Quest'ampia e possente parte d'Italia, che Regno di Napoli oggi s'appella, il qual circondato dall'uno e dall'altro mare, superiore ed inferiore, non ha altro confine mediterraneo, che lo Stato della chiesa di Roma, quando per le vittoriose armi del Popolo romano fu avventurosamente aggiunta al suo Imperio, ebbe forma di governo pur troppo diversa da quella, che sortì da poi ne' tempi degli stessi romani Imperadori. Nuova politia sperimentò quando sotto la dominazione de' Re d'Italia pervenne. Altri cambiamenti vide sotto gl'Imperadori d'oriente. E vie più strane alterazioni sofferse, quando per varj casi trapassata di gente in gente, finalmente sotto l'Augustissima Famiglia Austriaca pervenne.
Non fu ne' tempi dalla libera Repubblica divisa in province, come ebbe da poi; nè comunemente altre leggi conobbe se non le romane. I varj Popoli che in lei abitarono presero insieme, o diedero il nome alle tante regioni, ond'ella fu divisa; e le città di ciascuna regione, secondo che serbarono amicizia, e fedeltà al P. R. quelle condizioni o dure, o piacevoli ricevettero, che s'aveano meritate. Nè bisogna cercare miglior forma di governo di quella, che in cotai primi tempi v'introdussero i providi Romani, appo i quali l'arte del governare fu così lor propria, che per quella sopra tutte l'altre Nazioni del Mondo si distinsero. Testimonio è a noi l'incomparabile Virgilio, il quale dopo aver date a ciascuna Nazione le lodi per quelle arti, onde sopra tutt'altre preson grido, del solo Popolo romano cantò, esser stata di lui propria l'arte del governare, e del ben reggere i Popoli. Per questa, non già per quella del conquistare si rendè quest'inclita gente sopra tutt'altre sublime; imperocchè se si vuole por mente alla grandezza del suo Imperio, posson ancora gli Assiri in alcun modo vantarsi del loro per Nino acquistato; i Medi, ed i Persi di quello per Ciro; ed i Greci dell'altro per Alessandro Magno fondato. Gli acquisti de' Turchi non furono inferiori a quelli de' Romani, e sotto i famosi Imperadori Maometto II. e Solimano, il loro imperio non fu a quello minore; ed anche gli Spagnuoli con maggior ragione potranno opporgli quello de' Serenissimi Re di Spagna; maggiore, se si riguarda l'ampiezza de' confini, di quanti ne vide il Mondo giammai. E quantunque la prudenza de' consigli, l'intrepidezza de' loro animi, la felicità, e le molte virtù, onde tutte le loro imprese erano ricolme, fossero state eccellenti, ed incomparabili; nulla di manco il giudizio del Mondo, e de' più gravi Scrittori, che riputarono quasi tutte le loro spedizioni ingiuste, e le loro armi sovente senza ragionevol cagione mosse e sostenute, venne a' medesimi, e alla lor gloria non picciol detrimento a recare. Solamente in celebrando la sapienza del governo, e la giustizia delle loro leggi si stancarono le penne più illustri del Mondo, e per questo unico pregio meritamente sopra tutt'altri ne andarono gloriosi. Chiarissimo argomento sarà l'essersi veduto, che rovinato ed estinto già il loro impero, non per questo mancò ne' nuovi dominj in Europa fondati, la maestà e l'uso di quelle. Nè per altra cagione è ciò avvenuto, se non perchè le leggi de' Romani con tanta maturità e sapienza dettate, si diffusero e propagarono per tutte le parti del Mondo; non tanto per la potenza del loro imperio, nè perchè secondo la ragion delle genti fu sempremai inalterabil legge di vittoria, che i vinti passassero ne' costumi, e sotto le leggi de' vincitori, quanto per l'evidente utilità, che i popoli soggiogati ritraevano dal loro equabile e giusto governo. Quindi avvenne che le Nazioni più remote e barbare spontaneamente ricevessero le loro leggi, avendo la giustizia e prudenza delle medesime per conforto della loro servitù. Così Cesare mentre trionfa in Eufrate, ed al suo imperio si sottopongono quelle regioni, vittorioso dava a que' popoli le leggi, ma a' popoli volenti. Nè vi bisognava meno, che la sapienza del lor governo, e la giustizia di queste leggi per produrre fra tante nazioni diverse e lontane quella docilità ed umanità di costumi, che Libanio esagerava