CAPITOLO II.

Governo di D. Francesco Benavides Conte di S. Stefano: suoi provvedimenti e leggi che ci lasciò.

Il Conte di S. Stefano, lasciato il governo dell'Isola di Sicilia, si portò subitamente in Napoli, dove giunse nel fin di dicembre, e nell'entrar del nuovo anno 1688 cominciò ad amministrarlo. In questo primo anno del suo governo s'intese in Napoli un così spaventevole tremuoto, che abbattè i più cospicui edificj: cadde la gran cupola del Gesù Nuovo, e l'antico portico del Tempio di Castore e Polluce, ch'era un perfetto esemplare dell'ordine Corintio. Fu rovinata Benevento, Cerreto ed altre Terre. Ma sopra tutto apportò non poco cordoglio la morte, per mal di pietra, nel seguente anno 1689, accaduta agli 12 d'agosto, dell'esemplarissimo Pontefice Innocenzio XI, a cui a' 6 di ottobre succede Pietro Cardinal Ottoboni, col nome d'Alessandro VIII. Proccurò il Conte calcare le medesime orme del suo predecessore, avendo egli avuta la sorte d'esser succeduto ad un tanto Eroe, donde potea prender ben illustri esempi d'un ottimo governo. Rinvigorì per tanto con nuove sue Prammatiche quelle stabilite dal Carpio intorno all'asportazione delle armi, all'Annona, e al prezzo delle cose. Ma sopra ogni altro, non meno in questo primo anno del suo governo, che nelli seguenti fu tutto inteso a regolare lo scambiamento della vecchia moneta colla nuova, da lui, come si disse, pubblicata, accresciuta ed alterata nel valore. Prescrisse in quest'anno 1688 molti regolamenti intorno a questo scambiamento, disegnando i luoghi e le persone non meno nella città, che in tutte le province del Regno. Previde i disordini, che poteano accadere, e vi diede vari provvedimenti. Fece continuare la fabbrica della nuova moneta, aggiungendo nell'anno 1689 due altre spezie, cioè il ducato, che ha dall'una parte il ritratto del Re coronato, e dall'altra le sue Armi, ed il mezzo ducato, colle medesime impronte; anzi permise, che a qualunque persona volesse nella Regia Zecca farsela fabbricare con suoi argenti al peso e bontà di quella, che si era fabbricata, fosse lecito di farlo col solo pagamento di grana 32 per ogni libbra d'argento per la manifattura e lavoro. Che nello scambiamento si ricevessero le antiche monete, ancorchè di falso conio, purchè l'argento fosse buono. Regolò la maniera, come dovesse praticarsi ne' Banchi, e prescrisse il modo intorno alla recezione delle polizze, e delle fedi di credito. Rinovando le antiche leggi promulgate contro i falsificatori e tonditori delle vecchie monete, altre più rigorose e severe ne stabilì contro coloro, che avessero ardimento di adulterar le nuove. In brieve ebb'egli il vanto di ridurre a compimento questa utilissima opera, per la quale si vide presso di noi rifiorire il commerzio, e fu restituito nel Regno lo splendore della negoziazione e del traffico. E se questo ministro si fosse contenuto tra questi limiti, la sua fama presso di noi correrebbe assai più chiara e luminosa; ma l'aver voluto da poi a' 8 di gennajo del 1691 con nuova Prammatica non bastandogli l'alterazione già fatta, alterar di nuovo la moneta con doppio avanzo, fino di venti per cento, nella forma, che si spende al presente (con far coniare per ciò, a' 7 aprile del medesimo anno, quattro altre nuove spezie di moneta, il ducato, mezzo ducato, tarì e carlino, che hanno la medesima impronta, da una parte il ritratto del Re coronato, e dall'altra l'insegna del Tosone) cagionò non meno alla sua fama, che alla negoziazione del Regno non picciol danno e nocumento; e tanto più gli fu di biasimo, quanto che avendo in quella sua Prammatica espresso, che una delle cagioni, per le quali era mosso a far questa alterazione si fu d'estinguere dall'augumento del denaro, che si trovava ne' pubblici Banchi, la gabella delle grana 15 imposta, per la fabbrica della nuova moneta, sopra il sale, questa estinzione non seguì giammai, tal che ci rimane il peso, ed insieme il danno recatoci dall'alterazione.

