La quintadecima giornata dell’Agricoltura aggiunta

Di M. Agostino Gallo,

Nella quale si tratta del governare le Api.

Venendo il quintodecimo giorno M. Vincenzo Maggio all’hora solita da M. Giovan Battista Avogadro, & salutatosi al solito, andarono amendui nel giardino ragionando del gran caldo che faceva, sin che furono giunti nella fresca grotticella, dove postisi à sedere sopra l’anticaglie di pietra, il Maggio desideroso d’entrare in ragionamento, cosi comincio à dirli.

Poscia che hieri finissimo di parlare de gl’animali necessarii all’Agricoltura, mi sarà caro che hoggi diciamo delle Api, poiche sono animali di poca spesa di molta utilità, & convenevoli à coloro, che habitano in Villa, & che si dilettano dell’Agricoltura.

Gio. Bat. Mi piace oltra modo questa vostra proposta, perche se vi sono animali, che si possano chiamare divini, questi soli ne sono degnissimi. Percioche si governano con singular prudentia, con mirabil’obedientia, & compongono con eccellentissimo artificio i delicatissimi favi copiosi di meli, & di cere; per lequali non solo vengono honorati i misteri sacri; ma ancora noi mortali ne siamo accommodati nelle tenebre, & in altre cose assai. La onde sono molto da lodare quelli che apprezzano queste Virginelle, & le governano con ragione; poiche havendo mancato la Natura di donare à noi quello, di che è stata cortese à molte Provincie, dove le Api moltiplicano per le selve ne i tronchi, ò nelle scorze de gli arbori, over per le caverne sotto terra, senza fatica de gli huomini; bisogna che noi (essendo privi di si felice aria) ricorriamo con diversi mezi à valersi dell’arte, accioche, in qualche parte possiamo trarre utilità da questi animali, & invidiar meno quelle genti, che non han cagion di far’altro alle loro Api, che di tempo in tempo raccoglier per li boschi frutti, secondo che elle sparsamente vanno fabricando i loro fialoni.

Vinc. Qual sorte di sito vi pare piu à proposito, per conservarsi questi Animali, & per render’i frutti secondo la lor natura?

Gio. Bat. Vogliono luoghi aprichi verso il Sole, & non sottoposti à gli eccessivi venti, accioche liberamente possano volare dove hanno da procacciarsi diversi paschi, & ritornare à casa cariche di compositione de meli. Dapoi vogliono esser accommodate, dove non prattichino senon poche persone, & che non vi si facciano strepiti; facendo che gli alveari guardino più tosto verso Sirocco, che verso all’Austro, ò altre parti: percioche al tempo del verno, le Api haveranno il primo Sole, che all’hora apprezzano, & alla state non patiranno il grandissimo caldo, come fanno quando giacciono verso il mezo dì. Bisogna in oltre coprirle in modo ch’elle non siano offese ne dalle pioggie, ne dalle nevi; & non meno vogliono esser circondare da tre parti con muri, ò con assi, accioche non siano molestate dalla tramontana, ò da gli eccessivi venti; facendo però delle finestre da ogni lato, che si possano aprire, & serrare secondo che sarà bisogno. Lodo appresso il chiuder ne gli estremi freddi queste casette ò portici, dinanzi con le assi, le quali non pure siano da levare, & rimettere secondo i tempi; ma che nel verno habbiano le finestre grandi con l’impenate di carta, ò di tela chiara, & che si possano facilmente aprire come il Sole, vi compare, & chiudere la sera, quando le Api sono entrate ne gli alveari, lasciandovi in quelle impenate alcuni buchi tanto grandi, ch’elle facilmente possano uscire, & entrare ad ogni lor volere. Avvertendo anco che i detti vasi stiano sopra le assi accommodate sopra à i poggi fatti di mattoni alti dui piedi almeno, & ben’intonicati di calcina talmente lisciata, che le lucerte, le biscie, i rospi, i topi, & altri animali simili non vi possano salire.

Siano poste poi le Api in qualche horto, ò giardino serrati di forti siepi, ò di buoni muri, accioche non siano levate da i ladri, ò molestate da gli animali; sapendo che le vacche, le pecore, & altri simili mangiano & atterrano i fiori, le herbe, & distruggono la rugiada, laquale e tanto pregiata da esse Api, essendo anco quella (come dicono gli Antichi) che nell’Aurora è stillatta dall’aere le foglie, & fiori de gli arbori, & delle herbe. Ma fra tutti questi animali, nessuno ve n’è che danneggi tanto, quanto fanno le capre, & i porci; percioche, si come quelle guastano i loro pascoli, & nel salire sopra gli alveari, li gittano alcune volte per terra, cosi questi oltra il pascolare li rivolgono sotto sopra nel fregarvisi attorno. Egli è vero che ancora le pecore lasciano molta lana per le fratte, nellequali le povere Api s’inviluppano andando à procacciarsi il loro vivere. Ma perche alle volte ne gli alveari entrano le serpi, & altri simili animali per le bocche aperte ritrovandosi in piano, ò per li buchi essendo troppo larghi, però si pianti appresso della ruta assai; poiche da questa fuggono tutti gli animali velenosi.

Ancora essendo possibile, siano poste le Api in sito, che habbia qualche rio, ò fonte, over’altra sorte d’acqua chiara, accioche non habbiano cagione d’andar lontane à bere; percioche, quanto più volano per l’aere, tanto più vengono inghiottite dalle rondini, & d’altri uccelli. Ponendo però in queste acque alcune pietre, ò legni che avanzino alquanto sopra, accioche le Api possano bere senza attuffarsi dentro, & riposarsi sopra ancora per pigliar’il Sole, quando fussero bagnate à caso. Et se non vi fusse acqua risorgente, ò corrente, se ne mantenghi di continuo ne i canali, ò in altri vasi à proposito.

