Governo del Cardinal Pompeo Colonna, creato Vicerè in luogo dell'Oranges, grave a' sudditi, non tanto per lo suo rigore, quanto per le tasse e donativi immensi, che coll'occasione dell'incoronazione, e del passaggio di Cesare in Alemagna, per la natività di un nuovo Principe, e per le guerre contra al Turco riscosse dal Regno.
Eletto il Principe d'Oranges per l'impresa di Fiorenza, fu ne' principj di luglio del passato anno 1529 rifatto in suo luogo il Colonna. Costui fu il primo Cardinale, ch'essendo ancora Arcivescovo di Monreale, si vide in qualità di Vicerè e Capitan Generale governare il Regno. In altri tempi, quando chi era destinato a' ministerj della Chiesa, non poteva impacciarsi ne' negozi ed affari del secolo, avrebbe ciò portato orrore; ma ne' pontificati d'Alessandro VI, di Giulio II (di cui scrisse Giovanni Ovveno, che avendo deposte le chiavi, e presa la spada, attese più alle arti della guerra, che al ministerio sacerdotale) di Lione (che come dice il Guicciardino, niente curando della Religione, avea l'animo pieno di magnificenza e di splendore, come se per lunghissima successione fosse disceso di Re grandissimi, favorendo con profusioni di regali Letterati, Musici e Buffoni) di Clemente VII (nel di cui tempo gli abusi della Corte di Roma eran trascorsi in tanta estremità, che fu desiderato un Concilio per estirparli) non parevano queste cose strane. Non dava su gli occhi, che un Arcivescovo insieme e Cardinale, lasciata la sua Cattedra, governasse Regni e Province da Vicerè e da Capitan Generale. E tanto meno stranezza dovea apportare il Cardinal Colonna, il quale niente curando delle cose della Religione, fu tutto applicato alle armi, ed agli amori, siccome correva la condizione di que' tempi.
Egli nella sua adolescenza fu applicato da Prospero Colonna suo zio all'esercizio dell'armi, e militò sotto il G. Capitano, dando pruove ben degne del suo valore. Poi stimò meglio lasciar la guerra, e ritirarsi in Roma, dove si diede allo studio di lettere umane, e nella poesia fece maravigliosi progressi, e per ciò fu molto stimato dal Minturno, e dagli altri Letterati del suo tempo. Essendo costume de' Poeti eleggersi un'Eroina, onde ispirati da quel Nume con maggior fervore e vena poetassero, così ancora fece il Colonna, il quale acceso fortemente dell'avvenenza e venustà di D. Isabella Villamarino Principessa di Salerno, cantò di lei altamente, e per cui compose molti versi, che ancor si leggono. Fu carissimo ancora alla cotanto celebre D. Vittoria Colonna sua parente, di cui parimente cantò le sue lodi e' suoi pregi; e per mostrare al mondo quanto le donne gli fossero a cuore, compose un giusto volume delle loro virtù, lodandole e defendendole da tutti quelli, che le soglion biasimare.
In premio di queste sue fatiche, essendo morto il Cardinal Giovanni Colonna suo zio, Giulio II lo creò Vescovo di Rieti. Lione X, a cui assai più aggradivano le sue maniere e la sua letteratura, l'innalzò a più grandi onori: oltre averlo fatto passare a più sublimi Cattedre, lo creò Vicecancelliere della Sede Appostolica, e finalmente Cardinale. Ma Clemente VII l'odiò sopra modo, siccome colui, che aderendo, come tutti gli altri Colonnesi, alle parti imperiali, continuamente s'opponeva al suoi pensieri. Ed il Cardinale col favor di Cesare fatto più ardito e fastoso, non si conteneva di parlar pubblicamente di lui, come di asceso al Papato per vie illegittime; e magnificando le cose operate dalla Casa Colonna contra altri Pontefici, aggiungeva esser fatale a questa famiglia l'odio de' Pontefici intrusi, e ad essi l'esser ripressi dalla virtù di quella. Di che irritato il Pontefice pubblicò un severo Monitorio contra di lui, citandolo a Roma sotto gravissime pene: nel qual anche toccava manifestamente il Vicerè di Napoli, ed obbliquamente l'Imperadore. Il Cardinal Pompeo non lasciò di vendicarsene, quando entrati i Colonnesi in Roma, saccheggiarono tutta la suppellettile del Palazzo Pontificio e la Chiesa di S. Pietro; onde avvenne, che assicurato il Papa per la tregua fatta per quattro mesi con D. Ugo Moncada, scomunicando, e dichiarando eretici e scismatici i Colonnesi, privò ancora il Cardinale della dignità Cardinalizia. Trovavasi allora il Cardinale in Napoli, il quale intesa la sua privazione, non stimate le censure del Papa, pubblicò un'appellazione al futuro Concilio, citando Clemente a quello, con proporre l'ingiustizia e le nullità de' monitorj, censure e sentenze contra di lui e' Colonnesi pubblicate; e dai partigiani de' Colonnesi, di questa appellazione ne furono affissi più esemplari in Roma di notte sopra le porte delle Chiese principali ed in diversi altri luoghi, e disseminati per Italia.
