Pace conchiusa tra 'l Pontefice Clemente coll'Imperador Carlo in Barcellona, che fu seguita dall'altra conchiusa col Re di Francia a Cambrai, e poi (esclusi i Fiorentini) co' Vineziani; e coronazione di Cesare in Bologna.
Gl'infelici successi delle armi franzesi in Italia fecero, che pensasse il Papa, l'istesso Re Francesco, e tutti coloro della Lega alla pace; onde tutti i loro pensieri furono rivolti a trovarne il modo. Il Papa fu il primo che trattasse accordo, e per mezzo del General de' Francescani, creato da lui Cardinale del titolo di S. Croce, che sovente portandosi da Spagna in Roma, e da quivi in Ispagna, ridusse l'accordo con Cesare in buono stato, e già in Napoli nel principio di questo nuovo anno 1529 penetrò qualche avviso di speranza di pace. Finalmente dopo essersi negoziata per alquanti mesi dal suddetto Cardinale, fu ridotta a fine da Giovan-Antonio Mascettola, che si trovava in Roma Ambasciadore per l'Imperadore, e si conchiuse molto favorevole per lo Pontefice, o perchè Cesare, desiderosissimo di passare in Italia, cercasse di rimoversi gli ostacoli, parendogli per questo rispetto aver bisogno dell'amicizia del Pontefice, o volendo con capitoli molto larghi dargli maggiore cagione di dimenticare l'offese praticate da' suoi Ministri e dal suo esercito: in effetto gli accordò ciò che il Papa più ardentemente desiderava, cioè lo ristabilimento della sua Casa in Fiorenza, promettendo l'Imperadore per rispetto del matrimonio nuovo di Margherita sua figliuola naturale con Alessandro de' Medici suo nipote, figliuolo di Lorenzo, di rimettere Alessandro in Fiorenza nella medesima grandezza ch'erano i suoi innanzi fossero cacciati.
I Capitoli di questa pace si leggono nell'Istoria del Giovio e del Guicciardino, e sono rapportati da altri Scrittori. Il Summonte ed il Chioccarelli ne trascrivono le parole; e per ciò che riguarda il Regno di Napoli, fu convenuto:
Che il Pontefice concedesse il passo per le Terre della Chiesa all'esercito Cesareo, se volesse partire dal Regno di Napoli; e che passando Cesare in Italia debbiano abboccarsi insieme per trattare la quiete universale de' Cristiani, ricevendosi l'un l'altro con le debite e consuete cerimonie ed onore.
Che Cesare curerà il più presto si potrà, o con l'arme, o in altro modo più conveniente, che il Pontefice sia reintegrato nella possessione di Cervia e di Ravenna, di Modena, di Reggio e di Rubiera, senza pregiudizio delle ragioni dell'Imperio e della Sede Appostolica.
All'incontro, concederà il Pontefice a Cesare, avute le Terre suddette, per rimunerazione del beneficio ricevuto nuova investitura del Regno di Napoli, con rimettergli tutti li censi imposti per lo passato, riducendo il censo dell'ultima investitura ad un cavallo bianco, in ricognizione del feudo, da presentarsegli nel giorno di S. Pietro e Paolo. Fu questo censo sempre vario, ora diminuendosi, ora accrescendosi a considerabili somme, le quali poi non pagandosi, i Pontefici per non pregiudicarsi, con altre Bolle solevano rimettere a' Re i censi decorsi, ma volevano, che nell'avvenire si pagassero; ma poi nè tampoco sodisfacendosi, si tornava di nuovo alla remissione.
Per questa capitolazione si tolse ogni censo pecuniario, e la cosa si ridusse ad un solo cavallo bianco da presentarsi il dì di S. Pietro in Roma, come fu da poi praticato. Tommaso Campanella perciò compose una Consultazione De Censu Regni Neapoletani, che non si trova impressa. Paolo IV non ostante questa capitolazione, lo pretese da Filippo II, ed arrivò per questa cagione di non essersi pagato, sino a dichiarare divoluto il Regno; ma di ciò si parlerà più innanzi nel Regno di quel Principe.