Siano similmente questi siti d’Api abondanti di herbe buone, & specialmente di thimo, di citiso, di rosmarino, serpillo, puleggiolo, origano, zaffrano, papavero, basilico, melilotto, boragine, maggiorana, satureia, rucola, stella, salvia, melissa, mortella, gigli, narcisi, giacinti, garofani, rose, viole, & altre simile cose odorifere, come fra tutte è perfetta la betonica. Et di queste herbe, pochi mesi sono che non fioriscano; senza che alcune hanno fiori per molti mesi.

Vi vogliono non meno de gli arbori fruttiferi, come sono pomi, peri, mandole, persichi, moniache, ciregie, & susini diversi. Oltra che vi stanno bene i crespini, i terebinti, i lentischi, le ginestre, le uve spine, & altri arbori bassi domestichi, con alcuni salvatichi, accioche quando le Api giovani compareno, possano appoggiarsi sopra le frondi loro. Le quali ancor che stiano bene appresso de’ patroni per più ragioni, nondimeno non bisogna tenerle dove siano le galline, poiche le beccano avidamente, & meno appresso à i letami, alle acque marcie, ne ad altre cose di cattivo odore; perche sono nemicissime di tutte le cose lorde, & amano le pulite, & che sono di perfetto odore. Et però bisogna che’l Guardiano loro comparisca fra esse mondo di panni, & di buono fiato; altramente, se vi va, lo pungono si fattamente con gli aghi loro, ch’egli si pente d’haverle mai tentate con effetti cosi rustici.

Vinc. Perche gli alveari sono fatti di diverse sorti, desidera sapere quali voi habbiate per li migliori, ò per li peggiori.

Gio. Bat. Si come i peggiori sono quelli fabricati di terracotta, poi che le Api vi patiscono grandissimo freddo nel verno, & nella state estremo caldo; cosi i migliori di tutti sono quadri fatti di assi, percioche sono molto commodi per habitarvi le Api, & per aprirli quando si vuol cavare parte de’ favi, ò per vedere come stanno di dentro: Laqual cosa non si può fare ne i vasi tessuti di vimini, & empiastrati di sterco bovino, & meno ne gli altri tondi di scorza, ò di nervo proprio d’arbori grossi. I quadri si fanno (come ho detto) di assi; facendone di larghi & non molto lunghi; & de’ lunghi alquanto stretti: & ve ne sono anco di dui, & di tre pezzi, & tutti di quattro assi. E vero che ve ne vogliono di grandi, & di mezani; conciosia che quando si raccoglie uno sciame di molto populo, vi vuole anco un’alveario de’ più grandi; & raccogliendosene un mezano, ò picciolo, vi vogliono non meno vasi di eguale capacità. Percioche si come starebbe male se si ponesse uno sciamo picciolo in un’alveario grande, cosi peggio starebbe gran moltitudine di Api in ogn’altro picciolo.

Vinc. Di quanta lunghezza, & larghezza vogliono esser questi vasi quadrati?

Gio. Bat. Non vogliono esser men larghi di dentro d’oncie cinque per ogni asse; ma per servire alla diversità de gli sciami, i più lunghi alveari bastano di oncie vinti, sin vinti due; & i più corti non meno di sedici. I quali siano non pure larghi tanto da un capo, quanto dall’altro per drittura: ma ancora talmente accommodati in piede, che le due assi, che stanno da i due lati, non si possano levare l’una dall’altra, & le altre due si: & specialmente quella che hà da stare dinanzi: laquale và levata quando si fà da vindemiare, ò nettare lo sciame à suoi tempi essendovi il buco appresso al fondo quattro, ò cinque oncie, & lungo due, ò poco più, & non largo se non tanto quanto vi può entrare in grossezza un’Ape: perche quando fusse di maggior larghezza, vi entrarebbono anco le lucerte, & forse le serpi, & altri simili animali che sono poi total rovina loro. La onde sono da biasimar coloro, che pongono gli alveari in piano, & con tutta la bocca aperta verso il Sole; percioche non solamente mettono in preda i meli à i detti animali, & le Api à molti uccelli d’ogni stagione; ma ancora restano offese grandemente nell’estremo caldo, & più nell’eccessivo freddo. Lodo questi vasi in piano, se hanno però l’usciolo quadro dinanzi co i buchi aperti, accioche le Api possano entrare & uscire, à loro commodo, & quello di dietro verso tramontana, habbia i buchi ben serrati. Havendo poi l’asse di sopra, & quella di sotto, che non si possano separare; & le due altre da i lati si, accioche levandole, si possano veder come stanno i sciami, & anco per cavarli i favi; lequali siano però fermate alle altre due dette con quattro chiavette di ferro uncinate per ciascuna, ò più tosto co’ chiodi fatti à vite, & con la testa quadra; accioche girandoli con le tanaglie, siano cavati & rimessi, secondo che si vuol cavare l’asse, ò riponerla quando son vendemiati i favi, iquai con giuditio vanno levati col coltello, ò tagliati à traverso; cominciando da quelli che sono neri, ò che sono rosi dalle tignuole, ò vermi, secondo che vengano danneggiati; e massimamente non essendo stati nettati alla primavera. Onde essendo i vasi in piedi, & levato il coperchio di cima si levano anco da quel capo; poiche le Api cominciano ivi à lavorare la cera, & il mele; & poi seguono di mano in mano sin’alla bocca di sotto: laquale (come si ha finito di cavar’i favi) si rivolge di sopra all’alveario, & si copre col medesimo coperchio quadro cavato dall’altro capo; essendovi però rimessa l’asse dinanzi, facendola stare al modo solito col buco appresso alla bocca di sotto. Vero è, che mi piacerebbono dui coperchi; l’uno stesse di sopra al primo capo del vaso, che giace in piede; & l’altro fusse al secondo capo di sotto: percioche non occorrerebbe se non levare di quello di cima, & come fussero cavati i favi (essendo però rivoltata l’asse del buco) si ritornerebbe tal coperchio al suo luogo fermato pur co i chiodi à vite, e si rivolgerebbe poi questa parte vota in fondo, & quell’altra che si trova piena da basso, sarebbe rivoltata in cima. Et à questo modo si potrebbe continuare di anno in anno, come fusse castrato lo sciame, & sempre con minor’impaccio. senza che questi alveari si potrebbono anco tenere più tosto in piano, che in piedi al modo detto; percioche non solo terrebbono manco luogo, & non vi sarebbe pericolo che fussero gittati per terra da gli animali; ma ancora non accaderebbe far loro altro, che chiuder’il buco dell’asse lunga, dove entrano, & escono le Api, & farne un’altro simile per ciascuno coperchio; tenendo poi chiuso quel solo che fusse verso tramontana. Ma non è da tacere la forma de’ vasi che tengono i Toscani, laquale non pur le Api non sono offese da gli animali, che facilmente entrano ne gli altri alveari: ma ancora non patiscono per cagion del freddo grande, & manco per il Sole al tempo del gran caldo. I quali alveari sono come una cassetta quadra d’assi, non più lunga di oncie vinti, ne larga più di otto, & altrotanto alta, havendo il coperchio che sopravanza l’asse dinanzi in coltello, come sarebbono due dita, ilqual coperchio per lungo non tocca detta asse dinanzi, per tanto spatio, che le Api da l’un capo all’altro vi entrino, & escano à loro commodo. Laqual parte fanno stare verso all’austro, ò al sirocco, & è senza altri buchi. Serrano poi insieme queste quattro assi con le due teste, con tai modi, che commodamente le possono levare, & vindemiare i favi ad ogni lor piacere.

