CAPITOLO V.

Politia delle nostre Chiese di questi tempi, insino al Regno di Carlo II.

Ne' Regni di Filippo III e IV siccome si è potuto osservare da' precedenti libri, si regolavano presso noi gli Ecclesiastici affari, secondo le varie mutazioni delle Corti. I Pontefici Romani pur troppo intrigati negl'interessi de' Principi, dando ora timore, ora gelosia, costringevan quelli ad usar tutti i mezzi perchè pendessero dal lor partito. Si erano ancora intrigati a maneggiar essi le paci tra' Principi guerreggianti, riputando esser proprio lor ufficio, come comuni Padri e Pastori di ridurgli a concordia: quindi spedivano Nunzj e Legati per trattarle e s'arrogavano grand'autorità nelle composizioni. Ma il Cardinal Mazzarini ruppe ogni velo, e ad onta del Pontefice Alessandro VII non volle accettare la di lui mediazione nella pace de' Pirenei, nella quale non permise, che altri, ch'egli, e D. Luigi di Haro v'avessero parte: ciò, che sensibilmente trafisse l'animo di quel Pontefice e della sua Corte; essendosi da quest'esempio poi veduto, che nell'altre paci seguite in appresso tra' Principi d'Europa, le meno considerate furono le mediazioni ed interposizioni de' Nunzj della Corte Romana.

Secondo la buona corrispondenza, ovver poca soddisfazione, che passava tra la Corte di Spagna con quella di Roma, si regolavano da' nostri Vicerè le contese giurisdizionali. Non si soffrivan torti, quando erano in urta e si resisteva con più vigore e fortezza all'intraprese. Quando per la poca soddisfazione, che i Ministri Spagnuoli ricevevano dalla Corte di Roma furono spediti da Madrid il Vescovo di Cordova, e D. Giovanni Chiumazzero al Pontefice Urbano VIII con segrete istruzioni di minacciargli la convocazione d'un nuovo Concilio, affinchè togliesse i molti aggravj, che s'inferivano ne' Regni di Spagna dalla Corte di Roma per le pensioni che imponeva a favor degli stranieri e per l'eccessiva quantità delle medesime, anche sopra i beneficj curati: per le Coadjutorie con futura successione: per le resignazioni de' beneficj curati: per le dispense ed altre provvisioni, che venivano da Roma, e per le gravi spese, che s'estorquevan per la loro spedizione: per le reservazioni de' beneficj: per gli spogli crudeli, che si praticavano nella morte dei Prelati: per le vacanze de' Vescovadi e per le altre intollerabili gravezze, ch'esercitava in que' Regni la Nunziatura di Spagna: non minori gravezze soffriva il nostro Regno dalla Nunziatura di Napoli.

Deludendosi le concordie passate co' Capitoli e Cleri di tutte le Chiese Cattedrali, ed interpetrandole a lor modo, le tasse s'esigevan con molto rigore ed ingiustizia; poichè provvisti dalla Dataria molti di quei benefici, ch'erano stati compresi nella tassa, in persona di Cardinali e d'altri Prelati di quella Corte, riputati immuni da tutte le gravezze, venivano a sostener tutto il peso i rimanenti beneficj. Continuava pure la Camera Appostolica a far crudeli spogli nelle morti de' Vescovi, Abati e degli altri Beneficiati non inclusi nella convenzione, con tanta asprezza de' Commessarj, che in tempo della loro infermità, e quando aveano maggior bisogno di conforto e d'assistenza, si vedevano co' proprj occhi saccheggiate le loro stanze e spogliati di tutto ciò che tenevano. Negli spogli de' Vescovadi, Badie ed altri Beneficj non compresi nella concordia, si facevan lecito i Nunzj di procedere contro i laici, imputati d'aver occupati beni appartenenti alle Chiese o Beneficj vacanti, ed alla Camera Appostolica per cagion di tali spogli, con propria autorità sequestrandogli per mezzo de' suoi Commessarj e di scomunicare i possessori e tutti coloro, che in ciò loro avessero dato impedimento.

