CAPITOLO I.

D. Pietr'Antonio d'Aragona ributta la pretension del Pontefice promossa per lo Baliato del Regno. Si muove nuova guerra dal Re di Francia col pretesto della successione del Ducato del Brabante con altri Stati della Fiandra, la qual si termina colla pace d'Aquisgrana.

Stabilita la Reggenza in persona della Regina madre, e la Giunta di que' Ministri disegnati dal defunto Re nel suo testamento per lo governo de' Regni, che componevano la Monarchia di Spagna, ed acquetatosi non meno il Consiglio di Stato, che i Grandi alla disposizione fattane dal Re Filippo, non per ciò volle il Pontefice Alessandro VII mancare di promover ora l'antica pretensione, che i suoi predecessori ne' passati turbati tempi s'avean in parte fatto valere in questo Reame, di doverne essi come diretti e soprani Padroni, durante la minor età del Re, prenderne il Governo. Da' precedenti libri di quest'istoria ciascuno avrà potuto conoscere sopra quali deboli fondamenti ella s'appoggi; con tutto ciò alterandosi dalla Corte di Roma l'esempio accaduto nel pontificato di Innocenzio per la minor età dell'Imperador Federico II, la Legazione del Cardinal di Parma nei Pontificati di Martino IV, e d'Onorio IV, nella prigionia di Carlo d'Angiò Principe di Salerno, ed alcuni altri mal adattati esempj, prese in questi tempi nuovamente l'ardire di pretenderlo. Si credette allora da' più savj discernitori delle azioni di quella Corte, che ciò si tentasse, non già con isperanza d'ottenerlo, ma per tenere in cotal guisa sempre viva la pretensione, affinchè in migliori occasioni, secondo che portasser le circostanze e le congiunture de' tempi, se ne potessero, quando che sia, più fruttuosamente un tempo valere. Non tralasciò pertanto, poco dopo l'arrivo di D. Pietro in Napoli, di presentarsi il Nunzio in sua presenza, ed in nome del Papa, ad esporgli le ragioni della Sede Appostolica intorno al Baliato del Regno, e che per conseguenza s'apparteneva al Pontefice di doverlo ora provvedere di Balio, e di Governadore, fin che durasse la minor età di Carlo. Il Vicerè gli rispose, che non faceva mestieri che Sua Santità s'impacciasse di questo Governo: poichè bastantemente s'era provveduto dal Re Filippo nel suo testamento, con istabilire la Reggenza in persona del la Regina, ed era una Giunta per lo Governo di tutti i suoi Stati; ed avendogli il Nunzio lasciata una memoria di queste pretese ragioni, il Vicerè diede incombenza al famoso Marcello Marciano il giovane, che si trovava allora Avvocato Fiscale di Camera, che vi rispondesse.

Questi medesimi ufficj furono passati dal Nunzio di Spagna in quella Corte, al quale furono date le medesime risposte, ed avendo pure colui fatto spargere alcuni scritti, dove si rappresentavano le pretensioni di Roma, furono, non men da alcuni Napoletani, che si trovavano in Madrid, che da valenti Scrittori spagnuoli, confutati, e fatti conoscere vani e deboli i fondamenti sopra i quali appoggiavasi la pretensione. Ma sopra quante scritture uscirono allora così in Ispagna, come in Napoli, la più dotta e vigorosa fu riputata quella del Fiscal Marciano, che dettata in idioma latino comparve fuori sotto questo titolo: De Baliatu Regni Neapolitani . Così scortasi da' Romani la vigorosa resistenza non meno della Corte di Madrid, che del Vicerè di Napoli, posero alla pretensione per allora silenzio.