Di più sarà conceduta a Cesare la nominazione di ventiquattro Chiese Cattedrali del Regno, delle quali era controversia: restando al Papa la disposizione delle altre Chiese, che non fossero di Padronato e degli altri Beneficj. Di che ci tornerà occasione di lungamente ragionare, quando tratteremo della politia Ecclesiastica del Regno di questo secolo.
E per ultimo, per tralasciar le altre che non appartengono alle cose di Napoli, si convenne, che non potesse alcuno di loro in pregiudicio di questa confederazione, quanto alle cose d'Italia, fare leghe nuove nè osservare le fatte contrarie a questa: possano nondimeno entrarvi i Vineziani, lasciando però quello, che posseggono nel Regno di Napoli.
Furono queste Capitolazioni fatte in Barcellona e furono solennemente ivi stipulate a' 29 giugno di quest'anno 1529, dove intervenendo per Ambasciadori di Cesare Mercurio Gattinara e Lodovico di Fiandra, e per lo Pontefice, il Vescovo Girolamo Soleto suo Maggiordomo, furono ratificate innanzi all'altar grande della Chiesa Cattedrale di Barcellona con solenne giuramento.
Volendo per tanto Cesare in esecuzione di questa concordia riporre Alessandro de' Medici nello Stato di Firenze, deliberò valersi per quella impresa del Principe d'Oranges nostro Vicerè: al quale comandò, che da Apruzzo, ov'era, si mettesse in cammino con la sua gente alla volta di Firenze; e che nel passare andasse a Roma a ricevere gli ordini del Papa.
Nel medesimo tempo con non minor caldezza procedevano le pratiche della concordia tra Cesare ed il Re di Francia, per le quali, poichè furono venuti i mandati, fu destinata la Città di Cambrai, luogo fatale a grandissime conclusioni.
I negoziati di questa pace furono appoggiati a due gran donne, a Madama Margherita d'Austria, zia dell'Imperadore, ed a Madama la Reggente, madre del Re di Francia, acconsentendo a questi maneggi il Re d'Inghilterra, il quale avea mandato per ciò a Cambrai un suo Ambasciadore. Re Francesco si studiava con ogni arte e diligenza, con gli altri Ambasciadori della Lega d'Italia, di dar loro a sentire, che non avrebbe fatta concordia con Cesare, senza consenso e loro soddisfazione. Si sforzava persuaderli di non sperare nella pace, anzi avere volti i suoi pensieri alle provvisioni della guerra: temendo, che insospettiti della sua volontà, non prevenissero ad accordarsi con Cesare; onde mostrò essere tutto inteso a provvisioni militari, e mandò a questo fine il Vescovo di Tarba in Italia con commessione di trasferirsi a Venezia, al Duca di Milano, a Ferrara ed a Firenze per praticare le cose appartenenti alla guerra: e promettere, che passando Cesare in Italia, passerebbe anch'egli nel tempo medesimo con potentissimo esercito. Queste erano l'apparenze; ma il desiderio di riavere i figliuoli, rimasi per ostaggio in Ispagna, lo faceva continuamente stringere le pratiche dell'accordo, per cui a' 7 di Luglio entrarono per diverse porte con gran pompa amendue le Madame in Cambrai; ed alloggiate in due case contigue, che aveano l'adito l'una nell'altra, parlarono il dì medesimo insieme, e si cominciarono per gli Agenti loro a trattare gli articoli; essendo il Re di Francia, a chi i Veneziani, impauriti di questa congiunzione, facevano grandissime offerte, andato a Compiegne, per essere più da presso a risolvere le difficoltà, che occorressero.
