L'Istoria, che prendo io a scrivere del Regno di Napoli, non sarà per assordare i leggitori collo strepito delle battaglie, e col romor dell'armi, che per più secoli lo renderon miserabil teatro di guerra; e molto meno sarà per dilettar loro colle vaghe descrizioni degli ameni e deliziosi suoi luoghi, della benignità del suo clima, della fertilità de' suoi campi, e di tutto ciò, che natura, per dimostrar suo potere e sua maggior pompa profusamente gli concedette: nè sarà per arrestargli nella contemplazione dell'antichità e magnificenza degli ampj e superbi edificj delle sue città, e di ciò, che l'arti meccaniche maravigliosamente vi operarono: altri quest'ufficio ha fornito; e forse se ne truova dato alla luce vie più assai, che non si converrebbe. Sarà quest'Istoria tutta civile; e perciò, se io non sono errato, tutta nuova, ove della politia di sì nobil Reame, delle sue leggi e costumi partitamente tratterassi: parte, la quale veniva disiderata per intero ornamento di questa sì illustre e preclara region d'Italia. Conterà, nel corso poco men di quindici secoli, i varj stati, ed i cambiamenti del suo governo civile sotto tanti Principi, che lo dominarono; e per quanti gradi giugnesse in fine a quello stato, in cui oggi 'l veggiamo: come variossi per la politia ecclesiastica in esso introdotta, e per li suoi regolamenti: qual uso ed autorità ebbonvi le leggi romane, durante l'Imperio, e come poi dichinassero; le loro obblivioni, i ristoramenti, e la varia fortuna delle tant'altre leggi introdotte da poi da varie nazioni: l'accademie, i Tribunali, i Magistrati, i Giureconsulti, le Signorie, gli Ufficj, gli Ordini, in brieve, tutto ciò, che alla forma del suo governo, così politico e temporale, come ecclesiastico e spiritual s'appartiene.
Se questo Reame fosse sorto, come un'isola in mezzo all'Oceano, spiccato e diviso da tutto il resto del Mondo, non s'avrebbe avuta gran pena a sostenere, per compor di sua civile istoria molti libri: imperciocchè sarebbe bastato aver ragione de' Principi, che lo dominarono, e delle sue proprie leggi ed istituti, co' quali fu governato. Ma poichè fu egli quasi sempre soggetto, e parte, o d'un grand'Imperio, come fu il romano, e da poi il greco, o d'un gran Regno, come fu quello d'Italia sotto i Longobardi, o finalmente ad altri Principi sottoposto, che tenendo collocata altrove la regia lor sede, quindi per mezzo de' loro Ministri 'l reggevano; non dovrà imputarsi, se non a dura necessità, che per ben intendere la sua spezial politia, si dia un saggio della forma e disposizione dell'Imperio romano, e come si reggessero le sue province, fra le quali le più degne, ch'ebbe in Italia, furon certamente queste, che compongono oggi il nostro Regno. Non ben potrebbe comprenders'il loro cambiamento, se insieme non si manifestassero le cagioni più generali, onde variandosi il tutto, venisse anche questa parte a mutarsi; e poichè queste regioni, per le loro nobili prerogative invitarono molti Principi d'Europa a conquistarle, furon perciò lungamente combattute, ciascheduno pretendendo avervi diritto, e chi come tributarie, chi in protezione, e qual finalmente come feudatarie le pretese: si è riputato perciò pregio dell'opera, che i fonti di tutte queste pretensioni si scovrissero; nè potevano altramente mostrarsi, se non col dare una general'idea, e contezza dello stato d'Italia in varj tempi, e sovente degli altri principati più remoti, e de' trasportamenti de' reami di gente in gente, onde sursero le tante pretensioni, che dieron moto all'imprese, e fomento.
