15. – La sala discreta.

E dire che tutto questo groviglio di pensieri, di interessi, di passioni trova un bel giorno, – un giorno che non è nel calendario degli uomini – un’improvvisa soluzione. Ne vuoi un esempio? Pensa che in Germania la rivoluzione incominciò con uno sciopero di camerieri. Non ridere. Prima di tutto è vero: in secondo luogo non si debbono mai giudicare leggermente le mosse dell’aristocrazia del proletariato. Tre sono le categorie aristocratiche dell’organizzazione proletaria: i tipografi, depositari della coltura: i barbieri, depositari dell’attualità palpitante: i camerieri, depositari della mondanità. È evidente che i loro rispettivi movimenti sociali hanno un carattere che li distingue dai movimenti della grande massa pecorina. I camerieri, per esempio, non potevano fare che una questione di forma e di dignità. Così fu. Per due sillabe fu sconvolto l’ordine sociale teutonico: «grazie».

Due sillabe che i camerieri hanno voluto estinguere per sempre nel loro vocabolario: la classe non vuol più dire: grazie, non vuol più umiliarsi all’elemosina della mancia, forse anche perchè la mancia, dato il caro viveri e il caro bibite andava facendosi un tantinello più magra; non si vuol più servire. I servi sono scomparsi: non ci sono più che dei lavoratori. È un senso di dignità umana che il socialismo ha il merito di avere volgarizzato a tutte le coscienze, in tal modo che oggi, dico, non ci sono più servi. Il male è che ci sono soltanto dei padroni. Ma lasciamo andare. Questione dunque di forma, di apparenza; questione di dignità.

In Germania la santità della causa non fu subito riconosciuta. I proprietari chiusero i loro negozii, i camerieri invasero le piazze e dietro le loro falangi in frack, si sollevarono, come una scia torbida, i rifiuti di tutte le inquietudini, di tutte le miserie. E venne la rivoluzione.

Per due sillabe.

Non è vero che anche senza le due sillabe la rivoluzione sarebbe avvenuta. Non si sa che cosa sarebbe avvenuto, se non fosse avvenuto quello che è avvenuto. Quelle due sillabe per il solo fatto che hanno dovuto essere registrate dalla storia, dimostrano di aver avuto per un attimo, in quel luogo e in quel tempo, un’energia che, piccola o grande non importa, ha dovuto pesare in modo essenziale nell’economia di tutta una situazione politica. Dunque, amico mio, convinciti che se non c’erano quelle due sillabe, il mondo teutonico, avrebbe finito per roteare sopra un’altra elittica.

In Italia non è avvenuto? Non vuol dire.

Intanto in Italia c’è più allegria.

Di fronte alle agitazioni dignitarie dei camerieri, si è sempre ceduto e le cose sono andate in un altro modo. E si è avuto torto. I padroni hanno detto: «Volete il 15% sull’incasso? Accordato. Fate pagare le consumazioni il 50% di più».

I consumatori hanno pensato che la dignità di uomo in frack costa assai cara, ma hanno chinato la testa e hanno pagato.

Il cameriere non ha detto grazie, e ha fatto male, perchè era invece il momento di dirlo.

Ma, insomma, la questione morale è risolta.

Si potrebbe obbiettare che è assai più immorale una mancia imposta a questo modo, che una mancia liberamente data, ma la colpa è dei camerieri per il 15% soltanto e dei padroni per l’abbondante resto: e poi nessuno fa di questi cavilli, specialmente di fronte e certi prezzi! Non si ragiona più: o si paga o si muore di accidente!

Il male piuttosto è qui: è nel fatto che tanto i camerieri dei grandi caffè – i quali risparmiano molti grazie ma perdono discretamente sull’incasso quotidiano – quanto quelli dei piccoli caffè, per ragioni diverse, di malcontento economico o di insoddisfazione... morale, non si sentono più camerieri, ma clienti del pubblico. E come il vetturino ti risponde: – Caro signore, io vado a nord, se vuol venire con me... – anche se tu avessi la pazza voglia di andare precisamente a sud – così il cameriere un bel giorno, con fare détâché – se di grande «esercizio» – o con modi orgogliosetti – se di piccolo – ti porterà un punch al rhum, anche se muori di sete o l’amarena coi frutti anche se hai male di stomaco. E sarai veramente poco chic, se dopo aver consumato, non saluterai il signor cameriere, con quel maledetto grazie, che stava sullo stomaco di una classe evoluta e cosciente, comprimendola al suolo della pubblica buona grazia.

In Italia, insomma, la questione si è risoluta col sacrificio accettato con cristiana rassegnazione dal consumatore, che ordina un caffè bollente, ma è disposto anche a bere una birra gelata, se il cameriere gliela impone; e le due sillabe tragiche non hanno mutato nulla. Ma sta di fatto che basta una parola sola, magari vuota, per risolvere le più tragiche situazioni.

