CAPITOLO IV.

Il Marchese de los Velez nuovo Vicerè prosiegue a mandar soccorsi per la riduzione di Messina, la quale finalmente abbandonata da' Franzesi, ritorna sotto l'ubbidienza del Re.

L'espettazione, colla quale fu ricevuto D. Ferrante Gioachino Faxardo Marchese de los Velez, e la speranza, che si concepì del suo governo di dover sollevare il Regno d'una sì molesta, e fastidiosa guerra, che lo impoveriva molto più, che non avean fatto le passate sciagure, fu appresso tutti grandissima. Si sperava, che per l'avvenire con miglior economia dovesse spedirsi il denaro e per conseguenza dovessero farsi sforzi più valevoli per terminar la guerra di Sicilia; che sarebbero scacciati i franzesi, umiliati i ribelli, restituita la tranquillità in quell'Isola e quello che più premeva, liberato il nostro Regno, non meno dal peso di spingere a quella parte continui soccorsi, che dal timore d'invasioni e d'insulti; poichè i Franzesi, non contenti di suscitar torbidi e sollevazioni in quell'Isola, macchinavano ancora nel nostro Regno, coltivando continue pratiche co' banditi di Calabria e con altri mezzi fomentando sedizioni e tumulti: nè tralasciava l'ambasciadore del Re Franzese residente in Roma, con occulte macchinazioni e con secrete commessioni, appoggiate per lo più a frati, di tentar gli animi e far disseminare manifesti per eccitare i popoli a seguir l'esempio de' Messinesi. A questo fine il Marchese de los Velez fu obbligato di istituire in Napoli un'assemblea di ministri con titolo di Giunta degl'Inconfidenti, la quale non vi stette oziosa, poichè scoprì molti di costoro, de' quali, secondo che venivano indiziati, alcuni ne furono imprigionati, altri esiliati dal Regno e taluni fatti morire su le forche.

(A questi tempi fu sparso quel Manifesto del Re Luigi XIV, che in idioma franzese si legge presso Lunig colla data di Versaglia degli 11 ottobre del 1675, dove s'espongono le ragioni per le quali fu mosso a dar soccorso a' Messinesi oppressi dal pesante giogo degli Spagnuoli.)

Intanto sollecitando la Regina reggente la riduzione de' Messinesi e nell'istesso tempo minacciando rigorosi castighi a' generali spagnuoli, affrettando per ciò il reggente Valero, che i processi fabbricati contro di loro dovesse mandare alla Corte, costrinse il nostro Vicerè a pensar da dovero ad affrettare valevoli soccorsi per quella spedizione. Egli per ciò esagerando non meno a' Nobili, che al Popolo Napoletano gli urgenti bisogni, indusse loro a far un donativo al Re di 200 mila ducati, una parte de' quali fu ricavata dalle contribuzioni volontarie de' Cittadini e 'l rimanente dalla metà degli stipendj de' Giudici delegati e dei governadori degli arrendamenti, ed in cotal guisa si sosteneva la guerra di Sicilia, dove furono spediti da tempo in tempo soccorsi non solo di munizioni e di gente, ma si mandava ogni mese il contante per pagare l'esercito.

Ma le speranze maggiori di snidare i Franzesi da quell'Isola si fondavano nella venuta di D. Giovanni d'Austria, il quale essendo stato dichiarato dalla Regina Reggente, Vicario generale del Re in Italia, si aspettava a momenti con una squadra di vascelli di Olanda. Giunse finalmente in Napoli a' 30 di novembre di quest'anno 1675 l'armata Olandese composta di diciotto navi da guerra e sei da fuoco, comandata dall'ammiraglio Ruiter, ma non già D. Giovanni di Austria, il quale con secreti ordini del Re era stato richiamato alla Corte. L'arrivo di quest'armata diede maggior agio ai generali Spagnuoli d'accalorar l'impresa, e già stringendo per tutti i lati Messina, ed all'incontro vedendosi che i Franzesi a lungo andare non avrebber potuto resister loro, si cominciavano a sentir voci dagl'istessi Messinesi che era impossibile che Messina potesse rimanere ai Francesi, e che l'armata spagnuola unita a quella degli Stati generali d'Olanda l'avrebbe senza fallo espugnata. Cominciavano ancora ad accorgersi, che il Re di Francia non avea pensiero (non potendo conquistare tutto il Regno) di conservarla: ma solamente di divertire le forze della corona di Spagna, colla quale guerreggiava ne' Paesi Bassi, e che per ciò vi mandava soccorsi tali, ch'erano valevoli a mantener questa guerra in Italia, non già a liberare la città di Messina da quelle angustie, nelle quali la tenevano le milizie Spagnuole. Dispiacevano sommamente ai Franzesi queste voci onde nell'entrato anno 1676 vie più inaspriron la guerra, e tentarono di nuovo Palermo, e l'altre piazze, ma sempre con infelici successi.