Erano ancora insoffribili le gravi estorsioni, che si facevano nel lor Tribunale, esigendo da' litiganti e da tutti coloro, che aveano di essi bisogno, sotto pretesto di diritti e sportule, eccessive somme più di quello, che si pratica negli altri Tribunali Regj della città e del Regno; e la cagione dell'eccesso veniva, perchè la Corte di Roma vuol tener molti Ministri in quel Tribunale, ma non vuol pagargli del proprio con assegnamento di provvisione, o soldo, come si pratica negli altri Tribunali; ma vuol che se lo procaccino essi dagli emolumenti de' diritti, o propine; onde avveniva, che i poveri litiganti erano escoriati insino all'ossa dalla rapacità ed ingordigia de' Curiali. Non minore era il disordine ed il pregiudicio, che si apportava alla Regal Giurisdizione per l'infinito numero de' laici, che dalla città e da tutte le Diocesi del Regno, pretendevansi sottrarre dalla giurisdizione del Re con farsi ascrivere, per mezzo di loro patenti, al servigio di questo Tribunale, chi per Attuarj, chi per Cursori, onde si commettevano infinite frodi, e n'esenzionavano moltissimi, non per bisogno che n'avessero, ma per maggior smaltimento delle loro patenti, che vendevano a carissimo prezzo, persuadendo, che fossero di tal virtù ed efficacia, che gli rendessero esenti dal Foro laicale, e che per ciò dovessero esser franchi ed immuni da qualunque pagamento così Regio, come delle Università. Pretendevano ancora i Nunzj, che tutti della lor famiglia così armata, come domestica, e del lor Palazzo fossero immuni ed esenti dalla Regal Giurisdizione; onde nacquero per ciò fra noi disordini gravissimi, e sovente i nostri Vicerè ebbero a contrastar per questa immunità pretesa da' lor familiari, non pure con gli Arcivescovi, ma eziandio coi Nunzj, i quali, anche per delitti gravissimi, prendevan protezione de' ribaldi, sol perchè erano della famiglia del lor palazzo.

Fecero valere i nostri Vicerè i Regali diritti con molta fortezza e vigore per tutto il tempo, che durarono le male soddisfazioni d'ambedue le Corti, e mentre durò la missione del Vescovo di Cordova e del Chiumazzero; ma il Pontefice Urbano punendo, come si disse, l'affare in trattati, che faceva prolongare con varie difficoltà, profittossi del tempo; poichè gli Spagnuoli, sempre più percossi da maggiori sciagure, furono costituiti in istato di non doversi maggiormente disgustare la Corte di Roma; onde riuscita vana la lor missione, rimasero, non pure in Ispagna, ma nel nostro Regno le gravezze, che dal Tribunal della Nunziatura erano a noi cumulate; e gli Ecclesiastici più arditi, che mai, non tralasciavano di tentar delle nuove intraprese supra la Regal Giurisdizione.

Per lo gran numero delle Chiese, e per li frequenti delitti, che succedevano nella città e nel Regno, fu riputato di doversi trovar compenso agl'intollerabili abusi della pretesa immunità delle Chiese cotanto dagli Ecclesiastici ingrandita, e della quale si mostravano ora più che mai forti difensori, nell'istesso tempo, che conoscevano la principal cagione di tanti delitti esser l'immunità delle Chiese così stranamente estesa, che rendeva più baldanzosi i ribaldi a commettergli. Si pensò spedir in Roma il Consigliere Antonio di Gaeta per ottener dal Pontefice qualche riforma alla Bolla di Gregorio; ma, come si è veduto, riuscì pure questa missione inutile e senz'effetto, profittandosi la Corte di Roma delle nostre sciagure, e della debolezza, nella quale vedeva allora essersi ridotta la Corte di Spagna.

