CAPITOLO V.

Il Marchese de los Velez, finita la guerra di Messina riordina il meglio, che può, il Regno: suoi provvedimenti: sua partita e leggi, che ci lasciò.

Aveva questa crudele ed ostinata guerra impoverito in tal guisa il Regno, per le tante spese occorsevi, che ci fece il conto, che ne uscirono poco meno di sette milioni. Affinchè i soccorsi fosser pronti e solleciti, fu di mestieri, non essendosi trovate l'entrate del regio erario corrispondenti alle somme immense, che fu necessario impiegare ne' ruoli delle milizie, nelle provvisioni delle vittuaglie, munizioni ed ordigni di guerra, e nelle paghe de' soldati, così dell'esercito della Sicilia, come dell'armata navale e delle guarnigioni delle piazze della Calabria; di por mano, non solo con molta precipitanza alla vendita degli ufficj , ma quel ch'è più, alla vendita de' fondi, ed a barattargli a prezzo vilissimo, con tanto vantaggio dei compratori, che tutti ne aveano goduti frutti eccessivi, e molti d'essi n'aveano ritratta la rendita di sopra venti per cento l'anno. Ciò che avendo diminuita notabilmente la dote della cassa militare, furono dalla Corte di Spagna, non solo disapprovate molte alienazioni, e per ciò niegato il regale assenso, ma intorno alla vendita de' capitali degli arrendamenti fiscali, ed adoe, fu ordinato, che si formasse una Giunta di Ministri, per esaminare un affare di così grande importanza. Furon proposti molti espedienti per dar compenso a' preceduti disordini; ma finalmente piacque a los Velez d'appigliarsi a quel partito, che reputò più conforme alla giustizia ed equità; laonde fu comandato, che tutti i mentovati contratti si dovessero regolare a misura del prezzo veramente pagato, in guisa tal, che i capitali degli arrendamenti e delle adoe si fossero ridotti a cento per cento; i fiscali della provincia di Terra di Lavoro al novanta; e quelli di tutte le altre province ad ottanta per cento. Il rimanente fu incorporato al patrimonio reale; al quale vi fu aggiunto ancora l'imposta del Jus prohibendi dell'acquavite, dalla quale si ricavavano in quel tempo 13 mila ducati l'anno.

Ristorato, come si potè il meglio, l'erario regale, bisognò dar sesto a non inferiori disordini. Le monete non ostante le severe esecuzioni fatte ne' passati governi, andavansi di giorno in giorno vie più adulterando. Furono dal Marchese rinovati i rigori, empì di falsificatori le carceri e le galee, molti ne furon fatti morire su le forche; ma con tutto ciò non era possibile sterminargli, ed erano così tenacemente adescati dall'avidità del guadagno, che molti di coloro, ch'erano scampati dal laccio e condennati a remare, sopra le galee istesse continuavano i loro lavori. Fin dentro i chiostri era penetrata la contagione, ed i monaci n'erano divenuti valenti professori. Gli Orafi adulterando le loro manifatture, mischiavano maggior lega di quella, che permettono le leggi del Regno. Donde venne a cagionarsi un grandissimo impedimento al commercio; poichè tutti coloro, che avevano argenti lavorati nelle lor case, non erano sicuri di trovarvi il lor danaro, e le monete erano presso tutti cadute in sì cattivo concetto, che cominciavasi a rifiutarle, ed oltre la mancanza del peso, ogni uno si faceva lecito di condannarla per falsa, o di conio, o di lega. In fine, sino alla moneta di rame era adulterata e falsificata. Il Vicerè applicò il suo animo per rimediare a disordini sì gravi; e fece fare un'esatta inquisizione contro degli Orafi, che aveano venduto l'oro e l'argento di più basso carato; sbandì tutte le monete false così di conio, come di lega; e volle, che si fossero portate fra brevi giorni in mano di persone a ciò destinate in diversi Rioni della città, e nelle province in mano de' Tesorieri, da' quali sarebbe stata restituita la valuta a' padroni in tanta moneta buona e Corrente; ma ciò non ostante accadevano infinite contese, perchè molti rifiutavano come falsa la moneta, che in fatti era buona, ed altri volevano mantenere per buona quella, che veramente era falsa: laonde per decidere simiglianti litigj, li quali mancò poco non fossero degenerati in tumulti, fu di mestieri, che il Vicerè ne commettesse la decisione ad alcune persone esperte di ciascuno quartiere. Ma tutti questi rimedj erano inutili e si sperimentarono inefficaci alla corruttela del male. L'unico rimedio era l'abolizione della antica e la fabbrica d'una nuova: ma questa era opera, che avea bisogno di molti apparecchi e richiedeva il travaglio di più anni. Con tutto ciò fece il Marchese, quanto i suoi calamitosi tempi comportavano; perchè non potendo altro, fe' coniare la moneta di rame d'una figura circolare così perfetta che servì poscia d'esempio alla fabbrica della moneta d'argento sotto gli auspicj del Marchese del Carpio suo successore: fece ancora a questo fine ristorare, ed ingrandire il palagio della Regia Zecca, ancorchè sapesse, che quest'impresa non era da ridursi a perfezione sotto il suo governo.

