Nuova spedizione di Solimano collegato col Re di Francia sopra il Regno di Napoli, sollecitata dal Principe di Salerno, che si ribella. Nuovi donativi per ciò fatti dal Regno, per lo bisogno della guerra, che finalmente si dilegua.
Dopo l'impresa dell'Affrica, e la guerra che Cesare nel 1552 ebbe a sostenere con Maurizio Duca di Sassonia, per sostegno della quale si mandarono pure da Napoli cinquantamila ducati, quando, essendo cessati i rumori per cagione dell'Inquisizione, si credeva doversi nel Regno godere una tranquilla e riposata pace, s'intesero nuovi apparecchi d'una guerra assai più spaventosa di quante mai ne furono; poichè i Principi, che insieme aggiunti la mossero, erano i più potenti e formidabili in Europa. Morto Francesco I Re di Francia, Errico II suo successore ereditò insieme col Regno l'odio e l'inimicizia con Cesare molto maggiore, che il suo predecessore; e acciocchè se gli facilitasse l'impresa, che meditava sopra lo Stato di Milano, erasi a' danni di Cesare collegato con Solimano, con cui fatto trattato, avevano conchiuso d'assalire per mare il Reame di Napoli, ed unire insieme le loro armate, quella di Francia dovea moversi da Ponente, nell'istesso tempo che quella di Solimano si movea da Levante. Infiammò maggiormente gli animi, e fu sollecitata la spedizione dal Principe di Salerno, il quale per private inimicizie che nudriva col Vicerè, datosi a credere, che essendogli stata tirata una archibugiata, mentre da Napoli ritornava a Salerno, per la quale restò leggermente ferito, il colpo fosse venuto dal Toledo, e non trovando nella Corte di questa accusa facile credenza, per le insinuazioni in contrario mandate dal Vicerè, rimanendo per ciò mal soddisfatto, guarito che fu, partì dal Regno, con iscusa di volersi andare a curare in Padova d'una simulata lesione di nervi restatagli dalla ferita; e quando chiamato dall'Imperadore, con ubbidire alla chiamata, avrebbe potuto superare le inquisizioni ed i sospetti, che il Vicerè gli addossava, egli mandando alla Corte Tommaso Pagano, che con impertinenza grande voleva, che Cesare gli promettesse di farlo venire su la sua parola, di che alterato Cesare gli rispose come si conveniva, mal sofferendo il Principe la risposta, con non minor imprudenza che leggerezza, risolvette di non andarvi; e per ciò, ribellandosi da Cesare, deliberò di andare a servire Errico Re di Francia; onde abboccatosi col Cardinal di Tournon, con gran prestezza se n'andò in Francia, ove da quel re fu ricevuto con onore; al quale dando per facile l'espedizione di Napoli, l'infiammò sì, che apparecchiate alcune Galee, gli diede il comando di quell'armata, che dovea venire ad incontrarsi coll'armata del Turco. Per iscusare questo suo fallo diede fuori un manifesto, dove si sforzava di mostrare d'aver prestati molti servigi e fatti d'armi in onor di Cesare, ed all'incontro averne da lui e da' suoi Ministri ricevute pessime ricompense di che avutone notizia il Vicerè, che godè molto di sua pazza risoluzione, soleva dire, che il Principe di Salerno si avea dimenticato nel manifesto di mettervi un più importante servigio fatto all'Imperadore, ed era quest'ultimo, ch'ei riputava il maggiore, cioè di avergli donato un Principato così bello e grande come era quello di Salerno. Però nè all'Imperadore, nè al Vicerè questa sua ribellione sembrò cosa nuova, avendolo sempre in sospetto, e per affezionato al Re di Francia, di cui non finiva mai di lodarne il valore e la liberalità. Fu per tanto egli dichiarato ribelle, e condannato a morte, e confiscato il Principato di Salerno col rimanente del suo Stato.
Il Vicerè avvisato di questi apparecchi, non meno del Re di Francia che del Turco, considerando, che la confederazione di questi due potenti nemici avea da partorire molti travagli nel Regno, non perdè tempo a fortificarsi; e poichè il più efficace rimedio era di tener pronta una sufficiente quantità di denaro, per fare una valida difesa, perciò avendo convocati tutti i Baroni, ed esposto loro, che la confederazione di questi due potentissimi Principi non era per dissolversi così presto, nè per mancamento di forze, nè di volontà, e che il lor disegno non era altro, che di conquistare il Regno, per ciò bisognava trovar il rimedio avanti che sopravvenisse la necessità; e il rimedio sarebbe d'unire una somma di trecentomila ducati, con che si potessero mantenere trentamila uomini, i quali sarebbero destinati solamente alla difensione di questo Regno, in caso che fosse all'improvviso assaltato da esercito nemico, e che questi denari sarebbero conservati da uomini deputati dalla città in cassa comune; soggiungendo, che solamente la fama di questo preparamento sarà cagione che gli nemici pensino molto bene ad assalirci, e forse sgomentati desisteranno dall'impresa. Piacque la proposta del Vicerè a tutti; onde con grandissima prestezza si misero in cassa comune i denari, i quali ancorchè non servissero allora, furono da poi ne' seguenti anni cagione della salute del Regno, contro la lega di Francia, di Papa Paolo IV e d'altri Principi d'Italia, come diremo più innanzi.
