La quarta giornata dell’Agricoltura

Di M. Agostino Gallo,

Intorno al vendemiare, & fare i vini, & conservarli, con altre cose à ciò pertinenti.

Havendo l’Avogadro accompagnato M. Vincenzo forse per un miglio, & invitato à desinar seco per lo seguente giorno, non pure non mancò à ritrovarsi; ma havendo finito di mangiare, si ritirarono in un luogo opaco, & fresco per udir’il dolce mormorio dell’acqua, che corre à Tramontana nel giardino; dove fattosi portar da sedere, il Maggio cominciò à dire. Perche hieri dissi à voi M. Gio. Battista, che mi sarebbe stato caro, quando mi haveste ragionato delle osservationi, che convengono à vendemiar le uve, però aspetto che hora distintamente mi diciate almen quelle, che sono più necessarie.

Gio. Bat. Per satisfarvi di questo che mi domandate, dico che il vero Agricoltore usa sempre ogni diligentia per far’i vini migliori che può; Et perciò non manca à spiccar le uve mediocremente mature; percioche, si come vendemiandole molto acerbe; fann’i vini garbissimi; cosi essendo troppo mature, restano men saporiti, & men’atti à conservarsi. Oltra che essendo possibile, non solamente le vendemia non bagnate; ma anco dopò che la rugiada è risoluta, & che l’aere sia più tosto caldo, che freddo; percioche quel vino resta migliore, & più atto à durare: Come fu veduto nel felice anno del 1540. Il quale per non esser piovuto sin’al San Martino, abondò tanti frumenti buoni, & di si dilicati vini, che mai non fù si gran ricolto à tempi nostri.

Ancora essendo possibile, vendemia dopò i diciotto, ò vinti dì della Luna; percioche i vini divengono più potenti, & più si conservano, che non fanno nella crescente.

Parimente usa ogni diligentia nel separar l’uva agreste, la nebbiata, la tempestata, & la secca, ò marcia dalla buona; & non men’à non lasciarvi non pure delle foglie, ò paglie, ò altre sporchezze; ma ancora che le tine, ò altri vaselli, dove hann’à bollire, siano ben nette di tutte l’immonditie; percioche mancando di queste provisioni, facilmente si potrebbono guastar’i vini.

Appresso, per farli perfetti, egli non manca à sciegliere tutte le uve gentili dalle grosse, le bianche dalle nere; non mescolando più di due sorti delle gentili insieme; come sarebbe una saporita con una dolce, & la bianca, potente con l’altra debile, & carica di colore; ponendo poi tutte le grosse insieme, per far de’ vini per la famiglia, ò per gente bassa.

Similmente nel vendemiare, egli di mano in mano lascia le uve mucchiate in terra almeno per tre dì scoperte all’aere; percioche migliorano assai se non vi piove sopra, per cagion del Sole, & della rugiada che le affinano, & anco della terra che le cava ogni cattivo humore; lasciandole poi nelle tine non men di due giorni, ò tre innanzi che le faccia pestare, accioche quei vini crescano in potentia, & in bontà.

Vinc. Hora che io ho inteso questi precetti, aspetto che mi diciate la vostra opinione intorno al bollir de’ vini.

Gio. Bat. Questa è la maggior questione che sia tra gli Agricoltori; percioche vedendo le tante diversità delle uve, de’ paesi, de’ terreni che sono differentissimi di aere, di freddo, di caldo, & d’altre qualità; è impossibile à dar’un sol’ordine che sia universale. Et però non è maraviglia delle tante usanze, che tuttavia si costumano dall’una Provincia all’altra, dall’un paese all’altro, dall’una terra all’altra, & dall’una casa all’altra. Come si vede in questa Villa, che molti li fan bollir vinti, & trenta giorni, & io con altri pochi non passiamo quattro, ò sei.

Vinc. Qual cagione vi move à farli bollire cosi poco.

Gio. Bat. Voi dovete sapere, che quanto più bollono i vini, tanto più divengono duri, grossi, insipidi, & alle volte prossimi all’aceto, & simili nel colore all’inchiostro: I quali sono d’abhorrire d’ogni tempo; si perche nel bere sono come medicine; & si anco perche offuscano l’intelletto, empiono le vene, legano i membri, affogano il fegato, e satiano talmente ogn’uno; & massimamente essendo di spirito gentile, che non può mangiare, ne digerire se non malamente. Et perciò sono da lodar’i vini chiari, rossi, che assomigliano à i rubini orientali; percioche non tanto si digeriscono facilmente, quanto che nel mettervi dentro dell’acqua, restano medesimamente saporiti; cosa che non avviene alla maggior parte de gli altri detti.

Vinc. Quantunque i vini pieni piaccino al volgo nondimeno i trasparenti furono sempre lodati da gli huomini giudiciosi, & massimamente da gli eccellenti fisici.

Gio. Bat. Per un’altra ragione è cosa dannosa il far bollir tanto i vini, come per esempio si può conoscere. Che ponendo in due tine trenta brente di una medesima uva ben qualificata, per ciascuna tina, & che una bolla quattro, ò cinque giorni, dovrebbono dar’almeno brente vinti di vino; & bollendo quell’altra i vinticinque, ò trenta; è certo che non passarebbe diciotto, & forse manco quando sia bollita con gran calore: Et questo si vede ne i paesi dove si fan bollir’i vini col fuoco per salvarli; percioche sessanta brente non restaranno più di quarantacinque. Qualch’un potrebbe dire, che questo non è à proposito, stando che il vino, che bolle co i graspi nelle tine, bolle lentamente, & quell’altro con gran forza di fuoco. Et io dico, che egli è più verisimile che i nostri vini, bollendo i vinticinque, & trenta giorni habbiano à scemar la decima parte, che quelli che bollono al fuoco la quinta, ò quarta; poiche bollono à quarti d’hore, & non i tanti giorni.

Vinc. Qual modo vi pare meglio per conservar’i vini, il farli bollir poco, ò il bollir’assai?

Gio. Bat. L’opinione mia fù sempre che i vini si conservino, non per bollir’i vinti, ò trenta dì, ma più tosto quanto manco bollono. Si come per esperientia io ho veduto, che à bollir’i vini sin che cessano, che per questo non si mantengono più de gli altri. È ben vero, che quanto più son lasciati nelle tine dapoi che son venuti freddi, tanto più sono per durare. Ne questo aviene, perche habbino bollito assai, ma solamente per essersi fatti forti alla cima i graspi, i quali hanno poi ridutti quei vini quasi conformi all’aceto. Che se fusse vero, che si conservassero per bollire fin che cessano, & non più; non pure gli Antichi l’havrebbono detto, ma non havrebbono lasciati anco i tanti rimedij; come hanno fatto per salvarli.