Non meno, che le monete, travagliavano il Regno le frequenti scorrerie de' banditi, li quali se in altri tempi erano stati sempre molesti, riuscivano ora, per la guerra di Sicilia, assai più gravi, per la gelosia, che portavano alla tranquillità dello Stato. Avea il marchese d'Astorga conceduto a molti di costoro il perdono se volessero andare a servire in Sicilia; e Los Velez, seguitando le sue pedate avea fatto il medesimo, particolarmente co' banditi di Calabria, li quali, per la poca distanza, stavano maggiormente soggetti ad esser da' nemici tentati. Riuscì in parte il disegno, poichè quelli, che v'andarono, da famosi ladroni divennero bravi soldati. Ma coloro, che rimasero, ancor che contro essi si fossero usate le più diligenti ricerche e le più severe esecuzioni, non fu però mai possibile estirpargli, ed impedirgli, che non infestassero le campagne.

La Città trovavasi nel suo arrivo in istato di somma dissolutezza per la confusione, che cagionavano le genti delle armate navali e le soldatesche, che si arrolavano per la guerra di Sicilia, onde tutto era pieno di disordini, nè v'eran atroci delitti, che non si commettessero, furti, sacrilegi, omicidj, assassinamenti, peculati, e proditorj. Fu contro tutti, e nobili, e popolani usato rigore; molti ne morirono per mano del boja, altri fatti secretamente strozzare, altri furono condannati a remare su le galee e moltissimi languirono per lungo tempo nelle prigioni; ma questi rigori nè meno bastarono, perchè dandosi luogo a maneggi, ed alle raccomandazioni, molti sapevano trovar scampo, nè badandosi alla cagione del male, si proccurava rimediare agli effetti e non recidere le radici.

Ne' Magistrati non si vedeva quella severità ed incorruttibilità, che le leggi lor prescrivono; ma alcuni per sordidezza, altri per compiacenza, davan luogo ai favori. D. Giovan d'Austria, dichiarato primo Ministro della Monarchia, pensò di darvi riparo, e mosso da segreti informi ne privò otto di dignità, e d'officio, due Consiglieri, due Presidenti di Camera e quattro Giudici di Vicaria, oltre alcuni ufficiali della Segreteria del Vicerè. Si lagnavano i Ministri degradati di essere stati condannati senza processo e senza difesa; onde si mossero i Deputati delle Piazze della città a pregare il Re, che secondo il costume introdotto dal Re Filippo II mandasse nel Regno un Visitatore, il quale contro i colpevoli procedesse con le forme giudiciarie, affinchè non si desse luogo alla passione, o alla calunnia, alle quali sogliono essere sottoposti i processi occulti. Assentì il Re alla domanda e la mandò in effetto in tutti i suoi Stati d'Italia avendo ordinato, che da Napoli andasse Visitatore in Sicilia il Reggente Valero, ed in Milano il Presidente di Camera D. Francesco Moles Duca di Parete, e che da Milano venisse in Napoli il Reggente Danese Casati. Giunse costui verso la fine d'aprile del 1679, e palesata la sua carica, ricevute le querele di molti, passò con grandissima circospezione alla fabbrica de' processi; nè altre novità d'importanza furono vedute nella città, che la restituzione d'alquante somme, che in concorso di creditori aveano alcuni ministri fatte pagare a chi forse non si doveano e l'allontanamento di due, per dar luogo alle diligenze, che doveano farsi dal Fisco contro di loro. Le altre cose passarono con quiete; onde il Casati dopo due anni di dimora in Napoli, partì nel mese d'aprile del 1681 per dar conto al Re di quanto avea operato in adempimento della sua commessione. Dal successo si credette, che i suoi processi poco, o nulla avessero contenuto contro agli otto Ministri già digradati; poichè in progresso di tempo cinque di essi furono reintegrati, parte nelle medesime, parte investiti d'altre cariche più autorevoli; e gli altri tre avrebbero facilmente ottenuto lo stesso, se uno di essi non si fosse contentato di menar vita privata e gli altri due non fossero morti.