(Questi Atti del Cardinal Pompeo Colonna contra Clemente VII sono stati raccolti ed impressi nelle collezioni di Goldasto; de' quali non si dimenticò Struvio , che l'avvertì pure scrivendo alla pag. 1262, Extant Acta Pompeii Cardinalis, adversus Clementem VII apud Goldastum. L'esempio di Carlo V rese frequenti, mentre durarono le brighe con questo Pontefice, le appellazioni contra i Monitorj, censure ed ogni altro atto Papale, al futuro Concilio. Anzi l'appellazione interposta dall'Imperadore, contiene una formola assai notabile; poichè si dimandano al Papa gli Apostoli (vocabolo forense) cioè le lettere dimissoriali per la trasmissione degli atti al futuro Concilio, affinchè intanto egli non procedesse, nè innovasse cos'alcuna. Ecco le parole, colle quali egli termina quella dotta e grave risposta fatta a Clemente VII siccome si leggono, ed in Goldasto, ed in Lunig . Nos enim, quum ex his, et aliis satis notoriis causis turbari videremus universum Ecclesiae et Christianae Religionis statum ut nobis, ac ipsius Reipublicae saluti consulatur, pro his omnibus ad ipsum Sacrum Universale Concilium per praesentes recurrimus, ac a futuris quibuscunque gravaminibus, eorumque comminationibus provocamus, appellamus et supplicamus a Vestra Sanctitate ad dictum Sacrum Concilium, cujus etiam officium per viam querelae his de causis implorandum censemus: petentes cum ea, qua decet instantia, Apostolos et litteras dimissorias, semel, bis, ter, et pluries nobis concedi, et de harum praesentatione testimoniales litteras fieri, ac expediri in ea qua decet forma, quibus suis loco et tempore uti valeamus. Et quum ad haec solemniter peragenda ejusdem Sanctitatis Vestrae praesentiam habere nequeamus, ut inde futuris forsan gravaminibus occurramus, has nostras ejus Nuncio Apostolico penes nos agenti et Legationis munere, nomine Vestrae Sanctitatis fungenti, per actum publicum coram Notario et Testibus exhibendas intimandasque censuimus. Dat. Granatae die 17 Septembris 1526.)
Durarono le suddette aspre contese finchè non seguì la pace, conchiusa tra il Pontefice e Cesare in Barcellona; in vigor della quale restando assoluti tutti quelli, che in Roma, o altrove aveano offeso il Pontefice, fu il Cardinale restituito alla prima dignità, ma non mai alla grazia del Papa; e per questi successi vie più entrato in sommo favore dell'Imperador Carlo V, questi lo nominò Arcivescovo di Monreale, Chiesa, come ciascun sa, di ricchissime rendite in Sicilia; e partito l'Oranges per l'impresa di Fiorenza, trovandosi il Cardinale in Gaeta, gli diede il governo del Regno, creandolo suo Vicerè.
