Una stella in fronte

La spiaggia spumeggiava di bimbi e la folla adulta, sparsa un po’ per tutto sulla sabbia, era trascinata, piano piano, verso quel risucchio affascinante di onde laminate e di risa, che emanava una dolce e serena frescura.

Sulla piattaforma i tavolini del caffè erano oramai deserti. Vi si attardavano poche ombre: forse passeggieri silenziosi per l’imminente addio, o ammalati, o stanchi, o filosofi: spettatori malinconici. C’era anche un bimbo, aggrappato al parapetto come alle sbarre di una prigione; reggendosi egli su una gamba, agitava l’altra e le braccia nel vuoto azzurro, sul mare, che, dal basso lo invitava gorgogliando.

— Ti dico di stare attento a non cadere!

La mamma era bella, quasi giovane, elegantissima. In un tavolino accanto un uomo, quasi giovane, quantunque brizzolato alle tempia, non si stancava di guardarla. Ma il modo non offendeva la donna, non la infastidiva. Si vedeva che quell’uomo guardava lontano, non lei, ma sè stesso, nei propri pensieri, lontano, nei propri ricordi. Con la grazia accorta delle donne ella sorvegliava il curioso signore con brevissimi, ma intensi sguardi striscianti e attendeva che egli si risolvesse, finalmente.

— Bada a non cadere!

— Anche se cado, non mi faccio male; cado nel mare.

Il bimbo, benchè forte e sano, appariva pensoso. Obbedì: non agitò più le gambe e le braccia nel vuoto; spinse il visetto fra due sbarre e immerse i suoi puri pensieri lontano.

— Mamma, ce ne sono qui, di sirene?

— Certo; nel mare ce ne sono sempre.

— Voglio vederne.

— Vengono qui soltanto quando tutti dormono, per dormire; oppure bisogna andare molto lontano, in alto mare e con una barca grande.

— Allora?

La mamma cominciò a impazientirsi.

— Allora taci. Sta’ attento: vedi quelle nuvole! Guarda laggiù, forse ne vedrai qualcuna.

Il signore sorrise.

Anche la signora sorrise.

Sulle labbra del signore oscillò una domanda.

La signora impazientì di curiosità.

Finalmente il signore parlò.

— È bellissimo il mare questa sera.

La signora lo guardò in faccia, per nulla commossa dalla profondità di quella osservazione, ma il monosillabo altrettanto intelligente che stava per uscirle dalla bocca, svanì, soprafatto da una sorpresa. Pensò:

— O dove ho conosciuto questo signore?

E rimasero immobili, per un momento, a leggersi in volto la domanda:

— O dove ci siamo conosciuti?

La situazione diveniva intollerabile.

Il signore si alzò dal suo posto e si avvicinò:

— Scusi, signora, scusi tanto la mia indiscrezione...

— Prego. Ho pensato che lei avesse qualche buona ragione per...

— Per guardarla con tanta intensità? Infatti: anzi tutto la sua grazia. No, no, mi permetta... Poi, poi... ecco: a me pare di averla conosciuta un’altra volta, ma per quanto io cerchi nei miei ricordi, non riesco... Lo so: lei mi dirà che tutto ciò non è gentile, ma ho una giustificazione.

— Voi altri uomini le avete sempre pronte...

Questa proposizione formulata e pronunciata con la scorrevolezza della abitudine, fu come una lucciola nelle tenebre mnemoniche dell’uomo, che si fermò un momento perplesso. Ella se ne avvide e arrossì un poco. Non di vergogna.

— Dunque, dicevo, ho una giustificazione ed è precisamente questa: poi che ho viaggiato molto, le figure e le persone che ho incontrato nelle mie peregrinazioni, si confondono tutte in una nebulosità, che alle volte sembra patologica. Forse si tratta di amnesia.

— Così che lei non ricorda...

— Ecco. E dopo avere tentato disperatamente, ma invano di dissipare le nebbie, ho pensato che la sua guida mi sarebbe stata certamente utile e preziosa.

— Allora, guidiamoci insieme. Anche a me accade, ciò che accade a lei. Anch’io ho viaggiato molto e mentre lei parla ed ascolta, io la guardo cercando di dissipare le stesse nebbie.