Nè cotali investigamenti sono stati solamente necessarj per dare un'esatta, e distinta cognizione dello stato politico e temporale di questo regno, come per avventura sarà da alcuni riputato; ma eziandio per quello, che s'aspetta ad ecclesiastici affari; imperocchè non minori furon le contese fra' Principi del secolo, che fra' maggiori Prelati della Chiesa. Fu anche questo regno combattuto da' due più celebri Patriarchi del Mondo, da quel di Roma in occidente, e dall'altro di Costantinopoli in oriente. Per tutte le ragioni apparteneva il governo delle nostre Chiese al Pontefice romano, non pur come Capo della Chiesa universale, ma anche come Patriarca d'occidente, eziandio se l'autorità sua patriarcale avesse voluto restringersi alle sole città suburbicarie; ma il costantinopolitano con temerario ardire attentò usurpare le costui regioni: pretese molte Chiese di questo Reame al suo patriarcato d'oriente appartenersi: che di lui fosse il diritto di erger le città in metropoli, e d'assegnar loro que' Vescovi suffraganei, che gli fossero piaciuti. Era perciò di mestiere far vedere, come questi due patriarcati dilatassero pian piano i loro confini: il che non potea ben farsi senza una general contezza della politia dello Stato ecclesiastico, e della disposizione delle sue diocesi e province.
L'istoria civile, secondo il presente sistema del Mondo cattolico, non può certamente andar disgiunta dall'istoria ecclesiastica. Lo stato ecclesiastico, gareggiando il politico e temporale de' Principi, si è, per mezzo dei suoi regolamenti, così forte stabilito nell'imperio, e cotanto in quello radicato, e congiunto, che ora non possono perfettamente ravvisarsi li cambiamenti dell'uno, senza la cognizione dell'altro. Quindi era necessario vedere, come, e quando si fosse l'ecclesiastico introdotto nell'Imperio, e che di nuovo arrecasse in questo Reame: il che di vero fu una delle più grandi occasioni del cambiamento del suo stato politico e temporale; e quindi non senza stupore scorgerassi, come, contro a tutte le leggi del governo, abbia potuto un Imperio nell'altro stabilirsi, e come sovente il sacerdozio abusando la divozion de' Popoli, e 'l suo potere spirituale, intraprendesse sopra il governo temporale di questo Reame, che fu rampollo delle tante controversie giurisdizionali, delle quali sarà sempre piena la repubblica cristiana, e questo nostro Regno più che ogni altro; onde preser motivo alcuni valentuomini di travagliarsi per riducere queste due potenze ad una perfetta armonia e corrispondenza, e comunicarsi vicendevolmente la loro virtù ed energia; essendosi per lunga sperienza conosciuto, che se l'imperio soccorre con le sue forze al sacerdozio, per mantenere l'onor di Dio ed il sacerdozio scambievolmente stringe ed unisce l'affezion del Popolo all'ubbidienza del Principe, tutto lo Stato sarà florido e felice; ma per contrario, se queste due potenze sono discordanti fra loro, come se il sacerdozio, oltrepassando i confini del suo potere spirituale, intraprendesse sopra l'Imperio e governo politico, ovvero se l'Imperio rivolgendo contro Dio quella forza, che gli ha messa tra le mani, volesse attentare sopra il sacerdozio, tutto va in confusione ed in ruina; di che potranno esser gran documento i molti disordini, che si sentiranno perciò in questo istesso nostro Reame accaduti.