Parimente, se questo fusse vero, lo stato de Milano che si diletta di ben bere più d’ogn’altra natione, non havrebbe mai abbandonato il farli bollir’i vinticinque, & trenta giorni, per bollir solamente tre, ò quattro, come hà fatto dapoi che Lodovico Re di Francia si fece Signore di quel florido paese. Che per esser usanza de’ francesi di non bere se non vini clareti (i quali chiamano cosi, per haver poco colore quanto manco bollono) & ritrovando alla venuta loro questi altri tanto grossi, & aspri, & tanto carichi di colore; non potevano patir’à beverli cosi fatti. La onde cominciando à farli bollir’al modo loro di Francia, i Milanesi, & altri suoi popoli, conoscendo che quella via era assai migliore della usata prima da essi, hanno poi perseverato à farli bollire quel poco tempo, che vi ho detto: Senza che medesimamente ha fatto il Ducato di Savoia, Piemonte, Saluzzo, Monferrato, & quasi tutta la Lombardia: Percioche veggono, che i vini restano con più bel colore, con miglior sapore, & con maggior bontà, & che anco si conservano maggiormente, che non facevano.

Che diremo poi di tanti vini pretiosi che raccoglie tutta la voltolina, senza farli bollir niente, ò poco, i quali si mantengono nella lor bonta à vintine d’anni? Et non fanno forse il medesimo tutti i paesi della Germania, dell’Ungheria, & d’altre Provincie assai, che potrei nominare? Ma, che bisogna cercare testimoni cosi lontani, poiche tanti de’ nostri Bresciani (massimamente quei che adacquano i suoi campi) già più anni non fan bollir niente quei vini, che vogliono conservare facendo torchiar le uve subito, che sono condutte; percioche veggono, che durano lungo tempo, & che restano migliori, che à bollir nelle tine.

Vinc. Ditemi, vi prego, che via si tien nel fare questi vini?

Gio. Bat. A far perfetti questi che noi chiamiamo vini cisioli, ò sforzati, per esser di uve nere, bisogna primamente come sono condutte, pestarle co i piedi nelle benaccie finche sono ben pestate, & poi invasellarli più netti, che si può; benche si possono anco torchiar quelle uve, ma meglio è pestarle; conciosia che vien fuor’il vin migliore; facendo dapoi bollir con l’acqua nella tina quel vino, che resta nella benaccia, il quale restarà buono per la famiglia: Ma chi vuole, riempie piu volte al giorno quei vaselli del medesimo vino, riservato per questo in altro vaso, finche cessa di gittar fuori l’immonditie dal buco di cima. * Vero è che à tramutarli una, ò due volte mentre che bollono, & levar la fece che si trova sul fondo, restano più amabili, che à star fin’al San Martino, & peggio (come la maggior parte fanno) sin’al Marzo. * Et questi vini restano piccanti per più mesi, & alquanto dolci quando le uve non siano mal mature; oltra che durano lungo tempo (come vi ho detto) & restano ben bianchi, essendo posti in vaselli netti. * Ma à farli ben dolci l’anno seguente, & che restino cosi dolci, & piccanti tutto l’anno, si mette nel vasello il terzo di mosto dolce, fatto al modo detto di uve nere ben mature, il quale non può bollire, per esser maggior somma il vecchio che’l nuovo. *

Poi molti tengono che crescano una brenta per carro, per non essalar nel bollire, come fan gli altri nelle tine; & anco per non esser roduta da i legni, & guscie di quelle graspe. È vero che alcuni dicono non digerirli bene, fin che non è passato Giugno (ancor che io li provo il contrario) percioche quanto più sentono il caldo, tanto più divengono gentili: & più crescono in bontà quando è passato l’anno. Ma bisogna trasmutarli in vaselli ben netti dopo mezo Novembre, ò almeno nel mese di Marzo, accioche siano levati della feccia, che haveranno in fondo & che si conservino lungo tempo.

Vinc. Che rimedio havete voi per conservare anco gli altri vini?

Gio. Bat. Io non ho secreti per conservarli tutti, poiche ve ne sono alcuni di tanta mala natura, che ben che si facesse loro ogni gran rimedio, mai non si conserverebbono. Vi dirò ben’alcuni ordini per giovar’à gl’altri, che alle volte si guastano per diverse cose fatte in lor maleficio. Voi adunque dovete non solo spiccar le uve con quelle osservationi, che vi ho detto, ma ritorno à dire, che facciate lavar talmente le tine, che non vi resti brutezza alcuna; percioche, come il vino bolle sporco, non è maraviglia se non si conserva. Poi secondo che giungeranno le uve à casa, le farete ben pestar co i piedi nella benaccia, & dapoi di mano in mano le farete gittare nelle tine commodate al coperto, accioche non vi piova dentro, ne vi aggiunga il Sole, il quale le danneggiarebbe nel farle bollir con impeto; percioche il vino divien migliore quando bolle lentamente. Et circa del bollir’i vini tanti giorni, & non manco, questo non so determinare per le cagioni, che havete udite; nondimeno, per mia openione, non si dovrebbe passar più di otto giorni.

Vinc. Chi facesse questo in molte terre nostre, certo è, che non pur si cavarebbono poco chiari, ma torbidissimi; cosa che fù sempre biasimata da noi Bresciani.

Gio. Bat. Et io dico, che se questa usanza fusse degna di biasimo, s’ingannarebbono ancor’i tanti paesi, & molti de’ nostri cittadini, che li cavano talmente torbidi, che assai volte sono chiari solamente al Natale: I quali restano si piccanti, che quasi sempre fan lagrimar chi li beve; oltra che sono di cosi rubicondo colore, che brillano ne i bicchieri. Effetti, per certo, d’invitare à beverli, (come si dice) insin’à i morti. Et però se questi vini riescono cosi dilettevoli, quanto meno sono da vituperare quegli altri, che li cavano un poco men che chiari? È ben vero, che à levar questi vini fuor de’ vaselli, perdono la virtù del piccare; ma chi li vuol condurr’altrove, bisogna prima romperli benissimo con un bastone sin’in fondo, & poi condurli, & invasellarli cosi torbidi; percioche in quattro giorni saranno chiari, per la feccia che ritornerà al basso, la quale è quella che li dà il sapor medesimo del mordere.

Vinc. Aspetto che mi diciate anco quegli ordini, che voi tenete nel far’i vini diversi di sapore, di colore, di potentia, & l’arte di farli garbi, piccanti, saporiti, & dolci, ò almeno che ne habbiano una vena.

Gio. Bat. Dovendovi parlar di queste cose, dico primamente che molti pestano dopo la prima sera le uve nelle tine co i piedi, ò con le stanghe almeno due o tre volte alternatamente, & poi cessano per dui altri giorni innanzi che gl’invasellino: Oltra che vi son’alcuni altri, che cavano dalla tina, come sarebbe la metà del vino, & lo pongono in una benaccia fin che han ben pesta tutta quella uva, & poi lo ritornano dentro; facendo questo non meno di due, ò tre sere pur’alternatamente; percioche, per esperientia si vede, che non tanto egli divien migliore, & di più bel colore, ma vi si cava etiandio il cagnone (come noi diciamo) di morbidezza.

