24. – Tu non ridi!

Mi sono accorto che tu non ridi. E questo mi fa piacere. Per solito l’uomo che ride è in un momento di malinconia. Potrei chiederti di meditare a lungo su questa verità. Mi risparmieresti una lunga disquisizione sulla natura tragica del riso, che sarebbe una cosa malinconica. No: tu non mediti, lo so: è una tua vecchia abitudine. Tutti i sentimentali sono così. Per ciò mi appiglio a quel giusto mezzo classico, che è ciò che di più soffice è stato inventato per permettere agli uomini di vivere in società, senza rompersi vicendevolmente.

Quando l’uomo ride, ride sempre di se stesso. Seguimi. Se mi segui riderai. Quando tra ciò che è e ciò che sarebbe o dovrebbe essere, o potrebbe essere, – coniuga il verbo essere da una parte e dall’altra i verbi essere, potere, dovere o se sei poeta, anche sognare; poi contrapponili in tutte le combinazioni possibili, quindi mescola e servi caldo – quando tra un modo e un tempo qualunque del verbo essere e un tempo qualunque del verbo potere o dovere o sognare si stabilisce una sconcordanza violenta (la più semplice è la sconcordanza grammaticale) allora l’uomo ride.

— Ma allora ride del paradosso e della verità che nasce dalle sue contorsioni!

Sta bene, ma perchè un paradosso, un grottesco, una contorsione sussista, è necessario che ognuno di noi sia abituato a pensare secondo determinate categorie immutabili, inamovibili: allora soltanto sono possibili all’abilità del filosofo volgare quegli avvicinamenti, quei raffronti, quei contrasti, insomma, nei quali i due termini, le due categorie avvicinate, messe a contatto generano un corto circuito e si distruggono a vicenda; cioè l’uomo ride quando assiste allo spettacolo della vanità – sia pure momentanea, sia pure estetica – delle sue persuasioni tradizionali, quando esse si contraddicono e si demoliscono. In ultima analisi, ride quando pone sè medesimo innanzi a ciò che resta dopo quel duello dei suoi pensieri, nel quale soltanto lui, animale, si salva.

Dunque ride di sè.

È un bel divertimento.

Quando dico: «L’uomo che ride è malinconico», dico dunque un paradosso pieno di verità, nel quale il concetto «riso» è distrutto dal concetto «malinconia» e viceversa. Che cosa resta? La nostra tragedia.

Naturalmente questa distruzione, è come ho detto, estetica. Sentimentalmente continuiamo a credere che l’uomo che ride sia allegro e che l’uomo malinconico non abbia voglia di ridere. Ma non fa niente. Se ciò non fosse, a forza di paradossi, dopo venti secoli di filosofia, nessuno al mondo riderebbe più.

E ridere è necessario.

Hai mai veduto un uomo piangere continuamente?

Per altro, sono moltissimi coloro che continuamente ridono, e bada che non mi fermo nemmeno un momento ad esaminare la categoria degli stolti del proverbio, che per me sono un mistero, un problema tutt’altro che semplice, una preoccupante incognita, in questa disperata lotta alla conquista della felicità, che è verità.

Probabilmente – ammessa la natura corrosiva intima del riso – essi sono previlegiati che stanno perennemente innanzi alla tragica distruzione delle categorie definitive oltre le quali è la coscienza della propria nullità che, per essere perfetta, è incoscienza. Essi rappresentano uno dei termini di contrasto del paradosso universale, che è la vita; l’altro è la verità, che non si svela a colpi di maglio o di volontà.

Si può ridere continuamente: basta mettersi in testa una volta per sempre che bisogna morire e poi andare a spasso in mezzo agli uomini e guardarli.

Ma tu non ridi: evidentemente non pensi alla morte e mi prendi sul serio.

Ti consolerò col seguente e quasi ultimo capitolo.

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