Nel trattar dell'uso e dell'autorità, ch'ebbero in queste nostre province, così le leggi romane, come i regolamenti ecclesiastici, e le leggi dell'altre nazioni, non si è risparmiato nè fatica nè travaglio: e forse il veder l'opera in questa parte abbondare, farà scoprir la mia professione, palesandomi al Mondo più Giureconsulto, che Politico. Veracemente meritava questa parte, che fosse fra noi ben illustrata; poichè non in tutti luoghi, nè in tutti tempi fu cotal uso ed autorità delle romane leggi sempre uniforme: onde avendo i nostri Giureconsulti trascurata questa considerabilissima parte, siccome altresì quella dell'origine ed uso dell'altre leggi, che da poi nello stesso nostro Regno da straniere Nazioni s'introdussero; è stata potissima cagione, ch'abbian costoro riempiuti i lor volumi di gravi e sconci errori; da' quali con chiaro documento siamo ancora ammaestrati, quanto a ciaschedun sia meglio affaticarsi per andar rintracciando in sua contrada le varie fortune ed i varj casi delle leggi romane, e delle proprie, che con dubbio, e poco accertamento andar vagando per le province altrui. Imperocchè quantunque si possa, per un solo, tesser esatta istoria dell'origine e progressi delle lettere nell'altre professioni, e della varia lor fortuna per tutte le parti d'Europa, siccome veggiamo esser ad alcuni talora riuscito; nientedimeno quanto è alla Giurisprudenza, la quale spesso varia aspetto al variar de' Principi e delle Nazioni, egli non è carico, che possa già per un solo sostenersi, ma dee in più esser ripartito, ciascun de' quali abbia a raggirarsi nell'uso, nell'autorità e nelle varie mutazion, che troverà nella propria regione essere accadute. Così scorgiamo essersi della Giurisprudenza romana per alcuni eccellenti Scrittori compilata qualche istoria; però quasi si son affaticati a renderla chiara ed illustre, in narrando la sua origine ed i progressi ne' tempi, che l'Imperio romano nacque, crebbe, e si stese alla sua maggior grandezza; ma i varj casi di quella, quando l'Imperio cominciò poi a cader dal suo splendore, la sua dichinazione, obblivione e ristoramento, l'uso e l'autorità, che le fu data ne' nuovi Dominj, dopo l'inondazione di tante nazioni in Europa stabilite; quando per le nuove leggi rimanesse presso che spenta, e quando ristabilita quelle oscurasse; non potranno certamente in tutte le parti d'Europa da un solo esattamente descriversi. Perciò ben si consigliarono alcuni nobili spiriti, dopo aver dato un saggio delle cose generali nel proprio Regno o provincia, prefiggersi i confini, oltre a' quali di rado, o non mai trapassarono.
Un uom di Bretagna, e dal Mondo diviso, reputando gli altri in troppo brevi chiostri aver ristretto l'ardire dell'ingegno umano, mostrò d'aver coraggio per tant'impresa. Fu questi il celebre Arturo Duck , il quale oltre a' confini della sua Inghilterra volle in altri e più lontani Paesi andar rintracciando l'uso e l'autorità delle romane leggi ne' nuovi dominj de' Principi cristiani; e di quelle di ciascheduna Nazione volle ancora aver conto: le ricercò nella vicina Scozia, e nell'Ibernia; trapassò nella Francia, e nella Spagna; in Germania, in Italia, e nel nostro Regno ancora: si stese in oltre in Polonia, Boemia, in Ungheria, Danimarca, nella Svezia, ed in più remote parti. Ma l'istessa insigne sua opera ha chiaramente mostrato al Mondo, non esser questa impresa da un solo; poichè sebbene la gran sua diligenza, e la peregrinazione in varj paesi d'Europa, come nella Francia, nella Germania e nell'Italia, avessero potuto in gran parte rimuovere le molte difficoltà al proseguimento della sua impresa; nondimeno il successo poi ha dimostrato essersi ciò ben potuto da lui esattamente adempire nella sua Inghilterra, nella Scozia, nell'Ibernia, ed in alcune regioni da se meno lontane; ma nell'altre parti, e spezialmente nel nostro Reame, si vede veramente essersi da pellegrino diportato; conciossiacosachè, seguendo le volgari scorte, cadde in molti errori, non altro avendoci somministrato, che una molto leggier contezza dell'uso, e dell'autorità delle leggi, così romane, come proprie, qui