/# I. Monaci e beni temporali. #/

Niun altro più illustre e memorando esempio, fa più chiaramente conoscere, che le ricchezze delle Chiese, e de' Monaci ricevono tanto maggior incremento, quanto più crescono le sciagure e le calamità de' popoli, quanto ciò, che si vide accadere nel nostro Regno in tempo delle maggiori sue ruine e miserie; poichè a tali tempi, più che in altri, i miseri mortali ricorrendo a Dio ed a' Santi, o ringraziandoli del mali, o pregandogli che maggiori loro non avvengano, sono più solleciti, che mai di far parte de' proprj averi a' loro Tempj e Sacerdoti. Non videro certamente; i nostri maggiori tempi più calamitosi di quelli, che corsero dal Regno di Filippo II insino alla morte di Filippo IV. Soffrirono, o guerre crudeli, o (quel ch'è peggiore) gravi timori di quelle: incendj del Vesuvio, tremuoti, scorrerie di Banditi, invasioni di Turchi, sedizioni, tumulti, carestie, oppressioni, gravezze intollerabili, pestilenze crudelissime, e tanti altri mali che inorridiscono gli animi sentendoli. E pure in mezzo a tante sciagure, si videro moltiplicare le chiese e' monasteri di Religioni già stabilite, introdotti nuovi Ordini, farsi nuovi e più doviziosi acquisti, ed in fine crescer tanto i loro averi, che poco lor resta dell'impresa di tirar a se quel poco e misero avanzo, ch'è rimaso in poter de' Secolari.

Furono introdotti in questo secolo XVII nuovi Ordini di Religioni. La Congregazione de' Padri Pii Operarj, ebbe fra noi ricetto nell'entrar di questo secolo. D. Carlo Caraffa, Cavalier napoletano e sacerdote, gli diede principio nell'anno 1607 nella chiesa di S. Maria de' Monti posta nel Borgo di S. Antonio di questa città. Ma di poi, il Cardinal Dezio Caraffa Arcivescovo, con assenso del Pontefice Paolo V, concedè loro, nel 1618, la chiesa di S. Giorgio Maggiore, antica parrocchia di Napoli, resa poi Collegiata, e servita un tempo da sette Domadarj prebendati, e da altrettanti Sacerdoti, fra quali si connumeravano ancora l'Archiprimicerio e 'l Primicerio. Ma minacciando a questi tempi ruina, nè avendo modo di repararla per la molta spesa che vi voleva, parve espediente di concederla a' Padri suddetti. Fu approvata tal congregazione da Gregorio XV, per Breve Spedito in Roma a' 2 d'aprile del 1621, e nel seguente anno 1622 ottenne dal medesimo l'amministrazione di tutti i sagramenti, ed Urbano VIII la confermò poi nell'anno 1635. Fecero presso noi col correr degli anni non piccoli progressi, avendo in Napoli ed altrove fondate altre lor case e fatti non dispregevoli acquisti di beni e di poderi.

Poco da poi nell'anno 1609 vennero a noi i Cherici Regolari Barnabiti di S. Paolo Decollato. Ci vennero da Milano, dove nell'anno 1526 furono istituiti da Giacomo Antonio Moriggia e Bartolommeo Ferrario Milanesi, e Francesco Maria Zaccaria Cremonese, mossi dalle prediche di Serafino Firmano Canonico regolare. Furon chiamati Cherici Regolari di S. Paolo, perché fra gli altri loro istituti era di predicare su l'epistole di S. Paolo; ed i loro regolamenti furon da poi confermati da più Brevi Appostolici nell'anno 1528, e nel 1533. S. Carlo Borrommeo Arcivescovo di Milano li favorì pure, e concedè loro in Milano la Chiesa di S. Barnaba, donde presero anche il nome di Barnabiti. Sparsi poi per molte città di Lombardia e d'Italia, capitarono finalmente in Napoli in quest'anno 1609 dove si diede loro ricetto nella chiesa di S. Maria di Portanova, detta in Cosmodin, anch'ella antica, ed una delle quattro principali parrocchie di questa città.

Furono pure in questo secolo, nell'anno 1610, istituite da S. Francesco di Sales, Vescovo di Ginevra, le Monache della Visitazione della Vergine, per visitare i poveri e gl'infermi. Ridotte poi a clausura, eran per ciò tenute ricevere quelle donzelle infermicce, che non sarebbero state ammesse in altri monasteri. Queste vennero a noi più tardi, e sopra la Chiesa di S. Maria della Pazienza Cesarea v'han fondato un ben ampio e comodo monastero.