Giunto il Cardinale a Napoli, trovò il Regno per le precedute calamità e disordini, non men esausto di denari che pieno di dissolutezze. I suoi predecessori per le precedute guerre e rivoluzioni, dovendo più attendere alle cose della guerra, trascurarono gli esercizi della giustizia; e l'Oranges più col suo esempio che per trascurarne il castigo, ne' giovani Nobili avea introdotta un'estrema licenza e dissolutezza con grande oltraggio della giustizia. Non pure i Grandi del Regno, ma i semplici Gentiluomini privati, toglievano alla scoverta dalle mani della giustizia i delinquenti, oltraggiavano i popolari, si ritenevano le mercedi ai poveri artigiani, e talora richieste, erano battuti. I Potenti dentro le loro case tenevano uomini scellerati per ministri delle loro voglie, nè li Capitani di giustizia vi potevano rimediare: i loro Palagi erano divenuti tanti asili, e coloro che v'entravano, ancorchè rei di mille delitti, eran ivi sicuri, e se talora venivano estratti dalla giustizia, erano i birri bastonati, perseguitali e costretti a renderli.
Il Cardinale nel principio del suo governo, seguitando le vestigia de' suoi predecessori, lasciava correre i disordini, come per l'innanzi camminavano: poi vedendo le cose ridotte all'ultima estremità, si riscosse alquanto. Fece tagliar la mano a Giovan-Battista d'Alois di Caserta suo valletto, il quale nella sua anticamera avea data una guanciata ad un altro suo servidore; ed ancorchè Vittoria Colonna si fosse mossa sin da Ischia a dimandargli il perdono, fu l'opra sua tutta vana; e l'istessa Isabella Villamarino Principessa di Salerno, cotanto da lui celebrata ne' suoi versi, non potè impetrar altro, che siccome dovea recidersi la mano destra, si troncasse la sinistra, come, fu eseguito. Fece impiccare nella piazza del Mercato Cola Giovanni di Monte, che nel 1525 era stato Eletto del popolo, ed era allora Maestrodatti delle contumacie di Vicaria, e Giulio suo fratello parimente Maestrodatti, per mille ruberie, falsità ed altri enormi delitti, dei quali furon convinti. Ed essendo un malfattore scappato dalle mani del Bargello, ricovrato nel palazzo del Principe di Salerno, minacciò al Principe la confiscazione dei suoi beni se non lo consegnava in poter della Corte, da chi fu prontamente ubbidito; e negli ultimi suoi giorni i rigori che usò con Paolo Poderico leggermente indiziato d'aver avuta mano nell'assassinamento del Conte di Policastro, sarebbero trascorsi in crudeltà e manifeste ingiustizie, se non fossero stati ripressi da Tommaso Gramatico nostro Giureconsulto, che si trovava allora Giudice di Vicaria. Questi rigori giovaron non poco a tener molti in freno, ma non che la giustizia riprendesse affatto il suo vigore. Questa parte stava riserbata a D. Pietro di Toledo suo successore, il quale, come diremo, appena giunto la rialzò tanto, che in una medaglia che si coniò a suo tempo in Napoli colla giustizia cadente e da lui rialzata, meritò che se gli ponesse il motto: Erectori Justitiae.
(Questa Medaglia in vano a Napoli ricercata, si conserva nel Museo Cesareo di Vienna, è per quel che si sappia, sin qui non ancor impressa. È di bronzo di mezzana grandezza: da una parte ha l'effigie del Toledo con barba lunga, ed intorno PETRUS TOLETUS OPT. PRIN. e dall'altra l'imagine dell'istesso D. Pietro, sedente, che avanti a' suoi piedi ha la Giustizia in ginocchione, la quale è innalzata dal suo braccio destro, ed intorno il motto: ERECTORI JUSTITIAE).