introdotte da varj Principi, che lo ressero. Ned egli, per la sua ingenuità, nella conchiusion del libro potè dissimularlo, promettendosi appo stranieri trovar perdono, se trattando delle loro leggi e costumi, così parco stato fosse: e confesso altro non essere stato suo intendimento, che d'invogliare i Giureconsulti d'altri paesi, acciocchè, prendendo esempio da lui, quel che egli aveva adempiuto nella sua Inghilterra, volessero essi fare con più diligenti trattati ne' proprj loro Regni o province. Per questa cagione, poco prima d'Arturo, alcuni Scrittori, senz'andar molto vagando, alle proprie regioni si restrinsero. Innocenzio Cironio Cancellier di Tolosa volle raggirarsi per la sola Francia, ancorchè assai leggiermente la scorresse. Ma Alteserra ciò con maggior esattezza, e più minutamente volle ricercare in quella provincia, ove ei nacque, cioè nell'Acquitania. E Giovanni Costa eccellente Cattedratico in Tolosa, promise di far lo stesso con maggior diligenza in tutto il Regno di Francia: ma questa sua grand'opera, che con impazienza era aspettata dal Cironio, da Arturo, e da tutti gli altri eruditi, non sappiamo ancora a' dì nostri, se mai uscita sia alla luce del Mondo. Giovanni Doujat fece da poi lo stesso, non oltrapassando i confini della Francia; e talora è accaduto, che volendo alcuni esser troppo curiosi nelle altrui regioni, abbiano nelle proprie trascurate le migliori ricerche, ed in mille errori esser per ciò inciampati.
Alla Germania non manca il suo Istorico, intorno a questo suggetto. Ermanno Coringio compilò un trattato dell'origine, e varia fortuna delle leggi romane e germaniche, del quale fassi onorata memoria presso a Giorgio Pasquio; ed a' dì nostri Burcardo Struvio ne ha compilato un altro più difuso, rapportando altri Autori, che per l'Alemagna fecero lo stesso.
Non manca all'Olanda il suo, e Giovanni Voezio compilò un libro, intitolato: De Usu Juris Civilis et Canonici in Belgio unito.
Per la Spagna abbiamo, che Michele Molino ne distese un consimile per lo Regno d'Aragona. Giovanni Lodovico Cortes scrisse l'Istoria Juris Hispanici; e Gerardo Ernesto di Franckenau sopra questo argomento si distese più d'ogni altro. Hanno pure intorno a ciò i loro Istorici, la Svezia, la Danimarca, la Norvegia, e l'altre province settentrionali. Nè ve ne mancano ancora in alcune parti della nostra Italia, come in Milano per l'industria di Francesco Grasso , ed in altri paesi ancora della medesima.
Nel nostro Regno solamente, ciò che gli altri, tratti dall'amor della gloria della loro Nazione, fecero, è stato sempre trascurato. Nè per certo dovrebb'essere maggior l'aspettazione e 'l desiderio, che vi si provedesse, della maraviglia, come in un Regno così ampio e fecondo di tanti valorosi ingegni che con le loro opere han dato saggio al Mondo, null'altro studio esser loro più a cuore, che quello delle leggi, abbian poi tralasciato argomento sì nobile ed illustre. Imperciocchè una Storia esatta dell'uso ed autorità, che nel nostro Regno ebbero le leggi romane, e de' varj accidenti dell'altre leggi, che di tempo in tempo furon per diverse nazioni in esso introdotte, onde ne vennero le prime oscurate, e come poi risorte avessero racquistato il loro antico splendore ed autorità, e siansi nello stato, in cui oggi veggiamo, restituite; dovrebbe in vero essere una delle cose appresso noi più considerabili, non per leggieri e vane, ma per gravi ed importantissime cagioni. Non perchè per troppa curiosità, e forse inutile, si dovesse esser ansioso di spiar le varie vicende di quelle; non perchè ne ricevano esse maggior pompa e lustro, nè per ostentazione di peregrina e non volgar'erudizione; ma per più alte cagioni: queste sono, perchè da un esatta notizia di tutto ciò, che abbiam proposto oltre all'accrescimento della prudenza, per l'uso delle leggi, e per un diritto discernimento, ciascuno potrà ritrarne l'idea d'un ottimo Governo; poichè notandosi nell'Istoria le perturbazioni ed i moti delle cose civili, i vizj e le virtù, e le varie vicende di esse, saprà molto ben discernere, quale sia il vero, ed al migliore appigliarsi.
