, come sempre fà; erpicando, & rastellando dapoi benissimo al modo detto. Egli è il vero, che questo non si potrebbe far ne i terreni medesimi, quando vi fussero tagliati i migli, ò fasoli, ò altre rendite; conciosiache non si arano se non dopo che sono sparse le biade. Et però il meglio sarebbe à seminarle in quei pagliuzzi, come si trovano, & poi ararli talmente sottili, che si facessero almeno un terzo di più di arature del solito; non fondando lo aratro se non quattro dita, ò poco più, & erpicando parimente benissimo, percioche non si potrebbono rastellare se non malamente per li tanti festuchi, che vi sarebbono. È ben vero, che à seminar gli altri terreni, che sono prima arati, & erpicati, non solo si debbono sparger prima le biade, & incorporarle benissimo con l’erpice, ma rivoltate che sono sotto con l’aratro, si erpichino, & si rastellino anco ben’al modo primo.

Vinc. Che rimedio vi sarebbe etiandio per far nascer le biade presto, vedendo che quanto più tardano, tanto maggiormente son beccate da gli uccelli, rodute da i vermi, ò distrutte da gli eccessivi freddi.

Gio. Bat. Non bisogna seminar grani, se prima non sono stati in acqua per alcune hore, & distesi dapoi all’ombra fin che siano talmente asciutti, che corrano ben nel seminarli: Percioche à questo modo, si possono levar tutti quei guasti, che restano in cima, per non esser buoni da nascere, ò almeno da figliuolare, & valersene in altri modi; come sarebbe, farli macinare per cavarli quella poca farina, & semola che vi fusse, ò ponerli con gli altri grani, overo darli à polli. Seminando solamente quei belli, che restano in fondo, i quali nasceranno facilmente in tre, ò quattro giorni. * Avvertendo all’errore che fanno tutti quelli, che spargono i grani à traverso di due, & di tre colle, dove coprendo i solchi magistrali nel curtarli poi con l’aratro, radoppiano la semenza d’ogni solco con quella che coprono sopra l’orlo di ciascuna colla. Et però per schifar questo danno, siano sparsi i grani caminando per lungo di colla in colla, & non gittarli ne i solchi, se non quei pochi che a caso vi saltano; percioche, oltra che vi anderà manco semenza, non si suffocherà n’anche parte alcuna. *

Vinc. Vi prego ancora che mi diciate, qual sorte di frumento havete per migliore da seminar’in questo paese?

Gio. Bat. Lasciando da parte il frumento, che si costuma nella Marca Trevisana, & il tosello in molti luoghi nella Lombardia, dirò solamente del marzuolo, & corezzuolo, & rosso, i quali si seminano tra noi, benche il marzuolo si semina solamente di Marzo, & per occasione quando i terreni non sono potuti seminare all’Autunno per cagion de’ tempi contrarij. Il quale pesa bene, ma è minuto più de gli altri, & non figliuola se non pochissimo. Et però io lodo à seminare il correzzuolo perche vien facilmente per ogni campo, & fà più bel pane di tutti gli altri: È vero; che’l suo proprio è di seminarlo più tosto ne i terreni leggieri, che ne i forti: Tuttavia io lodo più il rosso; percioche produce più paglia, più grano, & stà più forte in piedi, & più saldo alle nebbie, & alle brine che non fà il corezzuolo. Et oltra che vien più grande, & più bello ne i terreni forti, che ne i leggieri, ladini, & altri simili; ha non meno bella vista per esser grosso, rosso, & lustro, & anco pesa più d’ogni altro quasi sempre un peso per soma. Hà un contrario solamente, che la sua scorza è alquanto più grosseta, & non fa il pane molto bianco.

Vinc. Vorrei saper le particularità, che si debbon’osservare intorno al vero seminar de’ grani.

Gio. Bat. Primamente non si semini ne i terreni magri il frumento, & segala nati ne i grassi. Et però fallano quei massari, che partendosi da i campi grassi, & andando à coltivare i magri, portano con seco il frumento raccolto da quelli, per seminarlo in questi altri.

Poi fallano etiandio che seminano il frumento, & altri grani dopo il primo anno, & più quando passano il secondo, & il terzo; percioche quanto più sono vecchi, tanto più malamente nascono. Et medesimamente fallano quanto più si tarda à cavarli dalla paglia, conciosia che alle volte si scaldano talmente, che cuocono gli occhi loro. Oltra che fallano anco molto quei che non seminano i grani buoni, belli, & ben netti, separati da gli altri salvatichi, percioche non è poi meraviglia se ne nascono de’ tristi, & se sono suffocati dalle cattive herbe: Che per verità è di tanta importantia à seminarli buoni, & netti, che se fusse possibile, si doverebbono à grano à grano sciegliere tutti i migliori.

Parimente non tanto si dovrebbon seminare solamente quei grani, che fussero nati in un sol terreno, & non mescolati con altri nati in diversi luoghi; ma ancora, quando fusse possibile, (come anco sarebbe sempre facile all’Agricoltor’eccellente per lo grande utile che ne seguirebbe) si doverebbon seminarli che fussero usciti da più spiche nate da un sol grano. Percioche, si come ogni prudente Agricoltore ricerca le migliori sorti di animali, di arbori, & di herbe per haverne maggior utilità; cosi si debbe pigliar sempre miglior semenze; le quali siano anco atte ne i terreni dove si seminano; perche, mancando di questo, non è maraviglia se non abondano secondo l’aspettatione.

Vinc. Dapoi che mi havete detto più di quel che io aspettava, vi prego anco che mi diciate qual miglio havete voi per più utile da seminare?