Ma il governo del Cardinal Colonna riuscì a' Napoletani pur troppo grave per li bisogni, che occorsero nel suo tempo di nuove tasse e donativi. Essendo ancora l'Imperadore a Bologna, venne nuova di Spagna, avere l'Imperadrice partorito un figliuolo: onde in Napoli, nella fine di gennajo di quest'anno 1530 nell'istesso tempo, che si facevano feste e tornei, si pensava per la natività di questo Principe a far nuovo dono a Cesare. Si era parimente appuntato il dì della sua incoronazione, e fu destinato quello di S. Mattia, giorno a lui di grandissima prosperità, perchè in quel dì era nato, in quel dì era stato fatto suo prigione il Re di Francia; ond'era di bene che in quel dì stesso assumesse i segni e gli ornamenti della dignità Imperiale. Prese per tanto in Bologna nel dì statuito per mano del Pontefice la Corona Imperiale; della prima si era già coronato in Aquisgrana colla corona di Carlo Magno: si fece anche da Monza venire in Bologna l'altra di ferro, che parimente con molta solennità ricevette dal Papa: il dì poi di S. Mattia 24 febbraio fu coronato con l'altra d'oro, e con molto strepito di trombe e d'artiglierie fu acclamato Augusto. Il Guicciardino narra, che questa coronazione si fece ben con concorso grande di gente, poichè da Napoli, e da altre parti d'Italia vi accorsero infiniti, ma con picciola pompa e spesa; ed ancorchè la spesa fosse picciola, da Napoli però gli furono dal Principe di Salerno per questa incoronazione mandati 300 mila ducati.
Si affrettò tanta celebrità per la premura che avea Cesare di passare tosto in Alemagna, così per dar sesto alli tanti sconvolgimenti, che in quella Provincia avea apportati l'eresia di Lutero; come per l'elezione del Re de' Romani, che e' proccurava far cadere in persona di Ferdinando suo fratello. Gli erano perciò venute premurose lettere di Germania, che lo sollecitavano a trasferirsi colà: gli Elettori e gli altri Principi della Germania ne facevano istanza per cagion delle Diete: Ferdinando per essere eletto Re dei Romani; e gli altri, riputando, che tante rivoluzioni nate per causa di Religione non potessero sedarsi, che per via d'un Concilio, lo sollecitavano ancora a questo fine.
Partì per tanto l'Imperadore da Bologna per Germania alla fine di marzo, nell'istesso tempo, che il Papa partì per Roma, e giunto a' 18 giugno in Augusta trovò ivi i Principi di Germania, che l'aspettavano per la Dieta, che dovea tenersi contra l'eresia di Lutero. Ed essendo stato a' 3 agosto di quest'anno ucciso in battaglia il Principe d'Oranges, rimase il Cardinal Pompeo non più Luogotenente, ma assoluto Vicerè del Regno.
Intanto l'Imperador Carlo dimorando in Germania, era tutto inteso a dar sesto a quelle Province, e proccurare l'elezione del Re de' Romani per suo fratello, come felicemente gli riuscì: poichè nel principio del nuovo anno 1531 fu eletto Ferdinando, e coronato in Aquisgrana.
Ma le infelicità di questo Regno bisogna confessare essere state sempre pur troppo grandi e compassionevoli; poichè essendo dominato da piccioli Re, come furono gli Aragonesi di Napoli, non avendo questi altri Dominj, onde potevan ritrarre denaro, era cosa comportabile e degna di compatimento, che nei bisogni della guerra i sudditi contribuissero talora alle spese. Ma chi avrebbe creduto, che Napoli caduta ora sotto un Principe cotanto potente, Signore di due Mondi, a cui, non pur l'oro della Spagna, ma quello delle Nuove Indie veniva a colare, si vedesse sempre in necessità, spesso si sentissero ammutinati i suoi eserciti per mancanza di paghe, e si udissero continuamente richieste di nuovi sussidj e donativi?
