La sestadecima giornata dell’Agricoltura aggiunta

Di M. Agostino Gallo,

Nella quale si tratta del nodrire i Cavalieri, che fanno la seta.

Essendo montato à cavallo M. Vincenzo Maggio per andare da M. Gio. Battista Avogadro secondo il solito, & havendo incontrato una quantità di donne, che portavano da più ville gran copia di gallette, ò bocciuoli di seta per venderle in Brescia; pensò di pregarlo, che per quel giorno non si parlasse d’altro, che di questa cosi utile professione: Onde smontato, & fattoli l’un l’altro le solite accoglienze, si ritirarono andando pian piano ragionando, nella saletta della terza colombera nuova; & postisi prima à seder dirimpeto alla finestra che guarda verso tramontana, per godervi maggiormente il fresco: Il Maggio, desiderando di dar principio à questo suo desiderio, cominciò dicendo.

Quantunque à noi Bresciani non sia ancora l’uso di tenere tanta somma di Cavalieri, quanta tengono i Veronesi, i Vicentini, i Padovani, i Trivisani, & i Forlani; nondimeno, perche di anno in anno si vede che và crescendo; mi sarà carissimo, che voi M. Gio. Battista mi ragionate con quali modi migliori si possa aumentar’il governo di questi animaletti.

Gio. Bat. Voi non potevate M.Vincenzo domandarvi cosa che di maggior contento mi potesse essere; percioche non solamente quella professione è molto convenevole à tutti gli huomini che stanno in Villa; ma ancora è degnissima, & honoratissima à qual si voglia nobile, o gran Signore che habbia moglie, figliuole, donzelle, & servitrici; poiche questo gentil’essercitio è più proprio à tutte le donne, che à gli huomini. Laonde, si come voi vedete, che in questa Villa sono gran quantità di mori, piantati nelle ripe delle strade per non occupar’i campi, & che quasi tutte le famiglie de’ nobili, & de’ contadini si dilettano di tener buon numero di questi animali; cosi spero, che non verrà molto tempo, che non si faranno in questo paese minori facende, di quel che fà ciascun di quei che havete nominato; percioche, essendo il territorio Bresciano maggiore di gente, & di sito, & seminadovisi ogni anno i milioni de’ mori, de’ quali (secondo che crescono sin’à i quattro anni) son poi strapiantati i più belli ne i luoghi, che più sono à proposito; che altro si può sperar, senon che questa industria, sia per andar di anno in anno aumentando? Et veramente questa cosi grande utilità, doverebbe esser’accettata in molti paesi d’Italia, che non l’apprezzano; conciosia che può esser essercitata in tempo, che l’Agricoltura non hà cosa importante da tenere occupati i lavoratori suoi; & non và molto da fare nel nodrire questi animali, fuor che gli ultimi dodici, ò quindici dì, quando sono per affrettarsi nel far la seta.

Vinc. Hora per dar principio, vorrei sapere, quando si debbe porre à far nascere questa semenza de’ Cavalieri, & qual sorte è migliore per produrli robusti, & per far la seta buona, & in quantità.

Gio. Bat. Vi sono alcuni superstitiosi, che ogni anno mettono in covo queste ova il Venerdì santo, & non considerano che’l più delle volte fallano grandemente; perche quando la Pasqua vien’inanzi mezo Aprile, non che di Marzo, non tanto questi animalini patiscono fame, per non haver’i mori produtte le foglie, quanto che muoiono assai volte per li freddi, che per l’ordinario occorrono da quei tempi. Et per questo non si dovrebbe farli nascere innanzi à i quindici, ò vinti giorni d’Aprile; percioche oltra, che non sarebbono sottoposti à quei freddi; ritroverebbono ancora che i mori havrebbono produtte le foglie: Onde facendo questo, non occorrerebbe andar mendicando le cime delle ortiche, i cuori de gli spini, le foglie de gli olmi, ò altre sorti di cibi salvatichi, ò domestichi, per pascere questi male avventurati, finche i mori havessero gittato fuori la loro conveniente pastura. Che certamente, dapoi che questi ciechi non han giudicio di conoscere questo si notabil fallo, doverebbono almeno pigliar’essempio da questi arbori, i quali non mandano mai fuori le loro foglie, fin che tutti gli altri non sono ben fronduti. Ma se pur’alcuni desiderano che i mori gittino fuori le loro foglie, di dieci, ò quindici dì più tosto dell’ordinario, vi diano dello sterco fresco nella Luna nuova di Febraro, e saran serviti.

Vinc. Mai non compresi, se non hora, la gran prudentia di questo cosi singular’arbore; e però non è maraviglia se molti nobilissimi lo portano ragionevolmente ne i loro scudi per insegna.