Intanto a Corte di Spagna agitata da gravi pensieri per la creduta sterilità della Regina Maria Lodovica Borbone, fu veduta poco da poi in funestissimi apparati piangerne la morte. Morì questa incomparabile Regina il dì 12 di febbrajo dell'anno 1689, ed il Re Carlo II suo marito, per compire a' suoi ultimi ufficj, comandò, che a spese Regie si celebrassero con magnifica pompa esequie solenni in tutti i suoi Regni. Toccò al Conte di S. Stefano d'eseguirlo in Napoli; onde dopo aver dati premurosi ordini ai Presidi delle province, che nelle città più cospicue facessero celebrare solenni esequie alla defunta Regina, comandò, che in Napoli si celebrassero assai più maestosi e magnifici funerali: Fu secondo l'uso già introdotto trascelta la Chiesa di S. Chiara, dove si ergè il Mausoleo, la magnificenza del quale, la bellezza dei poetici componimenti, e la solennità delle cerimonie furono tali, che maggiori non si erano per l'addietro vedute. Non fu mestieri a questi tempi, come già, ricorrere a' Gesuiti per questi componimenti, poichè nella nostra città fiorivan, per lo progresso che vi avean fatto le buone lettere, molti insigni e rinomati Letterati. Furono adunque costoro adoperati, e colui che v'ebbe la maggior parte fu il celebre Domenico Aulisio, pregio della nostra Università degli Studi, il quale adornò della più peregrina e varia erudizione, vi compose nobilissimi elogi ed alquante purissime ed eleganti iscrizioni. Fu destinato il giorno nono di maggio per la sagra cerimonia, la quale dovendo durare dal vespro fino alla seguente mattina, fu obbligato il Vicerè a far continua la vigilia sopra il tumulo, senza partirsi da quel luogo, nè per la notte, dove erasi portato, secondo l'antico costume, solennemente con cavalcata; nella quale gli Eletti della città col Marchese di Fuscaldo Sindaco, cinto da' Baroni del Regno, e da molti Nobili, accompagnarono il Vicerè. Furono piantati due grossi squadroni in due diversi luoghi della città, uno di fanti nella piazza dei regal palagio, l'altro di fanti e cavalli nel largo, che è a lato alla chiesa di S. Chiara, con tutti i loro Capi militari vestiti a bruno, e tenendo l'armi capovolte, conforme l'uso fin da tempi antichissimi a noi trasmessoci da' Greci e da' Romani, li quali nelle pompe de' funerali voltavano le punte dell'aste in terra, ed imbracciavan gli scudi al rovescio.

(Di quest'uso antichissimo ci rende testimonianza Virgilio Libro XI Aeneid in princip. dove parla dei funerali celebrati a Pallante figliuolo d'Evandro).

Vegghiatosi tutta la notte sopra il tumulo, la mattina seguente, dovendosi compire la sagra cerimonia, ritornò il Vicerè in chiesa, dove cantossi l'uffizio; da poi nell'altar eretto vicino al mausoleo, si celebrò da Monsignor Francesco Pignatelli, Arcivescovo di Taranto, ora Cardinale, ed esemplarissimo nostro Arcivescovo, il sagrifizio della Messa, nella qual celebrità ebbe quattro Vescovi assistenti: quello di Gaeta, di Castellamare, d'Acerra e di Capaccio. Si recitò poi dal P. Ventimiglia Teatino l'Orazione in lingua Spagnuola, la qual finita, lo stesso Monsignor di Taranto, dato l'incenso, ed asperso il tumulo finì la sagra cerimonia. Fu data la cura all'Aulisio di comporre una minuta e distinta descrizione non men degli apparati, e del mausoleo colle iscrizioni, che delle cerimonie e solennità celebrate sopra il deposito: ed egli compiutamente l'avea eseguito, con distenderne un libretto, a cui diede il titolo: Descrizione del Mausoleo, e delle solennità sopra il deposito della Regina Maria Lodovica Borbone; nel quale fe' pompa della sua varia e pellegrina erudizione: ma non avendo voluto poi darlo alle stampe, per la natural repugnanza che vi avea in tutte le sue cose, ancorchè rare e pellegrine, si conserva ora da noi M. S. insieme coll'altre insigni e nobili sue fatiche.