Gio. Bat. Ogni sorte è tanto migliore, quanto che è posta in terreno proportionato à lei. Vero è, che lo spargolo non teme cosi la secchezza, come fan gli altri. Et però si semina per l’ordinario ne i campi che non si adacquano, il quale produce mediocre ricolto, se è ben’ordinato.

Quanto poi di quei che non vengono belli senza l’acqua, dico che vi sono le due sorti del manzaro, le quali sono simili di gambe alte di manze grandi, di grani belli, & nel render ne i campi buoni, le sei, le sette, & le otto some il iugero; ma sono dissimili nelle guscie, & nelle foglie: percioche quella che sempre si è usata, produce le foglie, & guscie gialle; & quell’altra nuova le produce oscure, & nere: La quale non vien beccata cosi dalle passere, come quell’altra, per non esser conosciuta da loro quando è matura; atteso ch’ella pare sempre verde. Ma essendo il campo ben netto, ben grasso, ben’accommodato d’acqua, & atto à produr’il miglio nano; dico che questo passa tutti gli altri nella bellezza, & nel peso. Et oltra ch’egli danneggia manco assai il campo de gli altri, & matura più tosto di quindeci, & vinti giorni (cosa per certo da stimare, per non star tanto sotto à i mali tempi, come fan gli altri ) non teme ne ancho i freddi, le nebbie, & le pioggie; anzi si gode in queste, purche’l senta il caldo. Oltra, che per esser cosi basso, non è offeso da i venti, da gli uccellatori, ne da gli animali, conciosia che facilmente sono veduti. È vero, ch’egli gradisce di esser’adacquato più fiate, quando non piove assai, & di esser raro; percioche figliuola le trenta, & quaranta gambe belle: Et però non è maraviglia se alle volte ne i campi buoni, produce le dieci, & le dodici some il iugero: Et anco se’l scaccia il miglio moro; percioche è conosciuto quando si zappa, per esser assai più stretto di foglia, che ’l nano; oltra che quando ha fatto il grano, è doppiamente alto, & si può tagliar di gamba in gamba, & darlo da beccar’à i polli.

Vinc. Mentre che è comparso questo miglio nano, non solamente ho sempre inteso da gli esperti Agricoltori, ch’egli porta la corona di tutti gli altri; ma mi stupisco di molti, che potrebbono commodamente seminarlo, & che restano; dicendo, che per esser cosi basso, & di fatica nel tagliarlo, & che rende poca migliarina, non mette conto à porlo ne’ lor terreni. Ignoranti che sono, non considerando la grand’utilità del grano, ch’egli produce; & che quella poca migliarina fà assai più fattione à i buoi, à iugero per iugero, che non fà ogni altra sorte, poiche la mangiano tutta, & di quell’altra poco più delle cime. Ma lasciando costoro nella lor’ignorantia, vi prego che mi mostriate le vie per seminare questi migli.

Gio. Bat. Si seminano, & si erpicano nelle hore fresche; calcandoli dapoi con l’erpicetta di vimini con molto peso sopra, accioche il Sole non gli offenda cosi nel nascere, come farebbe quando il terreno fusse sospeso: oltra che la mattina seguente si ritorna per rugiada à ricalcarli; & chi facesse questo anco le due altre seguenti, li giovarebbe maggiormente, perche quanto più sono calcati, tanto più tardano à nascere, per lo germogliar’utile che fanno prima sotto terra, innanzi che escano. Et però chi manca di ciò, non è maraviglia se dal calore crepa, & si secca tal semenza.

Vinc. Non credete voi, che si farebbe ben’à metter quella semenza nell’acqua, quando è cosi arsa la terra.

Gio. Bat. Non tanto lodo in simil caso à poner la detta semenza nell’acqua, ma anco le altre da ogni tempo; percioche sempre nascerebbono più sicuramente, & piu presto. * Et però fallano grandemente coloro, che se non vogliono fare questo officio, seminino almeno prima
il miglio la mattina per lo fresco, & poi lo voltino subito sotto terra con l’aratro, perche non sarà percosso cosi dal sole, come vien fatto à quello, che si sparge sopra la terra arata. *

Vinc. Che vie si debbon’osservare, per zappar ben questi migli?

Gio. Bat. Perche l’antico proverbio dice. Chi vuol ben’empir la tina, zappi il miglio in orecchina. Adunque si debbe zapparlo quanto più tosto è fuor di terra; percioche non pur vi si leva da dosso ogni herba salvatica (la quale mentre che vive, li divora la grassa) ma ancora, sentendo le radici la coltura fatta loro dalla zappa, cominciano ad allargarsi subito. Le quali, quanto più si dilatano, tanto più divengono potenti per produr le foglie, ingrandir le gambe, & far de’ grani in copia. Et per contrario, quanto più si tarda à zapparlo, tanto maggiormente l’humore tende à farlo crescer’in altezza, & non à giovar alle radici, che sono deboli per haver’attorno la terra serrata. Et quello che dico del zappar’i migli per tempo, si doverebbe anco fare à tutti i legumi, panichi, & meliche, benche patiscono manco, per non esser cosi delicati, come sono i migli.

Vinc. Adesso io conosco benissimo la cagione, per la quale tristi massari raccogliono si pochi migli; percioche quando doverebbon’haverli zappati la seconda volta (come sempre si debbono zappar cosi) è ben’assai, se all’hora cominciano à zapparli la prima.

Gio. Bat. Mi piace che voi conosciate la rovina di si fatte genti: Che si come essi son’infelici nel far le loro cose al contrario di quel che doverebbono; non meno son mal’aventurati quei patroni, che li tengono appresso di se.

Vinc. A quanti giorni di Maggio vi pare, che vi si seminino i migli di coltura, & quelli del vecciale?