Vinc. Tanto più mi è cara questa cosa, quanto che le mie viti di Pompeiano producono vini molto morbidi; si per l’adacquare così spesso i campi, come si fanno; & si anco per lo terreno ch’è troppo grasso.

Gio. Bat. Quanto sia poi circa al far diversamente buoni vini, dico per essempio, che si pone tanta somma di uva buona in una tina, che rende quattro carra; & come sarà bollita dui, ò tre giorni bisognerà cavar tutto il vino, & ponerlo in un’altra di grandezza simile, & dapoi empirla di altra buona uva, ma ben pestata co i piedi: Et come sarà venuto chiaro, sia subito invasellato, conciosiache sarà anco perfetto, & ben piccante. Et si come, cavato che sarà il vino dalla prima tina, si potrà mettervi dentro due carra d’acqua; & poi empierla d’altra uva ben pestata; non meno si potrà far nella seconda alla rata dell’una, che primamente vi sarà, & lasciarle tutte due bollire fin che’l vino sarà purgato, il quale si chiarirà tosto, & resterà rucente. Et quello che dico d’una tina che renda quattro carra di vino (essendo di più, ò di meno) vi si ponga sempre alla rata l’acqua, & la seconda uva.

Poi volendo voi fare vini mescolati con acqua (per esser più sani, & più facili per digerire che gli altri) dico posto che havrete le uve nelle tine, gittarete dentro l’acqua secondo la natura loro; che essendo buone non vi vorrebbe men del quarto, ò quinto d’acqua, benche non fà crescer tanto il vino, quanta è stata posta dentro; conciosia che una parte si perde nel bollire, & nell’essalare. Et passati tre, ò quattro giorni, lo invasellarete, che sarà chiaro, & gentil da bere. Et quando vi piacesse di farne di più picciolo, farete follar co i piedi benissimo tutte quelle graspe che vi restano, & vi ponerete tanta acqua, quanta era la quarta parte dell’uva che fu posta in quella tina. Et passati tre, ò quattro giorni, invasellarete quel vino che sarà sano da bere cosi, & per mescolare co i grandi, che sarà migliore assai dell’acqua cruda. Ma à farlo molto delicato, si ponga in una tina di uva ben matura, la quale sia stata in terra almeno cinque, ò sei giorni, & lasciatolo dentro un giorno, si cavarà perfetto & sarà sano.

Un’altro bel modo vi voglio dire per fare vino, che sarà di utilità, come come se fusse quattro volte tanto, & dilettevole; ma bisogna cavarne ogni dì finche sarà finito. Sgranarete adunque quella quantità d’uva, che vi piacerà; osservando sempre, che per ogni diece brente d’uva ben matura posta in tina, vi ponerete sopra non men di due brente d’acqua ben bollente, & coprirete subito con un copertorio d’assi fatto à posta, accioche cosi calda, faccia meglio il suo effetto. Ma facendo questo vasello di dui fondi, non occorre porvi sopra cosa alcuna, ma solo coprire il buco di cima col cocone: Che se cavarete quel vino dopo un giorno, ò dui lo trovarete molto dilettevole. Ma farete, che ogni volta coloro, che ne cavaranno, empiano il fiasco, ò altro vaso d’acqua neta, & la gittino sopra à quei grani, & che poi cavino il vino. Il quale si domanda bevanda de’ poveretti; poiche con poca spesa, rende assai, & non sene beve se non poco, per morder la lingua come fà. Oltra che vi potrete giunger qualche volta del vino, per conservar più il sapore, & il colore; & sarà buon’ancor’il vino fatto con acqua.

Ancora vogliovi mostrare un’altro modo utile. Che essendo cavato il vino dalla tina, voi levarete via subito i graspi asciuti, che saranno in cima de gli altri; & farete pestar dapoi benissimo i restanti. Onde essendo stata l’uva brente sessanta, gliene metterete sopra dieci, ò dodeci d’acqua. Et coperta ben quella tina, potrete bere quel vino dopò quattro giorni, che sarà gentil di sapore, & sano; & anco si conservarà per più mesi la sua bontà in quelle graspe, se restaranno ben coperte.

Appresso vogliovi mostrar’un’altro vino dilettevole con acqua. Che ponendo voi in una tina brente sessanta d’uva ben matura, lasciaretela dentro cinque, ò sei giorni senza farle cosa alcuna; & dapoi cavarete il vin che venirà fuori, & poneretelo in una benaccia, o altro vaso; pestando subito quell’uva co i piedi, & gittandovi sopra vinti brente d’acqua, & più & meno, secondo la sua qualità. Et fatto questo, ritornarette dentro tutto quel vin cavato, & follarete poi un’altra volta co i piedi ogni cosa benissimo; & dapoi tre, ò quattro giorni, invasellaretelo tutto, che sarà molto delicato.

Vinc. Hora che questi sette modi sono per fare vini utili, vorrei saper’ancor le vie, che tenete nel farli diversamente dolci.

Gio. Bat. Innanzi che vi dica questo, vogliovi mostrar come potrete far’i vini senza fumosità alcuna, benche siano di uva trebbiana, ò altra de’ campi grassi, ò che si adacquassero più volte. Dico che giunta l’uva à casa, essendo bianca, la farete torchiare subito; ponendo quel vino in una tina, ò più tosto in una benaccia, accioche possa maggiormente essalare: Ma perche farà della schiuma assai per otto, ò dieci giorni, non mancarete à levarla col mescolo forato più volte, fin che cessarà; & poi cavaretelo con tal modo, che non pigliate niente della feccia, che sarà sul fondo; & così l’invasellarete, percioche restarà talmente senza fumo, come se fusse accompagnato per metà con acqua. Et medesimamente potrete far questo con tutte le uve nere, che havessero del morbido, ancor che havessero bollito secondo il solito.

Quanto sia poi al far vini dolci primamente con acqua, voi ponerete cento pesi d’uva buona, & ben matura nella tina, & pestata bene, le metterete sopra trenta pesi d’acqua, compartendola in cinque, ò sei mattine con la cazza intorno à i graspi levati; cavando dapoi il seguente giorno tutt’il vino, ilqual sarà chiaro, dolce, & piccante.

Un’altro modo vogliovi dire; ponerete trenta brente d’uva ben matura nella tina; & lasciaretela cosi per tre, ò quattro giorni innanzi, che la pestiate; & pestata benissimo, metterete sopra cinque, ò sei brente d’acqua bollente, coprendo poi subito la tina, accioche quell’acqua sia più potente nel far gli effetti suoi. Et dopo vinti quattro hore, cavarete quel vino che sarà chiaro, & molto dolce.