Gio. Bat. Dovendovi poi chiarire, qual sorte di semenza si debbe porre in covo sotto al capezzale, che dormendo si tiene sotto al capo ò fra le mamelle delle donne (quando però sono monde dalle loro infirmità) ò in altro luogo à proposito, come diversamente si tengono al caldo, accioche nascano; dico che sempre si debbe pigliar della migliore che sia nel paese, ò più tosto della Spagnola, ò Calabrese; percioche, si come di queste due sorti, la Spagnola fà la seta molto fina, & gli animali piccioli; cosi la Calabrese, per produrli più grossi; fà generare anco maggior quantità di seta, & stanno più gagliardi ne i mali tempi. Avvertiscasi però che tutte le semenze non passino un’anno, & che siano poste à far nascere, da i quattro fin’à i dieci giorni della Luna; percioche, facendo la seta intorno à i quarantacinque, la produrranno, quando si trovera potente; onde i bocciuoli, ò gallette saranno più grosse, più dure, & più fine di pelo, che non saranno tutte quelle de gli altri tempi. Et per contrario, nascendo questi animaletti quando la Luna è debole, & specialmente come si comincia à non poterla vedere, è quasi impossibile che non restino sempre deboli, & male avventurati. Ma perche pochissime persone pongono i barbelli, ò bigatti à far le ova sopra le carte, per farli poi giuso senza molestarli in modo alcuno: mettono sopra i panni bianchi di lino; onde se gli debbono far giuso, gli bagnano dal rovescio con buon vino bianco; & posti al fuoco fin che sono alquanto caldi, gli fanno cader sopra d’un’altro panno netto con una scopetta ò con altro modo, ilquale essendo legato di sorte, che le ova stiano adagiate; lo pongono fra dui capezzali di penna alquanto fatti caldi; onde, secondo che nascono i Cavalieri, gli levano con le fogliette de’ mori, & gli ripongono sopra un’asse prima stropicciata con assentio, & con herba buona insieme, ò con altre herbe.

Altri mettono queste ova in altre cose, & specialmente alcune donne (come ho detto) fra le lor mamelle; & come sono per nascere, le pongono in una scatola sopra la carta bianca, & poi sopra loro dell’altra netta, che habbia de’ buchi spessi, & cosi larghi, che vi possa passare un grano di melica; onde mettendovi sopra delle cime fresche di mori, secondo che i Cavalieri nascono, passano per li detti buchi, & si attaccano à quelle fogliette, & cosi di mano in mano gli levano, & pongono sopra una tavola, facendoli star’uniti, mentre che sono piccioli; allargandosi poi, secondo che van crescendo in grossezza, per quanto si vede il lor bisogno.

Vi sono parimente altri, che prudentemente pongono queste ova nel vino buono tepido, innanzi che si mettan in covo, & subito che i buoni sono andati al fondo, & i tristi rimasti in cima, levano quel vaso da un lato a poco a poco; finche le ove cattive con tutto il vino siano uscite fuori; ponendo poi subito le altre di buona sorte al Sole ben distese sopra un’asse à proposito, & li coprono con un panicello sottile, ò con foglio di carta, accioche non siano trafitti dal suo calore, e come sono asciutti, gli pongono à farli nascere quanto più tosto. La onde, non pure questa inventione fà che gli animali escono di tal fortezza che non temono cosi il freddo, & altre cose contrarie, come fanno molti altri che non sono stati nel vino; ma ancora ciascuna oncia di queste ova che sono legittimati perfettissimi, produce le dieci, & dodici libre di bella seta. Poi oltra che i deboli tardano al nascere, all’andar’alle mute, & al far la seta più de i forti; sono anco i primi che si amalano, & che infettano poi i detti buoni.

Vinc. E da lodare assai più il poner queste ova nel vin buono più tosto, che nell’acqua tepida, come fann’alcuni; percioche in questo restano deboli, e nascono malamente, ma ho per fermo, che meglio sarebbe à metterle nella malvagia, ò almeno nella vernaccia vecchia.

Gio. Bat. Questo separar la semenza buona dalla cattiva, ci fà veder, che da qui depende la salute nell’allevare i Cavalieri nasciutti dalla perfetta: I quali restano talmente fortificati dal vino, che sono per supportar’ogni qual si voglia sorte di mal tempo, ma ancora per caminar di giorno in giorno uniti tutti à un tempo, alle mute, & sin’al produr le loro gallette. Ricordo datoci per lo nostro nobil Dottor M. Giulio Calzavella, cavato dalle legge che fece Ligurgo alle donne, che lavassero i fanciulli partoriti subito nel vin perfetto poi che sarebbono fortificati benissimo, & non lavarli nell’acqua come facevano. Onde havendo gittato le ova di Cavalieri nel vin buono, non ci son morti più di dua, ò di tre per cento.

Vinc. Come vi pare, che vogliono esser le stanze, dove si habbiano da nodrir commodamente questi animaletti.