Intanto partito per la corte il Marchese di Villafranca, e sostituito Vicerè di quell'Isola il Marchese di Castel Rodrigo figliuolo del Duca di Medina las Torres e di D. Anna Caraffa principessa di Stigliano, giovane intorno a 35 anni e che nelle guerre di Portogallo e di Catalogna avea dati saggi d'un gran ardire e valore; ripigliò questi la guerra con più vigore, e per tutto quest'anno e ne' principj del seguente combattè valorosamente i Franzesi, sicchè molto più i Messinesi disperavano di lor salute. Ma morto costui per dolor di colica nel mese d'aprile di questo nuovo anno 1677 non potè aver il piacere per le sue mani di veder condotta a fine la gloriosa impresa. Avea egli prima di morire appoggiata l'amministrazion del Regno alla Marchesana sua moglie, ed al Maestro di Campo Generale Conte di Sartirana il comando delle milizie, per sino a tanto, che il Re non avesse provveduto il regno del successore. Ma poichè eravi occulto dispaccio del Re, che comandava, che per qualunque accidente venisse a mancare il Castel Rodrigo andasse il Cardinal Portocarrero, che si trovava in Roma, a prender il governo di quell'Isola, partì subito questi da Roma per Gaeta, ove a' 10 maggio imbarcatosi, navigò felicemente per Palermo.

Fu proseguita la guerra per tutto quest'anno con non minor calore, che intrepidezza; ma in Messina intanto accadevan spesso fastidiosi tumulti, non solo per l'insolenza de' soldati Franzesi, ma per le mormorazioni, che tuttavia crescevano, che i Franzesi dovessero finalmente saccheggiar Messina e lasciar gli abitanti alla discrezione degli Spagnuoli. Nè le voci eran vane, poichè nel consiglio di Francia era stato già stabilito l'abbandonamento de' Messinesi e poichè donde venisse tal risoluzione era occulto, diessi a molti occasione di spiarne le cagioni. Alcuni l'attribuivano alle immense spese, che dovea soffrir la Francia per traghettar le soldatesche nella Sicilia, e molto più per mantenervele; e mancando In Messina ogni sorte di vettovaglie, si dovean mendicare da lontani paesi, non solo per uso delle milizie, ma anche de' Cittadini. Si faceva il conto, che di ventimila soldati passati in diverse volte in quell'Isola, appena rimaneva la quarta parte, e tutti gli altri, o erano rimasi estinti nelle fazioni o morti di patimenti e d'infermità, o finalmente fuggiti per non esporsi al pericolo della fame. Che volendosi continuar la guerra, bisognava spedire nuove squadre in Sicilia, giacchè dagli Spagnuoli si facevano apparecchi grandissimi in tutti gli Stati, che possedevano in Italia. S'aggiungeva ancora di dover mantenere l'armata navale continuamente in que' mari, per tener aperto il passo alle vettovaglie e per far fronte all'armata spagnuola, la quale sarebbe stata molto potente, per la squadra di navi, che facevano gli Olandesi passare a questo effetto nel Mediterraneo Sotto il comando del Vice-Ammiraglio Everzen; e che queste spedizioni pregiudicavano notabilmente alla guerra, che la Francia faceva di là da' monti, dove avea bisogno di soldatesche per ingrossare gli eserciti, e di navi per l'armata navale, che faceva mestieri di porre in mare, non solamente per opporsi a' Principi Collegati, ma anche al Re d'Inghilterra, il quale sollecitato dal Parlamento, minacciava d'unirsi co' nemici del Re Franzese, per costringerlo a far la pace con quelle condizioni, che pretendeva prescrivergli. Si considerava, che la Francia non avea tante forze per mantenere un'armata navale nell'Oceano ed un'altra nella Sicilia, spezialmente in quel tempo che 'l fuoco avea abbruciata una gran parte dell'Arsenale e delle munizioni in Tolone, ed anche i magazzini in Marsiglia; e ch'era ritornato dall'America il Conte d'Etrè con la sua squadra di navi molto mal concia e sminuita di numero, per cagion della battaglia ch'avea data nell'Isola del Tabacco al Vice-Ammiraglio Binch olandese. Ma sopra tutto si ponderava, che la guerra della Sicilia non poteva giammai render conto alla Francia, poichè erasi già sperimentato, di non doversi fare alcun fondamento su quella rivoluzione generale dell'Isola, che aveano i Messinesi fatta sperare; anzi che per la fermezza e costanza de' Siciliani nella fede del lor principe, era a' Franzesi ogni palmo di terreno costato un fiume di sangue; ed aggiugnevasi, che bisognava temere de' medesimi Messinesi, giacchè s'era sperimentato, che alcuni di essi per affetto alla Spagna, altri per incostanza di genio, e tutti per rincrescimento della lunghezza, e delle calamità della guerra, aveano macchinate tante congiure, per riconciliarsi col Re Cattolico. E finalmente conchiudevasi, che non era possibile di combattere insieme co' nemici interni ed esterni, e molto men con la fame, la quale faceva a' Franzesi in Messina una guerra, assai più crudele di quella, che loro facevasi dagli Spagnuoli.