Mentre queste cose accadevano in Napoli, morì in Roma a' 22 di luglio del 1676 il Pontefice Clemente X, ed essendosi ragunati in Conclave i Cardinali, elessero per successore a' 21 settembre del medesimo anno Benedetto Livio Odescalchi da Como Vescovo di Novara, che fu chiamato Innocenzio XI. Per l'opinione, che s'avea della sua bontà, ed innocenza di costumi, da tutti i Principi d'Europa fu l'elezione applaudita, ed in questo secolo non vi fu Pontefice cotanto da essi più venerato, quanto che lui; onde gli ufficj, ch'egli interpose in promovere la pace fra di loro, furono ben ricevuti, ed ebbero felice successo. Cominciossi a trattare in Nimega, ma le pretensioni troppo alte del Re di Francia e la diversità degl'interessi degli altri collegati ne prolungavano la conchiusione. Ma nato in quest'anno 1678 opportunamente all'Imperador Leopoldo, che non avea maschj, un suo figliuolo, parve questi venuto al Mondo per Angelo di pace. Le dimostrazioni di giubilo, che si fecero non meno in Napoli, che in tutti gli Stati Austriaci, furono grandissime; poichè si vedeva secondata in Alemagna la successione di quella Augustissima Famiglia e tolto con ciò ogni timore di future rivoluzioni e disordini nell'Imperio, ed ogni speranza agli altri Principi di potersene profittare. Agevolò per tanto la natività di questo nuovo Principe la pace, quale ebbe principio da quella, che il Re di Francia conchiuse con gli Stati Generali d'Olanda, a' quali quel Re promise di rendere la città di Mastrich, e sue dipendenze, ed il rinteramento del Principe d'Oranges nella possessione del Principato di questo nome, e di tutte l'altre terre poste nel suo dominio, che il Principe possedeva avanti la guerra senz'altra obbligazione dalla parte degli Olandesi, che d'osservare una perfetta neutralità, nè dar alcun ajuto a' nemici della corona di Francia.

Questa pace diede la spinta maggiore di far conchiudere l'altra fra la Spagna e la Francia, la quale dopo la sospensione d'armi di circa un mese, fu finalmente sottoscritta in Nimega a' 17 settembre di questo anno 1678. Gli articoli stabiliti in quella furon molti, buona parte de' quali riguardava le contribuzioni, ed il commerzio de' sudditi delle due Corone, e per la restituzione de' paesi occupati fu convenuto che il Re di Francia dovesse rendere al Re Cattolico le piazze di Carleroi, Binch, Ath, Oudenarde, Courtray, il Ducato di Limburgo, il paese di là dalla Mosa, la città e cittadella di Gant, il forte di Rondenhuis, il paese di Waes e le piazze di Levue e di S. Gislain ne' Paesi Bassi, oltre la città di Puicerda nel Principato di Catalogna, con espressa condizione, che l'escluse e fortificazioni incorporate a Neuport restassero agli Spagnuoli, nonostante le pretensioni del Re di Francia, come possessore della Castellania di Ath. Gli Spagnuoli all'incontro si contentarono di lasciare alla corona di Francia la Franca Contea di Borgogna e le città di Valenciennes, Buchain, Condè, Cambray, Cambresis, Aire, Sant'Omer, Ipri, Varwich, Varneton, Poperingue, Bailleul, Cassel, Satelbavai, e Maubeuge: come anche Charlemont in caso, che il Re Cattolico non facesse fra lo spazio d'un anno cedere al Re di Francia Dinant, appartenente al principato di Liege. E finalmente la Spagna stipulò la medesima neutralità, ch'era stata promessa dagli Olandesi.

Seguì poscia la pace fra la Francia, la Svezia, l'Imperio e l'Imperadore, la quale interamente fu regolata secondo le capitolazioni di quella di Vestfalia dell'anno 1648, nè vi fu cosa di nuovo, che la cessione di Friburgo rimaso all'Imperadore, il rinteramento del Vescovo d'Argentina e de' Principi di Furstemberg nella possessione de' loro Stati, beni, preminenze e prerogative e la restituzione della Lorena al Duca di questo nome, al quale la Francia avrebbe dato la città di Toul, ed una Prevostia ne' tre Vescovadi, in cambio di Nancy e della Prevostia di Longuùs, che volle ritenersi insieme con la Sovranità di quattro strade, larghe mezza lega di Lorena, per andare da S. Desire a Nancy e da qui in Alsazia, nella Franca Contea e nel Vescovado di Metz.

