Alfonso accrebbe il numero de' Titoli e de' Baroni, a' quali diede la giurisdizion criminale. Sua morte, e leggi che ci lasciò.
Rese Alfonso più di quel, che era, il Regno assai numeroso di Baroni e di Titolati. Prima non vi erano, che due Principi, quel di Taranto e di Salerno, e poi s'aggiunse quello di Rossano; cinque Duchi, e pochi Marchesi; de' Conti ve n'era qualche numero e più di Baroni; ma Alfonso gli accrebbe al doppio, siccome dice il Summonte, e si vede dal catalogo che ne fece. In alcuni Seggi di Napoli non vi eran Titolati, ed i primi furono al seggio di Nido il Conte di Borrello ed il Conte di Bucchianico della famiglia Alagna. Questi furono due fratelli della famosa Lucrezia d'Alagno figliuola d'un Gentiluomo di Nido, la quale fu amata tanto da Alfonso, che avea tentato di aver da Roma dispensa di ripudiare la moglie, che era sorella del Re di Castiglia, per pigliar costei per moglie; e tra le altre cose notabili, che fece per lei, subito che l'ebbe a' suoi piaceri, fece questi due fratelli l'un Conte di Borrello e Gran Cancelliere, e l'altro Conte di Bucchianico: e scrive Tristano Caracciolo nel libro De varietate fortunae, rapportato dal Costanzo, che questi furono i primi Titolati del seggio di Nido.
Ma quello di che non s'ebbero molto da lodare i secoli seguenti, fu d'aver Alfonso conceduto a' Baroni il mero e misto impero. Avendo questo Principe per la sua sterminata liberalità resi esausti tutti gli altri fonti, cominciò ad esser profuso anche delle più supreme regalie, che non doveano a verun patto divellersi dalla sua Corona, quando i Re suoi predecessori erano stati di ciò cotanto gelosi, che il Re Carlo I d'Angiò avendo donato al suo figliuolo unigenito la città di Salerno, col titolo di Principe, con alcune altre città e terre d'intorno, gli concedè sopra quelle solamente la giurisdizione civile, e solo in Salerno per quanto si distendeva il circuito delle sue mura e non oltre, gli concedè la giurisdizione criminale; e gli altri Re, siccome s'è veduto ne' precedenti libri, molto di rado, e solo in premio d'una eminente virtù a qualche loro benemerito ed a qualche segnalato Barone, solevano concederla; ond'era, che le concessioni ed investiture, fatte prima che regnasse Alfonso, non abbracciavano la giurisdizione criminale, essendo delle cose eccettuate e riservate; poichè l'uso di que' tempi era, che i Feudatari, che possedevano Terre con vassalli, non potevano esercitare, se non quella bassa ed infima giurisdizione indrizzata a sedar le liti e le discordie, che sogliono nascere tra gli abitatori de' luoghi; e perciò i Baroni ed i Feudatari, non eleggevano se non Camerlenghi annuali, i quali esercitavano giurisdizione in conoscere e giudicare di quelle brevi liti e cause sommarie: poichè la G. C. esercitava la giurisdizione sopra tutti i luoghi e Terre del Regno. E la ragione era, perchè, siccome fu saviamente considerato dal Consigliere Giuseppe di Rosa nostro acutissimo Giureconsulto, nelle città e Terre con vassalli, era solamente quella giurisdizione, che infima si chiama e che, secondo il diritto de' Romani, s'amministrava da' minori Magistrati, che si chiamavano Defensores, e consisteva nella cognizione delle Cause civili: in luogo de' quali, secondo notò Andrea d'Isernia, nel nostro Regno succederon poi i Baglivi de' luoghi, i quali conoscevano delle cause civili, dei furti minimi, de' danni, de' pesi e misure, e d'altre cause leggiere e di picciolo momento; ma le cose più gravi e massimamente quelle, che risguardavano il mero imperio e la giurisdizion criminale, s'appartenevano, secondo il diritto de' Romani, a' Presidi delle province, in luogo de' quali nel nostro Regno furono, come si è veduto ne' precedenti libri, costituiti i Giustizieri , che ora pur Presidi appelliamo, da' quali per via d'appellazione si riportavano alla G. C. della Vicaria, Tribunale supremo sopra tutti i Giustizierati del Regno. Così le investiture, che prima d'Alfonso eran concedute a' Baroni delle città e Terre con vassalli, abbracciavan solo quell'infima giurisdizione come a loro coerente e da esse inseparabile, e non il mero imperio e la giurisdizion criminale, che non poteva dirsi alle medesime coerente, siccome quella, che non da' proprj Magistrati, ma da' Presidi prima soleva esercitarsi, e da poi non da' Baglivi de' luoghi, ma da' Giustizieri delle province.