Vuota la parola grazie, non la parola dignità quantunque, senza uscire dal caffè, e senza abbandonare l’argomento, io potrei, se ti piacesse, narrarti un fattarello... Una cosa da nulla, come tutte le cose che si raccontano e che si stampano ai nostri giorni.

Eravamo in tempo di battaglia elettorale. La città era indecorosamente tappezzata di manifesti di ogni colore e di belle parole di ogni fede. Io e molti uomini di provincia come me, non avevamo più pace.

La cercai una sera in una discreta sala di un caffè centrale, dove sarebbe stato certamente dolce – mentre, accanto, la sala principale risuonava di suoni confusi nel vaporare delle miasmatiche esalazioni di cento bevande, di cento respiri, di cento pipe – fermarsi un poco con tre amici sulla vicenda di una democratica e tranquillissima scopa. Volgare, se vuoi, ma tranquillissima.

Le cose andarono bene fino al re bello – dove ti rifugi in certe ore apocalittiche o augusta maestà regale? – cioè fino alla vittoria, naturalmente del mio avversario. Chiamo il cameriere e pago. Tanto? – non specifico per amore di verosimiglianza – tanto; non un soldo di più. Il cameriere conta, riconta, intasca e mi guarda. Hai mai notato come guardano i camerieri del caffè, quando non sono soddisfatti?

Dico: «La nobile ed elevata classe dei camerieri ha giustamente intrapreso e compiuto e vinto, or non ha guari, una vigorosa campagna di liberazione contro i vincoli ignobili della mancia, la quale... per cui, signor cameriere non gliel’ho data».

Il cameriere non rispose. Mi additò solennemente un cartello attaccato ad uno specchio: In questa sala è ammessa la mancia. Avrei potuto osservare che la notizia mi interessava fino ad un certo punto perchè se nella sala si ammetteva, nel mio borsellino, non si ammetteva. No, mi limitai a dire:

— Non avevo veduto.

— E dire – rispose con un luminoso sorriso il lavoratore dell’espresso – che è attaccato allo specchio.

Vanitas! Ecco due lire. Sicuro. Per non discutere. Avrei potuto domandare al cameriere che differenza passasse, nei rispetti della dignità della classe, fra la sala principale e la sala discreta dove si giuoca a scopa. Avrei potuto dire... Ma lasciamo andare. Ci sono due categorie di lavoratori coi quali non si può discutere: i camerieri perchè ti dànno sempre torto e i barbieri perchè ti dànno sempre ragione. Sarebbe stato capace di osservare, il lavoratore dell’espresso, che non solo a scopa si giocava nella sala discreta, ma anche a faraone. E allora? Se fanno schifo i clienti, che cosa debbono fare i camerieri? Giusto: ha ragione lui.

E poi, perchè discutere? Bisogna, nel giudicare gli uomini e le classi, essere dotati di un acuto spirito di osservazione per sapere inquadrare gli uni e le altre nell’organismo della realtà. Dignità, nobiltà, tutte bellissime cose, ma astratte. Sono come le leggi fisiche: vere, ma inesatte. Tra l’enunciato del problema e la sua attività è sempre una differenza inafferrabile, imponderabile, che non basta a smentire la legge, ma è più che sufficiente a dichiararla inesatta. Dunque giudichiamo gli uomini e le classi, tenendo conto che essi non sono dei teoremi, ma dei fenomeni, cioè mettendo sulla bilancia del nostro giudizio anche quella entità imponderabile, inafferrabile, che, come la scienza dimostra, è anche indispensabile alla esatta concezione della realtà.

E poichè eravamo in tempo di battaglia elettorale, lasciami fare un po’ di pessimismo. Ecco. Quando uno è stato al caffè, ha giocato a scopa nella sala discreta, ha perduto la partita, ha chiamato il cameriere e dopo un breve ed eloquente scambio di occhiate, ha pagato al medesimo anche la mancia, non ha più nessun bisogno di essere illuminato sulla possibilità delle astrazioni programmatiche dei partiti.

Sulla porta d’ingresso, dai sesquipedali manifesti, c’è qualcuno che chiama e sorride:

— Entrate! Costituente, disarmo, decimazione della ricchezza, la legge è uguale per tutti...

Oppure:

— Entrate! Chi non lavora non mangia, tutti debbono mangiare, tutti hanno uno stomaco e per conseguenza un intestino e per conseguenza... tutti sono uguali...

Entrate, dunque. Sala principale rumoreggiante di suoni confusi, vaporante di profumate evanescenze sentimentali. Ti fermi soddisfatto. Nessuno ti dice niente, ma se guardi bene scopri nella topografia dell’etereo locale una saletta nascosta: la sala discreta. C’è sempre; non si sbaglia. Puoi entrarci. Ci troverai un cartello attaccato ad uno specchio perchè tutti lo vedano, specialmente le signore e i giovani di mondo: In questa sala è ammessa la mancia.

In quella sala si gioca.

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