3. – Ancora dell’orologio. Poi viene il cannone.

Ti dicevo che fa le tre e due minuti. Ma non ci si è mica fermato lui alle tre e due minuti. Ci fu una commissione apposta, mandata dal governo di Roma, per studiare la questione dell’ora fissa, così come ci furono le commissioni per registrare e moderare i numeri indici del mercato alimentare a scopo di tranquillità politica. Perchè si avvicinavano le elezioni politiche, che in Italia sono sempre una cosa molto preoccupante, non tanto per l’ordine pubblico, quanto per quello che io chiamerei più propriamente l’ordine politico, una cosa sola, con la chiarezza delle idee. In quel periodo di ebullizione programmatica, basta un nonnulla a far nascere in Italia un altro partito.

Il governo, maltrattato da guelfi e da ghibellini, si mise in testa di far rispettare la legge, che, come sta scritto è uguale per tutti, meno che per coloro che la interpretano, perchè quelli si sa, volendo fare il loro dovere con coscienza, la intendono, naturalmente ciascuno per sè. È ovvio che per questa via, anche l’ora dell’orologio poteva servire a tutti gli oroscopi elettorali e a tutte le illazioni: quindi a tutte le reazioni. Don Chisciotte è eterno, amico mio, e il governo sa bene che la lotta elettorale è il suo campo di battaglia preferito. La commissione dunque piacque ai paesani, i quali avevano già incominciato per conto loro a discutere.

— A mezzogiorno, no! – dicevano gli uni – è l’ora del pasto: ciò ha un significato eccessivamente bolscevico. Può influire sulla massa!

— Alle sei e mezzo, no! – urlavano gli altri. E giù una filza di sapienti argomentazioni.

La proposta più saggia venne dal sindaco, che era farmacista

— Fermiamolo, a mezzanotte!

Mi sai dire come va che la mezzanotte non esiste, nei quadranti degli orologi? Metti le sfere a quel punto e tutti, borghesi, bolscevichi, fascisti, tranquillisti ed anche tu, tutti grideranno: «È mezzogiorno, andiamo a colazione!» Basta: la commissione governativa, dopo otto giorni di studi, dopo alcuni ricevimenti solenni, molti discorsi e molte spese di rappresentanza ha deciso per le tre e due minuti. Come ha fatto? Ha deciso per le tre e due minuti. I giornali ufficiosi trovarono che ciò era logico.

Quello che nessuno può trovar logico si è che a questi lumi di luna, ci sia qualcuno che si rifiuta di sparare. Mi viene in mente ciò, a proposito del mezzogiorno. Come in molte città d’Italia, anche quì da noi, ci fu un filosofo che pensò di rallegrare i paesani con la trovata di un colpo di cannone a mezzogiorno in punto. Da qualche tempo il cannone filosofico-scientifico-gastronomico del paese, non spara più.

Povero cannone meridiano, vecchio e provato amico della pace, Teodoro Moneta dell’artiglieria, io ti saluto!

Come fu? Ogni giorno alle dodici precise ricordò agli uomini – che intesero sempre in un altro senso – il destino al quale erano irrimediabilmente condannati: quello di mangiare, di dover mangiare per vivere: destino fisiologicamente fondamentale che poteva e doveva indurre gli uomini ad un pensiero moralmente fondamentale: Siamo tutti fratelli. Procuriamo di far colazione in pace. Gli uomini intesero semplicemente: «Procuriamo, di far colazione».

Poi venne la guerra. E il vecchio poeta tacque mortificato, per non essere preso, dirò così, sul serio, dalla ipersensibilità pubblica. Ma quando la pace ritornò ed egli riprese fedelmente con un po’ di raucedine, ma con immutata fede, l’adempimento della sua mal compresa missione, sentì un nodo alla gola, laggiù verso la culatta e tacque.

Quel silenzio è un testamento. Dice:

— Cittadini! Io sono l’unico cannone pacifico dell’universo mondo. Pacifico, per abitudine, per missione, per elezione. Non vi fidate degli altri cannoni che vi capitasse di incontrare per via, o in tasca a qualcuno. Se fanno cenno di sparare non crediate che sia mezzogiorno e tiratevi da parte. Per me, non ho più nulla da dire. La mia missione è finita. Io non arriverò più a vedere la pace e a tuonare per pace! Io taccio perchè la commozione di Vittorio Veneto prima, la delusione che si è impadronita di tutta la mia compagine morale poi, mi hanno consunto. Se fossi giovane, mi farei anch’io caricare a palla e sarebbe un gran male, forse, perchè tutto il mio passato si squarcerebbe allo scoppio dello «shrappnell», ma credete, a vedere gli uomini così come sono oggi, non si può con tutta la buona volontà immaginabile, rimanere a bocca aperta a fumare! Botte, invece. No, scherzo, per disperazione. Mi guarderò bene invece dallo sparare mai più. Non voglio essere preso per una provocazione militare. Mi duole: un altro cannone di fede sicura come me non lo trovano nemmeno se muoiono. Hanno parlato di affidare il mio servizio ad un cannone austriaco. Io vi dico: Non fidatevi del pacifismo jugoslavo! Addio.

Share on Twitter Share on Facebook