Ne' tempi d'Alfonso e degli altri Re aragonesi suoi successori, cominciò a porsi in uso nell'investiture de' Feudi la concessione della giurisdizion criminale e delle quattro lettere arbitrarie ancora, come fu da noi altrove rapportato. Quindi in decorso di tempo fu veduto quel che ancor oggi si vede, che qualunque, benchè picciol Barone, abbia ne' suoi Feudi il mero e misto imperio, con non picciol detrimento delle regalie del Re, e danno de' suoi sudditi. Ben Carlo VIII Re di Francia, in que' pochi mesi che vi regnò, pensò di toglierlo affatto a' Baroni, con ridurgli all'uso di Francia; ma il poco tempo, che vi ebbe, e per le difficoltà che s'incontravano, non potè mettere in esecuzione questo suo disegno; molto meno oggi è ciò da sperare, che il male è antico, e che senza grandi ravvolgimenti e scompigli non potrebbe ridursi ad effetto.
Dopo avere questo Principe in cotal guisa riordinato il Regno, ancor che negli ultimi suoi anni si fosse rinovata la guerra co' Fiorentini, ed ultimamente per non aver voluto far restituire alcune navi predate dai suoi legni a' Genovesi, se gli avesse resi nemici; nulladimanco invilito negli amori di Lucrezia d'Alagno proccurò tosto pace co' primi, nè molto curò de' secondi, ed attese il rimanente tempo di sua vita in cacce, conviti, giostre ed altri piaceri; e mentre era già vecchio, il Duca di Milano mandò Ambasciadori a trattare doppio matrimonio con la sua casa regale, perchè dubitava molto, che il Re di Francia non pigliasse a favorire il Duca d'Orleans, che pretendeva, che il Ducato di Milano toccasse a lui per esser figlio di Valentina Visconte legittima sorella del Duca Filippo; ed in tal caso gli parea di non potere avere più fedele ajuto che da Alfonso, il quale avea sempre in sospetto Re Renato, che ancor teneva in Italia molte pratiche. Così in breve fu conchiuso matrimonio doppio, ed Ippolita Maria figliuola del Duca fu data per moglie ad Alfonso primogenito del Duca di Calabria; e Lionora figliuola del Duca di Calabria fu promessa a Sforza figliuolo terzogenito del Duca di Milano, e tanto gli sposi, come le spose, non passavano l'età di otto anni.
Successe in questo anno 1455 la morte di Papa Niccolò V, e dopo 14 dì, che vacò la Sede Appostolica, fu nel mese d'aprile eletto in suo luogo il Cardinal di Valenza Alfonso Borgia, che, come si disse, era stato molti anni caro al Re Alfonso e suo intimo Consigliere, che Calisto III nomossi. Costui, benchè fosse d'età decrepita, fece gran disegno di fare cose che avrebbono ricercata un'età intera d'un uomo. Come suole avvenire che i più confidenti ai Principi, quando sono elevati al Papato, sogliono divenire i più fieri loro nemici; così Calisto assunto al trono cominciò a pensar nuove cose, e ad opporsi ai disegni d'Alfonso: e non piacendogli questo nuovo parentado conchiuso col Duca di Milano, fece ogni sforzo per disturbare le nozze; ma Alfonso, avendo conosciuto l'animo del Papa, tanto più lo sollecitava: onde nel principio dell'anno seguente 1456 furono solennemente celebrate, ed Elionora fu condotta a Milano al suo sposo Sforza.
