CAPITOLO X.

Legazione de' Cardinali Giustiniano, ed Alessandrino a Filippo II per questi ed altri punti giurisdizionali: donde nacque il costume di mandarsi da Napoli un Regio Ministro in Roma per comporli.

Il Pontefice Pio V, che invigilò a pari di qualunque altro Pontefice di stendere come poteva meglio, la giurisdizione Ecclesiastica sopra i Dominj de' Principi Cristiani, non ben soddisfatto del Duca di Alcalà, che compiendo alle sue parti attraversò sempre i suoi disegni, si risolse finalmente di far trattare questi punti a dirittura col Re Filippo, e gli spedì a questo fine successivamente due Legati. Il primo fu il P. Vincenzo Giustiniani Generale dell'Ordine dei Predicatori, che fu da poi da lui fatto Cardinale; ed il secondo fu Michele Bonello Cardinal Alessandrino suo nipote, che partì per Ispagna e Portogallo con varie commessioni, poco prima della morte del Duca d'Alcalà, seguita in Napoli l'anno 1571.

Il Cardinal Giustiniano si sbrigò subito della sua Legazione; poichè avendo rappresentato al Re alcuni aggravi (la maggior parte de' quali furono i medesimi riferiti di sopra) che diceva farsi nel Regno a' Vescovi, in diminuzione della giurisdizione ed immunità Ecclesiastica, e fra gli altri di non permettergli di conoscere sopra il Chericato: il Re dando provvidenza ad alcuni di poco momento, considerando gli altri di somma importanza, e che avean bisogno di molta considerazione; nè potevan risolversi senza che dal Vicerè di Napoli ne fosse stato pienamente informato, ne lo rimandò con lettera de' 28 settembre 1570, diretta al Pontefice Pio, nella quale con molto rispetto gli scrisse aver ricevuto il suo Breve, che gli portò il Cardinal Giustiniano in sua credenza sopra le cose toccanti alla giurisdizione Ecclesiastica, e che quantunque per li viaggi e continue sue occupazioni, che da poi l'erano sopravvenute, non avea avuto luogo e quel tempo, che si desiderava per trattar di quelle, maggiormente per essere molto gravi ed importanti: tuttavia per soddisfare Sua Santità, si era provvisto in alcune, come intenderebbe dal suddetto Cardinale; ma che venuta che sarebbe l'informazione, ch'egli aspettava da Napoli, avrebbe proccurato di provvedere al di più, in maniera, che la dignità Ecclesiastica non fosse pregiudicata.

Scrisse nel medesimo tempo due ben lunghe lettere al Duca d'Alcalà, inviandogli i capi presentatigli dal Legato, per li quali diceva venire pregiudicata la giurisdizione Ecclesiastica, incaricandogli, che dovesse comunicarli col Consiglio Collaterale, il quale con matura discussione e deliberazione rispondesse a ciascheduno di quelli, e ne gli facesse poi a lui relazione; acciò che con più maturità potesse egli deliberare quel che conveniva; siccome fu eseguito: poichè fattasi questa relazione, fu da poi fatta esaminare da alcune persone del suo Real Consiglio, che per ciò si deputarono, e con loro accordo e col parere suddetto de' Reggenti del Collaterale di Napoli, fu decretato sopra alcuni Capi della medesima.

In cotal guisa terminò la Legazione del Cardinal Giustiniano; ma assai più onorevole fu quella del Cardinal Alessandrino nipote del Papa, il quale fu da Pio inviato al Re Filippo II, non meno per queste contese giurisdizionali, che per cagioni assai più serie e gravi, e non meno per lo Regno di Napoli, che per quello di Sicilia e del Ducato di Milano; e sopra tutto per la guerra, che minacciava il Turco, il quale formidabile più che mai poneva terrore non meno alla Germania, che all'istessa Italia. Per ciò il Pontefice Pio era tutto inteso a stimolare i Principi Cristiani, che uniti insieme accorressero alla difesa delle province Cristiane, minacciate da così fiero e potente nemico: mandò a questo fine il Cardinal Commendone a Cesare, a cui diede incombenza che dopo aver trattato con colui delle cose di Germania, passasse a Sigismondo Augusto Re di Polonia, per invitarlo all'alleanza d'una guerra non meno salutare, che necessaria; siccome mandò a' Principi d'Italia Paolo Odescalchi Vescovo di Penne, per passare i medesimi ufficj: mandò ancora il Cardinal Alessandrino suo nipote al Re Filippo in Ispagna, dal quale, sopra tutti gli altri Principi, sperava valevoli soccorsi, commettendo parimente al Cardinale, che passasse poi al Re di Portogallo, ed indi andasse in Francia ad invitare anche quel Re all'impresa.