Gio. Bat. Bisogna primamente, che tutti i luoghi, dove si habbiano da governar tali animali, siano posti in buon’aere, & in sito asciutto; & poi talmente accommodati di finestre, ch’el Sole possa entrarvi la mattina, & la sera secondo che piacerà à i governatori; & se ve ne sarà da tramontana, & dall’austro saranno molto à proposito nel gran caldo, & nel freddo. Bisogna però che queste finestre siano ben fornite di serraglie d’assi, di vetriate, ò di tela sottile ben bianca, overo di carta nuova; accio che quando tira vento, ò pioggia, ò che’l tempo è molto humido, overo che fà freddo; si possano tener ben serrate. Perche quando si mancasse di questi provedimenti, non è dubbio, che per esser questi animali delicati da ogni lor’età, facilmente morrebbono. In oltre bisognarebbe haver’à ciascuna finestra tesa una rete alquanto spessa, accioche quando fussero aperte le impannate, ò spere per sborrar quei luoghi, non v’entrassero passere, rondini, & altri nocivi uccelli, che li mangiassero. Nè vi si lasci entrare, ne galli, ne galline, perche di tal maniera si empirebbono il gozzo, che starebbono per crepare. Oltra di ciò s’avvertisce di tener ben netti i pavimenti d’ogni luogo, & che i muri non habbiano buchi; ò fessure, dove i grilli le lucerte, i topi, & altri simili animali possano nascondersi, per amazzar poi di notte, ò di giorno questi purissimi animali, che in modo alcuno non si possono difendere.

Preparato adunque questi luoghi ben’accommodati più tosto sopra un palco, ò una volta, che in terra, bisogna fornirli di paloni lunghi, & forti; & porli in piede co i loro traversi cacciati ne i buchi fatti co i succhielli, ò come diciamo trivelle, alti l’uno dall’altro non meno d’un braccio, & lontano da i muri tanto, che vi si possa andar’attorno habilmente. Sopra questi traversi, si mettino poi le tavole di asse à proposito, di mano in mano sin dove si può commodamente aggiugnere per nodrir’i Cavalieri. E ben vero che le grati fatte di canelle di lago, di palude, & cosi le stuore, sono assai migliori; percioche non solamente sono di menor spesa, & più leggiere da maneggiare, & riporre arrotolate in ogni luogo picciolo, quando più non bisognano; ma ancora questi animali vi stanno più sani, & più commodi che non fanno nell’altre sorti. Debbesi però ad ogni sorte di tavole metter le cantinelle di legno inchiodate attorno attorno, che siano larghe quattro dita, accioche i Cavalieri non possano cader si facilmente in terra, come assai volte cadono quando non ve ne sono. Ma forse sarebbe meglio fare, come alcuni osservano, i quali pongono la prima tavola da basso larga tre braccia, la seconda due & mezo, la terza solamente due, & la quarta non più di uno & mezo. Percioche à questo modo, cadendo i Cavalieri non si potrebbono far’alcun male, come quelli, che levandosi da una tavola, caderebbono nella più prossima, ch’è più larga. Ma che tutte siano ben nette, & quando vi si porranno i Cavalieri di spruzzarle prima di buon’aceto, & di fregarle con herbe odorifere; perche si compiaceranno molto di quei buoni odori.

Vinc. Quante volte si debbe dar la foglia à i Cavalieri il giorno, & da quali hore?

Gio. Bat. Due volte, per l’ordinario, vi si dà; cioè alle dodici hore, & alla sera; crescendo poi di tempo in tempo, secondo che gli animali s’ingrossano sin’alla quarta muta; che all’hora bisogna darne loro, la mattina, a nona, & la sera, & abondantemente (ancor che vi siano alcuni, che arrivano alle quattro, & cinque volte) percioche, essendo venuti à quella grossezza, che possono venire; mangiano assai più del solito, per apparecchiarsi à concipir la seta, & poi per affrettarsi à partorirla. Avvertiscasi nondimeno di dar loro, di muta in muta, per li primi tre giorni dapoi, parcamente la foglia, perche essi si ritrovano deboli. Et per verità sono ben’aventurati quei Cavalieri, che sono governati da persone ben prattiche in questa professione: percioche, non solo non gli abbandonano mai tutto’l giorno, & gran parte della notte, accioche non siano offesi da molti casi contrari, come ne occorrono d’hora in hora, & massimamente quanto più si ritrovano grossi; ma ancora usano ogni diligentia per non toccarli, se non poche volte, con le mani, & sempre con molta discretione: percioche quanto più sono toccati, tanto più patiscono, come quelli che sono tenerissimi. Onde quando li mutano, ò nettano, pigliano di mano in mano quei soli che sono sopra le foglie; & à quel modo li portano cosi sopra le tavole nette, & stropicciate con herbe odorifere, senza toccarli con le mani. Et però non è maraviglia se ne pericolano alle volte in gran quantità, poi che sono maneggiati da molti, come se fossero tanti gambari coperti di veste dura.