Gio. Bat. I valenti Agricoltori mai non li seminano di Maggio; con cio sia che per maturarsi per tempo, sono i primi beccati da gli uccelli, senza che non producono tanto frutto, quanto fan quegli altri seminati da gli otto di Giugno, fin’à gli otto di Luglio: Percioche, si come quei giorni sono il fiore per seminar’i migli; cosi quanto più participano delle rugiade d’Agosto tanto maggiormente abondano di grani in copia. Et questo per esperientia si vede, che mai il miglio non granisce bene, se prima non ha la rugiada lunga, & temperata; la quale all’hora è perfetta, per esser le notti piu lunghe, & più fresche, che non sono quelle di Giugno, & di Luglio. Vero è, che ne i luoghi che patiscono il freddo, come sono le nostre valli, stà bene à seminarli di Maggio; percioche tardano à maturare.

Vinc. Lodate voi à seminare tanto il panico, quanto il miglio?

Gio. Bat. Quando il campo è buono, ben netto, ben grasso, ben’ordinato, & accommodato d’acqua per adacquarlo, lodo più tosto à seminarvi il miglio, che’l panico; percioche non magrisce tanto, fa miglior pane, & si vende di più. Ma chi vuol seminar panico, lo ponga ne i terreni leggieri, gerrivi, petrosi, & di colli, & anco dove non si adacqua; per che essendo per natura caldo, vi vien più facilmente, che non fa il miglio.

Vinc. Oltra che in Franciacurta si seminano panichi in quantità (per esservi terreni come dite) vi pongono ancora in copia de’ fasoli, & della melica.

Gio. Bat. Non lodo già la melica in quei siti, perche vi renda frutto assai (per esser questo falso) ma si bene per giovare alle viti spesse, quando è divenuta grande, per difenderle dal gran caldo. Ma à seminarla per utilità, non è meglio che porla ne i campi buoni di polpa, & specialmente ne gli humidi; percioche non mancando loro il caldo, renderà più frutto una pertica, che non faranno quattro in altri luoghi.

Vinc. Semini pur chi voglia la melica, che da me non sarà seminata ne’ miei campi; conciosia che io conosco, ch’ella sempre fa sporco, & magro ogni terreno; & son certo, se in luogo di quella seminarò legumi, ò vena, ò vecciale, che anco raccoglierò dapoi più frumento.

Gio. Bat. Non solamente è bene à seminar più tosto le cose che dite, che la melica, poi che danneggia tanto i campi per qualche tempo; ma vi si può seminare anco del frumento marzuolo, della scandella, della veccia, & de’ lupini; oltra che si può seminare del frumento rosso, essendovi buon terreno, che sia ben’ordinato, & ben letamato.

Vinc. Come si può seminare di Marzo altra sorte di frumento, che del marzuolo detto?

Gio. Bat. Non dirò che questo frumento rosso si possa seminare in tutto ’l mese di Marzo; ma ho ben veduto à seminarlo dopo S. Antonio, sin per tutto Febraro ne i terreni morbidi, & particolarmente nella contrada de’ Livelli della spianata di Brescia, per non esser ben’ordinati quei campi innanzi il verno; onde, con la solita semenza, nasceva, & figliuolava talmente, ch’egli rendeva di piu, che non facevano i vicini seminati di Settembre, & di Ottobre. Et benche questo frumento non venga in quei tempi se non ne i terreni detti, nondimeno molti possono fare il medesimo, havendo tempo assai per arare, per erpicare, per nettare, & per ingrassare quei luoghi, ch’erano malamente ordinati all’Autunno: Che veramente sono pur troppo pazzi coloro, che à quel tempo seminano molti terreni, ancor che li veggano sporchi, magri, & mal coltivati; & però non è maraviglia se alle volte raccogliono apena la semenza.

Vinc. Vi prego che mi diciate ancor’il tempo più commodo per seminar le fave.

Gio. Bat. Si come tutte le cose vogliono esser seminate secondo la natura loro, & il valore de’ terreni, & la diversità dell’aere; cosi ciascuno debbe haver giudicio à seminar le fave da un tempo proportionato più che da un’altro. Et però io lodo che nel nostro paese, essendo i terreni forti, si seminino l’inverniccie al principio d’Ottobre, più tosto, che le comuni alla primavera; percioche non tanto quelle veniranno più per tempo, che quell’altre che si raccogliono di Giugno; ma renderanno anco più frutto, & resteranno più grosse de’ grani. Ma essendo i campi leggieri, ò deboli; è bene a seminarvi le comuni, ò le altre più minute che rendono maggior somma; seminando queste due sorti per Luna vecchia, & spetialmente in quella di Gennaro, percioche producono più frutto, che non fanno quando è nuova; oltra che non vi vengono quegli animaletti chiamati polcioni, i quali alle volte le distruggono del tutto. Non mancando à zapparle benissimo, come sono fuor di terra.

Vinc. Lodate voi coloro, che seminano le fave à quel tempo nella prima aratura, & non nella terza ò quarta, come fan quegli altri all’Autunno?

Gio. Bat. Non è dubbio ch’egli è meglio ad arare quei terreni, le tre, & quattro fiate che una sola; rompendoli però inanzi il verno, accioche si cuocano ben dal gelo; ma perche la più parte de gli Agricoltori non attendendo alla maggior utilità, non solo (per men fatica) spargono le fave nella sola aratura; ma dicono, chi ne fesse di più, che non verrebbono belle; adducendo che quelli, che hann’arato tre volte hanno parimente ricolto sempre pochi grani; ma tacciano, che questo aviene per non haver fatto quelle arature se non dopo i dieci giorni di Gennaro, ò poco più; onde per non esservi stato tempo da posare quei terreni, tra l’una, & l’altra, come vi vorebbe per maturarli bene, non è maraviglia se rendono poco ricolto.