Ma non fu tale il successo della pretensione promossa, pure a questi medesimi tempi, dal Re di Francia sopra il Ducato del Brabante con altri Stati della Fiandra, nella qual contesa, ancorchè a riguardo delle scritture rimanessero i nostri superiori, per sostenere la causa migliore; furono però perditori nel successo della guerra e delle armi, che quel Re con tal pretesto mosse in Fiandra. Per la morte del Re Filippo fu dato ad intendere al Re di Francia, giovane allora e di riposo impaziente, che il Ducato del Brabante con alcuni altri Stati della Fiandra, fossero devoluti alla Regina sua moglie, come figliuola del primo letto del Re Filippo, non ostante che avesse egli dal secondo lasciato il Re Carlo figliuol maschio; poichè la consuetudine di que' Paesi era, che nelle successioni, ed eredità si preferisse la femmina del primo letto ai maschi nati del secondo. Il cupido Re ricevè volentieri l'occasione con tal pretesto di poter slargare i confini del suo Regno sopra quello del vicino; ma essendo allora viva la Regina Anna Maria sua madre, non si mosse, facendo solamente palesar la pretensione, esagerandola in alcune scritture per giusta e molto ben stabilita. Ma morta poco da poi la Regina madre, e sciolto con la morte il vincolo d'autorità, ch'ella sopra il figliuolo teneva, non così tosto fece pubblicar colle stampe le pretensioni, che mosse le armi per farsele valere. Scrisse nel di 9 maggio di quest'anno 1667 alla Regina Reggente di Spagna una lusinghevole lettera, nella quale dolendosi, che non essendosi voluti accettare i trattati di un amichevol accordo, ch'egli avea proposti per la composizione di tal affare, si vedeva costretto d'uscire alla fine di quel mese in Campagna, per proccurare di porsi in possesso di quel, che giustamente se gli apparteneva nei Paesi Bassi per parte della Regina sua sposa, o di altro equivalente, ma con tutto ciò, ch'erasi da lui ordinato all'Arcivescovo d'Ambrun suo Ambasciadore, che le presentasse una scrittura, di suo ordine fatta stendere, nella quale si contenevano le ragioni, ove si fonda il suo diritto; affinchè fattala esaminare, possa venire ad abbracciare i medesimi mezzi, che le avea fatti proporre, e che anche al presente le faceva, di aggiustar tal differenza con alcuno amichevole accordo.

Si conobbe da questa lettera, che si cercavan pretesti per invader le Fiandre preventivamente, per non dar luogo a difesa; poichè nel medesimo istante che si proponeva accordo, si protestava, che per la fine del mese si sarebbe posto in campagna, e che prima che si potesse leggere la scrittura inviata, non che esaminarsi, era risoluto d'andare ad impossessarsi colla forza delle pretese province o del loro equivalente, sopra gli altri Stati del Re Cattolico. Nè i fatti discordarono dalle parole, perchè nella fin del mese, ponendosi egli alla testa del suo esercito, giunse sulle frontiere della Fiandra, e diviso l'esercito in più corpi, nell'istesso tempo che fece pubblicar un libro in diverse lingue delle pretese ragioni della Regina sua moglie, attaccò più piazze di quella provincia.

Gli Spagnuoli, dall'altra parte, esagerando cercarsi dal Re Lodovico più tosto speziosa, che giusta cagione di muovere l'armi; ribattevano con vigore le pretese ragioni, sostenendo con più vigorose scritture in contrario, che le Consuetudini o gli Statuti, particolari non potevano giovare nella successione sovrana degli Stati, in cui troppo ripugna all'uso ed alla natura delle cose, che in pari grado, dalle femmine si pretenda togliere a' maschi la corona di capo. Ma essi non erano così ben forniti di arme, quanto di ragioni, per potersi difendere dalla forza. La Regina Reggente turbata all'improvvisa intimazione, che le fu fatta guerra, si raccommandava con lagrime a' suoi ministri; ed avendo un dì fatto introdurre il fanciullo Re nel Consiglio, gli fece dire con voci puerili nella propria favella, che commossero gli animi di tutti: Io son'innocente, assistetemi .

Risoluti per tanto gli Spagnuoli ad una valida difesa, nell'istesso tempo, che ne proccuravano i mezzi, non tralasciavano di disingannare i popoli delle vantate ragioni de' Franzesi, facendole apparire per vane ed ingiuste: esagerando le oppressioni, che dalla Francia si facevano ad un Re fanciullo, e così strettamente congiunto all'invasore.

In Fiandra da un Ministro del Re Cattolico erasi data già alle stampe nel principio di quest'anno una scrittura, nella quale si dimostrava la vanità della pretensione, affinchè cessassero i romori del volgo, per le voci che andavansi seminando da Franzesi circa la pretesa successione della Regina di Francia nel Ducato del Brabante ed in altre province; e nell'istesso tempo s'assicurassero que' popoli, di dover essere conservati sotto l'antichissimo dominio de' loro legittimi Principi. Ma quantunque gli argomenti in quella rapportati (ancorchè brevi e piani) fossero conchiudenti ed efficaci, non perciò s'arrestavano i Franzesi dal lor proponimento, anzi oltre all'armi, con grossi volumi s'accingevano a sostener la lor causa: onde si stimò, che la scrittura di Fiandra, se bene per que' Popoli, dove vi era particolar notizia delle lor leggi, sarebbe stata bastante, così per l'altre Nazioni avrebbe potuto giudicarsi scarsa; e che perciò fosse bene di proccurare, che le ragioni del Re Carlo si comprovassero con maggior copia, e si dimostrassero con maggior vigore.