Vinc. Io desidero ancora, che mi diciate quanto si debbe osservare nel dare la foglia de i mori à i cavalieri, & nel raccoglierla, & anco nel conservarla che non si riscaldi, ò non si marcisca.

Gio. Bat. Mentre che sono solamente nati, si danno le cime fresche de i mori asciutte, & in tanta quantità la mattina, e la sera, quanta si conosce che ne mangiano: Dapoi si osserva il tempo che si ha da cominciare à pascerli di foglia, & crescerla di giorno in giorno, secondo ch’essi s’ingrossano, & che l’appetiscano. Ma quanto al raccoglier le foglie, questo non si faccia la mattina mentre che son bagnate ò per rugiada, ò per nebbia, ò per conto della pioggia: anzi si debbono più tosto raccogliere, quando sono asciutte dal Sole; separandole anco innanzi che si spargano sopra le tavole da tutte le cattive, & da i frutti loro; poi che da quelle due cose, patiscono non poco questi cosi teneri animali.

Raccolte dunque le buone foglie, & in gran somma à questo modo, si conservano benissimo per tre giorni, se però son poste in luogo à terreno, che stia ben chiuso, & fresco: Et avertiscasi sempre di non dar mai la foglia à gli animali, se ella non è stata colta almeno dieci, ò quindeci hore: ma meglio sarebbe à darla il secondo giorno, & massimamente ne i primi tempi, quando ella si trova tenera: perche quanto più si ritrova verde, tanto più è atta a fargli infermare.

Vinc. Dapoi che m’havete detto solo quel che si può fare facilmente ne i buoni tempi, vorrei non meno, che mi diceste ciò che si debbe fare, quando le foglie vengono bagnate dalle pioggie, che qualche volta durano un giorno, & dui, & più ancora di continuo.

Gio. Bat. Certamente ch’egliè gran dolore à coloro che veggono questi casi strani; non sapendo, nè potendo pigliar partito alcuno per soccorrerli. Et però quelle persone, che son ben prattiche di queste cose cosi contrarie; sapendo che la foglia buona posta (come ho detto) in luogo fresco, si mantiene ottima per tre giorni, non mancano d’haverne in monitione buona somma, che faccia rifugio all’altra ricolta avanti; Et oltra che non mancano ogni giorno di voltarla, & moverla una, & due volte, & anco di più, se cosi è bisogno, accioche non si scaldi, & subolisca: quando veggono che’l tempo minaccia pioggie, sono solleciti à raddoppiare huomini, che ne raccolgano in quantità; & fanno massimamente questo, quando i Cavalieri mangiano assai dopo la terza, & quarta muta. Vero è, che si come usano ogni loro diligentia, per stare forniti di buona foglia ne’ tempi detti; cosi non si curano d’haverne in abondantia quando i Cavalieri dormono, & si mutano: percioche allhora ogni poca foglia basta.

Vinc. Io non son’ancora satisfatto à pieno, se non mi dite come si debba fare, quando le pioggie sopravengono all’improviso, & che non essendovi foglia raccolta, è forza raccoglierla cosi bagnata; & ciò bisogna fare non solamente per un giorno solo, ma per molti & molti ancora, secondo che non cessa di piovere.

Gio. Bat. In questi casi cosi strani, i prudenti governatori si sforzano di schermire con essi loro. Et però innanzi che comincino à raccogliere le foglie, scuotono quanto più possono gli arbori, ò almeno i rami, accioche l’acqua grossa cada in terra: & come le hanno raccolte, & portate à casa più tosto ne i canestri, che ne i sacchi, accioche maggiormente stiano suspese, subito le distendono sottilmente in luogo asciutto sopra le grati, ò stuore, ò coltri, ò sopra altre cose à proposito, dove tiri vento: non mancando di rivoltarle spesse volte, fin che si possano dare à i Cavalieri: Ma se la fame loro insta, asciugano almeno quelle prime che bastano à cibarli, co i panni netti & caldi d’una in una: ò più tosto le portano in luogo ben chiuso, & le pongono intorno al buon fuoco, e secondo che si asciugano, le compartono di mano in mano ad essi, fin che le altre si vanno asciugando; & à questo modo ristaurano i Cavalieri, fin che’l tempo buono ritorna.

Ancora vi sono alcuni altri, che per trattener questi animali quando piove di continuo, non solo pongono le foglie bagnate sopra i lenzuoli, & le ventolano, sbalzandole più volte in alto, & ripigliandole sin che sono bene asciutte: ma ancora accortamente lasciano de’ rami, che sono alquanto rotti nel raccogliere le foglie l’anno innanzi, ò de gli altri, che sono fuor dell’ordine de’ mori, che per ragione andarebbono tagliati, e li levano, e portano à casa; onde havendoli primamente ben crollati, & asciugati, danno loro quella foglia per buona, sin che’l tempo si accommoda.

