Degli Uomini letterati, che fiorirono a tempo di Ferdinando I e degli altri Re aragonesi suoi successori.
Fiorirono per tutte queste cagioni nel Regno di Ferdinando insino a Federigo ultimo Re della sua discendenza, presso noi uomini illustri per lettere e per dottrina. Non meno che Roma e le altre città d'Italia si gloriavano in questi tempi d'un Pico della Mirandola, di Marsilio Ficino, Bartolommeo Platina, Raffael Volaterrano, d'Ermolao Barbaro, de' Poliziani, Ursini e di tanti altri, che Napoli ancora dei suoi, li quali e per numero e per dottrina non erano a quelli inferiori.
Oltre al Panormita e gli altri già detti, ebbe Gabriele Altilio celebratissimo Poeta e versatissimo nella lingua latina. La Basilicata lo produsse e per la fama del suo nome fu da Alfonso, come si è detto, dato per Maestro al suo figliuolo Ferdinando: fu adoperato, non meno che il Pontano, negli affari di Stato in Roma col Pontefice Innocenzio VIII ed altrove. Il Pontano suo coetaneo ne fece molta stima, dedicandogli il suo libro, De magnificentia, dove lo cumula di grandi lodi; e morto, gli tessè un culto Epitaffio che si legge nel libro primo de' suoi Tumuli. Non men che il Pontano, fu ammiratore della sua Musa il Sannazaro e nel primo libro de' suoi Epigrammi, si legge il Natale dell'Altilio: De Natali Altilii Vatis, e nelle sue Elegie non lascia di commendarlo per i suoi dotti carmi. Molti altri Scrittori insigni di questo famoso Poeta ne fanno illustre ed onorata memoria, che possono vedersi presso Toppi e Nicodemo. Ci restano ancora le sue Poesie latine, l'Epitalamio, alcune Elegie ed Epigrammi, che furon raccolte dal Ruscelli, da Giovanni Matteo Toscano e da altri.
Fiorì ne' medesimi tempi Antonio Campano nato in Cavelli, Terra presso Capua, da vili parenti. I suoi talenti gli fecero trovar sommo favore presso il Pontefice Pio II, da cui fu creato Vescovo di Teramo nell'Apruzzo. Fu celebre Oratore, Istorico e Poeta, ed ancorchè niente fosse istrutto di lettere greche, fu delle latine intendentissimo. Ci lasciò molte opere: La Storia d'Urbino: La Vita di Braccio: L'Epistole Latine, e moltissime altre, di cui Nicodemo tessè un ben lungo catalogo. Alcune di queste sue opere dedicò ad Alfonso Duca di Calabria, da cui fu tenuto in somma stima. Fu molto celebrato da' suoi coetanei e da altri Scrittori de' tempi seguenti, di che è da vedersi Nicodemo. Morì, secondo il Volaterrano, non avendo più che quaranta anni, in Teramo in questo secolo 15 intorno l'anno 1477. Il Possevino ed il Toppi rapportano il suo Epitaffio, che sono da vedersi.
Non men celebre fu il suo coetaneo Angelo Catone famoso Filosofo e Medico del Re Ferdinando I. Questi nacque in Supino nel Contado di Molise: per la sua dottrina fu da' Napoletani ricevuto nella lor città con molta stima, e tenuto in gran pregio; ed il Re Ferdinando, oltre averlo fatto suo Medico, nel 1465 lo invitò ad insegnare nell'Università degli Studj di Napoli Filosofia ed Astrologia, ove lesse molti anni. Emendò il libro delle Pandette di medicina, che Matteo Silvatico di Salerno avea composto e dedicato al Re Roberto: egli l'accrebbe, e nel 1473 lo fece imprimere da quel Tedesco, che poco prima avea in Napoli introdotta la stampa, e fu un de' primi libri che si stampassero in questa città. Lo dedicò al Re Ferdinando, dove gl'indrizza una Orazione, celebrando l'amenità e bellezza del Regno, e ciò, che più di raro si trova in quello. Furonvi due altri Angeli Catoni, uno di Benevento molto caro al Re Carlo VIII di Francia, da cui per la sua dottrina fu creato Arcivescovo di Vienna: l'altro di Taranto, Medico ed Elemosiniere di Lodovico XI Re di Francia, a persuasione di cui scrisse i Commentarj delle cose di Francia, per quel che ne scrive Filippo di Comines Monsignor d'Argentone.