Può ben Napoli darsi il vanto, che le migliori scritture, che uscirono intorno a questo soggetto in difesa delle ragioni del Re di Spagna, furono quelle dettate dall'incomparabile nostro Giureconsulto Francesco d'Andrea, allora celebre e rinomato Avvocato de' nostri Tribunali. Il Vicerè D. Pietro d'Aragona non ebbe a questi tempi soggetto migliore di lui per appoggiargli questa difesa, e perchè con vigore ributtasse le pretensioni de' Franzesi. Comandato pertanto costui da D. Pietro, s'accinse all'impresa, ed a' 28 febbrajo del medesimo anno avendo ridotta a fine una dotta scrittura in idioma latino, con titolo: Dissertatio de Successione Ducatus Brabantiae, la presentò al Vicerè, che la ricevè con molta stima, ordinandogli, che l'avesse sottoscritta, com'egli fece in sua presenza, affinchè dovendola inviare in Ispagna col suo nome, già per tutta Europa diffuso e celebrato, acquistasse ella maggior peso ed autorità. Non si stimò in questi principj di darla alle stampe, per non dar motivo a' Franzesi, che per mezzo delle stampe non aveano ancora pubblicate le loro scritture, di dire, che fossero stati i nostri i primi a provocarli al cimento. Ma l'esito poi dimostrò, ch'essi intanto non l'aveano pubblicate, per attaccarne improvvisi; poichè, come si disse, nella fine di maggio s'ebbe avviso, che il Re di Francia era giunto co' suoi eserciti sulle frontiere della Fiandra, e che nel medesimo tempo avea fatto pubblicare di suo ordine un libro in diverse lingue, delle pretese ragioni, in nome della Regina sua moglie, sulla maggior parte di quelle province, il qual libro poco da poi comparve in Napoli in lingua Spagnuola con questo titolo: Tratado de los Derechos de la Reyna Christianissima sobre varios Estados de la Monarchia de Espanna.

Il Vicerè, tosto che l'ebbe in mano, l'inviò all'Andrea con ordine di rispondervi; ed allora fu, che apprendosegli più largo campo di mostrare la sua gran dottrina, la perizia nell'istorie, e la sua peregrina erudizione, diede fuori alle stampe in Italiana favella quella cotanto rinomata Risposta al Trattato delle Ragioni, etc. stampata in Napoli in questo medesimo anno 1668. Quivi con vigorosi argomenti dimostrò, la cotanto esagerata consuetudine del Brabante e delle altre province, non potere aver luogo nella successione del principato e della sovranità; e che quella non si regolò mai da tal consuetudine, ma si differì sempre con legge ed osservanza contraria. E poichè i Franzesi, per torsi l'opposizione della amplissima rinunzia fatta dalla lor Regina, in tempo che si maritò con Luigi, aveano proccurato con vari argomenti di farla vedere nulla ed invalida: egli con risposte vigorose abbattè i loro sofismi e con fortissime ragioni sostenne la validità e fermezza di quella: ciò che non avea fatto nella prima scrittura, parendogli, che ciò sarebbe stato in certo modo pregiudicare alla causa, se dove vi era total chiarezza, che non poteva alla Regina spettarle ragione alcuna, si fosse fatta gran forza in dimostrare, che validamente avesse potuto rinunziarla. Rispose parimente con tal occasione questo insigne Giureconsulto ad un altro libro fatto pubblicare in Francia d'altre pretensioni sopra tutte le province Belgiche, e sopra quasi tutti i Regni e Principati dell'Europa, composto da un tal Aubery Avvocato della Corte del Parlamento di Parigi, che fu stampato nel medesimo tempo dell'invasion della Fiandra sotto questo titolo, Delle giuste pretensioni del Re sopra l'Imperio. E con profonda dottrina ed esatta perizia dell'istoria fece vedere, che il Ducato dei Brabante colle vicine Province, non tiene alcuna dipendenza dalla Corona della Francia; nè che quel Re possa pretender di giustificarne la conquista, come rappresentante le ragioni di Carlo Magno; le quali egli sostiene, che oggi risiedano nella Augustissima Famiglia Austriaca.

Uscirono ancora altre dotte scritture in risposta del libro de' Franzesi, e fra le altre una giudiziosissima, scritta in lingua franzese da un pubblico Ministro col titolo: Bouclier d'Etat, et de Justice; etc. la qual fu tradotta in idioma spagnuolo, e subito stampata.