Vinc. Dapoi che questi vasi sono da lodare, vorrei sapere ancora, a che fine alcuni vogliono i suoi di dui, & di tre pezzi.

Gio. Bat. Io non lodo molto questi vasi, & massimamente quelli di tre pezzi, per non potersi ben serrare insieme, ancorche si adoperano le chiavette fatte à uncini di ferro, & non meno perche si tengono con la bocca aperta verso il Sole, poiche è da biasimare: nondimeno, costoro che vogliono cavare i favi à i dui pezzi, levano il coperchio che sta à tramontana, & l’acconciano alla bocca aperta, & dapoi perfumano le Api da quella parte ch’è stata aperta con uno straccio di tela impiastrato di sterco vacchino ben seccato al Sole, ilquale abbruciando, caccia con quel fumo tutte le Api nel mezzo che ha il coperchio: onde spiccato questo che si trova privo di Api, li cavano la maggior parte de’ favi, & anco tutti quando è morbida la fabrica: & poi lo congiongono all’altro pezzo subito, & lo rivolgono al Sole meridiano; & le Api medesime ritornano à lavorare al modo solito. Ma à gli alveari di tre pezzi, li cavano similmente il coperchio al vaso di dietro, & lo riportano a quel dinanzi, & fanno tutte le altre cose dette: eccetto che non raccogliono ogni anno, se non la terza parte. E vero, che quando questi tre pezzi fussero ben pieni, che ne castrarebbono dui, ò almeno uno & mezo.

Non meno io ho da dirvi un’altro modo commodo per vindemiare qualunche alveario quadro, ò tondo pur che habbiano il coperchio in cima, & senza essere offeso dalle punture di Api. Levato adunque prima il coperchio, si lega ben’intorno alla sua bocca quella d’un sacco, & poi perfumato di sotto le Api, entrano tutte nel medesimo sacco, ilquale slegato, & postolo in terra con la bocca serrata, il Guardiano cava i favi tanto quanto li piace: & dapoi ritornato il coperchio al capo di sotto, dove restano i favi lasciati, mette il sacco aperto appresso alla bocca del vaso, & le dette Api ritornano dentro, per apparecchiarsi la vittuaria necessaria sin’alla primavera.

Un’altro miglior modo di tutti gi altri detti, vogliovi dire per cavare i frutti alle Api senza molestarle in parte alcuna. Si sottopone alla fin di Giugno ò al Luglio & sempre nel far del giorno) ad ogni alveario quadro di Api non noveIle, (il quale sia però ricco di favi) uno altro simile, ma voto, & ben’herbiciato di buone herbe, & che ha nel coperchio un buco tanto grande tondo, quanto vi si cacciarebbe una mano, accio che le Api, possano entrare, come han compiuta la fabrica di sopra, & fare de gli altri favi di sotto, sin che passino almeno la meta del vaso: e da poi, al principio di Settembre, si leva quello di sopra che è pieno: e chiuso il buco di cima del vaso di sotto con una scotella, ò piatto di terra ben’incolati, si cava tutta quella fabrica di favi, che si trova nel detto vaso levato.