L'ultime paci furono quelle del Duca di Brunswich, Principi della Bassa Sassonia, Vescovi di Munster e d'Osnabrug, Elettore di Brandemburg e Re di Danimarca colla corona di Svezia; le quali parimente furono indirizzate all'osservanza di quella di Vestfalia. Così furono restituiti alla Svezia tutti gli Stati, che avea perduti nel corso di questa guerra, mediante il pagamento di alcune somme, che furono contate a Brunswich, Munster, Osnabrug e Brandemburg e solamente rimase al primo il Baliato di Tendinghausen e la Prevostia di Docuren, ed all'ultimo tutto il paese di là e qualche piazza di qua dell'Odera, che contro il tenore della pace di Munster aveano gli Svezzesi occupato. Vi furono parimente compresi li sudditi di ciascuna delle parti, e spezialmente fu convenuto, che la Contea di Rixinghen fosse restituita al Conte d'Alefelt, ed al Duca di Gottorp il suo Stato.

Tutt'i Principi sopraccennati ratificarono i mentovati trattati, quantunque molti di essi vi avessero acconsentito per dura necessità. Solo il Duca di Lorena fu quegli, che ricusò di approvargli e contentossi più tosto di rimanere spogliato del proprio Stato, che ricuperarlo così stravolto e corroso, anzi con le viscere contaminate dalla sovranità della Francia. E l'Imperador suo cognato riserbando questo affare del Duca a miglior congiuntura, dichiarollo governadore dell'Austria inferiore e del Tirolo, assegnando a lui ed alla vedova Regina di Polonia, Leonora d'Austria sua moglie, la città d'Inspruch per residenza.

In Napoli, dove pervenne l'avviso sul principio di ottobre, furono per questa pace celebrate magnifiche feste; ma assai maggiori se ne videro all'avviso delle nozze del Re, che per maggiormente stabilirla, furono conchiuse con la Principessa Maria Lodovica Borbone figliuola del Duca d'Orleans, fratello del Re di Francia, impalmata in Fontanalbò dal Principe di Contì, come proccuratore del Re di Spagna. Fu chiesto per queste nozze alle Piazze un donativo; ma incontrandosi gravi difficoltà, per non esser cosa altre volte praticata in simili casi; e molto più per l'angustie, nelle quali si trovava il Regno, fu preso espediente d'imporre un nuovo jus prohibendi sopra l'acquavite. Amareggiò alquanto questa celebrità la morte seguita in Madrid in settembre del Principe D. Giovanni d'Austria, ma non fu permesso perciò interrompere le feste, le quali avendo il Vicerè determinato di trasportarle dopo l'arrivo della Regina Sposa in Ispagna, furono a' 14 gennajo del nuovo anno 1680 cominciate con pompose e numerose cavalcate, e proseguite con tornei, illuminazioni ed altre pubbliche dimostrazioni d'allegrezza.

Ma con tutta questa pace, e questo nuovo vincolo, non finirono in noi i sospetti di nuove invasioni, e le agitazioni per prevenirle. I Franzesi di riposo impazienti, quantunque avessero con tant'ardore sollecitata la pace con la Spagna, Olanda, l'Imperadore, i Principi dell'Imperio, e le Corone del Settentrione: ad ogni modo, o che restassero gonfi d'averla ottenuta a lor modo, o ch'avessero desiderato di rompere l'unione di tanti Principi confederati a' lor danni, per confermarsi nel possesso delle loro conquiste, e poscia opprimere divisi coloro, che collegati parevano insuperabili; cominciavano di bel nuovo a dar grandissime gelosie; e ben presto se ne videro i contrassegni; poichè quando doveansi assembrare i Commessarj per regolare i confini in esecuzione de' trattati di pace, ricusarono di dar principio alle sessioni, pretendendo, che si dovesse dal Re Cattolico rinunziare al titolo di Duca di Borgogna, antico retaggio della Casa d'Austria, e che per conseguenza dovesse quello torsi dai mandati di proccura, che producevano i suoi Ministri. Aprirono poscia due Tribunali, l'uno in Brisach, e l'altro in Metz: ed arrogandosi una giurisdizione non mai udita nel mondo sopra i Principi lor vicini, fecero non solamente aggiudicare alla Francia con titolo di dipendenze tutto il paese, che saltò loro in capriccio ne' confini della Fiandra, e dell'Imperio; ma se ne posero per via di fatto in possessione, costringendo gli abitanti a riconoscere il Re Cristianissimo per sovrano, prescrivendo termini ed esercitando tutti quegli atti di signoria, che sono soliti i Principi di praticare co' sudditi. Di vantaggio, durando la pace, posero in ordine ne' loro porti una potentissima armata di galee e di navi, empierono i magazzini, ed ingrossarono le guarnigioni delle piazze di frontiera, ingelosendo con simiglianti apparecchi tutt'i Principi di Europa. Uccellarono il Duca di Savoja col matrimonio dell'Infanta di Portogallo, allora erede presuntiva di corona, con disegno d'impossessarsi nella sua assenza dello Stato, quantunque poscia, essendosi scoperta opportunamente l'insidia, si rompesse, quando il Duca doveva già imbarcarsi per Lisbona, il trattato, per non arrischiare la possessione di quel nobil principato, su l'incerta speranza della successione d'un Regno. Sollecitarono gli Olandesi a collegarsi con esso loro, per rendergli sospetti a tutto il Mondo cristiano, e finalmente occuparono la città d'Argentina su le sponde del Reno, ed introducendo guarnigione nella cittadella di Casale nel Marchesato di Monferrato, diedero occasione agl'Italiani d'insospettirsi della soverchia avidità de' Franzesi.

