CAPITOLO III.

Governo di D. Luigi della Zerda Duca di Medina Codi: sua condotta ed infelicissimo fine.

Al Duca di Medina Coeli prese il governo del Regno con idee magnifiche e gloriose; e scorgendo, che il Marchese del Carpio avea in quello lasciato di se luminosa fama per suoi magnifici e generosi fatti, pensò imitarlo in quella parte almeno dove credette essersi da colui trascurata. Credea aver sì bene il Carpio sterminati gli sbanditi e tolti molti altri abusi nella città e nel Regno, ma non già d'aver sterminati i controbandi e le frodi, che si commettevano nell'introduzione delle merci, e nelle Dogane, donde ne derivano notabilissimi danni non meno all'Erario regale, che agli Assegnatarj degli arrendamenti; per ciò applicò egli nel principio del suo governo tutti i suoi talenti con severe Prammatiche a rigorosamente proibirgli. Favoreggiò le loro pruove in guisa, che riputandosi sommo eccesso, convenne alle Piazze d'opporsegli, per mitigare in parte il rigore.

Pretese ancora imitar il Carpio nella magnificenza degli spettacoli, onde nel suo tempo se ne videro superbissimi; e sopra ogni altro intese ad ingrandir il nostro Teatro di S. Bartolommeo, e fornirlo non men di maestose, e superbe scene, che di provvederlo dei migliori Musici, che fiorissero a' suoi tempi in Europa; tal che oscurò la fama de' Teatri di Venezia, e dell'altre città d'Italia. Egli cominciò, e ridusse a fine quella magnifica strada, adorna d'ameni alberi, e di limpidissimi fonti, che al lido del mare costrusse per quanto corre la spiaggia di Chiaja. La pompa ed il fasto della sua corte fu veramente regale e magnifica, nè in altri tempi fu veduta presso noi altra più numerosa e splendida. Favorì le lettere e sopra modo i Letterati, ragunandogli spesso nel regal palazzo, dove egli con somma attenzione e compiacimento, ascoltava nell'assemblee i loro varj componimenti. Tal che le buone lettere, che nel preceduto governo s'erano presso noi stabilite, a' suoi tempi, per li suoi favori, presero maggior vigore, e più fermamente si confermarono.

Ma tutte queste nobili, ed amene applicazioni venivano amareggiate da altri più severi e gravi pensieri. Col correr degli anni sempre più si confermavano i popoli nella credenza, che nemmeno dal secondo matrimonio avrebbe il nostro Re lasciata prole, e si teneva per fermo, che la sterilità, non già dalla Regina giovane sana e valida, ma dal Re procedesse, e dalla sua complessione debole, ed infermiccia. Le continue sue malattie ci recavan spessi timori, e se ben talora migliorava, nell'istesso tempo, che noi per gli avvisi della sua ricuperata salute facevamo feste ed illuminazioni, egli era già ricaduto nel pristino malore. Il Duca nostro Vicerè per rallegrar i popoli e divertire i loro animi da sì funesti pensieri, in occasioni di miglioramento faceva celebrar feste magnifiche, e nel regal palagio tenne accademie de' più famosi Letterati, nelle quali per la ricuperata salute del Re recitarono nobilissimi componimenti in varie lingue, così in prosa, come in verso, che furon ancora dati alle stampe. Fece ancora nell'anno 1697 coniare una moneta d'oro col nome di scudo riccio, nella quale, alludendosi alla sua ricuperata salute, da una parte sostenute da un aquila coronata vi erano scolpite le sue regali arme, e dall'altra un mezzo busto del Re, che per base avea una palma, che stendeva sopra il capo le sue foglie, col motto: Reviviscit.

(Questa moneta, come qui sta descritta, dal Vergara fu impressa nella Tav. 52, e per essersene coniate pochissime si è presentemente resa molto rara.)

Ma non per tanto non si ricadeva appresso, per contrarie novelle, ne' pristini timori, di dover fra breve il Re mancare senza posterità.