Poi si fa ancora questa bella inventione al Febraro seguente alle Api sciamate nel tempo del Maggio, ò del detto Giugno avanti: percioche non solamente, havendo copia di fiori, empiscono il vaso di sopra, & passano poi à lavorare in questo altro sottoposto: ma ancora, assai volte, le loro Api novelle vi si stiano al tempo che si partono dalle madri, senza sciamar’altrove, & esser raccolte con qualche disturbo, come si vede occorrer molte fiate. Vero è, che non essendo da sottoporre alcun vaso alle Api vecchie nel mese di Giugno, ò di Luglio, si fà questo officio al Febraro. Oltra che si fà anco alcune volte da questo tempo con un secondo vaso, benche sia stato sottoposto il primo nel detto mese di Giugno; di maniera che sono tre un sopra l’altro; laqual cosa assicura maggiormente le Api, che non possono patir fame da ogni tempo dell’anno, ne per questo non si perde niente di quel frutto, poiche lo può cavare ad ogni sua requisitione, & senza alcuno detrimento di quei favi, i quali si conservano per conto del tempo. Et certamente questo modo di cavar’ogni anno i frutti dalle Api, è molto utile à i patroni che li cavano tutti, & anco molto commodo ad esse loro; poiche non tanto non si disturbano nel profumarle, accioche si ritirino in un mucchio molto serrato, ò che fuggano altrove, ma ancora non si molestano, come si fà per l’ordinario nel cavarle parte de i favi, col tagliarli per mezo, ò per lungo; sforzandoli poi anco a racconciarli, & accrescerli; overo dispettandosi alcune volte si partono, e vanno in dispersione. Ma sopra tutto, avvertiscano i Guardiani alla prattica di quanto gli succede; perche facilmente potrebbe uscir questo più all’uno, che all’altro, e proveder’alla cagione, che vieta tale utilità, poiche l’huomo non debbe mai cessare à scrutiniare l’una, ò l’altra cosa che sia migliore; & nel vero da quì dipende l’imparare i moltissimi secreti non conosciuti da noi.

Vinc. Poscia che resto satisfatto di quelli discorsi, vi prego che mi diciate anco il tempo del castrare i favi in questo paese.

Gio. Bat. Quantunque gli Antichi vogliono che le Api siano castrate la prima volta di Giugno, & poi la seconda d’Ottobre; nondimeno questo non si può fare in Lombardia, come si fà in altre Provincie, dove sono più felici pascoli. Et però stà bene, che ci contentiamo à cavare i favi dalla fin di Giugno, sin per tutto Luglio over’Agosto, e che ne leviamo da i sciami morbidi, non più di dui terzi con un coltello sottile ben tagliente, lungo, & alquanto stretto. Et essendo lo sciame mezano di favi, non se ne cavi niente più della metà; & quando fusse di manco somma, non si passi quel che porta la discretione. Vero è, che io lodo maggiormente il sottoporre gli alveari al modo che ho detto, poiche si cava tutta la fabrica.

Vinc. Mi piacciono molto questi vostri ricordi à confusione di tante gente che amazzano queste Virginelle, come hanno dui anni, ò più, per cavare una sol volta tutto il frutto loro; non volendosi contentare à levarne ogni ogni anno una parte, & anco tutto; come havete detto. Che se le tenessero almeno vive sei anni, da un solo sciame ne discenderebbono (à farne solamente uno per sciame) non meno di sessanta quattro. Ignorantia certamente molto grande, danneggiandosi tanto,e poi usando questa crudelissima crudeltà alle povere meschinelle senza cagione alcuna. Che per verità dovrebbono pensare, se essi passassero per un bosco, dove da gli Assassini fusse loro domandato la borsa, il cavallo, & i panni sin’alla camicia, & che dato loro ogni cosa, sentissero dirsi. Hora vi vogliamo amazzare, non risponderebbono, che vi giova il darci la morte, poiche essendo ignudi non havete utilità alcuna; ma lasciandoci vivi, forse che un’altra volta potreste spogliarci similmente con maggior vostro beneficio? Anzi ch’è maggior crudeltà il dar lor la morte alle misere Api, poiche non è da dubitare ch’elle palesassero mai alla Giustitia coloro che le spogliano, come potrebbono fare i detti spogliati, quando fussero lasciati andare. Che sia benedetta la città di Ascoli, laquale per Statuto castiga ciascuno con gran pena, che amazzi uno sciame, mentre può mantenersi buono.

Gio. Bat. Voi non solo havete detto dui belli essempi à tanti ciechi, che non s’ingegnano di far questa cosi utile, & cosi lodevole operatione verso loro medesimi, & di queste benedette Api; ma vi sono ancora una infinità di huomini, che hanno siti commodissimi per tenervene in grandissima copia. I quali, per non conoscer gli speciali doni dati loro dal grande Dio, vengono suffocati dalla molta dapocaggine loro.

Vinc. Poiche mi havete detto per quanti modi si possono cavar le cere, & i meli di anno in anno, desidero che mi diciate anco ciò che debbe far’il Guardiano nel raccoglier le Api quando sciamano, & nel conservarle che stiano in pace di tempo in tempo.