S'introdussero ancora altre riforme d'antiche Religioni. I Riformati di S. Bernardo fondarono una magnifica Chiesa fuori la Porta di S. Gennaro, sotto il nome di S. Carlo. I Riformati di S. Francesco, soccorsi da varj Signori napoletani e spagnuoli, fondarono in amenissimo sito un ben ampio Monastero, con ben architettata Chiesa sotto il nome di S. Maria degli Angeli. I Riformati Carmelitani Scalzi ne fabbricarono un altro nel Borgo di Chiaja, sovvenuti dal Conte di Pennaranda, che somministrò alla fabbrica della Chiesa tremila scudi, e che nell'apertura che se ne fece agli 11 di marzo dell'anno 1664, volle egli intervenire con l'assistenza de' Regj Ministri, tenendovi Cappella Regale. Non meno che i Conti di Lemos coi Gesuiti fu questo Vicerè profuso co' Teresiani. Per la sua pietà, non solo contribuì alle spese del Convento di questi Padri, ma anche sovvenne le Monache Teresiane Scalze per l'ingrandimento del lor Monastero di S. Giuseppe in Pontecorvo.

I Gesuiti, dall'altra parte, accrebbero pure a questi tempi maravigliosamente i loro acquisti. Erano i direttori, non men delle coscienze, che delle case del Signori e de' popolani. Per mezzo delle loro Congregazioni, che d'ogni qualità di persone e di mestiere istituirono ne' loro Collegi e Case professe, tirarono a se la devozione e l'ossequio di ogni sorta di gente. S'intrigavano in tutti i loro affari, regolandoli (per l'opinione che s'avean acquistata di uomini da bene e prudenti) a loro arbitrio e volere. Insino le liti più gravi e di momento, per via d'amicabili composizioni eran rimesse al loro giudicamento; ed il Reggente Marinis nelle sue Resoluzioni, rapporta più arbitramenti di Gesuiti fatti in cause gravissime e di somma importanza. Niun Vicerè, quanto il Conte di Pennaranda, ebbe tanta e sì grande inclinazione alle fabbriche o ristoramenti delle Chiese: non vi fu quasi luogo sagro, che non ricevesse da lui per ciò larghe e copiose limosine. Egli soccorse i Carmelitani nel ristoramento che fecero, e separazione che ottennero del lor Monastero col Torrione del Carmine, perchè non fossero inquietati dalle soldatesche spagnuole che ivi dimoravano. Egli contribuì abbondanti soccorsi per ridurre a fine la fabbrica del Romitorio di Suor Orsola e della Chiesa di S. Maria del Pianto, dove furono seppelliti i cadaveri di coloro che rimaser dalla contagione estinti. Egli soccorse la Chiesa di S. Niccolò al Molo. Ed essendosi in tempo del suo Governo, per le note contese insorte fra Domenicani e Francescani intorno all'Immacolata Concezione (donde per quietar questi romori, fu di mestieri a più Papi stabilire per ciò più Costituzioni e Bolle) dagli Spagnuoli, ch'erano del partito de' Francescani, molto più esaltata la divozione di Nostra Signora sotto questo titolo, egli avidamente ne prese l'opportunità, e fece con molta pompa e solennità in tutte le Chiese sotto questo nome celebrar feste magnifiche; onde s'accrebbe presso i popoli tal divozione, in maniera che non vi fu Chiesa di questo titolo, che non ricevesse abbondanti e profuse limosine dalla pietà de' devoti.

L'esemplo del Capo mosse e Nobili e Popolari a far lo stesso. Molte altre Chiese per ciò o di nuovo si fondarono, ovvero ruinate si ristabilirono. S'aggiunse ancora, che avendo la crudel pestilenza lasciata quasi che vota, la città ed il regno d'abitatori, molti non avendo a chi lasciare i loro patrimonj, gli lasciavano alle chiese ed a monaci, onde vie più crebbero le loro ricchezze. Altri crucciati co' loro congiunti, li quali mal seppero coltivarsi la loro benevolenza, per odio e per far ad essi dispetto, lasciavano i loro averi alle chiese. Vi contribuì non poco eziandio la dottrina de' monaci stessi disseminata e ben radicata a questi tempi, che coloro, i quali aveano rubato in vita, con lasciar in morte i loro beni alle chiese, saldavan con Dio ogni conto; ond'è, che alcuni riflessivi Viaggianti, che stupidi ammirano l'infinito numero delle nostro Chiese e Conventi, e le loro ampie ricchezze, in vece da ciò prenderne argomento di pietà, maggiormente si confermano nel mal concetto, ch'essi hanno de' Napoletani, d'esser gente a rubar sin dalla cuna avvezza; e che per ciò siano in morte cotanto profusi in lasciare alle Chiese morte, perchè in vita molto rubarono alle Chiese vive.