Si vedeva all'incontro la Francia formidabile e tremenda, la quale nell'anno 1696 avea posto in piede cinque fioritissimi eserciti e gli sostenne nel paese nemico per tutta la campagna. Che quel Re pien di gloria e di vasti pensieri, meditava alte imprese; e che per togliersi l'ostacolo del Duca di Savoja, avea conchiusa col medesimo la pace, e per maggiormente stabilirla a' 4 luglio del medesimo anno, affrettò le nozze tra Maria Adelaide di Savoja, figliuola del Duca, col Duca di Borgogna, figliuolo del Delfino di Francia suo nipote. Che per ciò avea rivolte tutte le sue forze contro la Spagna, in Fiandra, dove nel 1697 conquistò molte piazze ed in Catalogna, dove prese la città di Barcellona, nell'istesso tempo, che avea nominati i Plenipotenziarj per la pace. Anzi per più speditamente pervenire al gran disegno, sollecitò in questo istesso anno coll'Inghilterra, con l'Olanda e colla Spagna istessa la pace, la quale fra queste Potenze fu conchiusa in Riswic il dì 20 di settembre, e dopo sei settimane coll'Alemagna. Ma alquanto dopo la conchiusione di questa pace fu sottoscritto in Loo un segreto trattato fra gl'inglesi, gli Olandesi, la Francia e la Savoja, col quale s era fatto un partaggio della monarchia di Spagna, in caso che il nostro Re venisse a mancare senza figliuoli, come vi era molta apparenza.

(In questo primo partaggio, che si trattò nel 1698 essendo ancor vivente il Principe Ferdinando Giuseppe di Baviera, il qual si legge nella nuova Raccolta di Mr. du Mont Tom. II p. 52, era divisa la Monarchia in cotal guisa: al suddetto Principe di Baviera assegnavasi la Spagna con l'America: al Delfino di Francia i Regni di Napoli e di Sicilia colla provincia Guipiscoa ed i porti de' presidj: all'Arciduca Carlo il ducato di Milano.)

L'Imperador Leopoldo, ancorchè vedesse gli altri Principi a ciò consentire, con somma costanza non volle mai dar suo consentimento a divisione alcuna

Si credette nascondersi sotto questa voce, ch'erasi già divulgata di partaggio, un più profondo arcano; poichè l'istesso Re di Francia Lodovico prevedeva, che non sarebbe cosa, che toccasse tanto più al vivo gli animi degli Spagnuoli, che lor proporre un tal partito, stando certo, che avrebbe lor recato sommo abborrimento: gelosi, che una sì vasta ed ampia monarchia, con tanta gloria de' loro maggiori unita e stabilita in tant'altezza, dovesse così miseramente lacerarsi, e divisa in pezzi, estinguersene il nome e la gloria: siccome in effetto non pur gli Spagnuoli, ma l'istesso Re Carlo II l'ebbe in orrore e per prevenire i disegni e romper quest'impertinenti ed intempestivi trattati, che si facevan sopra i suoi Regni, rivolse in novembre del seguente anno 1698 l'animo a Ferdinando Giuseppe, Principe Elettoral di Baviera nato di Maria-Antonia, figliuola dell'Imperadrice Maria sua sorella per innalzarlo al trono; ma morto questo fanciullo a 9 febbrajo del seguente anno 1699 non avendo ancor compiti otto anni, s'interruppe il disegno; onde con maggior vigore furono ripigliati dal Re Franzese i suoi negoziati con l'Inghilterra e l'Olanda, premendo sempre, come dava a sentire, sopra la concertata divisione, e nel mese di marzo del 1700 confermò con quelle Potenze il trattato di Loo, variandosi solamente, che alla parte assegnata al Delfino dovessero aggiungersi gli Stati del Duca di Lorena, cui in iscambio si dasse lo Stato di Milano, siccome all'Arciduca Carlo la Spagna, fuor degli Regni d'Italia per estinzion di tutte le pretensioni di sua casa: con aggiungere ancora, che questo trattato si dovesse comunicar subito all'Imperadore, acciocchè in termine di tre mesi, dal giorno della notizia, dichiarasse la sua volontà, mentre rifiutando egli di accettar la parte destinata all'Arciduca Carlo suo figliuolo, li due Re di Francia e d'Inghilterra e gli Stati Generali d'Olanda, la destinerebbero ad altro Principe, e che se alcun volesse opporsi alle cose concordemente stabilite, si unirebbero per combatterlo con tutte le loro forze.

(Questo secondo partaggio firmato in Londra a' 3 di marzo del 1700, rapportato anche nella raccolta di Mr. du Mont, Tom. II p. 104, variava dal primo: poichè per la morte del Principe di Baviera la Spagna, l'America colle province di Fiandra si assegnarono all'Arciduca Carlo; al Delfino i Regni di Napoli e di Sicilia con porti d'Italia; al Duca di Lorena il Ducato di Milano, con patto di dover cedere a' Franzesi.)