Vinc. Per essere utile questo capitolo à l’una, & l’altra parte, i patroni dovrebbono porlo à i massari, & non quegli altri che hieri diceste; Voglio che tu mi dia per regalia questa, & quell’altra cosa.

Gio. Bat. Non solamente farebbono bene se facessero le arature ne i tempi, che ho detto; ma più ancora se piantassero le fave alla prima vera, come fanno alcuni Cremonesi, & Mantovani, i quali ne piantano à vintine di pertiche; percioche raccoglierebbono il doppio, & avanzarebbono poco men che la metà della semenza. Basta che à seminar queste fave ne i luoghi buoni, ben letamati, & bene ordinati, si raccoglie del frutto in copia (se’l tempo non và al contrario) & lo anno seguente del frumento in quantità; percioche elle ingrassano maggiormente la terra, che non fà ogni altro legume.

Vinc. Havereste voi per sorte secreto alcuno per conservar le fave da i vermicelli, che non nascessero dentro, come fanno per l’ordinario?

Gio. Bat. Bisogna come son fatte fuori delle tavelle, ò teghe, farle ben seccare subito: percioche, quanto più sono ben secche, & cavate per Luna vecchia da la terra, tanto più tardano quegli animaletti à venirvi dentro. Ma à sicurarsi che non vi nascano, non è poi meglio, che à separar’i grani neri da i bianchi. Et resecatoli tutti benissimo, mandar’i neri à frangere (per esser’i più duri da cuocer’in minestra) ò farli macinare per far del pane mescolato con altra farina, & i bianchi ponerli sopra una tavola, & fregarli talmente di mano in mano con le mani ben’onte d’oglio d’oliva, sinche tutti restino onti; percioche si conservaranno con poca spesa, & restaranno ottimi per mangiare in minestra con le guscie d’ogni tempo. Sono le fave verdi, & secche dilettevoli da mangiare, ma per essere di natura fredde, generano humori grossi, causano dolor di testa, et sono sempre di cattiva digestione.

Vinc. Poiche ho inteso ciò che desiderava intorno à questo legume, vi prego che mi ragionate ancora de gli altri grani, che van seminati di Febraro, di Marzo, & di Maggio.

Gio. Bat. Parlandovi primamente de’ ceci, dico che si seminano di Marzo, & per Luna crescente, ne i campi ben letamati, & ben’ordinati: Che essendo asciutti, ò leggieri, ò di colle, tanto più restano perfetti per minestra: Ma bisogna nel zapparli lasciarli rari, perche i rami loro si spargono più, che non fanno quelli de gli altri legumi. Et oltre che la semenza vol’esser grossa, per fruttar più è anco bene à ponerla nell’acqua almen per una notte; si perche nascono più facilmente i grani; & si anco perche, essendo di natura salsi, lasciano almen’in parte quella salsuggine. Et però non è maraviglia se piovendo, quell’acqua che discende da i rami grandi, nuoce talmente à le radici, che assai volte seccano. Sono i ceci per natura caldi, & humidi, & accrescono il sangue, & la colera: Onde essendo ben cotti, il brodo loro aumenta il latte alle donne, provoca il mestruo, commove l’orina, & rischiara la voce.

Quanto sia poi della cicerchia, dico che essendo seminata, & zappata con le condittioni medesime, è buona per cuocer’in minestra, & migliore della segala per mescolar col miglio nel far del pane. Et perche è offesa da i vermicelli della fava, però sia cavata per Luna vecchia, & fatta subito ben seccare: Ma meglio è frangerla; percioche è anco buona da mangiare in pane, & in minestra, come di prima. Questo grano, fuori ch’egli è buono nel mescolar col miglio, come ho detto, nondimeno è poi ventoso, & di poco sapore.

Medesimamente à seminar la lenticchia, dico che bisogna letamar molto ben’il campo, & poi seminarla di Febraro, & zapparla con ragione; percioche non tanto ella non vien bella, se non ne i terreni grassi, & ben’ordinati; ma cuocendola in minestra, non è mai buona se non è accompagnata con grasso assai di carne, ò con l’oglio buono. Et oltra ch’ella è sempre cibo difficile da digerire, nuoce molto allo stomaco, gonfia le budella, ingrossa la vista, induce sogni spaventevoli, et cagiona altri danni all’huomo.

Vinc. Sempre mi fu essoso quello legume per più cause; & però lo lascio à gli huomini, & alle donne svogliati.

Gio. Bat. Seguendo pur’à i grani, che si seminano ne i detti mesi, dico che si semina la vena co i medesimi modi dell’arare, del letamare, & dell’ordinare il terreno. È ben vero che la non si zappa, come si fanno sempre tutti i legumi quanto più tosto sono fuor di terra.

A questi medesimi modi si seminano i lupini di Marzo, i quali avenga che non si zappino, nondimeno chi li zappasse farebbe molto meglio, perche la zappa giova sempre à tutti i semi, & alle piante.

Vinc. Lasciando che questi grani non si mangino se non crudi; & per appetito, nondimeno quando ne ho seminati per raccoglierli al suo tempo, & spargerli per ingrassar’i campi, non solamente mi han giovato intorno de’ frumenti, ma mi han renduto à tanto per tanto, più utile, che non è stato il valore d’ogni legume.

Gio. Bat. Venendo al seminar la veccia per far del pane, over’al compagnarla con la vena per pastura de gli animali; dico che si può seminar di Febraro, ò di Marzo con una sola aratura; ma meglio è romper quel terreno inanzi il verno, & al fin di Gennaro ararlo ben’un’altra volta; & caricatolo dapoi di letame, sia seminata nella terza aratura al fin di Febraro, ò al principio di Marzo, come hieri più largamente vi dissi. Vero è che fuor del nostro paese, ella si semina d’Ottobre sola, per mangiarla mescolata con altri grani in pane.