In Napoli questi andamenti de' Franzesi posero ancora gravi sospetti; onde sempre che comparivano loro navi ne' nostri porti, ci obbligavano a star solleciti e vigilanti in prevenir le cautele. Maggiori sospetti avean essi dati nel Milanese e nel Principato di Catalogna; onde per le premure venute da Spagna, fu duopo al Vicerè, che arrolasse duemila fanti, e gli facesse imbarcare per Barcellona sotto il comando del Maestro di Campo Marchese di Torrecuso. In oltre che si mandassero due vascelli di munizioni da guerra nel Finale: che si prendessero diece scudi per cento dell'entrate d'un anno, che possedevano i particolari sopra le gabelle, dazj e fiscali, con farne loro assegnamento di capitale sopra gli arrendamenti del tabacco e dell'acquavite: che s'invitassero tutt'i Baroni del Regno a servire il Re con qualche numero di soldati a cavallo; siccome in fatti ciascuno contribuì col danaro secondo le proprie forze, e fu tassata la spesa necessaria per arrolargli alla ragione di 78 ducati l'uno; e finalmente, che si desse esecuzione agli ordini regali pel pagamento della sola metà de' soldi, che comunemente chiamansi mercedi, e che sono grazie della regal munificenza in ricompensa de' servigj passati.

Ma mentre il Marchese de los Velez era occupato in queste spedizioni, s'ebbe avviso, che dalla corte di Spagna erasi destinato per suo successore al governo del Regno il Marchese del Carpio, che si trovava Ambasciadore del Re Cattolico in Roma presso il Pontefice Innocenzio XI. Non tardò guari, che cominciarono a comparire le genti della sua famiglia, ed egli, prevenendo l'incontro, al quale s'era accinto los Velez con quasi tutta la Nobiltà, giunse a' 6 di gennajo di questo nuovo anno 1683 prima che si sapesse il suo avvicinamento, nel Convento di S. Maria in Portico de' PP. Lucchesi del Borgo di Chiaja. Fu tosto visitato dal predecessore, il quale a' 9 del medesimo mese gli cedè il governo, e prese immantenente il cammino per la Corte, dove finalmente giunto, fu ben accolto dal Re, ed onorato della Sede diConsigliere di Stato, e poscia della carica di Presidente del Consiglio dell'Indie.

Non potè los Velez per le moleste occupazioni della guerra di Sicilia, e per l'immense spese, che bisognavano per mantenerla, lasciar a noi monumenti di edificj, d'inscrizioni e di marmi, come i suoi predecessori. Ci lasciò nondimeno ne' sette anni e quattro mesi del suo governo 28 Prammatiche tutte savie e prudenti, per le quali e' diede molti salutari provvedimenti, così a riguardo del valore, e qualità delle monete, come per mantenere l'abbondanza nel Regno e per altri bisogni della città, che vengono additati nella Cronologia prefissa al tomo delle nostre Prammatiche. Ma poichè dal suo successore fu Napoli, ed il Regno sollevato da tante sciagure, ed in miglior fortuna stabilito, tal che prese altro aspetto e nuove forme, sarà di mestieri, che i generosi e magnifici gesti di quest'Eroe si rapportino nel libro seguente di quest'Istoria.

FINE DEL LIBRO TRENTESIMONONO.

STORIA CIVILE

DEL

REGNO DI NAPOLI

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