Ebbe il famoso Pontano Poeta anch'egli illustre, Istorico, Oratore e Filosofo eminente, come dimostrano le sue opere, a tutti non men note, che celebrate. Nacque egli nell'Umbria in Cerreto, ovvero, secondo che altri scrissero, in Spelle, donde, essendo stato ucciso suo padre, venne in Napoli giovanetto: e da Antonio Panormita, conoscendolo di vivace ingegno, fu caramente accolto e posto nella Corte del Re Ferdinando: diede gran saggio de' suoi talenti, onde il Panormita fece, che il Re lo deputasse per Maestro e Segretario del Duca di Calabria suo figliuolo. Crebbe tanto nella grazia di Ferdinando, che morto Panormita sottentrò nel suo luogo per secondo Segretario del Re. Fu poi fatto cittadino napoletano, e da Ferdinando creato Presidente della Regia Camera, e poi anche Luogotenente del G. Camerario. Fu adoperato nei più gravi e rilevanti affari dello Stato, e per sua opera fu conclusa, come si è detto, la pace col Pontefice Innocenzio. Narra Camillo Porzio, ch'avendo il Pontano per sua industria e diligenza recata a fine quella pace, era entrato in speranza, caduto Antonello Petrucci, di succedere egli nel suo luogo ed autorità, fidando ne' buoni ufficj del Duca di Calabria che gli avrebbe fatti col padre; ma il Duca, ch'era poco amico delle lettere, e de' beneficj ricevuti sconoscente, non lo favorì appresso il padre, come dovea ed avrebbe potuto; da che provocato l'ambizioso vecchio, compose il Dialogo della Ingratitudine, dove introducendo un Asino delicatamente dal Padrone nudrito, fa ch'egli in ricompensa lo percuota co' calci. Non è però che Alfonso, morto il Re Ferdinando, non l'avesse tenuto in somma stima, e non gli avesse renduti i più grandi onori: poichè nel suo magnifico palagio, che egli edificò presso il castello Capuano (che, come si è detto, per la sua abitazione e per quella della Duchessa sua moglie finora ritiene quel luogo dov'era fabricato, il nome di Duchesca) tra gli altri arredi nobili e preziosi, ed una famosa Biblioteca, vi fece ergere una statua di rame del Pontano, che non senz'encomi era dal Re Alfonso mostrata a coloro, che venivano a vedere le ricchezze di quell'edificio.
Per essere stato sì grandemente esaltato da questi due Re, fu non poco biasimato, quando entrato Carlo VIII in Napoli, volendo prima di tornarsene ricevere solennemente nella chiesa Cattedrale, secondo il costume de' Re di Napoli, l'insegna reale egli onori, ed i giuramenti consueti prestarsi a' nuovi Re; orando in questa celebrità in nome del popolo il Pontano parve che o per servare le parti proprie degli Oratori, o per farsi più grato a' Franzesi, si distendesse troppo nella vituperazione di que' Re, da' quali era sì grandemente stato esaltato. Tanto ch'ebbe di lui a dire il Guicciardini, che qualche volta è difficile osservare in se stesso quella moderazione e que' precetti, coi quali egli ripieno di tanta erudizione, scrivendo delle virtù morali, e facendosi per l'universalità dell'ingegno suo in ogni spezie di dottrina maraviglioso a ciascuno, avea ammaestrati tutti gli uomini.