Poi chi vuol seminar frumento marzuolo, ò segala marzuola, over scandella di Marzo, bisogna romper quei terreni avanti il verno, & poi ritagliarli, & erpicarli dopo Sant’Antonio, accioche allhora siano preparati & ben letamati per farvi la terza aratura, & seminarvi quei grani.

Parimente chi voi seminare i fasoli; dico che vogliono esser posti in buona coltura. Et però bisogna rompere quel terreno al Marzo, ò più tosto al Febraro, & chi facesse questo dopò San Martino, farebbe anco meglio; & ritagliarlo, over’interzarlo all’Aprile; & al fin di Maggio, essendo ben letamato, seminarli, & dapoi volgerli sotto con l’aratro, ma che siano primamente stati nell’acqua, atteso che nascono meglio: si zappano due volte, & poi secondo che si maturano, si raccogliono i cornicelli le tre, & quattro volte.

Questi vogliono sempre poca semenza, ingrassano i campi, fanno frutto in abondanza, si conservano lungo tempo, crescono nel cuocerli più de gli altri legumi, & piacciono universalmente à tutti. È vero che generano assai ventosità nel corpo, & si digeriscono malamente.

Vinc. Stando che mi havete detto à sufficientia di questi grani, & che similmente si seminano i lini da tali tempi, però desidero, che mi ragionate de’ modi, che si debbono tenere per haverne in copia.

Gio. Bat. Lasciando da parte più riti, che gli antichi osservavano nel semirar’i lini, & particularmente dove erano state le rape, con zapparli quando erano grandi, & altre cose al contrario nostro; dico che habbiamo grand’obligo à quel nobile Bresciano, che trovò la vera via di seminarli: Cominciando primamente à spargere di Marzo la semenza del trifoglio nelle biade, & segar poi la stopia trifogliata intorno à i dieci giorni di Luglio, & il fieno al fin d’Agosto: letamando il detto prato avanti Natale, ò poco dapoi. Et segatolo tre volte dal Maggio seguente sin’al Settembre, ararlo dopo mezo Novembre, accioche sia cotto dal gelo, con non fondarvi se non poco l’aratro; percioche il proprio del lino è di venir bello, dove siano spesse le radici del trifoglio, le quali si trovano in quella parte rivoltata di sopra dall’aratro, che vien’à esser molto spugniosa; onde con facilità vi si dilatano le sue tenerissime radici, & vi crescono benissimo. Et veramente ch’egli è bel veder l’Agricoltore ne gli ultimi dì di Febraro, ò ne i primi di Marzo à spargere le dieci & più quarte di linosa per iugero di tal terreno conciato in larghe colle di otto, di dieci, & più solchi, ben zappate, ben’ugualate, ben’erpicate, & ben rastellate, per raccogliervi poi i quindici, i vinti, & più pesi di lino ben fatto, come ordinariamente ne gli anni buoni, si raccoglie ne i campi, che sono à proposito. Et anco è bel vedere, quando egli adacqua esso lino al tempo suo, di luogo in luogo lentamente; havendo prima fatto ne i solchi maestrali, le chiudette, ò argini della istessa terra, non molto lontane l’una dall’altra, accioche quell’acqua si lievi sopra le colle piane, & cosi larghe. Poi oltra, che sollecita quel lino, come nasce, come cresce, & vi fà ciò che conviene di tempo in tempo; non meno come comincia à colorire lo netta di tutte le cative herbe, accioche nel pestarlo, ne lo spadolarlo, & nel filarlo non vi siano tale immonditie. Senza che egli usa ogni diligentia nel cavarlo mentre ch’egli è in perfettione, & nel condurlo à casa ben secco, & dapoi cavarli la semenza: Percioche, quanto più si tarda à farla fuori, tanto più i sorci la mangiano, & rodono il lino; oltra che le acque divengono maggiormente crude, dove poi non sono cosi buone per ammollirlo, come sono d’Agosto, & più di Luglio. Onde essendo morbido, non lo lascia dentro più di due giorni interi; ma quando è duro, non lo cava sin dopo tre dì, & tre notti; facendo anco questo in tempo, ch’egli non tocchi di due Lune; percioche in quel caso, andarebbe in niente ne lo spadolarlo. Et cavato dell’acqua ben lavato, lo pone in una massa tonda, & larga tre, ò quattro braccia, ponendo le radici di fuori, per tanto tempo, quanto è stato dentro; coprendola con le assi caricate di pietre, ò d’altro pesso: Et passato il detto tempo, lo distende al Sole in piedi aperto di branca in branca, fin ch’egli è ben secco; & dapoi, raccolto in mazzi legati di vimini, lo conduce a casa. Onde, come egliè ben pestato con le mazze, lo fà spadolare quanto li piace; ponendolo di giorno in giorno in una pila, & in luogo à proposito, con le assi sopra caricate pur di gran peso, accioche maggiormente le resche, che sono di dentro, si consumino di tempo in tempo, & che’l lino divenga ogn’hor più fino da filare; come massimamente fà questo, quanto più anni stà cosi serrato insieme.

Vinc. Qual lino è migliore per filar sottilmente, poiche ve ne sono di più sorti.

Gio. Bat. Si come il sottile (benche sia più curto de gli altri) è il migliore, per esser molle di seta; cosi quanto è più lungo, tanto più è grosso, & più aspro da filare. Et però sono da commendare quei Bresciani, che han trovato nuova via di fare i refi con maggior facilità bianchissimi & sottilissimi. I quali havendo prima scelto il lino, senza semenza, più sottile, più bianco, & più bello, lo fanno star nell’acqua corrente cinque, ò sei giorni al tempo detto; non ponendolo altramente in massa, ò pila; percioche, essendo dapoi benissimo spadolato, & filato, divien bianchissimo, con minor’artificio di quell’altro, ch’è stato in pila, laquale, per lo scaldarsi insieme, lo fà venir’oscuro.

