CAPITOLO V.

Il Conte d'Onnatte restituisce i Presidj di Toscana all'ubbidienza del Re, e rintuzza le frequenti scorrerie de' banditi. Sua partita: monumenti, e leggi, che ci lasciò.

Diede agli altri maraviglia insieme, ed a lui sommo encomio la risoluzione del Conte d'Onnatte di tentar ora colle forze del Regno l'impresa de' Presidj di Toscana, essendo rimaso per le precedute scosse cotanto abbattuto e smunto. Ma dall'altro canto l'uomo savissimo considerava, che non si sarebbe potuto giammai apportar quiete nel Regno, se non si snidavano i Franzesi da que' luoghi cotanto vicini: così per gl'impedimenti, ch'essi davano alla comunicazione e traffichi con gli altri Stati della Monarchia nel Mediterraneo; come ancora per lo ricetto, che i ribelli del Regno ritrovavano in quelle Piazze, risolse per tanto il Conte d'impiegar tutti i suoi talenti a quest'impresa, spinto ancora dall'opportunità de' romori, che in questi tempi s'udivano in Francia, involta nelle confusioni, che il Principe di Condè v'aveva poste. Applicossi perciò ad unir soldatesche, ed a preparare un'armata proporzionata al disegno, e per maggiormente accalorar l'impresa volle egli imbarcarvisi; onde dal suo esempio mossa quasi tutta la Nobiltà del Reame, corse a gara a servire in tal congiuntura il Re. Prima di partire lasciò per suo Luogotenente, D. Beltrano di Guevara suo fratello, il quale per lo spazio di quattro mesi, quanto appunto durò la sua assenza, governò il Regno con molta saviezza, e sopra tutto s'applicò a sollevare le Comunità del Regno, stabilendo, che l'annue entrate, che corrispondevano a' loro creditori, si riducessero alla ragion del cinque per cento. Riparò la Sala della Gran Corte della Vicaria, e diede altri salutari provvedimenti, che si leggono in due sue Prammatiche, che ci lasciò. Nel terzo dì di maggio adunque dell'anno 1650 si mosse da' nostri Porti l'armata verso Gaeta, dove s'unì D. Giovanni d'Austria con altri legni e milizie, che seco conduceva dalla Sicilia. Quivi fattasi la rassegna si contarono trentatrè grosse Navi e tredici Galee oltre le sette della squadra del Duca di Tursi, ch'erano andate a Finale a prender le soldatesche, che il Governador di Milano mandò a questa spedizione.

Giunta l'armata a' 25 del medesimo mese a vista dell'Elba, prima d'attaccar Portolongone, fu risoluto di ricuperar Piombino; onde data la cura al Conte di Conversano, che con titolo di Generale della Cavalleria e con 300 fanti 80 cavalli e sei tartane, tutto a sue spese, erasi accompagnato in questa spedizione, si portò egli con 1500 fanti, 400 cavalli e sette pezzi d'artiglieria, oltre le soldatesche di Nicolò Lodovisio a cui s'apparteneva quel Principato, ad investir la Piazza, e dopo molte ore d'un fierissimo combattimento, costrinse i Franzesi ad abbandonar la città, ed a ritirarsi nella Fortezza. A questo avviso non tardò il Vicerè d'andare con gente fresca a dar calore all'impresa; onde i Franzesi veduti gli assalitori schierati in ordinanza per dar l'assalto, non avendo speranza alcuna di soccorso, tosto si resero a patti di buona guerra. Il Vicerè, dopo aver introdotta la guarnigione in Piombino e restituita al Principe Lodovisio la possessione di quello Stato, ritornò all'armata.