Gio. Bat. Si come egli debbe comparire ogni giorno avanti le Api, per sovenirle in ogni occorrentia loro; cosi bisogna che sia diligente ne’ tempi che sono per uscir le novelle dall’altre la mattina sin’alle vinti hore, per non sciamar più tardi, accioche s’elle uscissero col novo Re, & stessero in aere, egli con prudentia getti loro subito della polvere, ò dell’acqua adosso, & le accompagni con ciembali, ò con altri instrumenti di metallo, per fermarle sopra qualche arbore. Avvertendo à battere, ò sonare pianamente; perche quanto il sono è più grande, tanto più s’inalzano; e essendo picciolo si pongono al basso. Et questo movimento dell’uscir simili Api, si conosce per tre giorni avanti, ponendo l’orecchia la sera appresso al buco dell’alveario, poiche si sente di dentro un gran tumulto, come se le trombe sonassero al levar d’un’essercito di genti, & questo fanno massimamente quando sono per combattere con le straniere. Per il che, come il Guardiano vede la mattina che vogliono uscire per guerreggiar tra loro, le spruzzino subito con vin melato, ò con latte fresco, over con altri licori buoni, accioche con quelle cose dolci, mitighino la ira loro, & riconciglino i Rè. Ma sciamando il novo Rè, conduce le Api all’arbore frondoso, ragunandole insieme à modo d’un roccio, ò penzolo di grappoli di uva ben legato. Et come sono appoggiate, habbia il Guardiano preparato un’alveario stroppiciato tutto di dentro con herbe tenere, & odorifere; & dappoi spruzzato di buon vino, l’appresenti loro con tal modo, ch’elle vi entrino commodamente. E vero che può tagliare il ramo dove sono attaccato, & ponerlo pian piano con gli animali medesimi bene spruzzati con buon vino, appresso alla bocca dell’alveario, il quale posto sopra un’asse in terra, faccia anco star levato il capo chiuso solamente tanto, che le Api possano entrare per la bocca di sotto. Et com’è notte, porti l’alveario con quelle dentro al luogo dove ha da stare. Ma se per caso le Api entrassero in qualche arbore cavo, ò fesso, egli metta l’alveario bene stroppiciato con herbe odorifere alla bocca del forame, accioche invitate da quei buoni odori, entrino con satisfattione loro. Et quando si appoggiassero à qualche cosa non convenevole, dove non si potessero havere, sia legato in cima d’una pertica un cistello, over’un cavagnuolo di quei che si mettono al muso de’ buoi, fatti di vimini, spruzzato di buon vino, ò d’altro licore dolce, il quale sia posto appresso allo sciame, ch’egli vi entrerà, & poi si ponerà à canto dell’alveario. Avvertendo però il Guardiano, che quando sono sciamate, & che per più giorni piovesse, non manchi à dar loro del mele sin che potessero procacciarsi il lor vivere, & far de’ favi, altramente mancarebbono, come più volte è occorso. Debbe ancora comparir sempre il Guardiano innanzi alle Api ben polito, & netto d’ogni bruttezza, & non haver mangiato alcun fortume, ò d’altro cattivo odore; anzi debbe haver’in bocca qualche cosa, che li faccia uscir perfetto fiato. Percioche con queste cose, si farà talmente amare, ch’elle si lascierano maneggiar da lui al modo che vorrà, senza offenderlo mai. Vero è, che alle volte sono in qualche humore per fuggire, ò per voler combattere fra loro, per la cagion d’un cattivo Rè contra d’un altro buono. Et però il buon Guardiano debbe esser presto à cercar’il salvatico con la mano onta di mele (poiche è facil cosa trovarlo, per esser’hirsuto fosco, & horrido) & amazzarlo; & lasciare solamente il buono. Il quale si conosce benissimo, per esser maggior di corpo, piu lungo di gambe, & con più curte penne di quel che sono le Api. Oltra ch’egli è più netto, più bello, più risplendente, & più morbido del salvatico. Et però non è maraviglia se le Api sono in tal maniera vaghe di lui, che sono prontissime ad esporre la vita, per difenderlo da qualunque nemico lo volesse offendere. Senza che li fanno quella servitù, che non vi è lingua che la potesse esplicare.

Debbe poi il Guardiano, cominciando alla primavera, veder gli alveari due, ò tre volte sin’al Novembre (stando che nel verno non conviene aprirli) & questo sia fatto la mattina (essendo buon’aere nettando tra i favi con una penna salda; poiche in quei luoghi non vi si può toccar con mani.

Appresso debbe egli cavar’i favi al fin di Giugno sin per tutto Agosto, & sempre nel plenilunio per esser’all’hora anco più pieni; perche quanto più si tardasse, tanto manco ne dovrebbe pigliare, poiche le Api non potrebbono crescer’il mele, ilquale è il cibo per sostentarle nel verno, quando non sono soccorse da i ministri con altri cibi di minore spesa.

Vinc. A punto io era per domandarvi, come si possono sustentar le Api, quando non trovano cibi à loro convenevoli.

Gio. Bat. Alcuni huomini, per pascer questi animali ne i tempi freddi, li preparano dell’acqua alquanto calda, nella quale essendo dieci libre, ve ne pongono una di mele, & poi la danno loro di giorno in giorno accomodata ne i canali innanzi à gli alveari, secondo che la van leccando.

Altri facendo questo medesimo vi aggiungono farina di miglio, ò di segala, overo di castagne, le quali, per essere alquanto dolci, sono mangiate volentieri dalle Api, & ne ricevono nodrimento.

Altri, per risparmiar’il mele, & la farina, danno loro à poco à poco della melina, la quale vien fatta dall’acqua, che si adopra nel lavar’i sacchi, & i vasi dopo che si è cavato tutto il mele, & la cera.

Altri ancora pongono dieci libre di fichi grassi in sessanta di acqua al fuoco (& quel più, & meno alla rata) & come sono cotti, li fanno in tante schiacciette, ò fugacciette, & le mettono innanzi à gli alveari sopra alle assi; & di queste le Api si cibano di giorno in giorno.

Altri per sustentarle, accioche non decipino i loro meli; pigliano dell’uva passa ben matura, & à peso tanti fichi de’ migliori, & pongono queste due cose nel vino cotto (detto d’altri sapa) al fuoco; & come sono alquanto cotti, ne fanno similmente tante schiacciette, & le accommodano appresso à gli alveari di tempo in tempo, secondo ch’elle le mangiano.

Altri parimente pigliano una quantità di moniache seche pestate benissimo con’un’oncia di mele per libra; & poi per ogni libra di questa mistura, ne pongono quattordici, ò quindici di acqua à bollire; laquale, com’è calata una libra, ò poco più, la conservano in una olla, ò altro vaso di terra, per darla poi à poco à poco alle Api ne i canali, secondo che la leccano.

Altri poi, per più brevità, non solamente pestano dell’uva passa ben matura con buon vino, & fattala bollire, la danno per cibo delicato alle Api ne i canali; ma ancora danno à loro del latte semplice, & specialmente del caprino, per miglior de gli altri.