Quanto più si proccurava spingere avanti questo trattato, tanto più gli Spagnuoli erano commossi e risoluti di non soffrir partaggio veruno della loro monarchia. Il Re Carlo II con intenso cordoglio lo sentiva e ne fece in Londra e nell'altre Corti da' suoi Ministri sentire le doglianze; e nell'istesso tempo, tenero della sua propria casa, assecurava l'Imperador Leopoldo, che non si dimenticherebbe delle leggi del sangue e delle disposizioni de' suoi maggiori. Tanto bastò perchè vie più l'Imperadore stasse fermo e costante in non accettare la concertata divisione; onde al Marchese di Villars, ch'era stato mandato dal Re di Francia per sollecitarlo ad accettarla, secondo il termine stabilito, rispose che se mai il Re di Spagna cedesse alla natura senza prole, la qual cosa stimava rimota per la fresca età, allora essendo egli inchinato alla quiete, avrebbe volentieri a più giusti, ed a più salutevoli consigli condisceso. Ma quel Re intanto, accertatosi di questa sua deliberazione di non accettar divisione alcuna, cominciò i suoi negoziati co' Grandi della corte di Spagna, i quali fu facile portargli al suo disegno, mostrando loro, che non men per giustizia, che per proprio interesse, doveano insinuare al loro Re d'innalzare al trono Filippo duca d'Angiò secondogenito del Delfino: poichè in niun altro poteano sperare che si fosse mantenuta salda ed intera la loro monarchia, che nella costui persona, la quale assistita dalle sue potenti e formidabili armi, avrebbe potuto reprimere gli sforzi di tutti coloro, che tentassero oltraggiarla, o in modo alcuno partirla.

Mentre che nella corte di Spagna si maneggiava affare sì importante, infermossi in Roma nel mese di settembre di quest'anno 1700 il Pontefice Innocenzio XII, il quale dopo aver retta quella sede nove anni e duo mesi, in età di 86 anni rese lo spirito a' 27 dello stesso mese, giorno di lunedì ad ore tre di notte. Giunse al Duca di Medina nostro Vicerè tal avviso la seguente giornata di martedì ad ore tre della notte, ed al Cardinal Cantelmo nostro Arcivescovo ad ore sei; e la mattina del mercoledì furono dal Vicerè spedite per la volta di Roma le consuete soldatesche per dover assistere all'Ambasciador Cattolico (allora il Duca Uzeda) in Roma: dove dopo alquanti giorni si chiusero i Cardinali in Conclave per l'elezione del successore. In Napoli dal Cardinal Arcivescovo la mattina de' 5 d'ottobre gli furon fatte celebrare nel Duomo solenni esequie, avendovi recitata l'orazion funebre in idioma latino il P. Partenio Giannettasio Gesuita, celebre per le sue opere date alle stampe; ed il Nunzio, un mese da poi, nella Chiesa di S. Maria della Nuova glie ne fece celebrar altre più pompose e magnifiche.

Ma mentre che i Cardinali divisi in fazioni, dibattevano in Conclave sopra l'elezione del nuovo Pontefice, verso la fine d'ottobre giunse a noi di Spagna funesta novella, che il Re gravemente infermatosi, dava poca speranza di salute; ma poco da poi giungendo nuovi avvisi, ch'era migliorato, furono dal Vicerè fatte pubbliche magnifiche feste per rallegrar il popolo, e fu veduta la città in tutte le strade arder fuochi per allegrezza e nelle finestre numerosi torchj; tal che per tre sere si continuarono le illuminazioni. Ma miseri nell'istesso tempo, che noi con tanta pompa e gioja celebravamo feste per la ricuperata salute del Re, se n'era già morto il primo di novembre; ed in un punto s'intese la sua morte e l'esaltazione nel trono di Spagna di Filippo d'Angiò. Questo accidente affrettò l'elezione del nuovo Pontefice; poichè congiuntisi insieme i Cardinali Spagnuoli ed i Franzesi, vennero ad eleggere con pluralità di voti il Cardinal Francesco Albani d'Urbino, ch'era stato segretario de' Brevi a tempo del passato Pontefice e non avea più che 51 anni. Fu eletto il dì 23 di novembre di quest'anno 1700 ad ore 18 giorno di Martedì, in cui la chiesa celebra la festività di S. Clemente Papa; onde volle chiamarsi Clemente XI con tutto che fosse stato creato Cardinale da Alessandro VIII.

Il Duca di Medina Coeli nelle tante rivoluzioni di cose, che accaddero dopo l'acerba e funestissima morte del Re Carlo II fu spettacolo insieme e spettatore di varie mondane vicende, le quali in ultimo lo condussero ad un infelice e lagrimevol fine. Di lui oltre i rammentati, ci restano a noi altri monumenti, che si leggono nel V tomo delle nostre Prammatiche, secondo l'ultima edizione 1715.

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