Giunto che fu il Cardinal Alessandrino in Ispagna, fu incontrato con molto onore ne' con fini da molti Signori, che il Re avea mandato a riceverlo: gli andò incontro Diego Spinosa Vescovo Saguntino, dal quale allora si maneggiavano gli affari più gravi della Corona, e finalmente introdotto nella Corte, fu dal Re Filippo ricevuto con eccessive rimostranze di onore e di stima.

La somma e principal sua commessione era di esortare il Re, come fece, acciò si affrettasse di somministrare valevoli ajuti per la guerra contra il Turco: che quelli, oltre che sarebbero stati i più grandi e considerabili, avrebbero stimolato gli altri Principi, mossi dal suo esempio a seguirlo, ed a stringere l'alleanza: lo pregò in secondo luogo che se bene per questo istesso fine dovea egli passar in Portogallo e poi in Francia, con tutto ciò più efficaci sarebbero stati questi ufficj, se S. M. s'interponesse a dirittura con que' Re, e sopra tutto invitando Massimiliano Cesare a partecipare di questa santissima guerra. Filippo rese grazie al Pontefice, che cotanto onorificamente di lui sentiva, ma che dovea colla sua prudenza riguardare ancora di quante cure e molestie era egli circondato, e quanto fosse grave la mole che e' sosteneva d'una guerra ancor'ella di Religione, quanto era quella di Fiandra, la quale se non vi dava riparo, poteva nelle viscere della Cristianità recar più danno di quella minacciata dal Turco: del rimanente, che non avrebbe tralasciato i suoi soccorsi, e da' suoi Stati d Italia somministrar quegli ajuti, per quanto comportavano le forze di que' Regni: non avrebbe ancora tralasciato d'accompagnare con que' Re i suoi con gli ufficj del Pontefice, e sopra tutto coll'Imperador Massimiliano suo cugino.

Trattossi ancora del Titolo di Gran Duca di Toscana attribuito a Cosimo Duca di Fiorenza: esagerava il Cardinale, che senza grave ingiuria di Sua Maestà e del Pontefice non dovea quello tollerarsi: dovea riflettersi essersi con ciò offesa non meno l'autorità e dignità sua regale, che la maestà della Sede Appostolica; con tutto ciò niente sopra quest'affare si conchiuse.