Ancora un’altro secreto vogliovi dire, benche sia d’un poco più fatica de gli altri dolci con acqua. Et questo è, che se ponerete (per essempio) il lunedì nella tina trenta brente d’uva buona, ben cernita, ben matura, & non rotta; il martedì sera le metterete sopra almeno dodici brente d’acqua, & la cavarete la sera del mercordì seguente; ponendola così vinata in una benaccia, ò altro vaso, accioche possa essalare. Poi il giovedì sera, la ritornarete sopra la detta uva, & un’altra volta la cavarete la sera seguente del venerdì; ritornandola similmente la sera seguente del sabbato, & cavandola anco la dominica di sera, la ponerete per questa volta nel medesimo vaso: Et poi ultimamente (pestata ben quell’uva) la mattina del lunedì sequente, trarrete subito sopra la medesima acqua vinata, lasciandola dentro sino al mercordì, laquale cavandola tutta, havrete un vin chiaro, & molto delicato.

Vinc. Dapoi che io ho inteso, come si fanno questi vini, desidero che mi ragioniate ancora de gli altri dolci senz’acqua.

Gio. Bat. Il primo modo è, che voi pigliate (per essempio) dieci brente d’uva buona, tenuta per quindeci, ò vinti giorni sopra la paglia, ò sopra le assi; & pestatala ben co i piedi nella tina, gittarete sopra dodeci brente di bon vino nuovo, & ben chiaro; & passate dieci, ò dodici hore, invasellarete tutto quello che venirà fuori, ilquale restarà dolce tutto l’anno.

Il secondo modo è, che pigliate quella quantità d’uva che vi parerà, la quale sia buona, ben matura, & asciutta; & postala non rotta nella tina, non le farete altro per otto, ò dieci giorni, accioche, calcandosi ben’insieme, renda del vin’assai, ilqual invasellarete tanto quanto venirà abilmente, & resterà dolce lungo tempo; rompendo dapoi tutta quella parte, che si troverà nella tina, & dopo tre, ò quatro giorni, cavarete quel vino, che sarà anco dilettevole.

Il terzo modo per far vin dolce, pigliarete come sarebbe dieci brente d’uva cropella ben matura, che sia stata almeno per dieci dì sopra la paglia, ò assi al Sole; & postala nella tina senza romperla, dopo dui giorni, ponerete sopra cinque, ò sei brente di vin nuovo, chiaro, buono, & non carico di colore; & passate vintiquattro hore, cavarete tutto quello, che potrà venire, & l’invasellarete. Et fatto questo, romperete alquanto la detta uva, & poi gittarete sopra altrotanto vino simil’al primo, il quale invasellarete dopo vintiquattro hore. Rompendo ancor’un poco più la detta uva, & poi metterete sopra altrotanto del medesimo vino, lasciandolo, & cavandolo al modo detto. Poi la quarta, & ultima volta, pestarete benissimo la medesima uva, & ponerete sopra altrotanto dell’istesso vino, il quale lasciarete dentro, & cavarete secondo ho anco detto. Per tanto, se farete ben queste cose, voi havrete in quattro volte vinticinque, ò trenta brente di vino molto gentile con una vena di dolce, & che sarà sano, ilquale potrete invasellarlo tutto insieme, & separatamente, per haverne di più sorti.

Il quarto modo, pigliarete otto, ò dieci brente secondo che vi piacerà, d’uva buona, ben matura, & la pestarete bene; & poi empierete una botticella di quel vino che venirà fuori, laquale essendo ben cerchiata, & ben chiusa (posta cosi piena nell’acqua talmente, ch’ella si bagni tutta appresso à quattro dita della cima) la lasciarete dentro per quindeci, & più giorni ancora secondo che quel vino sarà potente; & poi condurrete quel vasello cosi pieno nella caneva, ilquale vi darà un vino bianco (ben che sia d’uve nere) che resterà dolce tutto l’anno, per non haver potuto bollire.

Il quinto modo pigliarete dell’uva buona, ben matura, & bene scelta, & tagliarete via ad ogni graspo tutto il picolo di legno, & tutti i grani guasti, ò non maturi, con le forfette; & cosi mondi, li ponerete di mano in mano senza romperli in una benaccia, che sia sopra d’un carro all’ombra sotto à un portico, & la mandarete di sera allo scoperto per ricever la rugiada almeno per otto giorni: Et dapoi cavarete tutto quel vino, che venira abilmente, il quale restarà tutto l’anno dolcissimo. Facendo torchiare poi tutta quell’uva, che vi darà ancor’un vino alquanto dolce, & piccante assai.

Il sesto modo per far vin dolce, & buono; voi ponerete dell’uva buona sopra le grati, over’assi nel forno tanto caldo, che la si gonfij, & gonfiata la caverete; mettendovene poi dell’altra secondo che vorrete far del vino assai. Et pestata alquanto, la gittarete sopra il vino invasellato, ilquale essendo subito ben chiuso, in capo di quindeci giorni sarà più & men dolce, secondo la qualità dell’uva, che vi havrete posta. Ma il suo proprio è da poner per ogni cinque brente di vino, una di detta una ben qualificata.

Il settimo modo è poi il migliore per far vin dolce, che duri tutto l’anno in quella perfettione. Et però, voi pigliarete dieci, ò più sacchetti di tela, ò più tosto di lana, che habbiano il pelo di dentro, & non più lunghi d’un braccio l’uno, fatto à modo d’uno scartoccio; cioè acuti in fondo, con un cerchio di legno in cima cucito attorno, accioche stiano aperti quasi un braccio. Et accomodata una scala sopra dui cavalletti, alta da terra quattro braccia, ponerete i sacchetti per gl’intervalli talmente, che i cerchi si appoggino sopra quelli scalini di legno; ponendovi poi sotto una cannaletta di due assi larghe un palmo ben commesse, la quale sia lunga quanto è lo spatio di quei sacchetti, & stia in cortello alquanto disotto, accioche, ricevendo il vino, cada in un mastello, ò altro vaso di legno posto in terra. Et accomodata ben’ogni cosa, ponerete ne i sacchetti tanto vino torchiato di fresco, che non habbia bollito, quanto vi potrà stare: Il quale, mentre venirà torbido, ritornarete dentro sin che uscirà ben chiaro; & all’hora non li farete altro, sin che quei sacchetti non cessaranno di gittarne fuori,i quali (lavati benissimo) ritornareteli anco pieni al suo luogo; havendo però invasellato primamente tutto il vino, che sarà uscito chiaro. Osservando quest’ordine, sin che havrete fatta quella quantità, che havrete disegnata. Il qual vino non sarà cosi opilativo, nè mal sano, come sono gli altri dolci, che s’invasellano torbidi, & che si bevono, benche siano mal purgati.