Vinc. Perche mi havete detto più di quello che aspettava, mi sarà grato, se mi direte ancor’i modi, che si convengono à far’i lini invernicci, avenga che tra noi non se ne seminino, se non pochissimi.

Gio. Bat. A seminare questo lino detto Calabrese, bisogna farli la coltura l’estate; & letamato quel campo, si semina dal principio di Settembre sin’al fine; dandoli quarte sei, ò sette di semenza per iugero di terra, secondo che più, & meno è grasso quel terreno. Et questo lino vien’in assai copia, quando non è danneggiato da gli eccessivi freddi, ò d’alcuni venti speciali che soffiano di Primavera: Ma è solamente buono per far tele grosse, che durano assai manco dell’altre. È vero ch’egli viene più alto, & più grosso di gamba, & di semenza, che non fà l’altro, la quale produce anco più oglio, che non fà la nostrana. Del resto vi si fanno tutte quelle cose, che si fanno all’altro lino.

Vinc. Per qual cagione dite voi, che si faccino le colle cosi larghe per seminarvi i nostri lini?

Gio. Bat. Non solamente mi piacciono vederle di quella grandezza, dove si seminano i lini; ma vorrei vederle ancora simili, dove si seminano i legumi, prati, migli, & biade (quando però i campi non vi son’in contrario) percioche si raccoglierebbe maggior quantità di robbe, che delle strette. Et però fra gli errori notabili de’ massari (parlando solo de’ cattivi, & non de’ buoni) questo n’è uno del non far le colle larghe: I quali, benche i terreni siano sani, curti, pendenti, & non maligni, & che potrebbono farle di otto & dieci solchi con utilità loro, le fanno di quattro, di tre, & anco se non di due; danno solamente del patrone, il quale havendo obligato il massaro à seminarli, come sarebbe sessanta iugeri per cento di buone biade; per haver fatto le colle picciole, & assai solchi maestrali, haverà quel ricolto che haverebbe di quaranta fatti con ragione, ò poco più. Ne per questo patisce quel massaro; percioche cava di biada alla portione, che hà gittata in terra, & ancor’alla rata delle arature, & altre fatiche fatte per lui. Et di qua si vede la sua malignità, che per risparmiare un terzo di semenza, & un terzo di arature, non pur’egli non hà conscientia à danneggiar tanto l’ignorante patrone, & senza sua utilità; ma etiandio si compiace della miseria nel tagliar le biade più facilmente (per esser le colle cosi strette) & nell’adacquar quei campi; non facendovi altro, che lasciar correre l’acqua fra i solchi maestrali, finche quelle sgratiate sono trappassate dall’una, & l’altra parte.

Vinc. Sono tanto manifesti questi inganni, che non vi vorrebbe altro, che bandire dalla patria quella perfida generatione; percioche, se comprassero eglino i campi buoni à cento scudi, & più il iugero (come costano) non farebbono queste manigoldarie.

Gio. Bat. Sappiate pure, che’l fedel lavoratore (non havendo i campi in contrario) mai non manca à far le colle di bella larghezza; perciò che sà, che sempre raccoglie maggior ricolto, che dalle strette, & che ara maggiormente la terra per non farvi tanti colmi: Ne per questo resta di adacquarle benissimo; attesoche innanzi che vi ponga l’acqua adosso, hà prima concio le chiudette, ò stoppate di solco in solco, & tanto alte, che giungendo l’acqua di una in una, è forza che s’inalzi, & inondi ogni larga colla: Et oltra ch’egli non manca à stringerla, & volgerla con ogni diligentia per farla andar pian piano insino che vede esser giunta all’altro capo; la leva anco, & la conduce sopra le altre colle, che vi sono à canto: Et con questo bell’ordine, và rimovendo, & rimettendo l’acqua di luogo in luogo, fin ch’è bene adacquato il campo. Per tanto possiamo conchiudere, che non vi è proportione dall’eccellente Agricoltore al misero massaro, perche questo non fà mai cosa con ragione, & quello non solamente ara, ordina, & semina con prudentia; ma etiandio scalva gli arbori, pota le viti, sega i prati, letama i campi, governa i lini, & fà tutte le cose importanti ne i buoni giorni della Luna.

Vinc. Come intendete che si debbano far le cose dell’Agricoltura per conto de’ beneficij della Luna?

Gio. Bat. Non aspettate che io vi dica quelle regole, che dice il gran Poeta Mantovano, che si debbon’osservare nell’Agricoltura ne i tempi di celesti pianeti, ò di stelle fisse: Percioche oltra, che sono cose da eccellente Astrologo, & non da semplice Agricoltore; sarebbono parimente un Chaos à volerle recitare. Et però, parlandovi solamente della Luna, la quale, per esser più prossima à noi di tutti i pianeti, & corpi celesti, fà i suoi effetti sopra di noi (quanto al corpo) & sopra delle cose terrene; dico che, essendo nuova, serve benissimo al piantar gli albori, al seminar le herbe, al tagliare i boschi per brusciare, & al segare i prati per gli animali; & ancor’à i letami, che si danno à simil cose; percioche non minor vigore ella presta à questi nell’immorbidare, che à gli arbori, & alle semenze nel germogliare, & nel crescere.

Vinc. A confirmatione di questo, non pur’habbiamo l’essempio nel tagliarsi le ungie, i capelli, & la barba; ma anco per contrario nell’ammazzar’i porci, & altri animali. Percioche amazzandoli per Luna scemante, quanto più si tarda à mangiarli cosi salati, tanto più fuoco vi vuole à cuocerli. Et però non è maraviglia se un salciccione, ò altra carne di quelli rimangono in lunghezza, assai volte, il quarto manco quando sono cotti, & se ancora io non gli amazzo, nè li compro per allevare, se non sono nati in Luna crescente; percioche malamente crescerebbono, & verrebbono di conveniente peso. Ma poi che mi havete narrato di queste cose, che si debbono fare per Luna nuova, vi prego che mi diciate anco di quelle altre che vanno fatte quando è vecchia.

