Di D. Innico Velez di Guevara, e Tassis, Conte d'Onnatte, nel cui governo si placarono le sedizioni, e si ridusse il Regno sotto il pristino dominio del Re Filippo.
Giunto il Conte d'Onnatte in Napoli, avendo visitati i luoghi della Città, e tutte le trincee, ch'erano a fronte de' popolani, si dispose non pure alla difesa, ma pose ogni studio d'impadronirsi de' quartieri occupati dal Guisa; ed animando le sue milizie, fece dar loro le paghe, distribuendo centottantamila ducati, che avea seco portati da Roma. Nell'istesso tempo, approvando la condotta di D. Giovanni, non tralasciò di seguitar il trattato del perdono e dell'accordo prima coll'Annese incominciato: ciò che giovò non poco, perchè con queste pratiche sempre più s'andava scemando il partito del Guisa mal sofferto dall'Annese. Erano ormai gli abitanti stanchi di tante confusioni e miserie, e tutti sospiravano la quiete; imperocchè interrotto ogni commerzio, e turbata la società civile, non restava più alcuna cosa sicura dalle voglie sfrenate de' scellerati, e dall'audacia di que' meschini, che avvezzi colle fatiche a guadagnar la mercede, ora volevano viver nell'ozio con le rapine, e sotto il manto di libertà essendosi introdotta una dissoluta licenza, la maggior parte era stanca delle sue stesse passioni. Approssimandosi adunque la vicina Pasqua, in cui gli uomini riconciliandosi a Dio, ammettono ne' loro cuori desideri pietosi di giustizia e di pace, s'impiegarono segretamente molti Religiosi ad introdurre, e coltivare questi sentimenti nella plebe. Proccurò similmente l'Onnatte da alcuni principali de' sollevatiricavar le condizioni, che richiedevano, ma essendo così esorbitanti, che innalzavano i privilegi del Popolo sopra l'autorità del Re, egli trattò di moderargli, perdonando a' rei, e levando le gabelle dal Regno, e per accertargli maggiormente promise, che fra tre giorni gli avrebbe con pubblici documenti a lor piacere confermati e soddisfatti. Disposte in cotal guisa le cose, prima che tal tempo spirasse, presa la congiuntura, che il Duca di Guisa erasi portato nella punta di Posilipo per ridurre la piccola Isola di Nisita a sua divozione, D. Giovanni da una parte, ed il Conte dall'altra uscirono all'improvviso da' Castelli con gente armata, e calando nella Città, ben ricevuti in alcuni quartieri, dove tenevano intelligenza, gridandosi con voci giulive il nome del Re, e rispondendo in concorde suono gli altri vicini, implorandosi pace e clemenza, si dileguò per tutto la sedizione, e la città fu occupata in pochi momenti. Non più di tremila uomini ridussero quel popolo innumerabile all'ubbidienza, e tutto seguì senza strepito e senza sangue. L'Annese ammesso al perdono, presentò le chiavi del Torrione, che furono consegnate a Carlo della Gatta, il quale vi entrò subito con due compagnie di spagnuoli. Nel Duomo si riferirono a Dio solennemente le grazie. Così in un momento s'estinse quell'incendio, che mi nacciava l'eccidio al Regno; e ciò, che apportò maggior maraviglia, fu la subita mutazione degli animi; che dalle uccisioni, da' rancori e dagli odj passarono immantenente a pianti di tenerezza, ed a teneri abbracciamenti, senza distinzione d'amici, o d'inimici, fuorchè alcuni pochi, i quali guidati dalla mala coscienza si sottrassero colla fuga; tutti gli altri restituiti a' loro mestieri, maledicendo le confusioni passate, abbracciarono con giubilo la quiete presente. Seguì la reduzione di Napoli a' 16 d'aprile di quest'anno 1648 giorno di lunedì santo. Il Duca di Guisa, che in questo giorno, come si disse, trovavasi fuori della