Convennero in quel luogo non solamente le due Madame, ma eziandio, per lo Re d'Inghilterra, il Vescovo di Londra, ed il Duca di Suffocle, perchè col consenso e partecipazione di quel Re si tenevano queste pratiche. Il Pontefice vi mandò l'Arcivescovo di Capua e vi erano gli Ambasciadori di tutti i Collegati; ma a costoro riferivano i Franzesi cose diverse dalla verità di quello che si trattava; ed il Re sempre lor prometteva le medesime cose, che non si sarebbe conchiuso niente senza lor consenso e soddisfazione. Sopravvenne intanto a' 28 di luglio l'avviso della capitolazione fatta tra 'l Pontefice e Cesare; ed essendosi per ciò molto stretto l'accordo, fu per isturbarsi per certe difficoltà, che nacquero sopra alcune Terre della Franca Contea; ma per opera del Legato del Pontefice e principalmente dell'Arcivescovo di Capua, fu quello conchiuso.
Si pubblicò questa pace solennemente il quinto dì d'agosto nella Chiesa maggiore di Cambrai, e l'istromento di quella è rapportato da Lionard nella sua Raccolta. I principali articoli, e quelli che riguardarono il nostro Reame furono.
Primieramente, che i figliuoli del Re fossero liberati, pagando il Re a Cesare per taglia loro un milione e ducentomila ducati, e per lui al Re d'Inghilterra ducentomila.
Che si restituisse a Cesare tra sei settimane dopo la ratificazione tutto quello possedeva il Re nel Ducato di Milano, con rilasciargli parimente Asti, e cederne le ragioni.
Che lasciasse il Re più presto che potesse Barletta e tutto quello che teneva nel Regno di Napoli. Che protestasse il Re a' Vineziani, che secondo la forma de' Capitoli di Cugnach, restituissero le Terre di Puglia, ed in caso non lo facessero, dichiararsi loro nemico, ed ajutare Cesare per la ricuperazione con 30 mila scudi il mese e con dodici Galee, quattro Navi e quattro Galeoni pagati per sei mesi.
E per tralasciar gli altri, fu parimente convenuto, che il Re dovesse annullare il processo di Borbone e restituire l'onore al morto ed i beni a' successori. Siccome dovesse restituire i beni occupati a ciascuno per conto di guerra, o a' loro successori. Le quali cose dal Re, ricuperati ch'ebbe i figliuoli, non furono attese: perchè tolse i beni a' successori di Borbone, nè restituì i beni occupati al Principe d'Oranges, del che Cesare cotanto si querelava.
Fu compreso in questa pace per principale il Pontefice, e vi fu incluso il Duca di Savoja. Vi fu ancora un capitolo, che nella pace s'intendessero inclusi i Vineziani ed i Fiorentini, in caso che fra quattro mesi fossero delle loro differenze d'accordo con Cesare, che fu come una tacita esclusione; ed il simile fu convenuto per lo Duca di Ferrara. Nè de' Baroni e fuorusciti del Regno di Napoli fu fatta menzione alcuna.
Pubblicata che fu, non si può esprimere quanto se ne dolessero i Vineziani, e più i Fiorentini, che non furono in quella compresi, vedendosi così abbandonati, ed in arbitrio di Cesare e del Pontefice; il quale, giunto che fu il Principe d'Oranges in Roma, destinato da Cesare a ridurre i Fiorentini, l'avea accolto con giubilo grande, e datigli molti ajuti per facilitare quella impresa, che tanto desiderava vederla ridotta a felice fine.
Intanto Cesare dopo aver conchiusa la pace col Pontefice, si era posto subito in cammino per Italia, dove avea deliberato di venire, non già per quella cerimonia di pigliare la corona imperiale di mano del Pontefice, ma fu mosso per cagioni assai più serie; poichè con tal occasione pensava d'abboccarsi col Papa per dar sesto a molte cose d'Italia ancor fluttuanti. E partito da Barcellona con le Galee d'Andrea Doria a' 8 di luglio, arrivato che fu a Genova a' 12 agosto, gli furono presentati gli articoli della pace conchiusa in Cambrai col Re di Francia, li quali di buona voglia ratificò. In esecuzione della quale, dall'altra parte, il Re di Francia chiamò le sue genti, che erano nel nostro Regno, comandando a' suoi Capitani, che restituissero a' Ministri di Cesare, Barletta e tutti gli altri luoghi, che si tenevano nel Regno a nome suo, come fu eseguito.
