21. – Salvaggiume.

E questo è ancora nulla, mio caro. Per non uscire dalla fisionomia particolare di quelle che furono le nostre masse ti dirò che io ho assistito a dei fenomeni di salvaggiume.

È una parola strana, ma efficace, trovata da un grande comico siciliano, Angelo Musco, per significare qualche cosa che sta fra il barbarico, il primitivo, l’ingenuo e l’imbecille. Esempio: un paese nel quale alle donne sia vietato di uscire sole, per rispetto alle male lingue; dove un uomo che per un nonnulla minacci di uccidere, di sgozzare, di rovinare, mettendosi con tutto questo in una posizione ridicola; o dove una famiglia conservi ancora gli usi e i costumi di un secolo fa, per puro amore di tradizione, e magari non risponda più nelle intenzioni e nei sentimenti alle idealità, che quelle tradizioni crearono: questo paese, questa famiglia, questo uomo dimostrano «salvaggiume». Angelo Musco tornando al suo paese nativo, gonfio di «aria del continente», trova che al suo paese, dove una donna non può fumare, nè giocare a biliardo, c’è molto salvaggiume, e ride. Ridiamo anche noi quando andiamo a vedere tutte le «cavallerie rusticane» che ci sciorinano violentemente sotto l’anima, le compagnie napoletane e siciliane che fanno sul serio del teatro di colore. Ridiamo per la stessa ragione, e in questo riso è moltissimo orgoglio e moltissimo compatimento per il prossimo infelice più che colpevole.

Umiltà, amico mio. Ed eccomi ai fenomeni che potrebbero essere avvenuti in un paese antico, in un continente antico, in un’antica civiltà.

Esiste una città nella penisola italica – appendice sempre in convulsione della vecchia Europa – nella quale i partiti politici e le riforme sociali, più rapidamente che altrove, seguendo uno sviluppo vertiginoso di perfezionamento, raggiunsero il colmo della pienezza spirituale, il sommo della luce. Al punto, ti dico, che quasi soli in Italia, gli abitanti di quel paese auspicarono all’evento della «sistemazione soviettista alla russa», la quale, come tutti sanno, è l’ultimo risultato del benessere sociale ed economico; la più perfetta realizzazione della libertà individuale e della prosperità collettiva. Era in ciò ragione di grandissimo vanto per i dotti di quel paese, i quali dichiararono di avere finalmente spazzato via, dalle strade della città e dai cervelli della povera gente, tutto quello che sapesse di tradizione; di avere finalmente battuto in breccia le ultime falangi del romanticismo coreografico tricolore. Non so se prima la povera gente conoscesse o no l’alfabeto: è certo che poi lo conobbe al punto da leggere i giornali più dotti, nelle nuove dottrine progressiste. Tutte le volte che compariva un giornale vecchio-stile o un uomo che da quel giornale dissentisse, si udiva gridare da ogni parte, perfino dai tramvieri: «salvaggiume!» o qualche cosa che diceva lo stesso.

Come si stava bene, in quel paese, allora! Pareva – senza quasi esagerare – di essere in Russia! Un giorno un testimonio oculare andò al Cimitero della città, ancora splendido di tutto un salvaggiume superato, per visitare i morti, i fratelli morti, gli amici morti, gli sconosciuti morti che fa lo stesso, perchè tutti i morti, una volta, erano fratelli di tutti i vivi. E vide – o meraviglia della civiltà! – sopra la tomba di uno sconosciuto, un cappone ben pelato e grassottello e un poco di pane.

Per chi era quel cappone ben pelato e grassottello?

Per il morto.

Più innanzi, su un’altra tomba, un poco di cacio e un poco di pane.

Per il morto.

Questo è provato da un testimonio oculare. Nello stesso tempo si sente dire qualche cosa che forse non è esatto: per esempio, una coperta distesa accuratamente su una fossa, in previsione dell’inverno; un pacchetto di sigarette coi relativi cerini; una scatoletta di cipria... Brrr! Ve la immaginate quella toilette?

Pochi giorni dopo il testimonio oculare andava in piazza e si trovava di fronte ad una vittoria di popolo. Il quale era tutto riunito sotto l’egida delle bandiere fiammanti, per ascoltare le parole dei dotti che avevano sgominato i pregiudizi, la tradizione, la patria, i previlegi.

Ascoltò:

— Lenin, dio Lenin, signore della terra, vieni!

Il dotto che parlava e che ripeteva sempre le medesime cose, non perchè non ne sapesse altre, ma perchè, se no, il popolo non avrebbe capito niente, aveva una gran barba e una gran chioma e al posto delle virgole e dei punti, alzava la barba in su e l’agitava, che era una meraviglia a vederlo.

— Lenin, dio Lenin, vieni!

E il popolo fuori di sè urlava non parole, non monosillabi, niente. Urlava. Alcuni avevano anche la bava alla bocca.

Non so perchè il testimonio oculare mi abbia raccontato gli usi e costumi di piazza e di cimitero, come se si trattasse della medesima cosa. È un fatto però che non posso più pronunziare la parola «salvaggiume» se non-per indicare tanta parte del prossimo mio: quello che porta sulle tombe la carne e l’arma, come al tempo dei geroglifici egizi; quello che urla in piazza al nuovo dio, con la bava alla bocca.

C’è da pensare seriamente alle conseguenze dell’alfabeto, quando è preso in dosi violente!

Share on Twitter Share on Facebook