L'altra infelicità che sperimentò questo Regno fu, che quando ebbero finito i Franzesi, ricominciarono i Turchi. Fu veduto perciò sempre combattuto, e posto in mezzo a soffrire intollerabili spese, o sia per la guerra degli uni, o per lo timore (ch'era peggiore della guerra) degli altri. Solimano Imperador de' Turchi si preparò in quest'anno con potentissimo esercito per invadere l'Austria, e cingere nuovamente di stretto assedio Vienna; e nell'anno seguente si vide passare con grandi apparati in Ungheria, onde fu obbligato Cesare ad apparecchiarsi ad una valida difesa. Mancavano però denari e gente per resistere a tanto nemico: perciò fu da Cesare insinuato al Cardinal Vicerè, che per li bisogni di questa guerra, proccurasse, che da Napoli si facesse altro più grosso donativo. Il Cardinale a 11 luglio di quest'anno 1531 fece, secondo il costume, convocar un general Parlamento in S. Lorenzo, ove esposti i desiderj di Cesare, proccurò, esagerando il bisogno, persuadere i Baroni, e i Popoli ad assentirvi, e che il donativo fosse almeno di ducati seicentomila. I Deputati all'incontro, ancorchè mostrassero la prontezza del loro animo di farlo, nulladimeno gli posero innanzi gli occhi la loro impotenza: trovarsi il Regno affatto esausto, e per gli preceduti flagelli di guerra, di fame e di peste, quasi del tutto ruinato: ricordassesi, che nell'occasione della sua coronazione s'erano mandati in dono a Cesare per lo Principe di Salerno ducai trecentomila; onde erano in istato cotanto miserabile, che avevano bisogno di maggior compatimento: che con tutto ciò per mostrare al lor Principe la prontezza del loro animo profferivano donargli ducati trecentomila. Ma stando il Cardinale inflessibile, ed ostinato alla prima dimanda, fu forza alla fine d'offrire in donativo li ducati seicentomila da pagarsi però fra quattro anni, per potersi frattanto riscuotere dalle tasse, che a proporzion de' fuochi s'imponevano. Si diede al Principe di Salerno la commessione di portare il donativo; e con tal occasione si domandò nuova conferma de' vecchi Capitoli, e si cercarono a Cesare nuove grazie, le quali nel seguente anno, stando egli in Ratisbona, le concedette, e ne spedì privilegio colla data di Ratisbona, sotto li 28 luglio del 1532, che si leggono fra' privilegi e grazie della Città e Regno di Napoli; ma il denaro di questo donativo fu impiegato la maggior parte a pagare la soldatesca, ch'era in Toscana, ed a soldare, ed in Napoli e nell'altre parti delli Regni dell'Imperadore, più genti, per accrescere i suoi eserciti.
Intorno al medesimo tempo vennero al Cardinale cinque Prammatiche stabilite dall'Imperadore, mentre era in Germania, alcune delle quali riguardavano quest'istesso fine di ricavar denari. Il Cardinale non vi fece altro, che pubblicarle; onde possiamo con verità dire, che il medesimo non promulgasse fra noi legge alcuna.
Per la prima stabilita ad Ispruch a' 5 luglio 1530, e pubblicata dal Cardinal in Napoli a' 3 gennajo del seguente anno 1531, fu dichiarato, che così nelle alienazioni fatte da' privati, come dalla sua Regia Corte, niente pregiudicasse a' venditori, per esercitar il patto di ricomprare, il trascorso del tempo dal primo di marzo dell'anno 1528 per tutto febbrajo del 1530, come quello che fu pieno di rivoluzioni, guerre ed altre calamità: e che per ciò, quello non ostante, potessero i venditori e la Corte esercitarlo.
Per la seconda data in Gante a 4 giugno del 1531, e pubblicata dal Cardinale a' 27 luglio del medesimo anno, si dà a tutti licenza di poter armare navigli contra gl'Infedeli, e scorrere i mari per difesa delle marine del Regno.
La terza spedita a Brusselles a' 15 marzo del 1531, e pubblicata dal Cardinale all'ultimo di settembre del medesimo anno, rivoca tutte le concessioni, grazie, mercedi, provvisioni, immunità ed altre esenzioni, che si trovassero concedute da' Vicerè passati, confermando solo quelle fatte dal Principe d'Oranges, ed incarica al Tesoriere, al Gran Camerario e suo Luogotenente l'esazione delle rendite del suo Fisco, prescrivendo loro con premura le leggi, onde l'Erario s'augumenti, e sia bene amministrato.
Nella quarta stabilita parimente in Brusselles a' 20 decembre del detto anno 1531, e promulgata in Napoli dal Cardinale a' 17 febbrajo del seguente anno 1532, si prescrivono rigorose leggi a' Questori, ed a tutti gli Ufficiali, che riscuotono e distribuiscono il denaro regio, di tener minuto conto della loro qualità, peso e valore, con darne esattissimo conto a' Ministri del suo Tribunale della Regia Camera.