L’ottavo modo, vogliovi mostrare, & non più, col quale potrete d’un sol vino satisfare à ciascuno, & specialmente quando farete qualche convito, come se fusse di varie sorti. Et oltra che sarà piccante, sarà parimente assai, & poco dolce, secondo che voi vorrete, & cavato sempre da una istessa botte; facendo però talmente che niuno di quei convitati non si accorgano di tale artificio. Voi pigliarete adunque tanta quantità di grani di uva buona, ben matura, & non pesti, come starebbono in una botte secondo il disegno vostro; la quale sia benissimo cerchiata; & empiutala di quei grani sin’a un palmo alla cima, la chiuderete molto bene, puntellando poi il cocone con una stanga verso il solaro, ò volto di quel luogo, accioche i detti grani non bollano se non difficilmente. Et come sentirete che non bollano, pigliarete un vasello di dolcissima vernaccia, & teneretelo appresso della botte: Ordinando poi à coloro, che havran da cavare questo vin piccante, che per la prima volta lo diano cosi puro. Poi quando li direte che diano di quel che è alquanto dolce, che pongano nel fiasco un poco di vernaccia, & dapoi l’empiano di quel vino. Et quando li direte che portino di quell’altro più dolce, che crescano la vernaccia. Similmente se li direte che diano del più dolce d’ogni altro portato, che ancora vi mettano più vernaccia.

Vinc. Quantunque mi siano piaciuti questi secreti, non ho però voluto interrompervi, eccetto per questo ultimo; percioche mi pare simile all’usanza de’ perfidi hosti, i quali falsificando una brenta di vino, che havran solamente in casa, fingeranno di far bere a’ forestieri più diversità di vini.

Gio. Bat. Questo modo è molto diverso da quel de gli hosti: percioche noi non mescoliamo se non due bevande ottime, & essi pongono solamente vin cotto (ch’è spesso come inchiostro) ò mele per addolcire il vino, & aceto per farlo piccante: Cose, per verità che romperebbono ogni gagliardo stomaco.

Vinc. Vorrei saper ancora qualche secreto, per dar buon’odore, ò sapore al vino, come più volte ne ho bevuto in Roma, & in altri luoghi.

Gio. Bat. Più cose vi potrei dire, nondimeno dirò quelle sole, che più volte mi sono riuscite con satisfattione di molti. Che per dar l’odore di moscatello al vin nuovo invasellato chiaro, vi pongo de’ fiori di sambuco secchi quell’anno all’ombra, in un sacchetto, ò pezza di lino, come sarebbe piena la mano per brenta, ben chiusi, accioche i fiori non escano fuori, & che il vino possa ricever quel sapore di moscatello; ma li lego talmente con lo spago al cocone, che non passano la metà di quel vino; & poi li levo come sono passati otto giorni, facendo il simile quando vi pongo le semenze di coriandoli.

Poi per darli gentil sapore, si pone prima nel vasello, come sarebbe la quarta parte di bosie (come noi diciamo) fatte col pionino sottili di legno secco di nociuola, & mettevesi dapoi il vin nuovo; che benche non fusse chiaro, diverrà in dui giorni lucido, & molto saporito.

Vinc. Per non occorrermi di domandarvi altro intorno à i vini, vi prego che mi mostriate, come si debbono formare, & situare le canove per conservarli bene.

Gio. Bat. Essendo possibile, lodo à fabricarle con le finestre verso tramontana; percioche questo vento non mai nuoce, anzi giova loro nel gran caldo. Et si come ogni canova stà ben sotto terra col volto sopra, non meno vuole essere oscura, fredda, asciutta, & con le muraglie grosse. Poi non pur’è bene ch’ella sia lontana dal Sole, dalle fornaci, dalle stufe, dalle stalle, da i porcili, pollari, & altre cose di fetore, ò di calore; ma ancora da tutti strepiti, che potessero far tremar’i vini. Et per tanto sono da lodare gli Alemani; conciosia che tengono l’estate ben chiuse le canove, accioche non vi entri il caldo, ne sorte alcuna di aere; il quale non manco lo stimano per nemico del vino, di quel che fann’ogni gran caldo. Et più dico, che fanno le cantine senza luce alcuna, eccetto un solo spiracolo picciolo per sborro solamente, siano poi sotto terra, ò di sopra; di maniera, che cavano il vino sempre con la lucerna: Usanza per certo, non tanto sicura per conservare ogni vino, ma per beverlo fresco nel gran caldo, & nel verno non freddo: Senza che (mentre il caldo dura) lavano con liscia da ogni lato tutti i vaselli, che hanno vino, ogni giorno una volta, & più se’l caldo monta, che paiono tanti specchi. Et questo fanno, percioche quella humidità rifresca il vino, & fà che non sia offeso dalla polvere, ò d’altra cosa sporca. E però non è maraviglia se i nostri vini patiscono molte fiate de’ cattivi odori, & se anco si guastano per tenersi cosi polverosi, & sporchi i vaselli; conciosia che alle volte ne ho veduti talmente coperti di lordezza di polli, di colombi, & di altri animali, che mai non havrei bevuto di quel vino, benche fusse delicato. Là onde, si come eglino sono da commendare, per tenere ben nette le loro canove, over cantine, come se fussero tante camere; cosi siamo da biasimare noi, per tenerle alle volte più lorde, che non sono le stalle.

Vinc. Veramente voi fate veder la gran negligentia, che noi usiamo in questa cosi pretiosa gioia; conciosia ch’ella è più stimata d’ogni altra da noi mortali.

Gio. Bat. Per più ragioni è d’apprezzar grandemente questo benedetto licore: Percioche (come dicon’i sapienti) egli hà gran convenientia con la natura humana; attesoche, essendo bevuto con misura, conforta il calor naturale, chiarifica il sangue torbido, apre tutti i meati del corpo, leva ogni opilatione del fegato, & le tenebrose fumosità del cuore generative da ogni tristezza; dimostrando la sua gran virtù, non pure nelle membra de i corpi nostri, ma etiandio nell’anima; facendola stare allegra, accioche sia maggiormente capace da investigar le cose sottili, & difficili. Ma quando per contrario è bevuto senza modo, oltra che abbruscia il sangue, accende l’ira, sminuisce le forze, indebolisce i nervi, genera la gotta, & altre infirmità; non meno leva la memoria, offusca l’intelletto, impedisce la lingua, & finalmente fa perder la vita con l’honore insieme.

Vinc. Stando che quelle cose sono troppo vere, vi prego parimente, che mi diciate ciò che debbo far’à i vini invasellati, per conservarli nella lor bontà.

Gio. Bat. Lodo primamente, che nell’invasellare i vini nuovi, lasciate tutti quei vaselli co i buchi aperti in cima, & li riempiate d’altro vino ogni giorno, fin che havran cessato di bollire; chiudendoli dapoi co i coconi, & non movendoli sin che trasmutarete essi vini à suoi tempi; sia al San Martino, come alcuni pochi fanno, ò al Marzo seguente, quando fioriscono i persichi (ben che gli Antichi lodano quando fiorisce l’uva) & subito ch’è fatta la Luna; percioche, stando fin ch’è scemante (parlando de’ vini potenti) si mutarebbono più tosto in ogni altra cosa impossibile, che guastarsi mai; ma ne gli altri è meglio tramutarli per Luna vecchia; conciosia che, essendo potente per mutar’i grandi in aceto, non meno sarà potente per conservare questi altri.