Ma il Pontefice Pio non volle tralasciare in questa occasione, dove egli mostrava cotanto zelo per la Fede di Cristo contra gl'implacabili nemici di quella, di proccurar anche per la sua Sede non piccioli vantaggi: fece far dal Cardinale doglianze col Re, come nel Regno di Sicilia la giurisdizione Ecclesiastica veniva grandemente abbassata da suoi Regj Ministri per quella Monarchia da essi inventata, che non ha altro sostegno, che un supposto ed apocrifo diploma d'Urbano II. E diceva, che oltre di non potere il diploma comprendere, che le persone di Ruggiero Conte di Sicilia e di Calabria, e di Simone suo figliuolo, ovvero l'erede di Ruggiero solamente, si vedeva chiaro essere quello molto sospetto, dal luogo e dal giorno che ivi si leggevano. Porta la data di Salerno dell'anno 1095, nel qual tempo il Pontefice Urbano intervenne nel Concilio di Chiaramonte convocato in Francia per la guerra sacra, per la cui spedizione fu per tutto quell'anno sempre occupato. L'Autore, che la prima volta lo cavò fuori alla luce del Mondo, cioè Tommaso Fazzello, essere un uomo nuovo, di niun nome ed autorità: egli dice averlo avuto da un altro di non maggior fede, il qual fu Gio. Luca Barberio Siciliano. Essere ancora da Pietro di Luna scismatico attribuito a Ferdinando d'Aragona, ed a Martino parimente Re d'Aragona, che prese per moglie Maria Regina di Sicilia, affinchè i Vescovi non potessero contra i Ministri regj valersi delle censure Ecclesiastiche, ma che poco da poi, a richiesta de' tre Ordini del Regno, fu quel privilegio affatto abolito e tolto. Richiedeva perciò Sua Santità, che quella pretesa Monarchia affatto si abolisse, ed il Regno di Sicilia in tutte le cose si riducesse secondo il prescritto del Concilio di Trento, e la giurisdizione Ecclesiastica fosse restituita nella sua autorità e suo splendore. Il Re Filippo considerando fra se l'importanza della cosa, con molta gravità rispose al Legato, che quelle ragioni, che insieme co' Regni i suoi maggiori gli avean tramandate, siccome egli aveale ricevute, così non poteva far di meno di non lasciarle nella maniera istessa a' suoi successori, e che i suoi Ministri non le serbassero. Del rimanente, se vi era qualche eccesso in valersene, per l'osservanza dovuta alla S. Sede, avrebbe egli scritto che l'emendassero. Con questa risposta ne fu rimandato il Cardinale. Nè di ciò se ne mosse da poi più parola, se non sotto il Regno di Filippo III, venne al Cardinal Baronio, con grande importunità, voglia di contrastarla nell'XI tomo de' suoi Annali; ma ne fu fatta da Spagna severa rimostranza, come altrove si è detto. E negli ultimi nostri tempi avendo voluto il Pontefice Clemente XI con sua Bolla abolirla, servendosi dell'opportunità del tempo, quando quel Regno era in mano del Duca di Savoja; riuscirono anche vani gli sforzi suoi, che diedero motivo all'incomparabile Dupino di scrivere, a richiesta di quel Principe, quel dotto libro, sostenendo non meno la Monarchia, che facendo vedere quanto erano deboli li argomenti del Baronio, sopra i quali Clemente avea appoggiata la sua Bolla.

Serbossi in ultimo luogo il Cardinal Alessandrino, di proporre al Re Filippo in questa sua Legazione, i pregiudizj, ch'e' diceva farsi alla Giurisdizione Ecclesiastica nel Regno di Napoli e Stato di Milano; ma ricevè quella stessa risposta, che fu data al Cardinal Giustiniano: essere queste cose di somma importanza, e che per ciò non poteva da se niente risolvere, se prima non ne fosse informato dal Vicerè di Napoli e dal suo Ambasciadore residente in Roma.