Quanto fossero insigni e celebrate l'opere che ci lasciò questo Scrittore, così in prosa, come in verso, ben è a tutti palese; e quanti laudatori avessero così de' nostri, come de' forastieri, ben ciascuno potrà vederlo presso il Vossio, e fra' nostri presso Nicodemo, che di questo Autore e delle sue opere tratta ben a lungo.
Gli fu falsamente imputato, che nella Biblioteca di Monte Cassino, la quale siccome da noi fu narrato ne' precedenti libri di quest'istoria, fu dall'Abate Desiderio arricchita di molti antichi volumi, avesse trovate alcune opere di Cicerone e datele fuori per sue; ma di ciò è da vedersi il Vossio e lo Schootkio.
Al Pontano deve Napoli la gloria, che acquistò per l'Accademia cotanto celebre da lui quivi eretta, dove a gara vollero ascriversi molti Nobili de' nostri Seggi ed i maggiori Letterati di que' tempi.
Del Seggio di Nido furono Trojano Cavaniglia Conte di Troja e di Montella: Ferdinando d'Avalos Marchese di Pescara: Belisario Acquaviva Duca di Nardò: Andrea Matteo Acquaviva Duca d'Atri; e Giovanni di Sangro.
Del Seggio di Capuana, il Cardinal Girolamo Seripando, se bene altri dicono aver questa famiglia goduto nel Seggio di Nido: Girolamo Carbone e Tristano Caracciolo.
Del Seggio di Montagna Francesco Puderico. Del Seggio di Porto, Pietro Jacopo Gianuario ed Alfonso Gianuario suo figliuolo. Del Seggio di Portanova, Alessandro d'Alessandro ed il Sannazaro.
Fuori de' Seggi, i Napoletani furono Antonio Carlone Signor di Alife: Giovanni Elia ovvero Elio Marchese: Giuniano Maggio, ovvero Majo, precettore del Sannazaro: Luca Grasso: Giovanni Aniso: il Cariteo (di cui non si sa il nome): Pietro Compare: Pietro Summonte: Tommaso Fusco: Rutilio Zenone: Girolamo Angeriano: Antonio Tebaldo: Girolamo Borgia e Massimo Corvino, poi Vescovi di Massa e di Isernia.
De' Regnicoli: vi furono Gabriele Altilio della Lucania Vescovo di Policastro: Antonio Galateo di Lecce e Giovanni Eliseo, d'Anfratta in Puglia.
De' Forastieri vi furono, Lodovico Montalto di Siracusa, Segretario di Carlo V: Pietro Gravina di Catania, Canonico Napoletano: M. Antonio Flaminio di Sicilia: Egidio Cardinal di Viterbo: Bartolommeo Scala di Firenze: Basilio Zanchi di Lucca: Jacopo Cardinal Sadoleto di Modena: Giovanni Cotta di Verona: Matteo Albino: Pietro Cardinal Bembo, e M. Antonio Michieli Vinegiani: Giovan Pietro Valeriano di Bellun di Francia: Niccolò Grudio di Roano: Giacomo Latomo della Fiandra: Giovanni Pardo, filosofo Aragonese. Michele Marcello di Costantinopoli e molti altri chiarissimi Letterati, de' quali il Pontano, come Principe dell'Accademia era capo. Secondo l'uso dell'Accademia di Roma di mutarsi il nome (onde il Poggio e Bartolommeo Platina patì tanto) se lo cambiavano ancor essi; onde il Pontano mutossi in Jovianus, Sannazaro in Actius Sincerus e così gli altri.
Morì il Pontano già vecchio in Napoli nel 1503 ne' primi anni del Regno di Ferdinando il Cattolico, e giace sepolto nella cappella di S. Giovanni, ch'egli vivendo s'avea costrutta presso la chiesa di S. Maria Maggiore ove si legge il suo tumulo, ch'egli stesso s'avea in vita composto.