Intanto era riuscito al suo esercito, e senz'opposizione alcuna, di por piede su l'Elba. Ma dovendosi montar su l'erto dove giace Portolongone, eransi i Franzesi posti in agguato, per maltrattare nella salita le soldatesche; scovertosi nondimeno il disegno, essendo montato a cavallo D. Dionigio Gusman, Maestro di Campo Generale del Regno, con una squadra di moschettieri, i Franzesi si ritirarono sotto la Piazza siccome fece il lor Comandante Novigliac. Montò dunque l'esercito senza contrasto e pervenuto su 'l piano, schierate le truppe, fur assaliti li ripari. Prese le fortificazioni esteriori, ed essendo i nostri alloggiati nel fosso, cominciarono i Franzesi ad entrar in trattato di render la Piazza, con le medesime condizioni concedute alla guarnigion di Piombino, e con la permissione di condurre con esso loro due pezzi d'artiglieria, quando fra lo spazio di quindici giorni, che terminavano nella metà d'agosto, non fosse sopravvenuto soccorso capace di far levar l'assedio, fu convenuta la resa. La mattina adunque de' 15 di quel mese uscì dalla Fortezza il Comandante Novigliac alla testa di 700 persone, ch'erano rimaste dal numero di 1500 lasciatevi di guarnigione, le quali giunte alla marina s'imbarcarono su alquanti legni allestiti per loro trasporto. Entrati i nostri nella Piazza, si resero a Dio le grazie del buon successo dell'impresa, la quale, benchè avesse costato molto sangue e grandissime spese, ad ogni modo avrebbe potuto allungarsi molto più, e non si sa con qual felice esito, se i Franzesi avessero voluto difendersi fino all'estremo.

D. Giovanni d'Austria ritornò in Sicilia, ed il Vicerè, dopo aver dati gli ordini necessarj per riparare la Piazza e porla in istato di resistere ad ogni insulto, ritornò in Napoli, dove giunto riprese il governo, e con sommo rigore e severe esecuzioni contro gl'inconfidenti e contro gli sbanditi, i quali travagliavano ora più che mai le due province d'Apruzzi, estinse i primi, ed abbattè i secondi.

Ma mentre il Conte con indefessa applicazione era tutto inteso a riordinare il Governo, ed abbellir la città e ristorarla de' passati tumulti, giunge improvvisamente in Napoli a' 10 di novembre di quest'anno 1653 il Conte di Castrillo, che gli era stato dalla Corte destinato successore. Si turbò egli grandemente di questo arrivo; ma seppe tanto nascondere l'interno rammarico, che non gli uscì giammai parola di bocca di risentimento, se non quando, dopo la deposizione del Governo, si ritirò nel Convento di S. Martino de' PP. Certosini. Alcuni imputavano la rimozione a' suoi rigori: altri a' mali ufficj fattigli da D. Giovanni d'Austria, col quale, dicevasi, che passasse poco buona corrispondenza: nè mancò chi dicesse, che fossero state le suggestioni o l'istanze del Papa, il quale mal soffriva, che il Conte rintuzzasse le pretensioni del Cardinal Filomarino Arcivescovo e degli altri Ecclesiastici, li quali volendo pescare in questi torbidi, s'erano resi insolenti con monitorj ed interdetti conculcando i diritti regali.

