26. – Elogio della profezia.

Vuoi lasciarmi? Non insisto. Però vediamoci anche domani. Ti racconterò una storia organica e giuro che ti divertirai di più. Sai, oggi sono un po’ di malumore, ma ci dormirò sopra. A domani, amico mio. Quà la mano...

Scusa, un momento: distendi la tua mano. Così. Sono un po’ chiromante e può essere che io legga il tuo destino. Perchè ridi adesso?

Non capisco perchè la gente prenda tanto sul serio la storia e tanto poco sul serio la profezia. E dire che, in fondo, sono sorelle gemelle del pensiero umano. La storia è il modo di vedere il passato; la profezia è il modo di vedere l’avvenire.

Ciascun uomo vede le cose a modo suo; dunque anche il passato e l’avvenire. E allora o lo si prende sul serio sempre anche quando preannuncia per le sette e mezzo del 21 marzo prossimo la rivoluzione, mentre invece è un equinozio; o non lo si prende sul serio mai, nemmeno quando racconta che l’on. Giolitti partì da Rapallo mormorando: «Poteva andar peggio.»

Chi crede a Adolfo Thiers quando viviseziona il cervello di Napoleone, deve credere anche ad Eusapia Palladino quando profetizza per l’anno che viene un cataclisma sociale, la morte di un re e un eclissi di buon senso. E non mi dire che non si può paragonare Eusapia Paladino a Adolfo Thiers perchè io ti rispondo subito che la colpa non è della loro testa, ma del loro mestiere. Se Eusapia Paladino avesse scritto la Storia del consolato e dell’impero e Adolfo Thiers avesse fatto la sonnambula tutti prenderebbero sul serio Eusapia e tutti riderebbero di Thiers. Chiaro!

Ma, tu dici, la storia è vera, la profezia no. Ecco una sciocchezza. La profezia e la storia sono false, o vere alla stesso modo; soltanto la profezia ha il debole di essere soggetta a controprova, mentre la storia va sicura di sè, perchè, tanto agli etruschi, nessuno ci ritorna.

Mi spiego con un esempio, il quale tende a dimostrare che, fra le due, chi merita più considerazione dal punto di vista della realtà umana attuale è proprio la profezia.

Ecco: io penso all’anno che se ne è andato, cioè a tutti gli avvenimenti che hanno misurato il passo del tempo. Cosa vedo? Vedo le cose di capo d’anno piccole piccole, così che quasi non le vedo più e poi man mano le cose più recenti, più grandi, sempre più grandi, fino alla presente mia chiaccherata che mi sembra addirittura fantastica. Vedo, per uscire dai limiti dell’anno, una guerra mondiale piccola piccola, come se fosse durata un attimo, un minuto, un sospiro e le cose vicine, le cose di ieri o di oggi – il bottegaio, amico mio, la cambiale, la crisi – immense, come dilatate da uno specchio concavo, o da un sogno di oppio, imminenti, opprimenti, angoscianti.

Più grandi del vero, d’accordo, ma io le vedo così, io patisco la storia, come tutti coloro che non essendo macchine fotografiche la patiscono. E tu mi prenderesti sul serio se io ti facessi la storia dell’anno di grazia passato? E se non me, chi prenderesti sul serio? I tuoi avversari politici? Ma anch’essi come me, come te, come tutti, hanno lo specchio concavo della loro sensibilità. Al più, si potrà dire che la visione della storia sarà tanto meno reale quanto più lo storico è impuro, cioè personale, cioè sè medesimo, con tutte le sue passioni e i suoi errori; ma poichè nessuno è proprio puro a questo mondo, nemmeno io che faccio della politica meno che posso, così non ti dico soltanto di non credere nè ai tuoi avversari, nè ai tuoi nemici, ma ti dico senz’altro: non credere nemmeno a te stesso. Ecco, amico mio che cos’è la storia, che, per l’attimo attuale si può definire una dilatazione universa dell’ultima visione. Infedeltà, dunque.