A questi tempi medesimi Giovanni Re di Navarra, fratello secondogenito del Re Alfonso, stava in gran discordia con D. Carlo suo figliuolo primogenito che s'intitolava Principe di Viana; e la cagione della discordia era, perchè il Regno di Navarra era stato dotale della madre del Principe ch'era già morta, ed il Re Giovanni avea tolta per seconda moglie la figliuola dell'Ammirante di Castiglia. Il Principe non poteva soffrire di vedere la Regina sua matrigna sedere, dove avea veduta sua madre, ed esso vivere privatamente; perchè la matrigna s'era in tal modo fatta Signora del marito, già vecchio, che tanto nel Regno di Navarra, quanto in Aragona, dove il padre era Vicerè, non si faceva altro che quel che volea la matrigna, e per questo avea tentato nel Regno di Navarra farsi gridare Re, perchè era molto amato per le virtù sue e per la memoria della madre, Regina naturale di quel Regno. Il disegno non gli riuscì, onde venne ad accostarsi col Re Alfonso suo zio, il quale gli costituì dodicimila ducati l'anno pel vivere suo; ma perchè vedeva ch'era di corpo bellissimo e di costumi amabili ed atto ad acquistare benevolenza, non gli piaceva che dimorasse molto in Napoli; ma lo mandò al Papa a pregarlo, che pigliasse assunto di ridurlo in concordia col padre. Il Principe andò, ed il Papa lo ricevè con gusto, e gli diede trattenimento da vivere; ma poichè vide che Calisto per l'età decrepita era tardo a trattare la riconciliazione sua col padre, e che Re Alfonso era assai declinato di salute, e non potea molto vivere, si fermò in Roma, con speranza che i Baroni del Regno che stavano mal soddisfatti delle condizioni del Duca di Calabria, chiamassero lui per Re dopo la morte di Alfonso. Intanto Alfonso ne' principj di maggio di quest'anno 1458 cominciò ad ammalarsi, e peggiorando tuttavia, s'incominciò a pubblicare che il suo male era pericoloso, di che avvisato il Principe di Viana venne tosto da Roma a visitarlo, ciò che rese più travagliato il fine di così gran Re; perchè giunto il Principe a Napoli tre giorni avanti che morisse, essendo già disperato da' Medici, gli raddoppiò l'agonìa della morte, sapendo ch'era venuto per tentare d'occupar Napoli; e perchè conosceva che morendo al Castel Nuovo, donde non potea cacciare il Principe, avria potuto il Castellano più tosto ubbidire al Principe, che al Duca di Calabria massimamente essendo la guardia del Castello tutta di Catalani che restavano vassalli del Re Giovanni, il qual avea da succedere ne' Regni d'Aragona e di Sicilia; fece subito dire ch'era migliorato, e che i medici lodavano che si facesse portare al Castello dell'Uovo per la miglioranza dell'aria, il che s'eseguì subito, lasciando al Duca di Calabria la cura di guardarsi il Castel Nuovo; e da poi giunto al Castello dell'Uovo il dì seguente morì a' 27 giugno di quest'anno 1458, essendo giunto all'anno 64 di sua vita.
Questo fu il fine di sì gran Re; Principe celebratissimo per infinite virtù che l'adornavano, e sopra tutto per liberalità e magnificenza. Egli liberalissimo arricchì molti con preziosi doni, ed ingrandì altri assai, donando loro grandissimi Stati. Fu magnificentissimo nel dare al Popolo spettacoli, ne' quali si sforzò di emulare la magnificenza de' Romani, come si vide quando ricevè in Napoli Federico III, designato Imperadore e Lionora figliuola del Re di Portogallo, e di sua sorella, che dovea sposarsi con Federico.
(Il matrimonio tra Federico III e Lionora, fu trattato in Napoli da Alfonso suo zio, da' Legati mandati dal Re di Portogallo e da Enea Silvio Piccolomini, poi Papa Pio II, dove dopo quaranta giorni fu conchiuso; siccome narra Gobellino, lib. 1, p. 16. Quam rem, e' dice, diebus quadraginta tractatam, cum denique conclusissent coram Rege, Cardinale Morinensi Apostolico Legato, Clivensi, Calabriae, Suesae, Silesiaeque Ducibus, et Magna Praelatorum, Comitumque multitudine, in Curia Novi Castri Neapolitani; Aeneas Sylvius de Nobilitate, virtuteque contrahentium orationem habuit, quae postmodum a multis transcripta est. Lo stesso narra Nauclero pag. 1056 e Fugger. lib. 5, c. 7, n. 1. Anzi Enea Silvio stesso Hist. Friderici p. 82 rapporta che, dopo i travagliosi viaggi della sposa, accolta da Alfonso in Napoli, nella dimora, che quivi fecero gli sposi, fu il matrimonio consumato, siccome scrisse anche Struvio Syntag. Hist. Germ. Diss., 30, § 22. Invitatus inde ab Alphonso Siciliae Rege cum nova nupta, et reliquo comitatu suo Neapolim venit, ubi matrimonium demum fuit consummatum).