Fiorirono ancora negli ultimi anni del Re Ferdinando, di Alfonso e di Federico, molti altri insigni Letterati che toccarono il decimosesto secolo. Fiorì il famoso Michele Riccio nostro non men insigne Giureconsulto che istorico. Questi ancorchè originario di Castel a Mare di Stabia fu gentiluomo Napoletano del Seggio di Nido, e rilusse non meno nel Foro che nella Cattedra, essendo stato un gravissimo Giureconsulto ed eminente Avvocato ne' nostri supremi Tribunali. Il Re Ferdinando lo fece Lettor primario di legge ne' pubblici studj di Napoli e suo Consigliere. Quando poi Carlo VIII venne in Napoli, e s'impadronì del Regno, aderì a costui, il quale nel 1495 lo fece Avvocato fiscale del regal Patrimonio. Ma fugati i Franzesi, tornando il Regno sotto il Re Ferdinando II, rimase il Riccio molto depresso, insino che passando di nuovo a' Franzesi sotto Lodovico XII Re di Francia, non fosse stato da questo Re innalzato a primi onori. Fu egli nel 1501 da Lodovico creato Vice-protonotario del Regno, presidente del S. C. ed aggregato colla sua posterità nel Seggio di Nido. Lo fece poi Consigliere del suo gran Consiglio e del Parlamento di Borgogna, Senator di Milano e Presidente di Provenza. Entrò in tanto favore presso questo Principe che era adoperato negli affari più rilevanti dello Stato; poich'essendo nata contesa fra il Re Cattolico ed il Re Ludovico intorno alla divisione del Regno per la provincia di Capitanata, diede egli fuori molte allegazioni a favor di Lodovico, difendendo con tanto vigore e fortezza le sue ragioni, che dal Zurita fu notato di soverchia arroganza. Ma finalmente essendo stati pure discacciati i Franzesi dal Regno da Ferdinando il Cattolico, Michele volle seguire le parti di Lodovico, ed abbandonando tutti i suoi beni e la famiglia, andò in Francia a dimorare dove dal Re fu caramente accolto, onorandolo de' primi posti. Lo mandò nel 1503 per Ambasciadore in Roma a congratularsi in nome di quel Re con Giulio II ch'era stato allora assunto al pontificato, dove si trattenne per alcuni anni, nei quali trattò con Giulio della recuperazione del Regno di Napoli per Lodovico; ma lo stato e la condizione di que' tempi avendo fatto riuscire inutili tutti i suoi negoziati, con tutto ciò lo fece il Re trattenere in Roma, dove avendo maggior ozio compose la sua Istoria. Ritornò poi in Francia, da dove nel 1506 fu mandato dal Re Ambasciadore in Genova, e poi nel 1508 in Firenze. In fine dopo essere stato adoperato dal medesimo ne' più rilevanti affari della sua Corona, morì a Parigi nel 1515, non senza sospetto di veleno. Accoppiò alle lettere umane una profondacognizione di dottrina, e sopra tutto di Giurisprudenza nella quale fu così eminente, che Giano Parrasio non fece difficoltà d'uguagliarlo a' Sulpicj, a' Pomponj, Paoli ed agli Scevoli. Fu eloquentissimo, e scrisse la sua Istoria con non minor gravità che prudenza: il suo stile, secondo il giudizio del Parrasio fu candido, puro e faticato, nè la sua brevità partorisce oscurezza. Egli scrisse: De Regibus Francorum lib. III. De Regibus Hispaniae lib. III. De Regibus Hierusalem lib. I. De Regibus Neap. et Siciliae lib. IV. Se ne veggono di questi libri molte edizioni fatte in diversi tempi, rapportate dal Toppi. Fu celebrato da' più illustri Scrittori di que' tempi; e Giano Parrasio gli dedicò un libro, ch'egli fece imprimere a Milano nel 1501 che conteneva il Carme Pascale di Sedulio Poeta cristiano da lui fra' M. S. antichi trovato, ed i Poemi di Aurelio Prudente, dove nell'epistola dedicatoria con grandi encomj celebra la costui virtù e dottrina. Scrisse a' tempi de' nostri avoli la Vita di sì insigne letterato Carlo de Lellis, che la premise al volume de' suddetti libri d'Istoria, impresso in Napoli nel 1645.