Ma sopra ogni altro, da ciò dipende in gran parte il rischiaramento delle nostre leggi patrie, e de' nostri proprj istituti e costumi; le quali cose non per altra cagione veggonsi dai nostri Scrittori sì rozzamente trattate, e sovente, senza comprendersene il senso, sì stranamente a noi esposte; se non perchè ignari della storia de' tempi, de' loro Autori, delle occasioni, onde furono stabilite, dell'uso e dell'autorità delle leggi romane, e delle longobarde, sdrucciolaron perciò in quei tant'errori, de' quali veggonsi pieni i lor volumi, e di mille puerilità, e cose inutili o vane caricati; e tanta ignoranza avea loro bendati gli occhi, che si pregiavano d'essere solamente Legisti, e non Istorici; non accorgendosi, che perchè non erano Istorici, eran perciò cattivi Legisti, e rendevansi dispregevoli appo gli estranei, ed a molti ancora de' loro compatrioti. Carlo Molineo di quanti sconci errori riprese, per ignoranza d'Istoria, non pur Baldo, ma eziandio il nostro Andrea d'Isernia? E di quanto scherno furono perciò i nostri agli altri Scrittori? Di quanto riso fu a costoro cagione Niccolò Boerio, che scrisse, i Longobardi essere stati certi Re venutici dalla Sardegna, il nostro Matteo degli Afflitti, e tanti altri?
Si aggiunge eziandio l'utilità grande, che dalla cognizione di tal Istoria si ritrae per l'uso del Foro, e de' nostri Tribunali, e per le controversie medesime forensi. Nel che non possiamo noi in questi tempi allegar miglior testimonio, che il Cardinal di Luca, stato celebre Avvocato in Roma, ed uomo nel Foro compiutissimo, il quale in quasi tutti i suoi infiniti discorsi, onde furon compilati tanti volumi, con ben lunga esperienza ha dimostrato in mille luoghi, non altronde esser derivati i tanti abbagli de' nostri Scrittori, se non dall'ignoranza dell'Istoria legale, tanto che non predica altro, così a' Giudici, come agli Avvocati, che l'esatta notizia di quella, senza la quale sono inevitabili gli errori, e le scipitezze. Ma fra' nostri, niun altro rendè più manifesta questa verità, quanto quel lume maggiore della gloria de' nostri Tribunali, l'incomparabile Francesco d'Andrea, il quale in quella dotta disputazione feudale, che diede alla luce del Mondo, ben a lungo dimostrò, che non altronde, che da questa Istoria potevan togliersi le difficoltà, dove aveano inviluppata tal materia i nostri Scrittori; onde si videro perciò in mill'errori miseramente caduti. Ciò che dovea essere a tutti d'ammonimento quanto la cognizione dell'Istoria legale sia necessaria a tutte l'altre controversie del Foro. Nè lasciò questo gran Letterato, per quanto comportava il suo istituto, di darci di quella non debil lume. E veramente nostra disavventura fu, che ciò, che gli altri Scrittori fecero per gli loro paesi, non avesse egli tentato di far per lo nostro Reame, che certamente non avremmo occasione di dolerci oggi di tal mancanza. Poichè qual cosa non ci avremmo potuto promettere dalla forza del suo divino ingegno, dalla gran perizia delle leggi, dell'Istoria, e dell'erudizione; da quella maravigliosa eloquenza, e dall'infaticabile applicazione ed esatta sua diligenza? Nè minori prerogative, a mio credere, si ricercano per riducere una tal impresa al suo compiuto fine, le quali, se disgiunte pur con maraviglia osserviamo in molti, tutte congiunte in lui solo s'ammiravano.