Vinc. Voi mi havete detto tanti modi, che se fussero palesi à molte genti, non lasciarebbono morir di fame questi animaletti, & conservarebbono il mele, che li vien mangiato, innanzi che muoiano.

Gio. Bat. Bisognarebbe che ciascuno che si diletta di tener delle Api, fusse cosi eccellente custode, com’è il nostro M. Bartolameo Cuoco, che mena si lieta vita nell’Agricoltura al suo Civegole di Valcamonica. Il quale, non solo sa tutto dì notomia di cibi per pascer maggiormente la sua quantità di Api, ma ancora li pone nelle canellette di canna, ò di sambuco, ò di ferro, over di piombo, & le accommoda talmente che le Api non si annegano mai nel bere l’acqua, ò vino, ò latte, over nel pascersi d’altro licore conveniente à loro; & dà questi cibi innanzi al levar del Sole, & la sera alle vintitre hore; poiche in questi tempi si pascono di tal sorte, che paiono tante pecore, che mangino il sale.

Volendo poi questo nobil’intelletto aumentar il poco numero delle Api vecchie nel vaso vecchio, dice che’l rompe tutte le celle de’ Rè novelli, accioche le Api novelle uscite di fetura, non sciamino, per quello anno; perche, non havendo Duce, è forza, ch’elle stiano all’obedientia del Rè vecchio, & in compagnia delle madri loro, sin che sciameranno insieme con le altre nell’anno seguente.

Vinc. Quai modi si debbon’osservare nel comprar’i sciami?

Gio. Bat. Non solamente non si debbono comprare sciami per semenza sin non è passato Gennaro, poiche sono fuori de’ pericoli; ma si piglino ancora più giovani che si può, & che gli alveari siano ben pieni di Api risplendenti, & torli più tosto ne i luoghi vicini, che ne i lontani: percioche, quanto più sono pigliati di lontano, tanto più patiscono nel portarli al luogo dove han da stare: & anco per la mutatione dell’aere, per la diversità de i pascoli, senza che bisogna portarli in collo, & di notte fra dui huomini; lasciandoli poi riposare tutto il giorno, & infundendoli buoni licori; & facendoli buona guardia, per tre giorni almeno, accioche quando fussero per fuggire, si fermassero col sonare dolce, con la polvere, ò con ripari di buon vino, ò con altre cose, come si usano in tali casi. Oltra che lodarei si tenessero chiusi i buchi con tela chiara, mentre che’l Sole è sopra terra, & aprirli poi di notte per lo detto tempo.

Vinc. Come si può maneggiar le Api da tutte le hore del giorno, & non esser’offeso niente da loro.

Gio. Bat. Quantunque ciascuno può maneggiar le Api la mattina, & la sera; poiche rare volte offendono, se prima non sono provocate nel toccarle, o per sporchezza, over per qualche cosa putrida; nondimeno, per assicurarsi, pigli una maschera con due luci acconcie à i buchi de gli occhi, & ponendola sopra la faccia, con un panno involto al collo, & intorno alla testa, che havendo anco coperte le mani co i guanti, le potrà castrare, vedere, e raccogliere d’ogni hora del giorno. Ma meglio sarebbe haver’un capuccio di tela cucito ad un ferro tondo sottile, che circondasse tutta la faccia, con un’altro attaccato al detto dalla fronte sin’al mento, il quale andasse sopra il naso senza toccarlo; fra i quali ferri, fusse fatta una rete di rame sottile, & co i buchi piccioli; perche con questo retesino, l’huomo non sarebbe non pure molestato dalle Api, ma ancora non sarebbe impedito ne gli occhi, & che non potesse parlare.

Vinc. Desidero che mi ragionate ancora de gli offici maggiori, che fanno le Api in ogni tempo.

Gio. Bat. Tanta è la riverentia che elle portano al loro Rè, che non pur esseguiscono quanto à loro è commesso; ma ancora vivono nella loro habitatione à modo d’un monasterio di sante Monache; havendo tutte una medesima volontà, una vera conformità, & una stabilissima unità. Dividendo fra loro gli essercitii à quel modo che fanno i valenti huomini nelle gran fabriche de’ palazzi, ò delle fortezze. Poi che alcune raccolgono da’ fiori la rugiada & la portano à quelle Api, che oprano in casa il frutto. Altre tendono à mollificar la cera, & la temperano cosi bene, che facilmente fabricano le loro case. Altre non mancano à separare molto bene ogni feccia da i meli. Altre sono diligenti nel tenere netti i loro alveari, i quali però non sono mai sporcati col loro sterco, poiche in tutti i tempi che vanno fuori, sempre si purgano tutte quando volano per l’aere. Altre stanno di continuo alle porte per guardie, accioche (con ogni lor potere) non vi entri alcun’animale, che facesse loro nocumento. Altre non solamente stan’appresso al Rè, come sergenti, & essecutori della giustitia; castigando le Api otiose, che sono vedute da lui, secondo ch’egli và intorno à gli officii designati ad esse; ma, à suoi tempi scacciano ancora i fuchi, che non lavorano mai, & non mancano à divorar’i meli. Poi oltra, che alcune sono sollecite à portar fuor de gli alveari le Api subito che sono morte, quando muore anco il Rè non lo muovono niente; anzi che stando tutte molto di mala voglia, gli giacciono adosso l’una sopra l’altra; facendo un certo loro mormorio, come se elle piangessero di continuo. La onde, se’l Guardiano non è aveduto à levarglielo di sotto, morirebbono di fame più tosto, che abbandonarlo mai.

Vinc. Dapoi che mi havete mostrato la gran prudentia di queste benedette Api, vi prego che mi diciate come si conoscono quando sono amalate, e con quai rimedi si possono sanare.