(Alle scritture pubblicate da' Franzesi furon date da più Scrittori vigorose risposte, che si leggono raccolte nell'Appendice del Diario Europeo Tom. XV, XVI e XVIII, e memorate da Struvio. Al libro d'Auberes stampato in Parigi l'anno 1667 col titolo, des justes Pretentions du Roi sur l'Empire, con note apposte, fu risposto da Errico Kippingio; siccome contro del medesimo uscirono, Axiomata Politica Gallicana, ed il libro di Nicolò Martino, intitolato Libertas Aquilae Triumphantis; al Traité des Droits de la Reine Très-Chrêtienne, etc. di cui fu Autore l'istesso Auberes, fu risposto con due altre scritture, una intitolata: Dialogue sur les droits de la Reine Très-Chrêtienne, atque deductio, ex qua clarissimis argumentis probatur contra Gallos, non esse jus devolutionis in Ducatu Brabantiae; e l'altra, la Verité defendue des sophismes de la France. Sei anni dopo Pietro Gonzales de Salcedo diede fuori un volume in foglio colla data di Brusselles del 1613, dettato in idioma spagnuolo, che poi fu tradotto in Franzese con questo titolo: Examen de la verité, ou Réponse aux Traités publiés en faveur des droits de la Reine Très-Chrêtienne sur divers Etats de la Monarchie d'Espagne. Al quale però nell'anno seguente 1614 fu risposto da Giorgio Abusson, con opposto libro, che ha il titolo: la défense du droit de Marie Therese d'Autriche Reine de France à la succession des Couronnes d'Espagne).

Ma di quanto a questi tempi ne corsero a giudicio di tutti, era riputata la più dotta, la più vigorosa, e la più elegante quella del nostro Francesco Andrea.

Ma mentre i nostri Giureconsulti difendevan con tanto vigore la giustizia del loro Principe, e sostenendo la causa migliore, s'eran resi in queste contese superiori a' Giureconsulti franzesi, eran dall'altro canto i nostri superati dalle armi nemiche più numerose e forti: sorpresero intanto i Franzesi Douay, Tournay, Lilla, Furnes, Dixmude, Courtroy, Oudennarde, Alost, Carleroy, ed altre Piazze di minor nome, nè l'inverno, che sopraggiunse, gli fece cessar dalle armi, anzi in questa stagione occuparono con occulte intelligenze in un momento tutta la Contea di Borgogna.

Questa improvvisa mossa de' Franzesi ridusse finalmente gli Spagnuoli ad aver pace con li Portoghesi, per potersi opporre con maggior vigore colle armi, siccome aveano fatto colle scritture, a' Franzesi. Era con la morte del Re Filippo, se non abolita la memoria della rivolta di Portogallo, estinta però l'avversione, che tenevano gli Spagnuoli all'accordo; onde ora facilmente vi si accomodarono, e fu quello conchiuso non con altri patti e capitolazioni, se non con quel Pretoriano editto: Uti possidetis ita possideatis: rimase con uguali condizioni ad amendue i Regni di Castiglia e di Portogallo ciò che possedevano avanti la loro unione, fuor che Ceuta, che trovandosi in mano de' Castigliani, fu loro permesso di ritenerla.

Stabilita la pace co' Portoghesi, fu nell'istesso tempo, che pubblicossi con le solite cerimonie in Napoli, dichiarata la guerra a' Franzesi, e furono pubblicati bandi, che tutti que' Franzesi, che si trovavano nel Regno, uscissero fra brevi giorni da quello; e dal Vicerè si fecero sequestrare i beni, che possedevano in esso il Duca di Parma, ed il Principe di Monaco, come aderenti alla Corona di Francia, la quale minacciando pure d'assalire l'Italia per mare e per terra, costrinse il nostro Vicerè di rinforzare con mila ottocento fanti spagnuoli ed italiani le Piazze della Toscana, e di far venire da Alemagna un Reggimento di soldati tedeschi. Fu da ciò impedito ancora di poter mandare in Levante nel principio della campagna di quest'anno 1668 la squadra delle galee del Regno al soccorso di Candia: di che il Pontefice molto rammaricossi; e considerando, che per questa guerra mossa da' Franzesi venivano impediti i soccorsi ai Veneziani, i quali con molto valore sostenevano la difesa di quell'Isola, cinta di stretto assedio da' Turchi, pose ogni studio, congiunto con gli altri Principi d'Europa, di ridurre quelle due emole Nazioni a concordia.