Grave dunque, e per avventura superiore alle mie poche forze, sarà il peso, ond'io ho voluto caricarmi: e tanto più grave, ch'avendo riputato, che non ben sarebbe trattata l'Istoria legale, senza accoppiarvi insieme l'Istoria civile, ho voluto congiungere in uno la politia di questo Reame con le sue leggi, l'Istoria delle quali non avrebbe potuto esattamente intendersi, se insieme, onde sursero, e qual disposizione e forma avessero queste province, che con quelle eran governate, non si mostrasse. E quindi è avvenuto, che attribuendosi il lor cambiamento a' regolamenti dello Stato ecclesiastico, che poi leggi canoniche furono appellate, siasi veduta avvolgersi questa mia fatica in più alte imprese, ed in più viluppi essermi intrigato, da non poter così speditamente sciormene: perciò fui più volte tentato d'abbandonarla, imperocchè, pensando tra me medesimo alla malagevolezza dell'impresa, a' romori del Foro, che me ne distoglievano, e molto più conoscendo la debolezza delle mie forze, ebbi credenza, che non solamente ogni mio sforzo vano sarebbe per riuscire, ma che ancora di soverchia audacia potrebbe essere incolpato; onde talora fu, che, atterrito da tante difficoltà, rimossi dall'animo mio ogni pensiero di proseguirla, riserbando a tempo migliore, ed a maggior ozio queste cure.
S'aggiungeva ancora, che fin dalla mia giovanezza aveva io inteso, che il P. Partenio Giannettasio nelle solitudini di Surrento, sciolto da tutte le cure mondane, con grandi aiuti, e grandi apparati, erasi accinto a scrivere l'Istoria Napoletana, e se ben mio intendimento fosse dal suo tutto differente, nientedimeno dovendoci amendue, avvegnachè con fine diverso, raggirare intorno ad un medesimo soggetto, e ch'egli spiando più dentro, mi potesse toglier la novità di molte cose, ch'io aveva notate, ed altre forse meglio esaminarle, che non poteva io, a cui e tanti aiuti, e tant'ozio mancava, fui più volte in pensiero d'abbandonar l'impresa.
Ma per conforto, che me ne davano alcuni elevati spiriti, non tralasciai intanto di proseguire il lavoro, con intendimento, che per me solo avesse avuto a servire, e per coloro, che se ne mostravan vaghi; fra' quali non mancò chi, oltre d'approvare il fatto, e di spingermi al proseguimento con acuti stimoli, di soverchia viltà accagionandomi, più audace perciò mi rendesse. Considerava ancora, che queste fatiche, quali elle si fossero, non doveano esporsi agli occhi di tutti: esse non dovean trapassare i confini di questo Reame; poichè a' curiosi solamente delle nostre cose erano indirizzate; e che se mai dovessero apportar qualche utilità, a noi medesimi fossero per recarla, e spezialmente, a coloro, che ne' Magistrati, e nell'Avvocazione sono impiegati, l'umanità de' quali essendo a me per lunga sperienza manifesta, m'assicurava, non dover essere questo mio sforzo riputato per audace, e che appo loro qualunque difetto avrebbe trovato più volentieri scusa e compatimento, che biasimo o disprezzo.
Ma mentre io così spinto per tanti stimoli proseguiva l'impresa, ecco, ch'appena giunto al decimo libro di quest'opera, si vide uscire alla luce del Mondo nell'anno 1713. la cotanto aspettata Istoria Napoletana, dettata in idioma latino da quel celebre letterato. Fu immantinente da me letta, e contro ad ogni mia espettazione, non si può esprimere, quanto mi rendesse più animoso al proseguimento; poichè conobbi, altro quasi non essere stato l'intendimento di quel valentuomo, che in grazia di coloro, che non hanno della nostra italiana favella perfetta contezza, trasportare in buon latino l'Istoria del Summonte.
Essendomi pertanto liberato da questo timore, posso ora imprometter con franchezza a coloro, che vorranno sostenere il travaglio di legger quest'Istoria, d'offerirne loro una tutta nuova, e da altri non ancor tentata.