Intanto era nel mese di aprile di quest'anno 1571 accaduta in Napoli la morte del Duca d'Alcalà, e ritrovandosi in Roma il Cardinal di Granvella fu dal Re a costui comandato, che tosto si portasse in Napoli a prendere le redini di quel governo in luogo del Duca morto, siccome prontamente fece. Per adempir il Re a quanto avea promesso al Cardinal Legato, scrisse in quest'istesso anno quattro lettere, una nel mese di novembre diretta al suo Ambasciadore in Roma D. Giovanni di Zunica, e tre altre nel seguente mese di Decembre al Cardinal di Granvela suo Vicerè in Napoli. Avvisava in quelle a' medesimi, come essendo giunto in Ispagna il Cardinal Alessandrino Legato di Sua Santità, e ricevuto da lui, ed accarezzato come conveniva, e si dovea a persona di tanta dignità, e cotanto al Papa congiunta, gli avea fra l'altre sue commessioni esposti alcuni Capi, nelli quali pretendeva, che si pregiudicasse la Giurisdizione Ecclesiastica, tanto nelli Regni di Napoli e di Sicilia, quanto nello Stato di Milano: in Napoli per l'Exequatur Regium: in Sicilia per la Monarchia: ed in Milano per la Famiglia armata dell'Arcivescovo e per la Chiesa di Malta: gli mandava per ciò copia di que' Capi colle risposte e repliche del detto Legato: gl'inviava ancora copia de' memoriali dati a lui dal Cardinal Giustiniano colle risposte fatte nello margine di ciascun capo, acciò l'Ambasciadore con questo antivedere si regolasse col Papa in Roma per quel che conveniva. Al Vicerè Granvela, si diffuse assai più, dandogli notizia, che intorno a' punti contenuti ne' memoriali datigli dal Cardinal Giustiniano, ed alle decretazioni fatte dal suo Regal Consiglio col parere de' Reggenti del Collaterale di Napoli, ancorchè dal suddetto Cardinal Alessandrino si fosse alle medesime replicato, nulladimeno essendosegli risposto come conveniva, finalmente erasi quietato, e pensava per ciò partirsi fra tre dì, seguendo il suo cammino per Portogallo. Per ciò che poi s'atteneva a' suddetti nuovi Capi toccanti al Regno presentatigli dal suddetto Cardinale, ne gl'inviava copia, affinchè gli facesse esaminare da' Reggenti del Collaterale e da altre persone pratiche di scienza e di coscienza. Dopo di che ne gl'inviasse molto particolare e distinta relazione col suo parere, acciò che replicandosi dal Papa, possa egli con fondamento rispondergli e prevenire quanto bisognava per la buona condotta di quest'affare. Nella seconda lettera drizzata al medesimo Vicerè, gli dava ragguaglio delle rappresentazioni fattegli intorno all'osservanza del Concilio di Trento, e delle sue generali risposte dategli: e nella terza l'incaricava la vigilanza ed accortezza ricercata intorno all'Exequatur, acciò non si diminuisse la sua Giurisdizione.

Il Cardinal Granvela, così sopra tutti questi Capi, come sopra quelli contenuti ne' memoriali dati al Re dal Cardinal Giustiniano, col parere del Collaterale, in risposta di queste regali lettere, mandò al Re più Consulte, nelle quali regolandosi con l'istessi sentimenti, che s'ebbero nel governo del Duca d'Alcalà suo predecessore, informò il Re pienamente di tutto: di che mal soddisfatta la Corte di Roma, vedendo che così queste controversie di Giurisdizione comprese nelli Capi dati da' Cardinali Giustiniano ed Alessandrino, come molte altre, che alla giornata faceva sorgere, non si potevano comporre a suo modo, per via di lettere e di relazioni, che vicendevolmente si mandavano, ed in Roma, ed in Napoli, ed alla Corte di Madrid: pensò di ridurle in trattato in Roma, per dove desiderava, che dal Re si mandassero suoi Ministri, affine di potersi quelle ivi dibattere e risolvere. Per ciò il Pontefice Pio V richiese il Re Filippo, che mandasse suoi Ministri in Roma, i quali uniti con quelli, ch'egli avrebbe deputati per sua parte, avessero potuto aggiustarle, ed amichevolmente comporle. Il Re Filippo, non ben intendendo l'arcano, ovvero per compiacere al Pontefice, di cui ostentava somma osservanza, promise di mandargli; ma essendo poco da poi a primo di maggio del seguente anno 1572 succeduta la morte del Pontefice, non ebbe la promessa alcun effetto.

Ma Gregorio XIII, che succedette al Pontefice Pio, non tralasciò di farsi adempire la premessa; onde più volte istantemente lo richiese, che gli mandasse, siccome con effetto nel 1574 furon mandati. Scrisse il Re al Pontefice a' 4 giugno del suddetto anno una lettera, nella quale gli diceva, che per soddisfare alle sue istanze fattegli di mandare in Roma alcune persone per trattare le differenze di Giurisdizione occorse ne' suoi Regni d'Italia, inviava in Roma D. Pietro d'Avila Marchese de las Navas, ed il Licenziato Francesco di Vera del suo Consiglio, li quali giunti col suo Ambasciadore D. Giovanni di Zunica trattassero di comporre amichevolmente quelle differenze, e qualunque altra che mai potesse insorgere nei suoi Regni di Napoli e di Sicilia e nel Ducato di Milano. Mandò parimente a' medesimi ampia proccura a questo fine, ed insieme le istruzioni della maniera di doversi portare nel trattarle: dando di tutto ciò avviso al Vicerè Granvela per sua norma.