Non men celebre fu in questi medesimi tempi il famoso Poeta Giacomo Sannazaro, il quale non altrimenti che il Riccio, volle seguire in Francia la fortuna del suo Signore. Non bisogna che di lui facciam molte parole, come di uomo pur troppo noto ed illustre, di cui e delle sue opere è stato tanto scritto e tanto ammirato. Egli nacque in Napoli, come di se medesimo dice nell'Arcadia, negli estremi anni del Re Alfonso I, intorno l'anno 1458, e fu Cavaliere del Seggio di Portanova, di costumi cotanto gentili e politi che Federigo, secondogenito del Re Ferdinando, l'ebbe sommamente caro, tanto che il Sannazaro così nella prospera che nell'avversa fortuna, non volle mai abbandonarlo: lo seguì in Francia, ove dimorò molto tempo: ritornò poi in Italia, e dopo essersi fermato alcuni anni in Roma, tornò in Napoli, dove alcuni scrissero che morisse l'anno 1532. Ma vi è gran contesa fra' Scrittori intorno al luogo ed all'anno della sua morte.
Giovan-Battista Crispo che scrisse la sua vita con molta esattezza, per la testimonianza che egli rapporta di Ranerio Gualano e del Costanzo, lo fa morire in Napoli, siccome anche scrisse l'Eugenio. Ma l'autorità di costoro deve cedere a quella di Gregorio Rosso scrittor contemporaneo, il quale ne' suoi Giornali rapportando in due luoghi la morte di questo insigne Poeta, accaduta nel tempo ch'egli andava stendendo que' suoi Componimenti, dice che morì nel mese di agosto in Roma, senza veder più Napoli, poco da poi della morte del Principe d'Oranges, della quale si compiacque tanto che nell'estremo di sua vita non tralasciò di dire che Marte avea fatto vendetta delle Muse, alludendo alla sua Torre di Mergoglino diroccata per ordine del Principe: e che li suo corpo fu trasferito a Napoli, e seppellito nella sua chiesa di Mergoglino nel seguente mese di settembre di quell'anno, che fu il 1530.
L'anno parimente viene chiarito da questo Scrittore, al quale concorda l'Iscrizione del suo sepolcro, nella quale non vi è errore alcuno, come credettero il Crispo e l'Engenio: poich'essendo nato nel 1458, e concordando quasi tutti col Giovio, che morì di 72 anni, viene a cadere la sua morte appunto nel suddetto anno 1530. La morte, accaduta del Principe di Oranges, a 3 agosto del detto anno, conferma lo stesso, essendo poco innanzi preceduta a quella del Sannazaro.
Suo contemporaneo e fido amico fugli Francesco Poderico famoso letterato anch'egli di questi tempi. Era gentiluomo del medesimo Seggio e della stessa Accademia del Pontano; ancorchè fosse cieco di corpo, non già dal nascimento, era uomo d'esquisitissimo giudicio, tanto che il Sannazaro, mentr'era tutto inteso al lavoro del suo Poema de Partu Virginis, non tralasciava mai pur un giorno di andarlo a ritrovare e conferire con lui que' versi, ne' quali il Poderico era tanto critico che il Sannazaro, per poterne sciegliere un verso degno di quelle purgate orecchie, assai sovente ne recitava diece composti d'un medesimo sentimento, e così per lo spazio di venti anni, seguendo questo tenore di studio, pervenne al fine di quell'opera. Il Pontano l'ebbe ancora in grande stima; a lui dedicò il quarto de' suoi libri, de Rebus Coelestibus; l'onorò sempre nelle sue opere, e nel libro primo de' suoi Tumuli si legge ancora quello del Poderico. Pietro Summonte l'ebbe pure in grande venerazione ed in una sua pistola d'eccelse lodi lo cumula, dedicandogli ancora il Dialogo del Pontano intitolato, Actius.