— Vediamo un po’, allora. Ho due ore di tempo prima della, partenza del mio treno. Lei ha pranzato?

— Sì.

— Anch’io. Si può dunque ordinare un caffè.

— Grazie. Il piccolo preferisce un gelato.

— Benissimo. Che fa il bimbo?

— Lo lasci stare. Aspetta le sirene dal mare...

— Poverino. Anch’io ci credevo. Poco, ma ci credevo.

— Si crede a tutto quando si è bambini, non sempre poco, ma ci si crede.

— E si sta meglio... Cameriere, due caffè e un gelato. Per ritornare a bomba, signora, credo che sia necessario andare per ordine. Ecco: abbiamo un elemento comune nella nostra vita: quello di avere viaggiato molto. Incominciamo a dare un’occhiata alla carta geografica. Ma prima permetta signora: Giovanni Baldera....

— Piacere. Mai sentito nominare. Margherita Martei.

— Fortunatissimo. Anch’io, lei, non l’ho mai sentita nominare. Scusi sa...

— Prego prego, fate pure. Oramai...

Anche il voi! Un’altra lucciola nelle tenebre. Eppure non si direbbe!

— Per cui, cara signora (come era facile questo confidenziale vocativo!) ritorniamo ai viaggi. Siete mai stata a Milano?

— Sì: dal millenovecentonove all’undici.

— Niente. Me ne andai l’anno prima. A Roma?

— Sì: dal mille – aspettate – novecento tredici al quindici.

— Niente. Palermo, Messina, Napoli, Firenze, Modena...

— Niente, niente. Ma all’estero?

— Avete ragione: Parigi, Barcellona, Madrid, Algeri, Tripoli – viaggio in coloniali – Cairo, Costantinopoli...

— Niente: ma e Cuba, Santos, Portorico?...

— Anche lei in coloniali?

Il cameriere giunse con i caffè e il gelato.

— Vieni, Cici, vieni a prendere il tuo gelato.

Il bimbo si avvicinò al tavolino con un sospiro, seguito subito dopo da un lampo di gioja nei grandi occhi. Il signore gli fece una carezza.

— Come ti chiami?

— Cici.

— Ma no: è un sopranome questo...

— È bello: me lo ha dato la mamma. Io mi chiamerò sempre così.

— Siediti.

— No: vado là un’altra volta perchè voglio vedere...

— Ma sciocchino, non vedi che il mare è quasi nero? Oramai è inutile aspettare.

— No, no: mi hanno detto che si vedono anche di notte, perchè hanno una stella in fronte.

Poi senza più dar risposta, se ne tornò al suo parapetto col piattino del gelato in mano.

— Brucia questo caffè.

— Brucia.

I due si diedero a mescolare il caffè con una grandissima attenzione. La spiaggia era silenziosa. Tutta la natura attendeva con raccoglimento la risoluzione dell’enimma.

Ella a un tratto alzò gli occhi sul suo cavaliere e disse:

— Saint-Moritz.

Egli pensò un momento.

— Già, sicuro. Saint-Moritz: millenovecentocinque. Aspettate, aspettate. Voi vi chiamavate allora...

La donna interpunse con un risolino stridente:

— Ho più memoria di voi. Ricordo bene che voi vi chiamavate Baldo Baldini... almeno con me.

— Ecco: voi invece Lucia Maury.

— Beviamo perchè diventa freddo.

Il bimbo urlò:

— Mamma, mamma, eccole, eccole, io le vedo, vieni a vederle!

Poi tacque. Si vede che non ebbe il coraggio di confessare la delusione e di uccidere la speranza con un grido di dolore. Non insistette nell’invito, ma, ostinato nel capriccio della sua fantasia, non si mosse.

— Sono passati molti anni. Vi si riconosce a fatica. Siete sempre bella...

— Come siamo ridicoli, oramai con questo «voi»!

Egli restò perplesso. Troppe lucciole, troppe! Oramai ci si vedeva benissimo.

— Hai ragione – disse poi. – Bei tempi.

— Bellissimi, ma sto meglio ora.