Quindi nacque il costume di mandarsi in Roma Ministri del Re per trattare di questi affari: Missioni per altro fin dal loro cominciamento sempre inutili: il Marchese de las Navas, ed il Consigliere di Vera inutilmente s'affaticarono. Ma non perciò s'interruppe questo cominciato stile: morto il Marchese, fu nel 1578 mandato in Roma in suo luogo D. Alvaro Borgia Marchese d'Alcanizes, al quale il Re parimente mandò proccura di trattare insieme coll'Ambasciadore Zunica e Consigliere Vera questi negozj, dandogli la medesima potestà, che teneva il Marchese de las Navas colle medesime istruzioni. Anzi avendo il Governadore di Milano mantenuto il medesimo istituto di mandare da quello Stato una persona per quelli affari in Roma, il Re Filippo II scrisse nel 1579 al Marchese di Mondejar nostro Vicerè, dicendogli che per lettera del Commendator Maggiore suo Ambasciadore in Roma, e del Marchese di Alcanizes avea inteso, che conveniva molto per la buona intelligenza della materia di Giurisdizione Secolare ed Ecclesiastica del Regno tenere in Roma una persona tanto pratica ed intelligente, com'era il Dottor Giacomo Ricardi, che dimorava in Roma mandato da Milano dal Marchese de Aymonte Governadore di quello Stato; che per ciò gli ordinava, che da Napoli si mandasse in Roma una persona, ancorchè fosse Reggente di Cancelleria e particolarmente il Reggente Salernitano, come più intelligente in detti negozj, o pure dal Consiglio di Capuana, o dalla Camera della Summaria, ovvero d'altro qualsivoglia, che sia dimandato dal detto Ambasciadore e Marchese: e che subito l'invii in Roma, acciò col lume, che darà, si possa procedere in detti negozj.

Così ne' tempi meno a noi lontani, leggiamo, che per le controversie giurisdizionali insorte tra il Vescovo di Gravina, e l'Arciprete d'Altamura, fu dal Cardinal Zapata mandato in Roma il Consigliere Giovan-Battista Migliore per comporle e terminarle. E ne' tempi de' nostri Avoli, per le nuove contese insorte per la Bolla di Gregorio XIV, fu in Roma mandato il Consigliere Antonio di Gaeta; missione per altro vana ed inutile; ed a' dì nostri successivamente il Consigliere Falletti; il Fiscale di Camera Mazzaccara; ed ultimamente il Consigliere Lucini. Le missioni dei quali avrebbero potuto a bastanza far avvertito il Re che è tutta spesa perduta per questa via sperare una cotal composizione e fine di queste differenze giurisdizionali. Le maniere più proprie ed efficaci, quando voglia seguitarsi lo stile degli Spagnuoli, di saldar queste piaghe, non già all'uso di Francia, ma con empiastri ed unguenti, sarebbero quelle che ci vengono additate da' più saggi e prudenti Giureconsulti insieme e Teologi, cioè di deputare vicendevolmente personaggi d'alto affare, a' quali, come Compromissori, si commettesse la composizione di quelle, ed alla loro determinazione di doversi ciecamente ubbidire: questo modo, che sovente vien praticato nel Contado di Barcellona, dice Jacopo Menochio, celebre Giureconsulto di Pavia nel suo trattato De Jurisdictione, essere stato sempre da lui riputato il più acconcio in Italia, per terminare affatto queste contese; i Romani, che dovrebbero più d'ogni altro desiderarlo, han mostrato sempre di abborrirlo, perchè sanno, che con tenerle sospese ed indecise, per la loro vigilanza e desterità, il tempo porterà congiunture tali, delle quali sapranno ben valersene, e ricavarne profitto.

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