Era a questi tempi, per la morte accaduta d'Alessandro VII, a' 21 maggio del passato anno 1667, succeduto nel Pontificato a' 17 giugno Giulio Cardinal Rospigliosi da Pistoia col nome di Clemente IX, il quale vedendo, che i Turchi aveano messo stretto assedio a Candia, era tutto inteso a soccorrer di denaro e di gente i Veneziani, abolendo a questo fine gli Ordini de' Gesuiti, de' Romiti di San Girolamo di Fiesole e de' Canonici di S. Giorgio in Alga. Non tralasciava con molta premura stimolar gli altri Principi d'Europa a mandar in Candia validi soccorsi, e mandò insino a Solimano Re di Persia lettere, per animarlo contro al Turco. Vedendo, che tali soccorsi eran impediti dalla guerra, che i Franzesi avean mossa in Fiandra, si strinse con gli altri Principi a proccurarne la pace. Non erano questi molto soddisfatti de' progressi dell'armi franzesi, che facevano in Fiandra, e gli scosse non poco l'avviso d'essersi da loro occupata la contea di Borgogna. Gli Svizzeri minacciavano di prendere le armi per ricuperarla, come Stato, ch'era tenuto sotto la lor protezione. Ma più di tutti s'ingelosivano gli Stati delle Province Unite dell'Olanda, li quali abborrendo di veder i Franzesi avvicinarsi a' loro confini, appena conchiusa in Breda coll'Inghilterra la pace, indussero quel Re ad unir con essi le armi ed i consigli, e poi tirata la Svezia a forza d'oro ne' sentimenti medesimi, tant'operarono con gli ufficj, e molto più mostrando di voler muovere l'armi che persuasero, o più tosto sforzarono il Re di Francia ad assentir alla pace. Fu pertanto, a' 2 maggio di quest'anno 1668, ella conchiusa in Aquisgrana, ed in essa riuscì a' Franzesi di ritenere le loro conquiste ne' Paesi Bassi coll'istessa felicità, con cui le aveano conseguite, restituendo però agli Spagnuoli la Contea di Borgogna. Confessarono questi d'esser sommamente tenuti agli Olandesi di tutto ciò, che non aveano perduto, o che ricuperavano; poichè sotto apparenza di mediazione, aveano veramente protetto i loro interessi, e preservato ciò, che loro restava nelle province di Fiandra. Dall'altra parte il Re franzese concepì fierissimo sdegno contro gli Olandesi; ma simulandolo per allora, mostrò, che in onore e gratificazione del Pontefice deponeva l'armi. Clemente, quantunque comprendesse, quali ne fossero i più veri motivi, dimostrava però verso il Re gratitudine e tenerissimo affetto, proccurando stringer con lui confidenza, la qual riputava decorosa per se, ed utile per li suoi, e se ne valeva anche a beneficio de' Veneziani per li soccorsi, che ne ottenne per Candia di centomila scudi, con permissione di leve di Ufficiali e di milizie quanto n'avesse potuto raccogliere.

Pubblicata che fu in Napoli a' 4 d'agosto la pace d'Aquisgrana, non mancò pure il nostro Vicerè, licenziati gli Alemani, di spedir per Candia le squadre delle galee di Sicilia e del Regno, per le promesse che n'avea anche fatte la Regina Reggente a quella Repubblica, e per gli ordini che da lei ne avea ricevuti d'assistere con valide forze a quel bisogno. Ma riusciti inutili, non pur questi, ma tutti gli altri soccorsi mandati dal Re di Francia, dal Papa e da' Maltesi, tornatesene a dietro le costoro galee, s'intese poco da poi, che i Veneziani in questo nuovo anno 1669 erano stati costretti di rendere a patti Candia, dopo 24 anni di guerra e 28 mesi e 27 giorni di ostinatissimo assedio. Questa perdita fu sensibile a tutta Italia: ma si stimò più grave per noi, per la breve distanza, che s'interpone fra' lidi del capo d'Otranto, e 'l paese de' Turchi; onde il Vicerè considerando l'importanza del pericolo, non solamente fece munire tutte le Fortezze del Regno e le Piazze della Toscana, ma spedì varie compagnie di cavalli per guardare le spiagge dell'Adriatico, ed accorrere, dove il bisogno il richiedesse. Il Pontefice Clemente s'addolorò talmente di quest'avviso, che a' 9 decembre spirò. Fu in suo luogo, nel nuovo anno 1670 a' 29 aprile, eletto Emilio Lorenzo Altieri, che volle chiamarsi pure Clemente e fu il X di questo nome.

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