Mi sono studiato in oltre, tutte quelle cose, che da me si narrano, di fortificarle coll'autorità d'uomini degnissimi di fede, e che furono, o contemporanei a' successi, che si scrivono, o i più diligenti investigatori delle nostre memorie. Il mio stile sarà tutto schietto e semplicissimo, avendo voluto, che le mie forze, come poche e deboli, s'impiegassero tutte nelle cose, più che nelle parole, con indirizzarle alla sola traccia della verità; ed ho voluto ancora, che la sua chiarezza dipendesse assai più da un diritto congiungimento de' successi colle loro cagioni, che dalla locuzione, o dalla commessura delle parole. Non ho voluto nemmeno arrogarmi tanto d'autorità, che si dovesse credere alla sola mia narrazione; ho perciò procurato additar gli Autori nel margine, i più contemporanei agli avvenimenti, che si narrano, o almeno de' più esatti, e diligenti; e tutto ciò, che non s'appoggiava a documenti legittimi, o come favoloso l'ho ricusato, o come incerto l'ho tralasciato.
Io non son cotanto ignaro delle leggi dell'istoria, che non m'avvegga, alcune volte non averle molto attentamente osservate; e che forse l'aver voluto con troppa diligenza andar ricercando molte minuzie, abbia talor potuto scemarle la dignità; e che sovente, tirando le cose da' più remoti principj, siami soverchio dilungato dall'istituto dell'opera. Ma so ancora, che non ogni materia può adattarsi alle medesime forme, e che il mio suggello, raggirandosi intorno alla politia e stato civile di questo Reame, ed intorno alle sue leggi, siccome la materia era tutt'altra, così ancora doveasi a quella adattare altra forma; e pretendendo io, che qualche utilità debba ricavarsene, anche per le cose nostre del Foro, non mi s'imputerà a vizio, se discendendo a cose più minute, venga forse in alcuna parte a scemarsene la gravità, perchè finalmente non dovranno senza qualche lor frutto leggerla i nostri Professori, a' quali per la sua maggior parte, e massimamente in ciò, che s'attiene all'Istoria legale, è indirizzata; anzi alcune cose avrebbero per avventura richiesto più pesato e sottile esaminamento; ma non potendomi molto giovar del tempo, sarebbe stato lo stesso, che non venirne mai a capo. E l'essermi io talora dilungato ne' principj delle cose, fu perchè non altronde poteano con maggior chiarezza congiungersi gli avvenimenti alle cagioni; il che, oltre alla notizia, mena seco anche la chiarezza, come si scorgerà nel corso di quest'Istoria.
Ma sopra quali più stabili fondamenti potea io appoggiar l'Istoria civile del nostro Reame, se non cominciando da' Romani, de' quali fu propria, per così dire, l'arte del Governo, e delle leggi; quando queste istesse nostre province ebbero la sorte d'esser per lungo tempo da essi signoreggiate? Per questo fine nel primo libro, anzi che si faccia passaggio a' tempi di Costantino Magno, che sarà il principio della nostra Istoria, si darà, come per Apparato, un saggio della forma e disposizione dell'Imperio romano, e delle sue leggi: dei favori de' Principi, onde furon quelle sublimate: della prudenza delle loro costituzioni: della sapienza de' Giureconsulti; e delle due celebri Accademie del Mondo, una di Roma in occidente, l'altra di Berito in oriente; poichè conoscendosi in brieve lo stato florido, in cui eran queste nostre province, così in riguardo di ciò, che s'attiene alla loro politia, come per le leggi, ne' tempi, ch'a Costantino precederono, con maggior chiarezza potranno indi ravvisarsi il dichinamento, e le tante rivolte e mutazioni del loro stato civile, che seguiron da poi, che a questo Principe piacque di trasferire la sede dell'Imperio in Costantinopoli, e d'uno, ch'egli era, far due Imperi.
STORIA CIVILE
DEL
REGNO DI NAPOLI