Questo fu ponderato allora intorno a tal deliberazione, ancorchè non mancassero alcuni, che stimassero le cagioni assai più recondite e misteriose, e che nascondessero segreti d'assai maggiore importanza. Altri finalmente credettero, che ciò fosse preludio del trattato di pace, che fu conchiuso in Nimega l'istesso anno 1678. Che che ne fosse, egli però è certo, che questo abbandonamento fu conchiuso nel consiglio di Francia molto tempo prima di quello, che fu mandato in effetto. Il Marescial di Vivonne non volle esserne l'esecutore, per non lasciare, con un atto di debolezza, quella carica, che gli pareva d'avere esercitata con tanto applauso; onde a questo fine il Re di Francia gli sostituì il maresciallo della Fogliada nel medesimo tempo, ch'essendo stato nominato dal Re Cattolico il Cardinal Portocarrero all'Arcivescovado di Toledo, vacato per la morte del Cardinal d'Aragona, fu mandato in sua vece il Principe D. Vincenzo Gonzaga de' Duchi di Guastalla a governar la Sicilia, il qual giunto a Napoli nel dì 22 di febbrajo di quest'anno 1678, partì verso Palermo nel primo di marzo, portando seco un vascello con 500 fanti Napoletani, seguitato, alcuni giorni da poi, da due navi cariche di munizioni da guerra.

Essendo per tanto giunto in Messina il Maresciallo della Fogliada, dato prima ad intendere di voler con maggior calore proseguire la guerra, cominciò ad imbarcare sopra l'armata le soldatesche Franzesi, sotto pretesto di condurle all'acquisto di Catania, o di Siracusa: da poi fatti a se chiamare i Giurati della città mostrò loro i dispacci del Re di Francia per l'abbandonamento della Sicilia. Questo avviso a guisa di un fulmine toccò gli animi de' Messinesi, che sbalorditi e confusi, non sapevano a qual partito appigliarsi: scongiuravano il Maresciallo a trattenersi, almeno infino a tanto, che dessero sesto alle cose loro. Ma ciò lor negato, molti disperando del perdono dagli Spagnuoli, deliberarono di abbandonare la patria e d'andarsene in Francia: così ne furono molti non men Nobili, che Popolari imbarcati sopra l'armata, che verso Provenza voltò le prore. Così rimasa Messina senza assistenza de' Franzesi, que che vi rimasero ne dieron tosto avviso al governadore dell'armi della piazza di Reggio, il quale immantenente accorsovi col Vescovo di Squillace, ed alcuni ufficiali militari introdusse in Messina il ritratto del Re Cattolico, a vista del quale tutti que' cittadini fecero non ordinarie dimostrazioni d'applauso al suo Augustissimo Nome. Ciò accadde nel mese di marzo di quest'anno. Vi accorsero poco da poi gli altri comandanti con buon numero di soldatesche, e finalmente portossi in Messina il Vicerè Gonzaga, il quale usando moderazione con que' sudditi, concedette loro un ampio perdono, con la restituzione di tutti i beni, che non si trovavano alienati, o venduti; ma volle, che ne fossero esclusi tutti coloro, che con la fuga se n'erano renduti indegni. Comandò parimente, che si fosse negli abiti abolito l'uso franzese, e che si fosse portata nella zecca tutta la moneta di Francia, a fine di coniarsi con l'impronta del Re. Non estinse il Senato, aspettando sopra ciò la deliberazione della Corte; vietò nulladimeno a' cittadini d'offendersi, o ingiuriarsi fra di loro per le colpe della passata ribellione; ed avendone mandate tutte quelle soldatesche, che sopravanzavano al bisogno delle guarnigioni, le milizie di Reggio si ritirarono in Napoli.

Ma alla Corte di Spagna non piacque l'indulgenza usata dal Gonzaga a' Messinesi; onde richiamatolo in Madrid a sedere nel Consiglio di Stato, gli sostituì nel Governo dell'Isola il Conte di S. Stefano, il quale trovandosi allora Vicerè in Sardegna, si pose immantenente in cammino, ed a' 29 di novembre giunse in Palermo, donde partito a' 5 di gennajo del nuovo anno 1679 arrivò a Messina. Costui secondando i desiderj della Corte, tolse il Senato, e mutò forma di governo a quel magistrato, comandando, che non più senatori, giurati, ma eletti dovessero nomarsi, e restrinse in troppo angusti confini la loro potestà. Privò i Messinesi di tutti i privilegj e franchigie. Fece demolire il palagio della Città, e sparso il suolo di sale, vi fece ergere una piramide, ed in cima la statua del Re formata dal metallo di quella stessa campana, che prima serviva per chiamare i cittadini a consiglio. Vietò tutte l'assemblee; regolò egli le pubbliche entrate, le esazioni, ed i dazj; e finalmente, secondo le istruzioni lasciategli dal Principe Gonzaga, per porre maggior freno a que' popoli, vi fondò una forte ed inespugnabile cittadella, intorno alla quale posero ogni studio i migliori Ingegneri e Capi Militari, che aveva la Spagna in que' tempi.

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