Egli in tutti que' spazj, ch'ebbe di riposo, non tralasciò di abbellire la città, ristorare i Tribunali e restituire i Regj Studi. Fece rifare il Palagio della Regia Dogana, quasi tutto rovinato nel tempo delle passate rivoluzioni, ampliando, e dando nuova forma al cortile e rifacendo il fonte, che v'è in mezzo. Nella gran Piazza del Mercato ne fece aprir uno e restaurarne un altro, e dirimpetto la Porta del Castel Nuovo ne fece aprir un nuovo. La Casa della conservazione dei grani fuori Porta Reale e l'altra della conservazione delle farine furono di suo ordine risarcite. Coprì la scuola di cavalcare nella Cavallerizza del Ponte della Maddalena. Trasportò nel Quartiere di Pizzofalcone la Polveriera, che prima era fuori Porta Capuana. Egli fu, che nel Palagio Regale fece costruire quella magnifica Scala, che non v'ha simile in tutta Europa. Egli fece quella gran Sala, ora detta de' Vicerè, abbellita poi de' loro ritratti dal Conte di Castrillo suo successore; siccome tutte le scale segrete, che si vedono in quel Palagio: quella scala coperta, che dal medesimo conduce all'Arsenale: tutte quelle stanze con loggia, che guarda il mare: ed i rastelli davanti alla Porta principale di esso, furono da lui introdotti. E quel disegno, che poi fu posto in esecuzione a' nostri tempi dal Duca di Medina Celi Vicerè, nel Borgo di Chiaja, fu tutto suo, poichè meditava già egli di abbellir tutta quella spiaggia di platani e di fonti e già ne aveva comandato il disegno all'Ingegnere Pietro Marino, e l'avrebbe posto in effetto, se li giorni del suo Governo fossero stati più lunghi. Egli in fine fece risarcire diversi ponti nel Regno, perchè fosse più comodo e sicuro il traffico per le Province.

Ma quello, di che maggiormente gli studiosi gli sono tenuti, oltre d'aver risarcito il magnifico edificio de' Regi Studi, che nel corso de' passati tumulti avea patito notabili ruine, fu la cura, che prese per fare ripigliar gli studi, riponendo in esercizio i Professori in quella Università, quasi che spenta per li precedenti disordini; con aver ordinato nel tempo della restituzione una solenne apertura, nella quale volle egli intervenire. Egli assegnò a' Lettori il soldo, e proibì di leggere in casa, ed ordinò, che gli studenti nel giorno 18 d'ottobre, dedicato a S. Luca, dovessero prendere le matricole, e presentarne fede affermativa del Cappellan Maggiore: restituì le Cattedre e per insinuazioni fattegli dal rinomato Francesco d'Andrea allora Avvocato de' nostri Tribunali, rimise in questa Università la Cattedra di Matematica nella persona di Tommaso Cornelio, celebre Filosofo e Medico di quei tempi. Nè contento d'aver restituiti i pubblici Studi, per l'amor, ch'egli portava alle lettere, s'applicò ancora a favorire l'Accademie; onde sotto di lui fu restituita in Napoli, nella Chiesa di S. Lorenzo, l'Accademia degli Oziosi, sotto il governo del Duca di S. Giovanni, nella quale si riprese dagli Accademici l'istituto di recitar erudite lezioni, dove sovente soleva egli intervenire. Siccome restituì i Regj Studi alla pristina dignità, avendo il Cappellan Maggiore D. Giovanni Salamanca aperta ne' medesimi Studi una Accademia di Legge, per far conoscere al Vicerè il profitto, che vi si faceva, sovente, quando si celebravano le funzioni Accademiche, soleva il Conte onorarle della sua presenza. E se il seguìto contagio non avesse intermessi tutti questi studi, la buona letteratura in Napoli non sarebbe così tardi fra noi poscia risorta, come si dirà nel seguente libro di questa Istoria.

Restituì ancora il Conte d'Onnatte l'autorità ed il decoro ne' nostri Tribunali; e stabilì poco men di cinquanta Prammatiche tutte savie, e prudenti, per le quali regolò i Tribunali: tassò i diritti a' Ministri subalterni: prescrisse i modi, e diede le istruzioni a' Delegati e Governadori degli arrendamenti (o sien gabelle) nuovamente riposti: comandò, che tutti i registri preservati dall'incendio dell'Archivio della Regal Cancelleria, seguìto ne' passati tumulti, e pervenuti in potere di persone private, dovesser portarsi al Segretario del Regno per riporsi nell'Archivio: impose rigorose pene a' Notai, che trascurano di registrare i contratti nei protocolli: fece molte ordinazioni per evitare i contrabbandi; e diede altri salutari provvedimenti, i quali sono additati nella riferita Cronologia prefissa al tomo primo delle nostre Prammatiche.

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