Da questa pace di Cambrai in poi i Re di Francia non fecero altre spedizioni in lor nome sopra il Regno di Napoli, nè mai pretesero per loro le conquiste che furon poi tentate. S'unirono bensì nelle congiunture co' nemici de' Re di Spagna a lor danni, ma per altre cagioni, che si diranno nel progresso di questa Istoria.
Rimanevano ancora in Puglia le reliquie della guerra; poichè i Vineziani non compresi nella pace, ostinatamente attendevano a guardarsi quelle Terre e quei Porti dell'Adriatico, che tenevano occupati. E quantunque fosse stato dato il carico al Marchese del Vasto di discacciarli, questi però essendo stato richiamato in Fiorenza dal Principe d'Oranges, che avea trovata l'impresa assai più lunga e difficile di quello si credeva; fu dato il carico all'Alarcone, già fatto Marchese della Valle Siciliana, per ricuperar quelle Terre.
Ma giunto che fu l'Imperadore in Bologna a' 5 del mese di novembre, ove secondo concertarono, si fece parimente trovar il Papa, abboccatisi insieme, la prima cosa che fra di loro si trattò, fu la restituzione dello Stato al Duca di Milano, e la pace con gli Vineziani e con gli altri Principi Cristiani: per agevolar la quale molto vi cooperò Alonzo Sances Ambasciadore di Cesare alla Signoria di Venezia. Giovò ancora a Francesco Sforza l'essersi presentato, subito che arrivò in Bologna, al cospetto di Cesare: onde trattatesi circa un mese le difficoltà dell'accordo suo e di quello de' Vineziani, finalmente a' 23. decembre di quest'anno, essendosene molto affaticato il Pontefice, si conchiuse l'uno e l'altro. Fu convenuto che al Duca si restituisse lo Stato con pagare a Cesare in un anno ducati 400 mila, ed altri cinquecentomila poi in diece anni, restando in tanto, fin che non fossero fatti i pagamenti del primo anno, in mano di Cesare Como ed il Castel di Milano; e gli diede l'investitura, ovvero confermò quella, che prima gli era stata data.
Che i Vineziani restituissero al Pontefice Ravenna e Cervia co' suoi Territorj, salve le loro ragioni.
Che restituissero a Cesare per tutto gennajo prossimo tutto quello che possedevano nel Regno di Napoli.
Che se alcun Principe Cristiano, eziandio di suprema dignità, assaltasse il Regno di Napoli, siano tenuti i Vineziani ad ajutarlo con quindici Galee sottili ben armate.
E per ultimo, tralasciando gli altri, fu convenuto, che se il Duca di Ferrara si concorderà col Pontefice e con Cesare, s'intendesse incluso in questa confederazione.
Nel primo di gennajo del nuovo anno 1530 fu nella Cattedral Chiesa di Bologna solennemente pubblicata questa pace, nella quale solamente i Fiorentini ne furono esclusi. In esecuzione della quale Cesare restituì a Francesco Sforza Milano e tutto il Ducato, e ne rimosse tutti i soldati, ritenendosi solamente quelli, ch'erano necessari per la guardia del Castello e di Como, li quali restituì poi al tempo convenuto; e poichè per questa pace i Capitani dell'Imperadore erano rimasi mal contenti, particolarmente il Marchese del Vasto, ed Antonio di Leva: l'Imperadore, per mantenerli soddisfatti, persuase al Duca di Milano, che avesse per bene, che quelli nel suo Ducato possedessero alcune Terre.
I Vineziani restituirono al Pontefice le Terre di Romagna, e nello stesso mese furono da essi restituite a Cesare Trani, Molfetta, Pulignano, Monopoli, Brindisi e tutte l'altre Terre, che tenevano nelle marine della Puglia.
Così liberato il Regno da straniere invasioni, e restituito in pace, avea bisogno di tranquillità e maggior riposo per ristorarsi de' passati danni.