Si conobbe ancora Re Alfonso nelle alte gran feste, cacce, giostre e conviti, dando spesso diletto al Popolo napoletano vaghissimo di simili divertimenti. Tenne il palazzo abbondantissimo di tappezzerie di lavoro d'oro e d'argento, e d'arredi ricchissimi e preziosi. Splendidissimo ancora negli edificj, onde adornò Napoli a pari di qualunque altra illustre città del Mondo: fece ingrandire il molo grande, e diede principio alla gran sala del Castel Nuovo, che senza dubbio è delle stupende macchine moderne che sia in tutta Italia: fortificò il castello con quelle altissime torri che ora s'ammirano: fece ampliare l'Arsenale di Napoli, la Grotta onde da Napoli vassi a Pozzuoli, e fece un fondaco reale e molti altri edificj per diversi usi.
La sua morte fu amaramente pianta da' Napoletani, come quella che non solo gli privò di tante grandezze e felicità, e che disturbò la pace del Regno; ma che poi dovea recar loro una lunga guerra, e porgli in nuove calamità e disordini. Non abbastanza compianto, fu il suo cadavere, con funerale superbissimo, rinchiuso dentro un forziere che rimase in deposito nel Castello dove morì; e benchè nel suo testamento avesse ordinato che fosse portato alla Chiesa di S. Pietro Martire, e di là quanto prima si mandasse in Ispagna al monastero di Santa Maria a Pobleto, ove sono sepolti gli antichi Re d'Aragona; nulladimeno restò il suo deposito in Napoli, ov'era additato da' Padri Domenicani nella Sagrestia della lor chiesa di S. Domenico Maggiore di questa città con molti segni di stima e di venerazione.
Non avendo avuti figliuoli dalla Regina Maria, figliuola d'Errico III Re di Castiglia, nel suo testamento, che fece il dì avanti di morire, istituì e nominò per successore nel Regno di Napoli D. Ferdinando Duca di Calabria suo figliuolo naturale, legittimato; e ne' Regni della Corona d'Aragona e di Sicilia D. Giovanni Re di Navarra suo fratello secondogenito e suoi discendenti, conforme avea anche disposto nel suo testamento D. Ferrante suo padre, che si conservava nell'Archivio reale di Barcellona, donde prima di morire avea voluto Alfonso che se gliene inviasse copia; ed ordinò in quello molti legati indrizzati ad opere di pietà. Narra S. Antonino Arcivescovo di Fiorenza, che prima di morire non lasciava di ricordare al Duca di Calabria, ch'egli gli lasciava il Regno di Napoli, ma che per potervi quietamente regnare, bisognava che tenesse lontani, e s'alienasse da tutti gli Aragonesi o Catalani ch'egli avea esaltati, e che in lor vece si servisse d'Italiani e di questi componesse la sua Corte, e principalmente amasse quelli del Regno, a' quali conferisse gli ufficj e non gli riguardasse, come faceva, di mal viso e come sospetti. Che egli conosceva avere gravato il Regno con nuove gravezze ed esazioni, alterando anche le antiche, e ch'eran tante che i Popoli non potevano sopportarle: che però l'ammoniva che le levasse tutte e le riducesse all'usanza antica. E finalmente che coltivasse la pace, nella quale egli l'avea lasciato colle Repubbliche e Principi d'Italia, e sopra tutto si tenesse amici i Pontefici romani, da' quali in gran parte dependeva la conservazione o la perdita del suo Regno: soffrisse con pazienza il lor fasto ed alterezza, e loro si mostrasse per non isdegnarli, sempre umile e riverente, perchè egli non avea conosciuti altri mezzi per rintuzzare la loro ambizione.
(St. Antonino in Chron. part. 3, tit. 22, cap. 16 ad A. 1458 scrisse così: Rex vero Aragonum graviter infirmatus Neapoli in fine mensis Junii ejusdem anni diem clausit extremum; qui ante mortem Ferdinandum filium suum, etsi illegitimum, jam uxoratum, et filios habentem, dimisit haeredem, et Regni Apuliae successorem, cum maximo thesauro congregato. Quem etiam ut regnare posset quietius, et obstacula non haberet, admonuit, ut viam, quam in Regno tenuerat, non sequeretur in tribus, sed oppositum. Prima quidem, ut omnes Aragonenses et Cathalanos, quos ipse exaltaverat; et totum se eis crediderat, exosos hominibus, a se abjiceret, et in curia sua Italicos, et praecipue Regnicolas, diligere ostenderet, et ad officia promoveret, quos tamen ipse, ut suspectos non laeta facie respiciebat. Secundo, ut nova gravamina et exactiones, quas instituerat, et antiqua auxerat, quae tanta erant, ut homines respirare non possent, omnia removeret, et ad morem antiquum deduceret. Nimiae enim fuerunt extorsiones ejus ab hominibus Regni, et (ut de caeteris taccam) beneficia vacantia etiam minora nullus obtinere valebat in curia, nisi prius manus Regis implesset et quantitate non modica. Tertio ut pacem confectam per se cum Ecclesia, et aliis communitatibus, et Principatibus ipse servaret, nec a pacis foederibus declinaret).