Finalmente nella quinta, data in Colonia a' 28 gennajo del seguente anno 1532, e pubblicata dal Cardinale a' 17 febbrajo del medesimo anno, si dichiara, che i Vicerè non possono conferir ufficj nel Regno, che oltrepassano la rendita di ducati cento, spettando questi alla collazione del Re: e quelli, che essi possono conferire di ducati cento, in questa somma vada compreso, non pure ciò, che agli Ufficiali è stabilito per lor salario, ma quanto esigono d'emolumenti, e d'ogni altro diritto.
Pochi mesi da poi ch'egli pubblicò questa Prammatica, finì il Cardinale il suo governo colla vita; poichè solendo nell'està di quest'anno 1532 spesso portarsi a diporto nel suo giardino di Chiaja, andatovi una mattina de' principj di luglio col Conte di Policastro suo grande amico, mangiò ivi de' fichi, e poco dopo il pasto sopraggiuntagli una febbre lenta, in pochi dì gli tolse la vita in età di 53 anni. Fu fama, che ne' fichi gli fosse stato dato il veleno per opera d'un tal Filippetto suo Scalco, il quale sapendo l'uso del suo padrone, che in quel giardino soleva spesso mangiar de' fichi, glie li avesse attossicati. Narra Gregorio Rosso Scrittor coetaneo, che fu riputato gran maraviglia, che il Cardinal morisse, e non il Conte di Policastro, il quale quell'istessa mattina avea pure mangiati fichi col Cardinale. Da chi fosse venuto il colpo, varia fu la fama, alcuni pensarono che Filippetto da un gran personaggio di Roma, capitalissimo nemico del Cardinale, fosse stato corrotto a far questo. Altri ne allegavano per autori i parenti di quella gran Dama cotanto da lui celebrata ne' suoi versi, i quali mal volentieri soffrivano, che come avea fatto il Petrarca della sua Laura, avesse voluto far egli, con scegliersi per soggetto delle sue rime una lor parente. Ma Agostino Nifo celebre Medico di quell'età, che fu chiamato alla sua cura, e che fu presente all'apertura del suo cadavere, costantemente affermava, non esservi trovato alcun segno di veleno nelle sue viscere. Paolo Giovio, che scrisse la vita di questo Cardinale, inchinò a credere il medesimo, attribuendo la cagione della sua morte all'uso smoderato della neve, ch'era solito, secondo l'uso dei Romani, bere due ore dopo il cibo mescolata col vino per rinfrescarsi. Il suo cadavere fu seppellito nella Chiesa di Monte Oliveto, ove non ha molti anni si vedeva il suo tumulo; ma poi fur trasferite le sue ossa nella Cappella de' Principi di Sulmona della famiglia Launoja. Morto che fu, insino alla venuta del successore, prese il governo del Regno il Consiglio Collaterale, Capo del quale si trovava allora D. Ferrante D'Aragona Duca di Montalto. E subito che il Papa con estremo suo giubilo ebbe intesa la di lui morte, provvide il Vice-Cancellierato della Sede Appostolica. e la maggior parte de' suoi Beneficj al Cardinal Ippolito de' Medici suo nipote, che si trovava allora partito per Germania.
Intesa dall'Imperador Carlo la morte del Cardinale, provvide tosto il Viceregnato in persona di D. Pietro di Toledo Marchese di Villafranca, che si trovava seco in Germania, il quale il primo d'agosto, essendo partito da Ratisbona, ove stava l'Imperadore, giunse in Napoli a' 4 di settembre, e nel seguente dì prese il possesso della sua carica.
Ma poichè il governo che tenne costui del Regno, fu il più lungo di tutti gli altri, avendolo amministrato per lo spazio di ventuno anni e mezzo, nel qual tempo avvennero fra noi successi notabili; e da lui cominciò Napoli a prender quella forma, e quella politia, la quale tiene molto rapporto alla presente: per ciò sarà bene, che la narrazione di tanti memorabili avvenimenti si rapporti nel seguente libro di quest'Istoria.
FINE DEL VOLUME SETTIMO.