Città, intesa la rivoluzione, rimase attonito a tanto accidente: onde cercando colla fuga lo scampo, s'incamminò verso Apruzzi per unirsi colà co' Franzesi: maseguitato da' Regj, fu fatto prigione e condotto a Gaeta. Fu lungamente consultato in Napoli sopra la di lui vita: da poi fu risoluto di mandarlo con buone guardie in Ispagna, come fu eseguito, dove rimase prigioniero infino a tanto, ch'essendosi il Principe di Condè dichiarato del partito spagnuolo, e sperando di fortificarlo con l'aggiunta del Guisa, chiestolo in grazia al Re, cortesemente l'ottenne; ma il Duca credendosi più obbligato d'osservare la fedeltà al suo Principe, che le promesse fatte a' nemici, al ritorno che fece in Francia, non ne volle udir altro. L'esempio di Napoli giovò non poco agli altri luoghi del Regno; e se bene in alcune province fluttuanti rimanessero alcune commozioni, ed in particolare nell'Apruzzo, dove da Roma concorsero alcuni Franzesi in aiuto de' sollevati: nulladimeno dalle forze de' Baroni e dall'autorità del Vicerè, furono con poco romor dissipati. Tanto che sedati affatto gli umori della plebe, che dopo una sì fiera tempesta eran rimasi ancor fluttuanti, potè D. Giovanni a' 22 settembre di quest'anno partirsi da Napoli, e portarsi coll'armata a Messina a confermar i Siciliani, che sedati i tumulti, s'eran rimessi già nell'antica ubbidienza ed ossequio delRe. Il Duca d'Onnatte, sgombrato il torbido, rimosso il Capo, e partito D. Giovanni, pel suo natural talento che inclinava più al rigore che alla clemenza, diede a molti terrore. Con tutto ciò egli assicurò tutti con general perdono, e tosto si applicò a riordinar il Regno; e vedutosi che l'abolizione di tutte le gabelle e de' fiscali portava disordini gravissimi non meno al regio erario, che a' Cittadini istessi, dalle Piazze della città, e particolarmente da quella del Popolo, fu richiesto ad imporre il pagamento di carlini quarantadue per ciascun fuoco delle Comunità del Regno, e la metà di tutte le gabelle abolite, fuorchè quelle dei frutti e de' legumi, che rimasero per sempre estinte. Ed a fine di sovvenire non solo a' bisogni dell'erario regale, ma anche agl'interessi di coloro che l'aveano comprate, fu stabilito, che della rendita di tutte le accennate gabelle dovessero pagarsene ducatitrecentomila l'anno per la dote della Cassa militare, applicandosi il rimanente a beneficio de' compratori, i quali dovessero per lor medesimi governarle e ripartirsene il frutto. E per quel che tocca a' fiscali, fu assegnata similmente parte della lor rendita a' compratori, ed il rimanente fu applicato alla dote della Cassa militare. In cotal guisa, e con l'imposizione del jus prohibendi sopra il tabacco, cotanto ora fruttifera, fu sovvenuto al Re ed ai sudditi, e cominciò notabilmente a restituirsi il commerzio ed il traffico da per tutto. Non tralasciò da poi il Conte, sorgendo in un mare poc'anzi placato sovente nuovi flutti, di mettere in uso i più forti rigori; onde a tal effetto avendo stabilita una Giunta di Ministri contro gl'inconfidenti, fu poi terribile contro i colpevoli de' passati tumulti, e mostrandosi più avido di pene, che soddisfatto del pentimento, non risparmiò alcuno de' principali: imperciocchè ora imputando delitti, ora inventando pretesti, alcuni punì con pubblici supplicj, altri con segrete esecuzioni di morte, e molti costrinse a prender esilio dal Regno: ciò che gli fece acquistar nome di severo e di crudele, e che si reputasse una delle cagioni di non aver potuto prolungare tanto il suo governo,quanto e' reputava convenirsi a' suoi meriti.