Vinc. Credete che sia cosa necessaria à tramutar tutti i vini nuovi?

Gio. Bat. Parlando solo della natura de’ nostri, non è dubbio ch’è ben à tramutarli, & specialmente quei che sono cavati da vigne grasse per natura, ò per essere state adacquate, ò letamate; percioche sempre fanno ne i vaselli più feccia de gli altri.

Vinc. Non credete anco che d’ogni vino buono non sia migliore quella parte che si trova nel mezo del vasello, che quell’altra che sia in cima, ò sul fondo?

Gio. Bat. Non solamente è sempre miglior quel vino ch’è nel mezo d’ogni vasello pieno; ma ancora se si pigliasse questa parte, & non l’altre, sarebbe più atta a conservarsi. Et però dicono bene gli Antichi, che dell’oglio il meglio è quello da alto, del mele quello ch’è più di sotto, & del vino quello ch’è di mezo.

Poi seguendo il primo parlare, vi ricordo quando vengono i grandissimi tuoni, che subito sborriate tutti i vini, col cavare da ogni botte il borrone, ch’è più in fondo, & anco in quel subito, rificcarlo dentro. Percioche, commovendoli à questo modo, non patiranno per quei terrori, nè per calore, che vi fusse entrato. Tenendo parimente una spina, ò spinello presso al fondo d’ogni vasello à quel tempo, & cavarete quasi ogni giorno un bicchier di vino, perche se li giova assai.

Vinc. Vorrei che mi diceste ancora quei secreti, che potete sapere, per conservar’i vini d’ogni tempo.

Gio. Bat. Il primo modo è, che voi pigliarete tante oncie di allume di rocca ben pestata, & sedaciata in tanti scartoccini, quante brente di vino siete per conciare; & par ciascuna che invasellarete, gittaretele dietro la polvere d’uno scartoccino; facendo cosi di mano in mano, sin che haverete finito. Ma se’l vino fusse debole; ò fatto con acqua, poneretevi un’oncia, e meza per brenta.

Il secondo modo è, che volendone conciar brente dodici, pigliaretene una del medesimo, & postovi dentro oncie dodici di allume, lo farete bollire al fuoco; & lo schiumarete di continuo fino che haverà fatto quattro, ò cinque bolli; & come sarà raffreddato, lo gittarete sopra le undici brente, che havrete prima tramutate. Ma meglio sarebbe se faceste questo innanzi che vi metteste vino; essendo quel vasello ben’asciutto, facendolo poi andar’un pezzo attorno, & per ogni lato. Et come sarà fredda ogni cosa, empirete il vasello di quel vino, che si mantenirà benissimo per la compositione, che sarà entrata nella feccia secca, & nel legno del vasello. Cosa che non può far male à quei che beveran quel vino, come si tiene che fà, quando l’allume è posto crudo.

Il terzo modo è, che nel conciare un vasello di brente dodici bene asciutto, pigliarete una dell’istesso vino con dodici oncie di sale comune; osservando poi i medesimi modi, come ho detto. Ma meglio farete, se vi ponerete oncie sei di sale, & sei d’allume.

Il quarto modo è, che volendo voi acconciar dodici brente di vino, quando l’havrete tramutato, pigliarete oncie otto di sale, & quattro di solfo pestati separatamente, & gittatoli sopra, chiuderete subito il vasello, accioche non essali da niun luogo. Et dopo quattro giorni, ne potrete bere ad ogni piacer vostro.

Il quinto modo è, che essendo il vasello di dodici brente pieno di vino tramutato, pigliarete otto, ò dieci pugni di pietrine di torrente ben lavate; & postelevi dentro, ponerete una scodella di terra vota col fondo in suso sopra il cocone; chiudendola benissimo attorno con la creta, perche volendo essalar’il fumo di quel vino, & non potendo uscire, ritornerà per lo vasello, & conservarà il detto vino, come se fusse acquavita.

Il sesto modo (poiche ho detto acquavita) è, che volendo voi conciare dodici brente di vino tramutato, vi ponerete dentro tre oncie per brenta d’acquavita di quattro cotte, la quale non tanto lo conservarà, ma ancora gli accrescerà il sapore.

Il settimo modo è, che essendo il vino debole, pigliaretene una di quel medesimo, & lo ponerete al fuoco con dodici oncie di sale; & bollito, & bene schiumato che l’havrete, lo ponerete cosi bollente nel vasello asciutto, ben chiuso, & ben coconato, & poi lo farete per un pezzo andar, per ogni luogo. Et come sarà raffreddato, & empiuto quel vasello, vi metterete tre oncie di acquavita di quattro cotte. Et questa ricetta, oltra ch’è potente per conservar’ogni vino, è anco sana, & di buon sapore.

L’ottavo modo è, che se vorrete acconciar sei brente di vino tramutato, pigliarete due libre d’argento vivo in un’ampolletta di vetro, che sia ben chiusa con cera rossa, ò verde; & metteretene ancor’intorno al collo, come sarebbe un dito, & poi faretevi un capello di carta pecorina, la quale si attacchi à quella cera, con legarla ben attorno con lo spago, accioche non vi entri il vino; & dapoi la mandarete à mezo del vasello, & la legarete al buco del cocone, accioche non cadesse al fondo. Avvertendo, che secondo che il vasello si anderà votando calarete anco di mano in mano l’ampoletta, facendola stare quasi sempre à mezo del vino, che vi si trova. Et se vorrete conservarne maggior quantità, ve ne ponerete ancor sempre quattr’oncie per brenta. Nè bisogna restare per dire che’l costi un mocenico la libra, percioche è sempre buono, & di quell’istesso peso. Basta che non offende il vino, & lo conserva benissimo per la sua gran frigidità.

Il nono modo è, che quando tramutarete i vini, vi metterete sopra al meno quattr’oncie di oglio commune per brenta, il quale starà in cima, come se fusse un panno che lo coprisse, & non lascierà entrarvi l’aere, nè altra cosa nociva: & non lo cavarete sin ch’el vino non sarà ridutto in poco; ponendo l’uno, & l’altro in vaso, & poi cimarete fuori l’oglio con una caccia, ò altra cosa sottile, & lo ponerete nelle boccale di vetro; percioche rimanerà in quei colli lunghi, & il vin in fondo. Onde votandolo di mano in mano, lo raccoglierete tutto, & sarà buono per gli altri anni. Et se’l vino fusse debole, non vi ponerete meno di sei oncie per brenta. Avvertendo però che se i vasselli fussero più larghi, ò più bassi dell’ordinario, tanto più somma d’oglio vi vorrebbe, atteso che’l vino sarebbe anco più largo in cimma, che non sarebbe quando i vaselli fussero alti, & stretti. Che l’oglio sia potente per conservare ogni vino, si vede che non solamente gli Spedali conservano ogni sorte di sugo con questo licore, ma etiandio il vin granato, ch’è tanto debole.