Re Alfonso, oltre d'averci lasciate tante illustri memorie, e tanti buoni istituti e nuove riforme, ci lasciò anche alcune leggi. Secondo che narrano alcuni Autori, questo Principe dopo tante e sì lunghe guerre, che sostenne in vita della Regina Giovanna II, e dopo la costei morte con Renato suo competitore, avendo finalmente trionfato de' suoi nemici, resosi pacifico possessore del Regno, pose tutto il suo studio a riordinarlo ed a dargli ristoro de' passati danni e disordini che le succedute guerre aveanvi recati. Stabilì pertanto molte Costituzioni, cominciando dall'erezione del Tribunale del S. C. alle quali da poi molte altre ne aggiunse. Queste Costituzioni, che, come dice Toppi, prima si vedeano in Napoli, ora non l'abbiamo, ma per sinistro fato si sono perdute. Ne sono solamente a noi rimase alcune che ora si leggono sparse ne' registri del G. Archivio e ne' volumi delle nostre Prammatiche. La prima si legge sotto il titolo de Possessoribus non turbandis, che in altre edizioni porta questa epigrafe: Edictum Pentimae Gloriosissimi, et Divi Alphonsi Regis clementissimi. Fu questo editto promulgato da Alfonso nel secondo anno del suo pacifico Regno nel 1443, dopo finita la guerra con Renato, per cui comandò, che per la preceduta guerra, essendo insorte molte liti fra suoi sudditi intorno al possesso de' loro feudi e beni, non si turbassero i possessori, ma che si lasciassero possedere come si trovavano, nè i Giudici si proccurassero commessioni di queste cause, senza consultarne prima lui. Nè procedessero in quelle, se non precedente sua commessione. Ciò che fu steso anche nelle moratorie prima a' medesimi possessori concedute. Fu questa legge data nel campo di Pentima, luogo posto in Apruzzo presso Sulmona.
Un'altra consimile, ch'estratta dal registro de' Capitoli d'Alfonso, si vede anche impressa nelle nostre prammatiche fu da questo Re stabilita nel 1446 nel Mazzone delle rose presso lo Spedaletto, non molto da Capua lontano; e letta e pubblicata con gli altri capitoli nel castel Capuano, dove ordinò che non dovessero inquietarsi coloro, che innanzi la morte del Re Ladislao aveano continuamente per se e per loro legittimi antecessori posseduto e possedevano terre, castelli ed altri beni; nè astringersi a portare originalmente i loro titoli, e vedere ed esaminare i loro antichi diritti, che sarebbe sovvertire diversi stati e condizioni di molti nel Regno; della qual legge fu anche ricordevole Capece nelle suo decisioni. La prammatica 2 che leggiamo sotto il tit. de Off. S. C. pure fu d'Alfonso, non di Ferdinando, come si è detto.
L'altra che parimente si legge nelle nostre prammatiche è quella notissima che tratta de' censi, nella quale Alfonso inserì la Bolla di Niccolò V, stabilita a sua richiesta dal medesimo per li suoi Regni, in Roma nel 1451, per regolare i censi. Questo Re per mezzo di tal prammatica confermò la Bolla, e volle che ne' suoi Regni avesse forza e vigore non meno che le altre sue leggi e statuti, aggiungendo altri suoi ordinamenti intorno alla validità e modo da tenersi nella costituzione de' censi suddetti. Fu questa statuita nella Torre del Greco, ove il Re dimorava negli ultimi anni di sua vita per avere più dappresso la sua Lucrezia d'Alagno, e porta la data de' 20 ottobre dell'anno 1451. Altri editti, privilegi e diplomi d'Alfonso si veggono ne' suoi registri nel Gran Archivio, de' quali alcuni, secondo il soggetto, che aveano per le mani, furono impressi nelle loro opere da diversi Autori: molti ne fece imprimere Toppi nei suoi tomi dell'Origine de' Tribunali: alcuni altri, gli Reggenti Moles, Tappia, Galeota ed altri moltissimi: ma i riferiti, come posti nel corpo delle prammatiche hanno fra noi forza e vigor di legge: degli altri può aversene buon uso, per quanto conduce all'istoria dei tempi, all'istituzione de' Tribunali, alle riforme dei medesimi e per illustrazione dell'altre sue leggi ed editti.
FINE DEL VOLUME SESTO.