Vinc. Vi prego che mi diciate anco quali arbori producono la foglia migliore, & quali si debbono rifiutare.

Gio. Bat. Non si può fallare à pigliar sempre la foglia di quei mori, che si ritrovano ne i colli posti al Sole, ò ne i luoghi pietrosi, ghierosi, magri, sterili, & che habbiano anco sotto alle radici lontane le acque; percioche, quanto più questi arbori sono prossimi alle acque, ò che siano posti ne i terreni grassi, tanto più producono le foglie morbide, le quali non fanno la seta fina, & indeboliscono talmente i Cavalieri, che non è maraviglia poi se facilmente si amalano, & muoiono. Et però non sono da lodare coloro, che piantano i mori sopra le ripe prossime alle acque correnti, ò ne i siti paludosi, ò nelle possessioni, ò campi fertili; conciosia che quelle foglie sono la destruttione de’ Cavalieri, & assai volte, la total rovina de’ poveri contadini, che le hanno à pagare. Avvertendo che generalmente la foglia di mori vecchi è più sana à i Cavalieri, che non è quella di giovani.

Poi, non solamente si piglino sempre i mori che ho detto, ma più tosto anco quelli che fanno i frutti alquanto rossi, & neri (ancorche tra noi fin’hora ve ne siano pochi) perche questi producono miglior foglia che i paesani, per esser più minuta, & più soda. Vero è, che quando si potesse haverne de’ grandi, neri, in qualche copia, questi avanzarebbono tutte le altre sorti nel produr maggior quantità di foglie, le quali oltra che manterebbono molto robusti i Cavalieri, farebbono far loro anco la seta in tutta perfettione; ma bisognarebbe darli questa, & le altre sorti cosi quando si comincia à pascerli, come in tutto quel tempo che mangiano, altramente chi la cambia, non è maraviglia se quelli patiscono, & muoiono assai volte. Et perciò si doverebbono inestare i bianchi, mentre che sono piccioli, di questi neri à canello, & alla primavera, come apieno vi dissi il quinto giorno.

Vinc. Che opinione havete voi circa al tener netti i Cavalieri? Percioche vi sono alcuni che li nettano ogni dui, ò tre giorni, altri ogni settimana solamente, & altri non vi fanno altro fin che non hanno passato le tre, & quattro mute.

Gio. Bat. Ho sempre veduto lodare il tenerli netti, & massimamente dopo la terza, & quarta muta (havendo però gran rispetto nel maneggiarli) poi che questi animali si compiacciono più tosto di giacer sopra le tavole nette, dove sentono i buoni odori d’herbe, & di aceto ottimo, che di stare sopra lo sterco loro, che rende sempre puzza col tristo odore appresso del letame. Et che questo sia vero, gli eccellenti governatori, non pure spesse volte perfumano d’incenso, di lardo di porco, & anco di salciccioni posti su le bragie, i luoghi dove si tengono i Cavalieri, perche si allegrano molto, & si sanano quando sono infermi, ma ancora non sopportano, che alcun’odore cattivo vi entri, ò altre cose che rendano fetore. Ben’è vero, che son’in errore coloro, che dicono, che l’aglio i porri, le cipolle, & le altre cose di simili odori li rivocano; anzi che se ne compiacciono, quando massimamente i ministri cominciano à mangiarne, mentre che sono piccioli, & che frequentano di tempo in tempo.

Vinc. Lodate voi il tenere questi animali netti co i fogli di carta azzurrina, come alcuni pochi fanno sempre così?

Gio. Bat. Non è dubbio alcuno, che questo modo è più à proposito per nettarli d’ogn’altro: percioche, levando di foglio in foglio, dove sono i Cavalieri col letto sotto, & riponendoli sopra i fogli netti rimessi, si nettano quei sporchi, & si asciugano per ritornarli poi il dì seguente nel luogo di medesimi netti, che allhora saranno levati.

Vinc. Vorrei saper’ancora quante volte dormono questi Cavalieri, & quanti giorni stanno addormentati; & se si debbono levare gli altri che mangiano, & non dormono con seco nel medesimo tempo?