Il decimo, & ultimo modo è, che pigliarete il solfo ben distrutto con fuoco lento, oncie trenta, garofani oncie una, incenso un’altra, & meleghetta due; poi un quarto d’oncia di cinamomo, un’altro di pepe lungo, & un’altro di gengero bianco, con cinque noci moscate. Et pestate ben queste cose insieme le mescolarete con quel solfo, & le ponerete in una pignatta al fuoco lento, fin che saranno dileguate, & incorporate insieme; pigliando poi delle bugie di legno fatte col pionino sottili, & larghe due dita, le farete in anelli in tondezza à modo d’un marcello d’argento; i quali involtarete, con moia di ferro ad uno ad uno nella compositione, & tinti benissimo, li ponerete da parte di mano in mano, sin che l’havranno ricevuta tutta. Onde essendo il vasello di dodici brente, pigliarete sei di quelli anelli, & gl’infilzarete con una catena da cani, ò filo di rame, & poi mandarete ogni cosa in quel vasello ben netto, & ben’asciutto; ma che non tocchi il fondo; tenendo l’altro capo in mano, accioche non cadesse dentro tutta; & dapoi li darete il fuoco con un candelino, ò con altra cosa; chiudendo subito il buco di cima con uno straccio talmente, che’l fumo non essali per modo alcuno; & dopo un miserere, levarete la catena; chiudendo parimente subito quel buco al modo detto, fin che ponerete la cana della lora dentro, intorniata però di tela, ò di stoppa con tal modo, ch’entri ben serrata; gittandovi poi il vino co i sedelli, ò sechie l’un dietro all’altro, talche la lora stia sempre più di meza; accioche non essali niente quel vasello. Et levata la detta lora, chiuderete subito il cocone. Onde passati tre giorni, potrete bever di quel vino, benche sentite per otto, ò dieci giorni alquanto di quella compositione. Ma chi’l conciasse quando s’invasella chiaro da molto, restarebbe senza odor’alcuno. Et questa ricetta è potente per conservar’ogni vino, ancorche fusse mezo acqua. Nè bisogna temere, che’l solfo offenda nel beverlo, poiche per natura è sano; ma solamente scarica il colore. Et vi si aggiungono quell’altre cose, per sminuir’al solfo quel tufo, che ha del proprio suo odore, * Ma credo che sia meglio l’opinione del nostro M. Gio. Batt. Nazario, il quale piglia il solfo non dileguato, ma pestato
co i detti aromatici, & dapoi mescolati con l’acqua vita à modo di salsa, imbratta le dette bugie, & procede nel resto al modo detto. Et de qui gli aromatici rendono perfetto odore, & non prevale il solfo col suo. *

Vinc. Come ricuperate voi i vini guasti?

Gio. Bat. Voi sapete, che da ogni tempo dell’anno vi sono diverse qualità di vini difettati; cioè alcuni che sono marci, altri guasti, & altri solamente stremiti, che hanno dell’amaro, ò che mordono alquanto la lingua. Onde quanto à i marci dico, che se sono molto deboli, non vi si faccia altro, che trarli via, accioche non marciscano i vaselli; ma se sono potenti di fumo, ò che habbiano corpo, si vendino à quei dell’acquavita, ò più tosto si faccino in aceto; perche se ne cavarà maggior pretio. Et però quando haverete fatto torchiare quantità di graspe, che non habbiano havuto acqua, le tornarete per metà in due tine; & nel trarle dentro, le separarete di modo, ch’elle restino ben sospese. Et scaldate insieme per quattro giorni, ponerete in una di quelle tine tanto vino guasto, quanto vi starà senza passar di sopra le graspe. Et come vi sarà stato vintiquattro hore, lo cavarete tutto, & lo riponerete sopra le altre dell’altra tina; lasciandolo medesimamente cosi per vintiquattro hore, & ritornandolo ancor’un’altra volta nella prima tina per lo detto tempo. Facendo similmente ogni vintiquattro hore, fin ch’egli sarà divenuto ben bianco, & acetito. Et benche non fusse molto forte, non restarete d’invasellarlo; percioche in poco tempo lì sarà perfetto. Ma se vorrete dell’altro aceto di simili vini, continovarete à metterne sopra à quelle graspe nere, ò bianche ogni giorno al modo detto, che sempre vi riuscirà bianco, & forte. Et volendo pur seguitar’à farne dell’altro con le medesime graspe, vi gittarete ogni pochi giorni dell’aceto ben forte in cambio del vino, & lo lasciarete dentro l’istesso tempo, accioche si rinforzino, per acetir maggiormente quel vino, che si ponerà dapoi dentro. Vero è, che per la prima volta egli scemarà la terza, ò quarta parte; ma come sarann’imbeverate le dette graspe, ogni altro vino che metterete sopra, non scemarà niente. Et quando vi piacesse di torchiarle, ne riscattarete anco una buona parte.

Si può far’ancora aceto di vin guasto d’ogni tempo, ma cala poco meno della metà. Ponerete adunque quel vin’al fuoco, & lo farete bollire: sin che farà schiuma, la quale levarete di mano in mano, & dapoi metterete per ogni brenta un’oncia di pepe pesto, & una libra di sale; & tratto ancor’un’altro bollo, poneretelo in vasello che stia al Sole, & venirà forte in poco tempo.

Vinc. Ancora, come si può far’ogni aceto ben forte?

Gio. Bat. Essendo brente dodici, ne farete bollire una al fuoco, & cosi ben bollente, la gittarete sopra le altre undici; crescendo, & minuendo alla rata, secondo che saranno le brente di quell’aceto non forte, & venirà perfetto. Et lo farete anco ben forte con una lama lunga di acciale affogata benissimo, & la cacciarete dentro più volte, ma sempre rifocata, secondo che saranno le brente di quell’aceto non forte, & venirà perfetto.

Vinc. Havete voi secreto alcuno per ridur’i vini guasti, che si possino bere, senza gittarli via, ò darli per poco pretio, ò per niente?

Gio. Bat. Parlando di simili vini, & non de’ marci, dirò come si possono ridur’à tale stato, che si potran bere, fin che saran finiti, ma non già conservarli lungo tempo. Et però, cavato che havrete quel vino nuovo buono, che venirà dalla tina con impeto, gittaretele dentro il guasto, ma di minor quantità del cavato, accioche quelle graspe siano più potenti à farlo bollir’insieme con quell’altro, che vi sarà restato: Le quali siano subito ben pestate; non facendole altro sin che si abbasseranno, & all’hora sarà da invasellare; percioche credo ch’egli sarà chiaro, & purgato d’ogni amarezza. Et se pure ne havesse ancor’in parte, lo ritornarete per dui, ò tre giorni sopra d’un’altra tina simile, che non havesse più vino della prima: Et questo lo cavarete poi, perche restarà ben purgato d’ogni malitia.