A questi due insigni uomini dobbiamo noi l'istoria di Napoli del famoso Costanzo: confessa egli, che fu confortato a scriverla dal Sannazaro e dal Poderico, che benchè fosse degli occhi della fronte cieco, ebbe vista acutissima nel giudicio delle buone arti e delle cose del mondo. Questi due buoni vecchi, dic'egli, che nell'anno di N. S. 1527 s'erano ridotti a Somma, dove io era, fuggendo la peste che crudelmente infestava Napoli, in aver veduti tanti errori nel Compendio di Collenuccio, che allora era uscito, mi coortarono ch'io avessi da pigliare la protezione della verità, ed alle persuasioni aggiunsero ancora ajuti, perchè non solo mi diedero molte scritture antiche, ma ancora gran lume, onde poter trovare delle altre: e certo, se tre anni dopo non fosse successa la morte dell'uno e dell'altro, dic'egli, che la sua Istoria sarebbe più copiosa ed elegante, perchè avrebbe avuto più spazio d'imparare e ripulirla nella conversazione di così prudenti e dotte persone
Fiorirono ancora in questi medesimi tempi dell'istessa Accademia del Pontano il tante volte nominato Pietro Summonte, ancor egli letteratissimo, come si vede dalle sue pistole, ed a cui dobbiamo l'edizioni dell'opera del Pontano e dell'Arcadia del Sannazaro, da' quali ne' loro carmi vien cotanto celebrato, e da Ambrosio di Lione cognominato il dotto. Il famoso Tristano Caracciolo, di cui l'istesso Sannazaro cantò:
Ma a guisa d'un bel Sol fra tutti radia
Caracciol che 'n sonar sampogne e cetere
Non trovarebbe il pari in tutta Arcadia.
Il cotanto celebrato da' carmi di Pontano e dal Sannazzaro Cariteo famoso Poeta di que' tempi. Ambrogio di Leone di Nola: Vir, come di lui scrisse il Vossio, Latine, Graeceque doctissimus, Philosophus idem, ac Medicus insignis. Fu egli amicissimo d'Erasmo, come si vede dalle loro vicendevoli lettere; dal quale fu cotanto stimato, che 'l priega insino a volerlo nominare nelle sue opere, delle quali il Nicodemo fece lungo ed accurato Catalogo. Il famoso Alessandro d'Alessandro, la di cui opera de' Giorni Geniali, ebbe il favore d'avervi impiegati intorno i loro talenti tre famosi Scrittori Franzesi, non pure il Tiraquello ed il Colero, ma anche il chiarissimo Giureconsulto Dionigi Gotofredo. Fu egli in Napoli ed in Roma nudrito fra' Letterati di questi tempi ed uscì dall'Accademia del Pontano: conversò con Francesco Filelfo, Giorgio Trapezunzio, Bartolommeo Platina, Giovanni Pontano, Teodoro Gaza, Niccolò Perotti, Domenico Calderino, Ermolao Barbavo, Paolo Cortese e Raffael Volaterrano. Ascoltò alcuni di questi in Roma, con altri visse familiarmente, onde divenne erudito: mentr'era giovane intese in Roma Filelfo ch'essendo già vecchio spiegava in quell'Università le Tusculane di Cicerone: ascoltò ivi ancora Perotti e Calderino che spiegavan Marziale. Egli di professione era Avvocato, e ne' nostri Tribunali ed in que' di Roma si diede a difender cause. Poi lasciato il Foro si diede a' studj men severi ed alle lettere umane tutto intese. Vi è chi lo nota d'ingratitudine, che avendo composti i suoi Giorni Geniali a similitudine delle Notti Attiche d'Agellio e de' Saturnali di Macrobio, e preso da varj Autori tutto ciò che vi scrive, non siasi mai ricordato di lodarli, dissimulandoli, come se tutto fosse stato dettato di suo capo.