Gio. Bat. Perche tali animali non si mutano senon col dormire, però possiamo dire, che sempre dormono quattro volte, ilqual dormire dura più & meno, secondo che’l caldo punta, ò non; & che la foglia sia buona, ò morbida, ò altramente conditionata. Avvertendo, che quando dormono nella terza, & quarta volta, & che alcuni loro eguali non dormono con essi; come hanno mangiato una volta, ò due, chi non li levasse, & mettesse da sua posta senza mangiare sin che cominciassero à dormire (poi che alle volte stanno i dieci, & i quindeci giorni cosi) creparebbono tutti, innanzi che giungessero à sei, over’otto pasti: Ma essendovene de i minori, bisogna dar loro tanta foglia, quanta che possano vivere parcamente; fin che cominciano à dormire il loro tempo. Et questo disordine del non convenire tutti ad un tempo circa alle cose della loro natura, procede perche sono diversamente nati, quanto alla fortezza; & alla debolezza. Che se fossero poste le ova nel vino (come ho detto) ò in altro buon licore, non è dubbio che in un’istesso tempo, i buoni nascerebbono, dormirebbono, & andarebbono à fare la seta tutti di compagnia.

Vinc. Desidero parimente, che mi diciate, quando i Cavalieri sono in esser per partorir la seta, e non meno il modo che si tiene, per condurli à farla.

Gio. Bat. Fatta la quarta muta, cominciano dapoi tre giorni à mangiare ogn’hora più, fin che si veggono tralucere tutto’l corpo, & mostrare assai volte dalla bocca il filo di seta, c’hanno nel ventre; & quando sono per partorirla bianca, hanno il capo come d’argento; & essendo per farla gialla, l’hanno à modo d’oro; & più, essendo per partorirla verde, ò ranciata, l’hanno di quell’istesso colore. Onde, ritrovandosi benissimo satolli, si drizzano à cercar qualche cosa à lor proposito, per attaccarvisi, & ordirvi sopra di mano in mano la lor seta; serrandosi ciascuno nel suo bocciuolo; ò galetta, che à poco à poco formano in dui giorni, ò poco di piu. Et però allhora non bisogna esser lenti ad apparecchiare intorno alle tavole, delle scope, delle ginestre, delle felci, de i sarmenti di vite, de i rami di quercia, di castagna, & d’altre cose, che diversamente si costumano: ma che tutte siano sempre ben secche: perche altramente quando venisse pioggia, si rinverdirebbono, & danneggiarebbono simili animali con la loro humidità. Bisogna poi essere avertito di non abbandonarli mai allhora, fin che tutti non sono appoggiati alle dette frasche, per fare i loro lavori: percioche, tanto è il gran desiderio che in loro viene di allogarsi per lavorare, che s’infuriano di tal sorte nell’ammucchiarsi, che pare, che s’habbiano à suffocare: Et però non tanto bisogna aiutarli, che non cadano in terra, e cadendo non si manchi di riporli in qualche luogo à proposito (quando però non siano talmente offesi, che bisognasse più tosto gittarli altrove) quanto è necessario usar diligentia nel fare, che stiano spessi: atteso che si vede per prattica, che quanto minor numero son’insieme, sempre fanno maggior quantità di doppioni: Laqual cosa rende per certo danno assai: & massimamente quando ne fanno la quarta, & terza parte di tutte le gallette, e che si vendono malamente; come vi sono molti mercanti talmente astuti, che non li pagano punto più della metà di quel che fanno le gallette, benche ne vengano finalmente di utilità, come se non fussero doppioni.

Vinc. Quante hore, ò giorni tiene il Cavaliero per finire la galetta, dapoi ch’egli l’ha cominciata?

Gio. Bat. Alcuni vi sono che la fanno in due notti, & un giorno; altri in dui, & altri in qualche poco più di tempo, & questo avviene per rispetto, che uno sia più debole, ò più potente dell’altro, ò che sia per far la galletta più picciola, ò più grossa; over per cagion del freddo, ò del caldo che all’hora occorre. Onde, si come si sentono dentro lavorare tutti; cosi come cessano di farsi sentire, è da credere che l’hanno finita.

Vinc. Quanti giorni stanno à uscire della galletta, dopo che essi l’hanno compiuta?

Gio. Bat. Ordinariamente non vi è animale che esca più tosto di dieci giorni, ne che stia più di vinti. Et questo occorre, perche quanto più ritardano à venir fuori, è per cagion della galletta che si trova grossa, & dura, laquale non possono cosi forare, come fanno le picciole, & molli.

Vinc. Quali gallette si debbon pigliare, per tener perfetta semenza?

Gio. Bat. De’ quattro colori, che mostrano le gallette, si hanno per migliori i ranciati, & non cosi i gialli, & meno i bianchi, & verdi. Poi quanto al pigliar le semplici, ò le doppie, molti vi sono, che più tosto pigliano di queste, che di quelle; percioche dicono che vi è più utilità, non valendo di pretio le doppie la metà di quello, che vagliono le semplici; & anco essendovi dentro il maschio, & la femina, laquale perche si trova piena di ova, come sono usciti la mattina, subito si accompagna col maschio; & stata solamente due, fin tre hore seco, si leva il maschio, & si pone anco (chi vuole) con un’altra, & non più, per altro tanto tempo: La sera poi le femine partoriscono le ova sopra i panni bianchi di lino; ma meglio sopra i fogli di carta posti in piano su le tavole, ò in altri luoghi accommodati: perche non solo si possono metter’in luoghi sicuri, per l’anno seguente, secondo che di mano in mano sono caricati d’ova, come si fanno anco i panni di lino; ma con maggior facilità saranno distaccati col coltello, senza romperli in modo alcuno.