Per queste cagioni si multiplicarono presso noi le Chiese ed i Monasteri, in guisa, che da ora innanzi non si può più di loro tener minuto ed esatto conto. Pietro di Stefano credea aver fatto un compiuto novero delle Chiese della sola città di Napoli, quando nell'anno 1560 diede fuori il suo volume della descrizione de' luoghi Sacri della Città di Napoli. Ma non passarono sessant'anni, che Cesare d'Engenio, per le tante altre nuovamente costrutte, fu spinto a compilarne un altro, che diede a luce in Napoli nell'anno 1624 sotto il titolo di Napoli Sacra. Ma che perciò? non passarono trent'altri anni, che bisognò a Carlo de Lellis stamparne nell'anno 1654 un terzo volume col titolo: Aggiunto alla Napoli Sacra, ovvero supplemento. E ciò nemmeno ha bastato, perchè ora sono vie più cresciute, sicchè possono somministrare sufficiente materia di tesserne un quarto volume.

Conferirono eziandio in questi tempi agli acquisti delle chiese le stravaganti dottrine de' nostri Dottori, li quali mal adattando le regole antiche a tempi presenti, stravolgendo i sensi delle leggi non ben da essi capite, e niente curando le circostanze de' tempi e la mutazione dello stato delle cose, spinti da imprudente e mal'intesa pietà, favorivano colle loro penne a tutto potere tali acquisti, ed eran tutti inclinati in ampliarne i modi e le cagioni, con detrimento notabile della società civile, e pregiudizio gravissimo del dominio, che ciascun tiene sopra la sua roba. Insegnavan essi, come per indubitato, che i padroni delle case alle chiese vicine, potevan costringersi lor mal grado a venderle alle chiese, se servissero per loro ampliazione: e di vantaggio, che nel prezzo non doveste riguardarsi l'incomodo, o l'affezione del forzato venditore, ma ciò che puramente la cosa sarebbe da' periti valutata. E questo favore non già solo era conceduto alle chiese, ma l'estesero agli atrj, a' portici, alle sacrestie, a' cimiterj, a' chiostri, alle scale, a dormitorj, insino alle cucine, ed a' giardini de' monasterj. Si stese parimente, anche se fra la chiesa e la casa vicina vi frammezzasse una pubblica strada e quel che parrà più strano, sino per far una gran piazza, ed un largo campo avanti l'edificio. Nella famosa lite, che il Cardinal Filomarino nostro Arcivescovo mosse alle Monache del Monastero di D. Regina, per cui Giulio Capone che difendeva il Prelato, ne compilò due allegazioni, si pretese dall'Arcivescovo, che dovesser le monache forzarsi a vendergli alcune case, che tenevan davanti al suo palazzo, ancorchè vi frammezzasse una pubblica strada, intendendo abbatterle per slargar ivi un gran campo, perchè quello, che era, non era così ampio sicchè con facilità potessero entrarvi le Carrozze a sei. Il Cardinal di Luca, ch'essendo allora avvocato in Roma, prese la difesa delle monache, stupiva della pretensione, e con sua allegazione, rapportata dal medesimo Capone, confutò quanto da costui erasi allegato in contrario. Ma che prò? fu deciso a favor dell'Arcivescovo, furon le case abbattute ed adeguate al suolo, e la piazza per ciò ampiamente allargata, sicchè ora le carrozze a sei possono avervi in quel palagio comoda e facile entrata ed uscita.

Quindi è avvenuto, che i Conventi, ancorchè nei loro principj assai piccioli, siansi veduti poi occupar tutta una Contrada, dall'un lato all'altro, finchè si giunga alla strada, che discontinui le case, e potendosi con difficoltà trovare in Napoli strada, nella quale non vi sia qualche convento, se non si ripara ad un così grave e ruinoso abuso, potranno per tal mezzo i monaci a lungo andare giungere a comprarsi l'intera città. Nè finirono qui gli acquisii delle chiese e dei monaci; vie maggiori, a proporzion del tempo, se ne videro appresso, insino a' dì nostri, sotto Carlo II, il regno del quale ne' due seguenti libri saremo ora a narrare.

FINE DEL LIBRO TRENTESIMOTTAVO.

STORIA CIVILE

DEL

REGNO DI NAPOLI

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