Fiorirono ancora intorno a questi medesimi tempi Pietro Gravina Poeta assai celebre, Girolamo Carbone, Girolamo Massaino, Giuniano Majo, celebre Gramatico, Maestro del Sannazaro e tanti altri insigni Letterati: tanto che l'Accademia del Pontano fu uguagliata dagli Scrittori al Cavallo Trojano, donde uscirono tanti bravi guerrieri.
Ma ove lascio il famoso Andrea Matteo Acquaviva Duca d'Atri e di Teramo, insigne non men nell'armi che nelle lettere? Dal cui esempio tutta la sua posterità e la lunga serie de' Duchi d'Atri, seguendo i suoi vestigi, si adorna di simili virtù, e di esser perpetua fautrice delle discipline e de' letterati. Fra tanti pregi onde questa famiglia si è presso di noi resa eminente sopra tutte le altre, fu senz'alcun dubbio questo, che la rese celebratissima presso tutti gli Scrittori. Sin da questo principio nel risorgimento delle lettere in Italia ed in Napoli, fu questo Duca come di lui scrisse il Puntano: Princepem Virum et in mediis philosophantem belli ardoribus, et Philosophorum inter libros, naturaeque ratiocinationes tractantem Ducum artes, muneraque Imperatoria, utrumque cum dignitate, neutrum sine suo, et decore, et laude. E quanta stima facesse di lui questo Scrittore si vede, che oltre i tanti elogi, che si veggono sparsi per le sue opere, gli dedica i due libri de Magnanimitate, ed il primo de Rebus Coelestibus. Tutti gli altri Letterati dell'Accademia del Pontano di questi tempi gli resero estremi onori: Pietro Summonte fece lo stesso che il Pontano lodandolo e dedicandogli le sue opere; i libri degli Epigrammi del Sannazaro sono di sue lodi. Alessandro d'Alessandro gli dedicò i suoi libri de' Giorni Geniali. Il Minturno nel libro de' suol Epigrammi, il Giovio in quello de' suoi Elogj e tanti altri rapportati dal Nicodemo, non finiscono d'altamente lodarlo. Ci restano ancora di quest'Eroe i suoi Commentarj, ed i quattro libri delle Disputazioni Morali, che impresse in Napoli sin dal 1526, furon da poi ristampate in Germania nel 1609. Ci testifica ancora il Toppi, che questo libro si trovava anche M. S. in pergameno nella Biblioteca de' PP. Agostiniani di S. Giovanni a Carbonara; ma non sappiamo se dopo il sacco ultimamente datovi, sia ora rimase fra quei miseri avanzi.
Fu con non interrotta successione continuata la cognizione delie migliori lingue e di tutte le discipline liberali nella di lui posterità. Gio. Antonio Acquaviva suo figliuolo fu, secondo testimonia l'Atanagio, assai dotto e buono. Giovan Girolamo suo nipote, per giudicio di questo istesso Scrittore, fu nella poetica ed in tutte le discipline liberali gran Maestro; al quale egli per ciò dedicò le poesie di Bernardino Rota. Ed ultimamente Giosia Acquaviva XIV Duca d'Atri, che emulando le virtù paterne, non men nelle armi che nelle lettere, fu celebratissimo, favorì cotanto i Letterati, che volle avere per direttore de' suoi studj l'incomparabile Cattedratico Domenico Aulisio pregio di questa Università e suo maggior splendore, il quale l'ebbe in tanta stima, che gli dedicò quel suo libro intitolato; la Sfinge, ovvero l'Interprete dell'Affrica Occidentale con le sue isole, il quale M. S. presso noi si conserva.