Vinc. Vorrei che mi diceste ancora, quante ova può fare ciascuna di quelle farfalle? accioche potessi divisare quante ne dovessi tenere, per supplir’à quella quantità che io havessi designato.

Gio. Bat. Ordinariamente ogni farfalla debbe partorire cento ova; onde non pure facilmente si può discorrere quanto numero se ne debba tenere, ma si conoscono ancora con facilità tutte le loro gallette, le quali sono tonde & non acute, come son quelle de’ maschi. Et però quando se ne tenesse, come sarebbono quattrocento, bastarebbe che vi fussero solamente ducento maschi; perche, come ciascuno fusse stato fin tre hore con la prima femina, si potrebbe poner (come ho anco detto) con la seconda, & non più, perche chi facesse altramente sarebbe gran danno delle femine, che guastarebbono tanto più le ova, quanto che vi stessero adosso; Oltra che à questo modo non si forarebbono le altre ducento gallette, come si farebbono quando si tenessero tanti maschi, quante fussero le femine.

Dopo che saranno scelte quelle gallette, che saranno migliori per conto della semenza, non si tardi di metter tutte le altre al Sole per farvi morir’i Cavalieri, che saranno dentro; & quando tardasse à morire per cagione de’ nuvoli, siano poste tali galette larghe in un sacco, e si facciano stare nel forno, subito ch’è cavato il pane non manco d’una hora, & un’altra dapoi nel sacco; & à questo modo si ritroveranno morti tutti.

Non si manchi appresso di far tirar la seta quanto più tosto si può; & quando non vi fusse ordine, siano poste queste gallette in luogo dove non sia polvere, ò almeno siano coverte benissimo; cavando parimente i doppioni, dalle semplici, accioche si faccia più bella seta. Ma sopra ogni cosa, siano pigliate le migliori maestre, che si possano havere; percioche, chi non fa tirar la seta da persona che non sia eccellente, non si può dire il danno che ne segue; come la prattica cel fà vedere in quelle, che la tirano talmente con ragione che la si vende più del quarto prezzo, & anco molte volte più del terzo: Senza che ve ne sono di quelle che la tirano alla Bolognese per fare di veli sottilissimi, la quale rende maggior’utilità di tutte le altre sete.

Vinc. Perche mi sono scordato di domandarvi se è bene à sciegliere una sorte di Cavalieri, più tosto che l’altra, per ponerli poi separati da gli altri à far le gallette della miglior semenza, io vi prego che mi diciate s’egli è cosa ragionevole da tenerne conto, ò nò.

Gio. Bat. Non è dubbio alcuno, che tutte le persone giudiciose, non solamente scolgono i più grossi animali, & da quelli i più neri, poiche quelli si hanno per li più forti, & che fanno miglior semenza di tutti gli altri; ma ancora pigliano due volte femine più de’ maschi, & le pongono in un sol luogo, accioche sappiano quali sono le loro gallette. Et quanto poi al sapere quali siano le femine, & quali i maschi, si conoscono benissimo à i segni che hanno nel luogo proprio, quando havessero gli occhi, che paiono come ciglia; percioche le femine le hanno più sottili, & manco neri di quel che hanno i maschi.

Vinc. Perche sin’hora non mi havete detto quelle che più importano per sanar i Cavalieri ammalati; mi farete cosa grata à narrarmi quei rimedii, che sapete, per liberarli dalle infirmità, che li conducono à morte.

Gio. Bat. Bisogna avvertire, che i luoghi dove si tengono siano bene accommodati (come vi ho detto) & non mai humidi, ò sporchi di lordezze, overo posti sotto à i tetti de’ semplici coppi; percioche, si come da questi sono offesi nella notte da i venti, & da i freddi; & poi nel giorno dal caldo potente de’ raggi solari, che facilmente penetra; cosi in quelli pavimenti, è quasi impossibile, che possano durare se non poco tempo.