Gio. Bat. Si conoscono essere inferme, quando mutano il colore lucido nell’oscuro, & vederle anco macilente, & magre. Poi non solo si conoscono essere ammalate quando non lavorano; & che stanno al Sole, fuori delle loro case, aspettando che le altre Api portino loro il cibo, secondo che costumano fra esse: ma si conoscono maggiormente, quando sono portate in qualche somma morte fuori de gli alveari. Et per tanto, come più tosto il Guardiano è chiaro di queste cose, profumi subito le loro celle col galbano, & porga loro il melle nelle cannette fesse per mezo, ò più tosto dia loro del vino cotto con galla, & con rose ben pestate insieme, poiche questa compositione sarà loro di maggior soccorso. Ma amalandosi alla primavera, per haver patito gran fame nel verno, & haver mangiato poi di fiori de gli olmi, ò d’altri primi arbori cattivi fioriti, il Guardiano prudente le medica col dar loro di grani pestati di pomi granati, & spruzzati di vin buono; over dà loro dell’uva passa pestata con rugiada, & stemprata col vin brusco; & parendoli anco dà loro del rosmarino cotto nell’acqua melata, & com’è fredda la pone dinanzi à gli alveari ne i vasi ben’accommodati.

Vinc. Havete voi opinione che le Api siano concette per via di coito, ò da loro medesime solamente, over che nascano da qualche putredine, come fann’alcuni altri animaletti?

Gio. Bat. Non pure tutto il mondo hà sempre tenuto, che elle non nascano d’alcuna corruttione; ma non è da credere ancora che non siano concette per coito; percioche, se questo fusse, non è dubbio che in alcun tempo dell’anno si vedrebbe qualche atto simile tra loro. Et però dobbiamo credere, che in se medesime si concipiscano, poiche se mai forno havute da gli antichi, & da i moderni per virgini, & amatrici della virginità, maggiormente lo debbiamo credere in questi tempi per lo caso occorso in Verona alle due sorelle dell’Eccellente Dottor di legge M. Bartolomeo Vitali, le quali si trovano sepellite à Santa Croce; percioche essendo morta quella di dieci anni nel 1558. & posta nella cassa ugual’à terra con l’Arca sopra, & poi l’altra nel 1562. alli 29. d’Agosto di anni sedici, vi furno accommodate talmente, che stanno non in schiena, ma in fianco à faccia à faccia. Onde serrata quella cassa & racconciata l’Arca dopo tre, ò quattro giorni, vi entrarono le Api à poco à poco per una fessura del muro attaccatovi, che risponde dal giardino della Chiesa, & si annidarono frà mezo le dette Virgini: di maniera, che moltiplicando si stantiarono queste frà la detta cassa, & la superficie dell’Arca sin che un fulmine alli 26. di Maggio 1566. l’aperse senza lesione alcuna di tutte le Api, ne di quei benedetti corpi. La onde, restando scoperta gran quantità di favi ricchissimi di mele cosi intorno à i detti corpi, come dalla somità della cassa sin’alla superficie dell’Arca, quel Curato volendoli levare, il Reverendissimo Vescovo, udita all’incontro la dotta oratione dell’Eccellente Dottore M. Fabio Nicchisola, fatta in honore di quelli stupendissimi Animali, & delle Donzelle virgini, pose questa differentia in tale stato, che tutta la città ne resto satisfattissima. Et però da questo cosi ammirando caso, non solo siamo certi che le Api sono per natura sempre virgini, & che amano grandemente le persone dotate di questa cosi eccelsa virtù; ma che volontieri habitano ancora con la corruttione de’ corpi loro, poiche l’apprezzano come odore soavissimo.

Vinc. Dapoi che mi siete stato cortese nel narrarmi questo cosi maraviglioso accidente, vi prego parimente che mi diciate gli ordini, che osserva il nostro gentil Cuccho in tutto l’anno per beneficio delle Api.

Gio. Bat. M. Bartolomeo come homo prudente in tutte le sue attioni, non solamente sà molto bene quando han trattato gli Agricoltori in questa honorata professione; ma ancora per la lunga esperientia, che egli hà nel governar le sue Api, è talmente informato di quanto convien far loro di mese in mese, che forse tra noi non hà paro. Ilquale cominciando nel mese di Gennaro, non fà loro cosa alcuna, eccetto che provede di cibo à quelle che ne han bisogno; & è diligente che non siano molestate da i nemici loro, ò da i mali tempi che all’hora vi occorrono.

Al principio di Febraro non solo egli profuma le Api leggiermente con buoni odori, accioche si sveglino, & si rinforzino; ma ancora apre ciascuno vaso, & vede se non hanno da mangiare, provede subito al lor bisogno. Oltra che conoscendo, che habbiano mal di flusso, tende à sanarle. Cavando non meno se vi sono aragne, tignuole, ò altri nemici che le offendessero. Et essendovi anco fabrica abondanti di favi, & le Api poche (stando che si freddiscono) si aragnano, & si vermano, netta egli prima i favi, & poi chiude benissimo gli alveari, lasciandoli cosi sin che’l freddo è cessato.

Nel mese di Marzo, egli provede prima al flusso, che facilmente viene alle Api, che mangiano (per la gran fame havuta) de i fiori de olmi, & d’altre sorti cattive, ch’all’hora fioriscono; soccorrendole di buoni cibi, sin che trovano de gli altri fiori buoni.

Nel mese d’Aprile, egli netta le assi sotto à i vasi, dove cadono i gusci piccioli, dalliquali sono venute fuori le Api novelle, che sono per sciamare; & come sono passati i primi quindici giorni, non manca à far la guardia ogni giorno nelle hore solite, che si preparano à sciamare. Et vedendo qualche vaso, che habbia più di dui Rè novelli, amazza i superflui, eccetto il vecchio, ò che siano dui.

