13. – La resa di Berg op Zoom.

Perchè dal punto di vista politico le canzoni e le... manifestazioni fisiologiche di quel ragazzo – che era in quel momento qualche cosa di più e di meno di una libera individualità, ma una sintesi, un simbolo – non mi preoccuparono gran che: il popolo italiano, come popolo, difficilmente può fare una rivoluzione. La sua mentalità, per eccellenza frammentaria, non arriva più in là della scaramuccia, nella quale egli esaurisce volentieri le sue forze ideali e l’istinto romantico dell’avventura. Poi si ferma e attende saggiamente gli eventi.

Ci sono i partiti politici che dovrebbero rappresentare la quintessenza delle possibilità nazionali, il cogito ergo sum, anzi l’ago ergo sum della vita del paese in tutti i suoi aspetti. E sono molti. Molti gli aspetti e moltissimi i partiti che la coscienza individuale, portata al parossismo dalla civiltà moderna, tende a moltiplicare. (Tienmi in mente che a questo proposito devo scrivere, anzi parlare un altro capitolo). Ma semplifichiamo.

Dal punto di vista delle riforme i partiti si dividono in evoluzionisti e rivoluzionari – immanenza o trascendenza? Mah! – ma accade questo, in Italia: i rivoluzionari dicono:

— Bisogna ottenere una grande e compatta concordia, per realizzare l’urto che schianta.

Gli evoluzionisti dicono:

— Bisogna ottenere una grande concordia, per arginare l’urto ed evitare lo schianto.

Tutti sono persuasi che, prima di incominciare a muoversi, bisogna ottenere questa unità. E da ogni parte, per ottenere la unità, si letica.

Andando a casa tutto solo nel silenzio della notte, mi scopro sovente a bisticciare, per mettermi d’accordo con me stesso. Arguisco che, se questa convulsiva fase evo-rivoluzionaria dovesse spezzarsi definitivamente in una rivoluzione, le cose probabilmente andrebbero in modo ben diverso da quello che non pensino i semplicisti. Non si può assolutamente prevedere che cosa sarà questa rivoluzione: può anche darsi che incominci con uno sciopero dei camerieri e con un atto di energia del ceto medio.

E chi avrebbe potuto prevedere che, con tanta fretta, i socialisti sarebbero diventati dei conservatori, degli amanti dell’ordine e delle istituzioni, dei difensori delle autorità costituite... da essi stessi? Eppure essi confessano di essere ancora ben lontani dalla Russia! Mistero!

Però – già, si dice sempre così – io me la sentivo, per certi segni.

Ricordi? Tutti si erano messi in testa che la rivoluzione socialista dovesse venire a ora fissa, a scadenza determinata, come un matrimonio o una cambiale qualunque. Si stava tranquilli tutto l’anno, fra una scaramuccia e l’altra, ma quando arrivava il primo maggio non si vedeva l’ora che venisse il giorno dopo, per poter dire «No, non abbiamo fatto la rivoluzione.» E, bada, non si trattava di una convinzione arbitraria, creata nel cervello meravigliosamente ipocondriaco dal ceto medio dalla paura delle scocciature rivoluzionarie. Ma che! Era una strana speranza del popolo rivoluzionario che, la sera del trenta aprile sorrideva ammiccando con mistero e la sera del primo maggio non sorrideva più senza accorgersi che i suoi Robespierre si giocavano di lui sfogliando un calendario.

Già, perchè lo sapevano anche loro, i Robespierre, che i grandi avvenimenti della storia, come le cannonate, non scoppiano mai due volte nello stesso luogo. O pensa alla vittoria italiana: Vittorio Veneto ci capitò inaspettatissima – come data, non come fatto – un giorno che pioveva e che non aveva proprio nessuno carattere di particolare dignità a giudicarlo così, ad occhio e croce. Ora, sull’alba del primo maggio, festa del lavoro stava scritto a caratteri cubitali e internazionali la fatidica parola «Occupato». Ciò significa che la rivoluzione o è scoppiata prima o scoppierà dopo, o – può anche darsi questo caso – non scoppia più. Una volta ammesso che i rivoluzionari cercavano il giorno adatto, si fa presto a capire come fu veramente che la rivoluzione la incominciarono coloro, che non ci avevano mai pensato.

Perchè il cinque maggio, ad esempio, è l’anniversario della morte di Napoleone e senza dubbio sull’affascinante imperatore vigila un destino benigno che vieterebbe certamente in quel giorno qualsiasi avvenimento che fosse capace di affiochire, anche di poco, la face che la storia accende sulla tomba dell’Eroe.

Il giorno 9 – vedi l’utilità del calendarietto dei Robespierre? – 1849: «Muore in esilio, il signor Lo Piparo». Andiamo avanti: «10 maggio 1919: il professore Impallomeni scopre il bacillo della febbre spagnola. 11 maggio 1230 Fra Bonvesin da Riva scrive la sua ultima poesia in volgare». Come vedi, siamo a cavallo per qualche giorno. E andiamo innanzi, fatti più tranquilli dall’austera fidanza della storia, mentre gli alti dignitari del fu rivoluzionarismo italico fanno la corte alla vecchia borghesia, imbellettata di fresco, sfogliando un calendarietto profumato: cercano palpitando la data della Resa di Berg op Zoom.

Share on Twitter Share on Facebook