— Di salute? Anch’io. Ricordo che ero con mio padre. Aveva anche lui un romanzetto grave, là su: il baccarat. Tu eri con tua zia.

Una risata.

— Mia zia!

— Insomma, quella vecchia megera che era con te, passava per tua zia.

— Era, era. Ridevo pensando che, allora, non mi ero – come dire? – lanciata nel mondo...

— Io mi ci ero soltanto incamminato. Però capivo fin da allora che sarebbe stato così.

— Anch’io. Posso dire di non avere avuto le disillusioni che hanno tutte le ragazze.

— Avevi una certa faccia falsa!

— E tu? Parevi uscito dall’asilo infantile. Parevi, perchè in realtà era tutt’altra cosa.

— Posso offrirti una zigaretta? Brava. Mi ricordo che cominciai appunto con l’offrirti una zigaretta. Eravamo, mi pare, al Kursaal. Tu, se non erro, sedevi a canto a tua zia.

— Già. Poi mi seguisti all’albergo e io venni al terrazzo... o no?

— Sì, sì. Io tornai dopo due ore, quando tua zia dormiva; mi pare di ricordare bene... Mi pare anche di ricordare il bacio che ci siamo dati all’uscita del parco prima di sgattaiolare in quella casa dove restammo, se non erro...

— Sicuro, sicuro. Perchè mi desti un nome falso?

— Per far più dolce il sapore romanzesco. E tu?

— Per non avere impicci.

— E che cosa pensasti la mattina dopo, e il giorno dopo e i giorni dopo quando non mi vedesti più?

— Mio caro, a niente. Pensai che eri partito. Poi c’erano le gare di sky...

— È vero. Io andai a Milano.

— E non pensasti più a me?

— Figurati! Avevo un monte di cose da fare... Poi mi diedi al pocker...

— Bello, ma stanca.

— Anche la vita, questo gran pocker, stanca... Sai che cosa mi viene in mente?

Egli perseguiva un pensiero piacevole e curioso sorridendo.

— Dimmi, dimmi.

— Mi viene in mente che tu sei stata il mio primo amore, il primo vero amore.

La donna rise scoprendo la gola bianchissima.

— Davvero? Senti, confessione per confessione: anche tu...

— Toh! E perchè non me lo dicesti?

— Perchè mi vergognavo.

— Anch’io mi vergognavo. L’unica volta anzi che ho provato questo sentimento.

— Ma guarda, ma guarda...

Un silenzio. Il mare deserto, sotto un cielo senza stelle pareva un immenso coagulo di bitume, che respirava un ardore penoso nell’aria sciroccale. L’infinito era così vicino che si toccava con la mano, ma – o gran virtù dei sogni! – il bimbo attendeva con fiducia. Cantarellava, anche: il mare muto, il cielo muto parevano ascoltare stupefatti e pacati il canto della sua pura speranza.

— Comincia a farsi tardi.

— È vero: e poi, fra poco, debbo partire.

— Entriamo in città?

— Andiamo. Dammi il braccio. Grazie. Vieni, Cici.

Dopo pochi passi egli aggiunse:

— È un bellissimo caso.

— Vero?

— Ma, dimmi un po’: non era proprio la prima volta...

— Ecco, vedi... proprio la prima... capirai... per quanto sia... Del resto anche tu, se vuoi essere sincero...

— Anche questo è vero. Oramai la prima volta non esiste più in nessuna cosa...

Ella ebbe un dolce abbandono nella voce:

— Vai proprio via?

— Sì, parto, diavolo!

— Così?

— Mia cara: è dimostrato un’altra volta che chi non muore si rivede. Dunque...

Sentirono di essere volgari, comuni. Vollero imbellettare il loro pallore con un pizzico di filosofia realistica. Egli disse:

— Un romanziere, dovendo descrivere questo incontro singolare, chi sa che tumulto di passioni, di nostalgie, di sogni dileguati avrebbe escogitato! Invece niente...

— È così, è naturale: ci si rivede, ci si riparla...

— Ci si saluta. Altro che storie! La vita!

Cici che camminava innanzi due passi, si volse bruscamente

— Mamma, quando sarò grande voglio sposare una sirena con una stella in fronte.

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