Nel mese di Maggio, non pure è diligente nel raccoglier’i sciami nuovi di giorno in giorno, & accommodarli talmente che non fuggano; ma ancora essendo piovoso il tempo, egli provede di cibi buoni alle Api che non hanno da mangiare.

Nel mese di Giugno, non meno è diligente nel fare parte delle cose, ch’egli fa di Maggio, vede anco nel fin del mese se vi sono vasi vecchi c’habbiano sciamato, & che siano pieni de mele, ne cava i dui terzi, & alcune volte sin’i tre quarti, poiche l’Api hanno tempo assai di riempirli. Senza che ritrovando alcuno sciame novello, che sia per partirsi dal suo vaso, egli taglia una parte d’un favo quasi maturo da un’altro vaso ricco di favi, & l’accommoda in tal maniera di dentro, & in cima di questo novo che accortosene l’Api, subito vi si accostano, & più non si parteno.

Nel mese di Luglio, passati che sono otto, ò dieci giorni, prohibisce che le Api che non hanno sciamato sin’hora, non sciamino più, rompendo le celle Regali. Et se per caso vi è anco vaso alcuno, dalquale si siano partite tutte le Api, ò almeno la maggior parte, lo spoglia di tutti i favi, che vi si trovano. Oltra che scaccia con facilità tutti i fuchi dove sono, col cavare una sponda dal vaso, com’è sparito il Sole, laquale bagnata di acqua fresca, subito la rimette al medesimo luogo, & la mattina seguente, ricavatola, vi vede sopra i fuchi, & gli amazza tutti. Percioche stà bene non amazzarli più tosto, stando che aiutano le Api à nodrire la loro fetura, per esser quelli più grandi, & più ben pasciuti.

Ancora, dopo gli otto giorni di questo mese, visita i vasi di uno in uno, cominciando à vindemiare quelli, donde le Api scacciano i fuchi poiche vi è il mele maturo; & fà à questo modo.

Aperto prima l’alveario col fumo in mano, egli fumica, & scaccia le Api, accioche possa meglio veder’i favi; & poi considera quattro cose. La prima, che vedendo la fabrica empire tutto il vaso, & che i favi siano maturi (ancor che le Api non siano in quantità) egli ne cava i dui terzi; ma essendo mediocre, ò manco; leva con discrettione secondo che li trova quel più, & meno. La seconda se l’Api sono di molto populo, & i favi alla rata, egli fà la vindemia morbida; percioche havendo elle tempo commodo, riempiranno il vaso innanzi che’l freddo sopravenga. La terza, se i favi sono pieni di mele, ò almeno più della metà, egli ne cava non manco di mezi; levando sempre i più vecchi, ò per lungo, ò per traverso, over dall’un capo all’altro, secondo che occorre, lasciando però i nuovi fetati. La quarta è, che ritrovando la fabrica copiosa d’Api, & di favi maturi, egli ne cava sin’i tre quarti; ma ritrovandola solamente habile per conservarsi, non cava cosa alcuna, ò molto poca. Non volendo imitare molti ignoranti; i quali, per la troppo avaritia, non pure cavano dalle povere Api assai più somma di favi, che non doverebbono fare, dove poi molte volte muoiono di fame nel verno; ma ancora (ch’è peggio) le amazzano il secondo, ò il terzo anno al più, secondo che più tosto trovano quei sgratiati sciami pieni.

Nel mese poi d’Agosto, havendo egli cominciato à castrare i sciami, come ho detto di Luglio, vindemia anco sin’à gli otto, ò dieci di questo quelli che non sono stati cavati, & che hora sono à proposito di levare; osservando però sempre tutti gli ordini necessari, che ho detto.

Nel mese di Settembre, egli netta bene i vasi al modo solito; & se ne trova qualch’uno, che non sia stato vindemiato, & che sia magro, non solamente non l’amazza, come fanno molti, ma per salvarlo, spruzza le Api leggiermente con una scopetta bagnata nell’acqua melata, ò nel latte, quando le ha ridutte unite col perfumo. Onde, come vedono esser loro levati tutti i favi, & ritrovarsi prive del vaso, si riducono con le altre, che sono ne i vasi più vicini: di che, essendo vedute humide di questi licori, non le scacciano, ma più tosto l’accettano. Et se per caso non fussero ricevute volentieri, egli ritorna à spruzzare talmente l’una, & l’altra parte, che finalmente si riconciliano insieme. Et ritrovandone ancora alcun’altro, che sia stato castrato de’ favi, & che per tutto Settembre non habbia riempiuto il vaso di modo, che le Api non possano cibarsi nel verno, egli scacciate prima col fumo, leva quella poca fabrica che vi si trova; lasciando poi in libertà quelle poverelle à procacciarsi qualche altra habitatione, ò morirsi nella miseria loro.

Nel mese cosi di Ottobre, quanto di Novembre; egli non fa altro à tutti i vasi, eccetto che li vede di dentro; & ritrovandovi sporchezze alcune, non manca à nettarli benissimo, & chiuderli di tal sorte, che i freddi non possano nocere alle Api, che tanto gli aborriscono. Provedendo parimente che le pioggie, le nevi, e i venti non le nocino, come accade spesse volte, quando non sono ben coperti gli alveari.

Ultimamente nel mese di Decembre, egli non fa altra cosa à i vasi, nè alle Api, ma solo provede loro de’ cibi, come fa anco di giorno in giorno nel mese di Gennaro, accioche non patiscano, ne decipino i loro meli, come fanno sempre, mentre che non hanno cosa alcuna da mangiare.

Vinc. Hora, perche le hore sonate, ci mostrano che habbiamo ragionato à sufficientia, sarà bene che cessiamo, & che dimane parliamo poi di quanto ci piacerà.

Gio. Bat. Io vi aspettarò adunque molto volontieri.

Il fine della XV. giornata.

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