La profezia invece!... Quale più chiara atmosfera si forma nel nostro cervello quando pensiamo all’avvenire, alla dimane! Quale serenità, quale pace! Quale olezzo di fiori!

Ecco non ci sono più avversari e i nemici sono morti; fra gli uomini regna la pace ed ogni dissidio di pensiero o d’interesse è composto, prima di manifestarsi, nell’intimo terreno dell’umana bontà. Non più violenze, non più sfruttati, nè fra i proletari, nè fra i signori; non più sfruttatori, nè fra signori nè fra i proletari; i ricchi donano il superfluo ai poveri, ragione per la quale i poveri non ci sono più, anzi hanno restituito il loro superfluo ai ricchi che non sapendo che farsene dovranno gettarlo per le scale di cantina; i parassiti, i pescicani, i bagarini, hanno fatto onorevole ammenda ai loro peccati; la Patria è grande, operosa, sicura, temuta, ma più amata; io vinco un modesto terno al lotto e i miei libri vanno a ruba....

Non è vero niente? Un momento: non è mai vero niente, in questa valle di lacrime. Mi potrai rimproverare di vedere le cose future con un eccessivo ottimismo, ma ciò non tocca l’essenza reale di tutte le profezie, le quali per quanto pessimistiche, essendo formulate o pensate da uomini, hanno lo stesso sale: la speranza.

Per quanto ottimista, nessun uomo è soddisfatto del passato; e tutti gli uomini per quanto pessimisti, sorridono pensando all’avvenire. Non hai mai incontrato qualche anima dolce, che, fermandoti per istrada, t’abbia detto sottovoce: «Sai, avremo una epidemia di peste nera?» Ebbene, avrai notato che l’occhio di quell’anima dolce brillava. La gioia della profezia.

E mi pare di avere dimostrato con bastevole copia di argomenti la verità dell’assunto: che la profezia è grave e la storia è roba da sonnambuli, per avere il diritto di rivelarti dai segni della tua mano, il destino che ti attende.

Un momento:

Tu avrai vita lunga: durerai quanto il mondo.

La tua malattia è incurabile, ma è la tua malattia stessa che ti fa vivere. Non avrai fortuna: è inutile che tu aspetti la rivoluzione. Ho detto che vivrai in eterno.

Sei abbastanza intelligente per non abbrutirti; ma non lo sei quanto basta per ucciderti crisalide e resuscitare farfalla. Sei attaccato alla vita, più di quello che la vita non sia attaccata a te.

Tu amerai molto, ma nessuno ti amerà.

Tutti si burleranno di te: sarai tradito nell’amore, nelle speranze, nei diritti. Un bel giorno il 27 diventerà il 30, anche in febbraio!

Sei la vittima permanente.

Per compenso sei molto utile e di quando in quando sarà in tuo potere la vita e la morte di qualcuno. Allora dimenticherai il passato e obbedirai all’impeto della tua generosità e della tua speranza: salverai. Sei un gran bravo figliolo. Mi piaci.

Senti: se qualche volta mi vedrai muto, all’angolo d’una vetrina di libraio, fermami e chiamami.

Ti aspetto. Anzi, non aspetto che te.

Aspetta.

Ti regalo queste tre oleografie, che ho comperato per pochi soldi da un rigattiere, in una bottega simile a un cervello dei tempi nostri, denso di coltura generale. No, non sono le tre età dell’uomo, nè i tre regni di Dante, nè le tre razze umane – la bianca la rossa e la nostra –; no: sono tre disegni che, se proprio vuoi legare a trittico, puoi considerare come allegorie del passato – presente – avvenire; delle nostalgie – preoccupazioni – consolazioni; dei ricordi – realtà – speranze, e via di questo passo, come pare a te. Attaccale in ogni modo alla parete del tuo tinello e a forza di guardarle ti guasterai il senso estetico e ti piaceranno sempre di più. Abbi cura però di non toccarle nemmeno per pulirle con uno straccio qualsiasi. Come le bottiglie di certe osterie, il loro unico pregio è la polvere. Ciao.

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