Gio. Bat. Si come è ben’à potar le viti magre per Luna nuova, cosi siano potate le morbide quando è vecchia; percioche produrranno assai più uva, che à potarle quando cresce, per attendere all’hora à farle immorbidare sol di foglie & di pampini: Et potandole nello scemare, ogn’hora più restringe il legno, il quale maggiormente attende à produr del frutto in copia. Et medesimamente si debbono ordinare, & castrare i cedri, & tutti gli altri arbori fruttiferi; percioche produrranno sempre frutti assai. Et essendo possibile, è ben’à vendemiare per Luna scemante; percioche quei vini saranno da lei ristretti, & conservati; i quali siano medesimamente tramutati al seguente Marzo in simil tempo.

Ancora siano macinate le biade; conciosiache si conservaranno le farine lungo tempo. Vero è, che’l pane cresce maggiormente, quando sono macinate per Luna crescente.

Appresso (chi può) è ben’à mieter le biade per Luna vecchia, cavar i lini, sterpare i legumi, raccogliere i pomi, & altri frutti. È vero, che i legumi si cuocon più facilmente, se sono cavati per Luna nuova.

Lodo similmente che à quel tempo si taglino tutti i legnami per casamentare, fare torcoli, ponti, & altre cose simili; & spetialmente intorno à i vintisette dì, & più tosto la sera, che la mattina; percioche, si come di notte l’humore tende andare in cima dell’arbore, così di giorno il Sole lo tira alle radici. Come ben si vede, che tagliando dui legni di una medesima qualità, di natura, di fortezza, & di grossezza; & posti anco in un tempo sotto un medesimo carico, i quali siano tagliati in una istessa Luna; ma l’uno quando cresce, & l’altro appresso al fine; dico che quello della crescente mai non restarà di vaporare per la morbidezza non digerita, che si trova in lui; debilitandosi à poco à poco, fin che del tutto sarà rotto, & fracassato: Et l’altro, per haver gli humori ben digesti dalla Luna vecchia, restarà anco più forte, & più gagliardo per sostener ogni peso convenevole; & questo si vedrà benissimo s’egli massimamente sarà tagliato più tosto all’autunno, che alla primavera.

Vinc. Che rimedio vi sarebbe à fortificar quegli arbori che sono deboli, i quali assai volte, per necessità si tagliano per metter’in opra, benche si sappia che dureranno poco tempo?

Gio. Bat. Perche tali arbori sono cosi teneri dalla cima sin’alle radici per la troppa aquosità, che la natura loro tira à se con grande avidità dalla terra, però chi vol servirsene lungo tempo, li tagli da quel lato, onde van tagliati, un poco più della metà appress’al fine della Luna, & li lasci cosi in piede per un giorno, ò dui, & poi li finischi di tagliare. Percioche stando cosi mezi tagliati, in quel tempo venirà fuor tutta l’acqua, che non uscirebbe, se nel tagliarli fussero gittati à terra. Et chi non credesse questo, pongasi à tagliar’una rovere, ò castagna (per esser de’ più forti, & de’ più durabili arbori, che siano tra noi) & cosi un’albara, ò pomo, over’onizzo (che son de’ più deboli) & lasciarli al modo detto; vedrà quanta copia d’acqua uscirà fuor di questi teneri, à rispetto de gli altri: Ma come sono purgati, & ridutti à terra, bisogna levarli subito la scorza, & lasciarli dapoi cosi al Sole, al vento, & al freddo almeno per sei mesi innanzi che si pongano in opra; mettendovi però sotto de’ legni, ò pietre, accioche non siano danneggiati dalla terra. Et se bisognasse quadrarli, sian’ordinati come saranno scorzati; percioche s’induriranno in quel tempo, come s’havessero il proprio nervo. Vero è che vogliono esser posti in opra al coperto; perche quando fussero offesi dall’acqua (benche siano fatti durissimi) durarebbono pochi anni.

Vinc. Per haver inteso le cose, che si debbono far’in Luna nuova, & quelle che van fatte quando è vecchia, desidero saper’ancora la cagion di quegl’effetti, ch’ella fà essendo nell’uno & l’altro stato.

Gio. Bat. Quantunque questa cosa non appartenga à gli Agricoltori, ne à me, ma solamente à gli Astrologi, ò à i Filosofi naturali; nondimeno non restarò di narrarvi brevemente quello, che altre volte io ho sentito discorrere sopra di ciò, ad un letterato mio amico. Adunque, lasciando che la Luna faccia in manco d’un mese tutto quel camino che fà in un’anno, il Sole, & che la sia calda, secca, humida, & fredda; dico che ella non ha lume alcun da se, ma lo riceve sempre dal Sole, & lo riflette alla terra tanto maggiore, quanto si allontana da lui, & per contrario, quanto più si approssima alla congiuntione, tanto manco lo riflette terra. Et di qui è, che diciamo la Luna crescere, & scemare, non che veramente in lei cresca, ò manchi il lume (eccetto quando ecclissa) per esser sempre illustrata ad un medesimo modo dal Sole, ma solamente cresce, & manca quel lume, che da lei si riflette alla terra: Il quale, secondo và crescendo, & mancando, hà parimente più, & men forza di mover l’humore delle cose naturali à far’i suoi effetti: Percioche, quanto più egli cresce, tanto più il detto humor’abonda, & si diffonde alle parti esteriori; per contrario, quanto più manca, tanto più il medesimo humore manca, & si ristringe alle parti interiori: Alqual’effetto concorre un’altra causa, che quando quel lume cresce, medesimamente cresce lo spatio della notte, nel quale la Luna stà sopra della terra; & quando il detto lume si fà veder minore, si fà similmente minor’il detto spatio di tempo. La onde possiamo conchiudere, che si come il Sole nella prima stagione vede gli albori, nella seconda produce i frutti, nella terza li matura, & nella quarta li sfondra; cosi la Luna nel primo quarto è potente à morbidare, nel secondo à fruttare, nel terzo à maturare, & nell’ultimo à conservare.

