6. – La speculazione della miseria

Il quale – Mercurio – ha insegnato perfino a trar profitto dalle crisi di coscienza della buona gente. È nato, credo, ai nostri tempi l’accatonaggio, come professione organizzata. Il moltiplicarsi dei comitati di beneficenza, la loro indiscutibile attività umanitaria pare non faccia che aumentare, anzi che diminuire, la sciamata quotidiana degli accattoni per le vie e per i caffè, dovunque si soffermi anche per un sol momento una persona ben vestita. Mettiamoci d’accordo su una definizione, accettando questo assioma indimostrabile, per eccesso di intuitività: fra tutti gli accattoni che escono dal chiuso verso sera, all’ora del passeggio, non ve ne è uno che sia pietosamente mendicante.

Lo stendere la mano è diventato ripeto una professione, una specie d’industria quasi perfettamente organizzata.

Potrebbe essere anche degna di un particolare studio artistico-economico-politico se non facesse di tutto il ceto medio una compassionevole vittima. È proibito sedere a caffè: se ti abbandoni, sia pure per un minuto, dopo le fatiche della laboriosa giornata, alla folle spesa di un cappuccino, si stringe immediatamente intorno a te un cerchio sottile e delicato di lamenti. Un bimbo sporco e artificialmente lacero ti tende una mano insanguinata con l’inchiostro rosso; forse egli vuole richiamare alla tua fantasia commossa le vere vittime del quotidiano fratricidio; e intanto, mentre tu sorridi, egli guaisce come un cagnolino brontolando non si sa quali disgrazie. Poi un soldo, un salto, una gioia – raccoglie una «cicca» – e al tavolo accanto ripiange sottovoce le non consolate sventure.

Ed ecco la vecchia che ti fissa in viso due pupille torbide di jettatura e ti tende la mano lorda di tabacco. Il suo naso è una spugna rossigna. Ed ecco il bardo che ti fa maledire Melpomene; ed ecco il padre cieco con numerosa prole, che fa ballare al suono della fisarmonica; e il profugo balcanico di Caltanisetta, e il mutilato che nel 66 cadde da una finestra... E potrebbe seguitare. Intanto però mi consta a mo’ d’esempio, che la vecchia è mantenuta da parenti lontani, in un vasto appartamento ammobiliato e se va accattando, è per uccidere l’ozio che è il padre dei vizi e per alimentare l’unico figlio orfano: vizio di bere.

E poi, senza citare circostanze particolari, che non tutti sono in grado di sapere, bastano gli atteggiamenti. Chi deve credere alla miserabilità, se non morale, di quel vecchio laido che tutte le sere dà spettacolo della propria deformità in uno dei principalissimi caffè, cantando la Ninetta e sgambettando come un burattino?

Ma perchè? È terribile; tutte le volte che una mano – naturalmente tremante – si protende verso di me, io sono preso da una crisi di coscienza: che sia veramente un infelice? O piuttosto un impostore?

Non per la tenue moneta di due soldi, ma mi secca molto essere gabbato da un essere come questo. Niente. E se avesse fame? Per due soldi... Sì, no, sì, no, finisco per darglieli, i due soldi, non per pietà di lui, ma per pietà di me. La mia anima in tormento mi domanda l’elemosina. La faccio. Forse perchè essi conoscono questo viluppo sentimentale, nelle sue fasi e nelle sue risoluzioni, essi si avvicinano, tendono la mano, piangono un pianto equivoco, da due occhi ermetici, immobili, e attendono, dopo il primo rifiuto, di vedere i segni del dubbio e della lotta, fin che la tua mano doni. Astuzie del mestiere, che, in fondo, sono come quelle di cui si servono i gioiellieri, i profumieri, i deputati.

Qualcuno è poco abile. Un giorno mi accadde di dover rimuginare il solito caso di coscienza provocato da un vecchio quasi decentemente vestito. Costui, invece di aspettare, mi volle incoraggiare, volle affrettare la crisi, e tirò fuori un foglio di colore incerto e me lo porse: un autografo di Francesco Pastonchi.

— Ah, no! Con tutto il rispetto dovuto al poeta gentile, io vi dico: continuate ad essere il «randagio» che dovete essere, ma non battete alla mia porta. Ho paura dei sonetti.

Se ne andò guardandomi di sbieco. È ben vero che fra i tanti, qualcheduno si eleva dalla massa grigia con espressioni interessanti di personalità. Il genio è dovunque... C’è un poeta dialettale in italiano, estemporaneo. All’ora del passeggio si pianta all’angolo più frequentato dalla gente che si fa vedere, e alle giovani donne che passano, leggiadramente poco vestite, egli sciorina i più rugiadosi madrigali che immaginar si possano, annoiando abbastanza i cavalieri ufficiali od ufficiosi – molto di più gli ufficiosi – ma – non troppo gentile a dirsi – lusingando alcun poco le giovani, specialmente se non sono più giovani e ottenendo sempre l’agognata elemosina di un luminoso sorriso. Ti dirò che poi non disdegna il nichelino.

Ma alle donne, amico mio, tutto serve; anche il fango che è una buonissima occasione. È questa un’altra forma di accattonaggio che ha le sue risorse e le sue vittime...

Share on Twitter Share on Facebook