Poi, lasciando da parte le regole, che si debbono osservare nel tenere netti questi Cavalieri, & nel darli la loro pastura, ò l’aere dell’austro, della tramontana, & delle altre parti secondo che bisognano; dico che quando pur si ammalano per cagion del freddo (come il più delle volte avviene) non solo si debbono tener ben chiusi tutti quei luoghi, & portarvi delle bragie di fuoco senza fumo, & poner’in quei vasi dell’incenso, del lardo di porco, ò più tosto de i salciccioni tagliati in fette (poiche di questi odori si compiacciono talmente, che si restaurano in un subito) ma ancora si ricuperano grandemente, spruzzando lor’adosso della malvagia, ò dell’acqua vita, over gittandoli nell’aceto perfetto (essendo però grandi) & levandoli poi fuori da quei vasi subito. Onde, si come sono aiutati da queste cose calde, & odorifere, quando patiscono per soverchio freddo; cosi poi si rinfrescano se sono spruzzati d’acqua rosa, quando sono infermi per cagion del troppo caldo. Ma ritrovandosi ancora di mala voglia, per haver mangiato troppo; si sanano molti col farli stare tre, ò quattro giorni senza ricever pastura alcuna. Vero è, che essendovene di colore livido, giallo, & spiacevole, ò che piscino un certo humore, che li fà bagnati, & lassi bisogna subito levarli da gli altri; & trarli fuor del luogo; & portare i sani la mattina innanzi al levar del Sole, all’aere per tanto spatio di tempo, quanto si direbbe un miserere, ò poco più; & poi ritornare quelle tavole al loro luogo, lequali mentre che si nettano all’hora, siano spruzzate di buon’aceto, & dapoi fregate di herba buona, & assentio insieme. Oltra che si può darli anco l’aere, & sentir’il vigor del Sole (ma che non siano toccati da i raggi suoi) quando le finestre di quel luogo, siano talmente commode, che essi possano goder’il venticello, che la mattina frescamente tira.

Vinc. Perche io mi ritrovo haver qualche numero di mori nel mio suburbano, & nella possessione di Pompeiano, in modo che alcune volte non trovo che voglia pagarmi la foglia, & non posso tenere cavalieri che la mangino, per non haver tanta servitù in casa, come vi vorrebbe à nodrirli: mi sarebbe caro, se mi mostraste qualche via nuova, per la quale io ne potessi cavare honesta utilità.

Gio. Bat. Voi potreste imitare alcuni nostri Gentil’huomini, i quali, perche hanno grandissima quantità di mori, per minor fatica di tener Cavalieri, & per maggior’utilità, che non è l’affittare simili arbori, danno à diversi contadini tutta la loro foglia: & quelli vi pongono solamente la semenza, & le fatiche che vogliono à pascer gli animali, & nodrirli sin che hanno fatte tutte le gallette, & partire per metà. Et questo è un’honesto partito per noi patroni, & per essi lavoratori. Percioche, si come caviamo più danari dalla metà delle gallette, che non habbiamo dall’affitar’i mori; cosi essi non possono perdere senon le fatiche de gli ultimi giorni, le quali sono di minor danno assai, che non è il pagar la foglia, per voler guadagnar la metà, & che alle volte si ruinano, quando i Cavalieri sono pericolati.

Certamente che ogni Cittadino, che habbia somma di mori, doverebbe haver’ogni anno qualche quantità di gallette in casa: percioche potrebbe cavare non solo da gli stracci, ò stopella diversi fornimenti colorati di letto, & molti adobbamenti di casa, & con poca spesa: ma ancora con gran vantaggio potrebbesi fornire di più panni fini di seta per vestire se medesimo, & tutta la famiglia: poiche questa città ha cosi bella dote di fare si lustre tinte, e specialmente veluti neri, che stanno al pari di quanti siano più belli in Milano, in Genova, & in Perugia. Laonde dobbiamo ringratiare grandemente il signor’Iddio, il quale fra i tanti doni speciali, ch’egli ci ha dati per sua infinita bontà; ci ha anco nuovamente dotato di questo cosi utile della seta, laquale cresce talmente di anno in anno in quantità, & in bontà, che s’inanimano molti Maestri eccellenti à piantare diversi telari, per la seta nostra che abonda, & per le acque che crescono loro si grande beneficio.

Vinc. Mi resta domandarvi, quanta foglia possono mangiare i Cavalieri nati da un’oncia di semenza, & quanta seta devono produrre.

Gio. Bat. Ordinariamente i Cavalieri nostri, ò di semenza Spagnuola, mangiano nove, e dieci pesi di foglia, che sono fin duecento cinquanta libre; & producono otto, & nove, & alle volte sin dieci libre di seta; ma se sono de’ Calabresi (per esser più grossi) mangiano undici, & dodici pesi di foglia, & fanno anco undici, & dodici libre di seta, per ogni oncia di semenza.

Vinc. Desidero saper’ancora, quanta seta si deve cavare da vinticinque libre di gallette.

Gio. Bat. Dalle nostre paesane, per l’ordinario, se ne cava un’oncia per libra; ma se sono della semenza Calabrese, si cavano fin’oncie tre.

Vinc. Dapoi che resto satisfatto di quanto vi ho domandato, sarà bene che facciamo fine al nostro parlare, & che dimane io ritorni anco da voi.

Gio. Bat. Tante volte quante ritornarete, voi sarete sempre il ben venuto.

Il fine della XVI. giornata.

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