Vinc. Perche fra i termini della Luna mi havete fatto veder benissimo la differenza ch’è, quando si mostra meza illuminata dal Sole nel compiuto primo quarto, esser’ugualmente quando è illuminata nel secondo, & che’l primo morbidisce tanto, quanto il terzo ristringe, vi prego che mi diciate etiandio qualche secreto da conservare i frumenti dalle tarme.

Gio. Bat. Innanzi che io vi dica questo, mentre che mi ricordo, voglio dire come si possono mieter le biade, ancorche fussero in parte mal mature, le quali si tagliarebbono volentieri, per haver copia di lavoratori, i quali non si potrebbono poi havere, se fussero licentiati: Overo ancora quando si miete un campo, & che una parte non è matura, senza farli due volte; si potrebbe tagliare, in quel medesimo tempo. Si tagli adunque cosi il frumento mal maturo (quando però ha compiuto il grano) quanto il maturo; percioche, mentre che i mietitori andranno tagliando, & legando le cove, siano parimente di mano in mano subito gittate per terra con le spiche verso Tramontana, & non manco di dieci insieme l’una sopra all’altra accioche non siano trafitte dal sole: Et com’è sparito, siano drizzate in piedi, & lasciate cosi tutta la notte, & poi la mattina seguente innanzi sia alto, siano ritornate per terra al modo detto. Facendo questo sera, & mattina; finche saranno divenute mature: Ma se non comparisse il Sole, non accade à ponerle per terra.

Poi quanto à conservar’il frumento; dico che i granari vogliono esser con le finestre da Settentrione à Mezodi, ò da Oriente, & Occidente; percioche se i venti non possono correre, & trappassare dall’un lato all’altro, è dubbio che nel gran caldo non patisca molto. Vero è, che alcuni nostri eccellenti in questo, lodano molto quei granari che hanno d’ogni tempo solamente le finestre verso tramontana; perche quel vento tiene sempre fresco tutti i frumenti: Senza che dicono, che sotto à i tetti non siano posto le assi, & manco i tavelloni, accioche i venti possano liberamente penetrare fra i coppi, & che quei luoghi stiano freschi. Ma io lodo, che quanto piu tosto si puote, si faccia fuori il frumento dalle cove; percioche quanto più si tarda, tanto più facilmente si scaldano fra se stesse; onde non è poi meraviglia se quei frumenti abondano di barbelli, & conseguentemente di tarme. È vero che se fossero seccate ne i campi le cove in piede al Sole almeno per tre giorni, che pochissime volte accaderebbe simil cosa: Ma perche non si fà questo, come si faceva innanzi alle tante presenti carestie (per esser’hora rubbate) sia adunque palato il frumento, & ben seccato almeno per tre hore nel più ardente sole, & poi cosi caldo sia crivellato, & portato di mano in mano sul granaro, del quale siano prima ben chiusi tutti i buchi con calcina, & dapoi spazzato, & nettato da ogni parte, & sotto al tetto da ogni immonditia: spruzzando di buono aceto con una scopetta in quel luogo, dove si ha da mettere il frumento in un mucchio, & non meno attorno à quello, & in cima al modo detto.

Un’altro secreto potente per conservar’ogni frumento vi voglio dire: Che per dieci some di ben secco, vi siano mescolate almeno quattro di miglio ben ordinato; percioche non solamente dalla sua frigidità sarà conservato per più anni dalle tarme, & non si potrà scaldare: ma ancora sempre si cavarà fuori tutto col crivello. Io vi potrei medesimamente dire de gli altri secreti à questo proposito; ma perche questi sono certi, & sicuri, però faro fine, poi che per adesso, habbiamo ragionato à sufficientia.

Vinc. Innanzi che ci leviamo, desidero che mi diciate ancora un’altro secreto importante (se però lo sapete) cioè, che riparo si può fare à quel frumento, nel qual’è venuto dentro gran quantità di barbelli.

Gio. Bat. Primamente dovete sapere, che mai non vi entrano, se non dopo pochi giorni, ch’egli è stato battuto: Et però, tantosto che quel frumento comincia à scaldarsi, ò produr barbelli, sia portato di mattina su l’ara à farlo bene spolverare col crivello, & poi di mano in mano distenderlo benissimo, & cosi sparso, lasciarlo all’ardente Sole insino ch’è passato l’hora di vespro; & riportarlo dapoi cosi caldo ben nettato; ponendolo in un mucchio più alto, che si può. Percioche quanto più si trovarà alto, tanto maggiormente quel gran calore affogarà, & ammazzarà tutta quella generatione: Oltra che in tre, ò quattro giorni tutta quella massa restarà talmente fresca, che più non patirà cotal rovina; anzi si conservarà per lungo tempo.

Vinc. Si come mi sono piaciuti i primi due rimedij contra questi animaletti; cosi mi è stato caro quest’altro, perche non havrò più quel tanto danno, che piu volte ho patito. Resta solo che dimane siamo insieme per ragionare delle altre cose, che desidero sapere, se tanto vi sarà grato.

Gio. Bat. Anzi mi sarà gratissimo, & però vi aspettarò molto volentieri.

Il fine della seconda giornata.

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