Un’altro modo vogliovi mostrar’ancora per un simil vino. Cioè pigliarete dui pesi della prima uva ben matura per brenta, & poneretela bene sgranata in una caldaia al fuoco con tanto vin buono, che si possa bagnare tutta; & faretela bollir sin che i grani sian ben crepati, & cosi ben bollenti gli trarrete sopra à quel vino, tramutato però in altro vasello buono, & tanto grande, che quelli col vino bollito vi stiano. Ma se lo vorrete ancor migliore, gittaretelo in un’altra tina, che sia poco più di meza d’uva ben matura, la quale sia stata dentro non rotta almeno per tre giorni innanzi che vi si ponga il detto vino; & come vi sarà stato dentro dui, lo cavarete delicato, & lo beverete mentre che’l tempo sarà freddo, accioche non facesse qualche mutatione.

Vinc. Vi piace di dirmi ancora qualche rimedio, per aiutar quel vino, che hà solamente dell’Agosto, accioche non vadi di mal in peggio.

Gio. Bat. Tramutato che haverete prima simil vino in un vasello buono, pigliarete tanti buoni aranci non dolci, quante saran le brente; & fattoli in quattro quarti l’uno, gl’infilzarete con lo spago, & gli attacarete al capo di sotto una pietrella tanto grave, ch’ella faccia stare gli aranci, dalla cima sin’appresso il fondo; legando talmente quello spago, che quella filza non tocchi il fondo. Et dopo cinque, ò sei giorni, potrete bere sicuramente quel vino, che sarà buono come di prima. Ma non vi lasciarete dentro tai aranci più di dieci giorni, accioche non lo danneggiassero; ma lo venderete, ò beverete fin che sarà finito.

Vinc. Vi prego parimente che mi mostriate qualche rimedio per cavar la muffa, & ogn’altro mal’odore à tutti i vaselli.

Gio. Bat. Volendo voi purgare una botte di dodici brente, pigliaretene una di liscia molto forte, con libre dodici di feccia di vino ben secca; Et se fusse di più tenuta, pigliaretene più somma alla rata. Et posto ogni cosa in una caldaia al fuoco, come sarà bollente, la gittarete nel vasello ben’asciutto, chiudendolo talmente subito, che’l non possa essalare; & poi facendolo andare per un pezzo in ogni luogo: Ma se per caso non fusse ben liberato, farete un’altra volta il simile, & ne restarà netto. Cavando però tal compositione innanzi che finisca di raffreddare; perche dando dentro cosi fredda, & il vasello non tutto pieno, subito ritornarebbe la muffa nella parte vacua.

Il secondo modo, che cavato il fondo al vasello, che vorrete sanare, & empiutolo più di mezo di paglia asciutta, lo farette star’in piede; & datovi il fuoco, ponerete subito il fondo sopra, ma non lo coprirete tutto, accioche non s’estinguesse tal fuoco. Girando però quel fondo à poco à poco, per arder ben’ogni parte infetta; & poi nettando tutto il vasello d’ogni cosa brusciata con una rasparola di ferro; & lavandolo benissimo, & fregandolo con una scopa: Et dapoi messo il fondo ben’al suo luogo, pigliarete come sarebbe un secchio di vino, ò più tosto d’aceto forte, & più & meno, secondo ch’è grande, ò picciolo quel vasello; & cosi ben bollente, lo gittarete dentro; & chiusi benissimo i buchi lo farete andar più volte per ogni lato. Et se per caso non fusse ben purgato di quel mal’odore, ò del brusciato, farete quel medesimo un’altra volta, & più ancora, per fino che resti ben netto.

Il terzo modo è, ch’empiuto d’acqua cruda quel vasello che vorrete conciare, lasciaretela dentro per dui giorni; & levatoli il fondo, rasparete per ogni luogo talmente quella feccia, che’l legno si vegga ben netto. Facendoli poi una incenerata bollentissima, & fregandolo molto con una scopa tutto. Et lavatolo bene, voltaretelo senza fondo con la bocca al Sole, che per tre, ò quattro giorni vi batta dentro; & poi l’empirete di graspe torchiate di fresco, & coprirete con l’istesso fondo. Et votatolo dapoi quattro giorni, & acconciatovi il fondo, metteretevi dentro de l’aceto ben bollente, & faretelo andar per ogni lato; & poi cavatolo dopo un dì, l’empirete di vino, che al sicuro restarà senza difetto alcuno.

Il quarto modo è facile da fare. Pigliarete tante libre d’allume di rocca, quante son le brente che tien’il vasello, & faretele bollir’in una caldaia piena d’acqua: Et cosi bollente, la trarrete dentro; & chiusala bene, faretela andar per ogni lato fin che sarà raffreddata, ma cavaretela subito, accioche non ricevesse il vasello non ben pieno, un’altra volta la istessa muffa. Ma se non fusse ben purgato con questa bollentata, faretene un’altra, & un’altra fin che resti ben netto d’ogni mal’odore: La quale acqua sarà anco buona per far’il simile ad ogni altro vasello. Vero è, che per minore spesa, potrete torre dell’acqua de’ tentori, quando hann’alluminato i pani (poiche la gittano via) & farà quel medesimo effetto, che fà la detta, che costa quattro, ò cinque marchetti la libra.

Non posso mancare, che non vi dica ancora un modo per cavar la mussa al vino, & non al vasello. Adunque pigliarete tanti aranci buoni non dolci, quante brente sono del vino muffato: Et datili quattro tagli per pomo, poco più della scorza, gl’infilzarete con lo spago, & ponerete una pietrella in capo della filza, accioche vada presso al fondo; attaccandola talmente al cocone, che non tocchi il fondo; & lasciando quegli aranci nel vino, non più di dieci giorni, & poi lo beverete senza difetto.

Vinc. Dapoi che di tante cose mi siete stato cortese, vi prego, che mi diciate ancora, come si può rischiarare un vino che sia torbido.

Gio. Bat. Questa cosa è facile, poiche con tanti ovi, quante son le brente di quel vino, rischiarerete in un giorno, ò dui; ma bisogna che siano co i gusci ben battuti col cucchiaro, ò altra cosa innanzi che li gittiate nel vasello; havendo però levato primamente quella pellicina, ch’è di dentro del guscio; perche marcendosi, danneggiarebbe facilmente il vino. Ma se egli è molto torbido, non tanto lo levarete fuori del vasello, & lo ponerete in un’altro ben netto, ma vi aggiungerete un quarto, ò terzo d’ovi di più, & una oncia di sale per brenta, & anco un limone, overo arancio, fessi con una, ò due mani di ghiara ben lavata pure per brenta di vino; & poi mescolarete con un bastone benissimo tutte queste cose; che passati quattro giorni lo trovarete ben chiaro.

Vinc. Vi ringratio parimente di questa cosa, & leviamoci à vostro piacere; con patto però, che dimane non manchiate à ragionarmi di quelle altre cose, che desidero d’intendere.

Gio. Bat. Non mancate pur voi à venir all’hora solita, che ancora io non mancarò à manifestarvi ciò che saprò, secondo il solito.

Il fine della quarta giornata.

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