Mentre in Napoli s'attendeva a far queste provvisioni, venne l'avviso, che l'armata del Turco sollecitata non men da Errico Re di Francia, che dal Principe di Salerno, era uscita da Costantinopoli; e pochi giorni da poi, a' 15 luglio di quest'anno 1552, fu veduta da' Napoletani numerosa di 150 Galee grosse guidate da Dragut Rais sotto il comando di Sinam Bassà, ed ancorata ne' mari di Procida, pose spavento grandissimo nella città; ed intanto alcune Galee venivano quasi ogni giorno sino al Capo di Posilipo a scaramucciare con alcune Galee di Genova, che quivi si trovavano. Dimorò l'armata del Turco ne' mari di Procida dalli 15 di luglio insino a' 10 di agosto, nel qual giorno si vide all'improvviso partire, facendo vela verso Levante. Fu fama, che ciò seguisse per opera di Cesare Mormile, il quale entrato in competenza col Principe di Salerno, e mal soddisfatto del Re di Francia, che lo avea posposto al Principe, partito di Francia erasi ricovrato in Roma, dove con l'Ambasciadore di Cesare, e col Cardinal Mendozza trattò della sua reintegrazione nella grazia dell'Imperadore; ed avendo ottenuto da Cesare ampio privilegio non solo dell'indulto, ma anche della restituzione di tutti i suoi beni, ed assicurato anche con lettere del Vicerè, venne da poi incognito in Napoli a maneggiare con quel Bassà la sua partita; il quale, avendogli il Mormile offerto in nome del Vicerè, purchè partisse, ducentomila ducati, contentandosi dell'offerta, sborsati che gli furono, partì colla sua armata verso Levante, liberando con ciò tutto il Regno da grandissimi travagli. Il Mormile fu molto accarezzato dal Vicerè; ma poichè fra di loro per le cose precedute non era affatto estinta l'antica nemicizia, nell'esecuzione del privilegio gli furon fatti molti ostacoli, tanto che non solo non potè ricuperare i suoi beni, che si trovavano già venduti, ma travagliò molto per averne un secco contraccambio.
Intanto il Principe di Salerno, ch'era stato mandato dal Re di Francia colle sue Galee ad incontrare l'armata Turchesca, giunto ne' mari di Genova, intese che quella era già partita verso Levante; con tutto ciò volle seguirla, ed otto giorni da poi, che l'armata del Turco partì dal Golfo di Napoli, fu sopra Ischia con 26 Galee, ed informato meglio da Roma dell'accordo fatto col Mormile, tanto più pien di cruccio le corse dietro, e passato il Faro, nè trovandola, proseguì il cammino fin che la raggiunse; ma nulla potè impetrare dal Bassà, perchè facesse ritorno, rispondendo, ch'essendo già uscito d'Italia, non poteva ritornar indietro, senza nuovo ordine del suo Signore: lo persuase per tanto a venire in Costantinopoli, perchè l'anno seguente Solimano gli avrebbe dati più validi ajuti. Andò il Principe in Costantinopoli, ove stette tutto l'inverno aspettando la promessa di Solimano; ma la sua dimora in quella Città fece scovrire la sua vanità e leggerezza; poichè datosi agli amori ed alle dissolutezze, perdè presso quel Principe tutto il credito e la riputazione; e fatto già favola del volgo, entrò in sommo disprezzo di tutti; tal che al tempo promesso non ottenne l'armata, che desiderava per l'impresa del Regno; perchè fu conceduta a Pietro Corsio per l'acquisto di Corsica: egli se ne ritornò in Francia, ove mentre visse Errico ebbe assai buoni trattamenti, ma quello morto, insorte in quel Reame le civili contese, e seguitando egli in quella divisione la parte degli Ugonotti, riduttosi in estrema miseria, morì in Avignone nel 1568 in età di 71 anno non men ribelle al suo Re, che alla Religione Cattolica da lui prima professata.
Così dileguossi questa crudel tempesta, che minacciava Napoli; ma non finirono ne' seguenti anni le scorrerie del famoso Corsaro Dragut, il quale mandato dal Gran Signore in grazia del Re di Francia a danni del Regno, per travagliar l'Imperadore, tenne infestati sempre i nostri mari, e le Terre delle nostre marine: de' quali mali non furon giammai esenti; poichè professandosi fra i Re di Spagna, e l'Imperador de' Turchi guerra eterna, ed irreconciliabile, non mai tregua fu, ma sempre odio implacabile, ancorchè il danno fosse maggiore il nostro; poichè per gli riscatti dei nostri non bastavan più milioni l'anno, ed all'incontro niente era da sperarsi da' Turchi, i quali niente si curano di riscattar i loro; con tutto ciò per zelo di religione non si curava il danno gravissimo che il Regno ne soffriva. Ora essendo questo Reame divelto dalla Monarchia di Spagna, e governandosi dagl'Imperadori d Alemagna, ha avuta la sorte, che nelle tregue, che si fanno coll'Imperio, vengavi anche compreso il Regno; onde si veggono cessate le tante ostilità, e permesso con Turchi commerzio, con utile grandissimo del Regno.