Il vedovo nostro Re, per secondare i voli de' suoi sudditi, che sospiravan da lui numerosa prole, conchiuse tosto a' 28 agosto del seguente anno 1690 le seconde nozze con la Principessa Marianna di Neoburgo figliuola dell'Elettore Filippo Guglielmo Conte Palatino del Reno e Duca di Neoburgo. Ma nel decorso del tempo, scorgendosi, che nè pure da questa seconda moglie se ne potea sperar prole, si videro i Regni, che componevano la sua vasta monarchia, in costernazioni e timori grandissimi. Accrescevansi le afflizioni per la vita del Re molto cagionevole e soggetta a spesse e continue infermità, le quali facevan sovente temere della sua grave ed inestimabil perdita, che dovea partorire disordini gravissimi e grandi revoluzioni. Si vedeva eziandio, quanto la sua monarchia infiacchita e debole, altrettanto quella di Francia nel suo maggior vigore e floridezza: i suoi eserciti, da per tutto vittoriosi, aver fatte stupende conquiste nella Fiandra, in Alemagna, ed in Ispagna, dove il Duca di Noailles, tenendo assediata Roses per terra, ed il Conte d'Etrè per mare, la presero dopo otto giorni d'assedio; ed in Catalogna l'anno 1694 il Duca di Noailles, dopo avere sconfitto l'esercito spagnuolo sulle sponde del Ter, prese le città di Palamos, di Girona, d'Ostalrico e di Castelfollit.

Intanto il Conte di S. Stefano proseguendo il suo governo, prorogatogli per un altro triennio, dopo aver dato sesto all'affare delle monete, applicò i suoi pensieri alla riforma de' nostri Tribunali; e scorgendo, che una delle principali cagioni, onde le liti venivan allungate, fosse la facilità, colla quale eran ricevute le sospezioni de' Ministri, e la lunghezza praticata in non tantosto deciderle, prefisse termini certi ed indispensabili per la loro decisione, e per togliere le opinioni de' Dottori, li quali con varie loro interpetrazioni aveano rendute quasi che inutili le precedenti Prammatiche sopra di ciò stabilite, prescrisse i modi, diffinì i gradi della consanguineità, ed affinità, e per una sua spezial Prammatica vi diede altri opportuni provvedimenti.

Parimente essendo nell'anno 1690 insorto romore, che nella città di Conversano della provincia di Bari, ed in Civita Vecchia dello Stato romano, per le moltissime e spesse infermità, il male fosse contagioso; nel principio dell'anno seguente con rigorosi provvedimenti proibì il commerzio di quella provincia, e di Civita Vecchia, sospendendo ancora quello con la città di Roma e Stato Ecclesiastico; e da poi, in luglio del medesimo anno, deputò per li quartieri di Napoli Ministri, perchè invigilassero alla custodia, non meno della città, che de' borghi e casali non permettendosi l'entrata a qualunque persona, senza li ricercati requisiti e debite licenze. Talchè per lo rigore usato in quella provincia, perchè il malore non s'avanzasse, fu preservato il Regno, e non guari da poi s'estinse per tutto ogni sospetto di mal contagioso.

Furono ancora ne' seguenti anni del suo governo dati altri provvedimenti intorno all'Annona della città e del Regno; alle falsità, che si commettevano nelle fedi di credito; intorno all'introduzione delle drapperie, lavori e telarie forastiere, ed intorno ad altri bisogni: e date varie altre provvidenze, che si leggono sparse nel IV e V tomo delle nostre Prammatiche. Non potè questo Vicerè compire il terzo incominciato triennio; poichè il Duca di Medina Coeli, che si trovava ambasciadore del Re in Roma presso il Pontefice Innocenzio XII Antonio Pignatelli, già nostro Arcivescovo, ch'era succeduto ad Alessandro VIII sin da' 12 luglio dell'anno 1691, sollecitava la corte di Spagna, perchè da quella dispendiosa per lui Ambasceria lo facesse passar tosto nel governo del Regno. Portossi egli in Napoli in quest'anno 1695, e scelse, per dar tempo al suo predecessore d'accingersi con la Contessa sua moglie e famiglia alla partenza, il palagio del Principe di S. Buono nel largo di Carbonara, per sua abitazione: dove dimorò infin che, terminate le consuete visite, il Conte di S. Stefano partisse per la volta di Spagna, lasciandoci pur egli, oltre le già rapportate, una più perenne memoria del suo Governo, com'è quella del fortino da lui fatto costrurre alla punta del Castel dell'Uovo.

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