a coloro, che viveano secondo gl'istituti e leggi romane; e quella concordia, e quel nodo d'una perfetta società civile, che ci descrive Prudenzio fra coloro, che sotto il giogo di quelle usavano. Anzi non sono mancati Scrittori gravissimi, fra' quali non è da tacere l'incomparabile Agostino, che credettero per divina previdenza essersi fatto, che i Romani signoreggiassero il Mondo, affinchè per lo loro governo ricolmo di sapienza e di giustizia, i costumi e la fierezza di tante Nazioni si rendessero più trattabili e mansueti; perchè con ciò il genere umano si disponesse con maggior facilità a ricevere quella religione, la qual finalmente dovea abbattere il gentilesimo, e stabilita in più saldi fondamenti dovesse illuminar la terra, e ridurla ad una vera credenza, laonde in premio della loro giustizia fosse stato a loro conceduto l'imperio del Mondo. Gl'Impp. Diocleziano e Massimiano in un loro Editto, che si legge nel Codice Gregoriano, ci lasciarono delle leggi romane questo gravissimo encomio: Nihil nisi sanctum, ac venerabile nostra Jura custodiunt: et ita ad tantam magnitudinem Romana majestas cunctorum Numinum favore pervenit: quoniam omnes suas leges religione sapienti, pudorisque observatione devinxit . Per questa cagione avvenne che le Nazioni d'Europa, non come leggi d'un sol Popolo, ma come le leggi universali e comuni di tutte le genti le riputassero, e che i Principi e le Repubbliche si studiassero comporre i loro Stati alla forma di quelle, in guisa che oggi pare, che l'orbe cristiano si regga e si governi alla lor norma, ond'è che nell'Accademie ben istituite pubblicamente s'insegnino, e s'apparino a questo fine.
Ben egli è vero, che a chiunque riguarda la felicità dell'armi del P. R. parrà cosa stupenda, come in così breve tempo avesse potuto stendere il suo imperio sopra tante province, e sì lontane. Nè potrà senza sorprendersi, sentire, come nella sua infanzia, quasi lottando co' vicini, tosto gli vincesse; che soggiogata indi a poco l'Italia, adulto appena, stendesse le sue braccia in più remoti paesi. Prendesse la Sicilia, la Sardegna, la Corsica, e s'inoltrasse poi nell'ampie regioni della Spagna; e renduto già virile e possente, soggiogasse da poi la Macedonia, la Grecia, la Siria, la Gallia, l'Asia, l'Africa, la Bretagna, l'Egitto, la Dacia, l'Armenia, l'Arabia, e l'ultime province dell'oriente; tanto che alla perfine oppresso dal grave peso di tanta, e sì sterminata mole, bisognò che cedesse sotto il suo incarico medesimo.
Ma forse cosa più ammirabile e degna di maggior commendazione dovrebbe sembrare l'istituto e la moderazione, che praticò colle genti vinte e debellate. E non seguendo l'esempio degli Ateniesi, e de' Lacedemoni, da' quali tutte come straniere venivan trattate prendendo di loro troppo aspro governo: quelle condizioni, o dure o piacevoli lor concedeva, che s'avesse meritato, o la loro fedeltà ed amicizia, ovvero l'ostinazione e protervia. Alcuni Popoli, dice Flacco, pertinacemente contra i Romani guerreggiarono. Altri conosciuta la virtù loro serbaron a' medesimi una costante pace. Alcuni altri sperimentando la loro fedeltà e giustizia, spontaneamente a color si rendettono ed unirono, e frequentemente portaron le armi contra loro nemici; onde era di dovere, che secondo il merito di ciascuna Nazione ricevessero le leggi e le condizioni; imperciocchè non sarebbe stata cosa giusta, che con eguali condizioni s'avessero avuto a trattare i Popoli fedeli, e coloro che tante volte violando la fede ed i giuramenti dati, ruppero la pace, e portarono guerra a' Romani. Per questa cagione fu da essi con diverse condizioni governata l'Italia dall'altre province dell'Imperio. Quindi avvenne, che nelle città istesse d'Italia fossero stati introdotti que' varj gradi, e quelle varie ragioni di cittadinanza Romana, di Municipj, di Colonie, di Latinità, di Prefetture, e di Cittadi Federate; e quindi avvenne ancora, che rendutisi Signori di tante, e sì remote province, con prudente consiglio si fosse istituito, che altre fossero Vettigali, altre Stipendiarie, o Tributarie: altre Proconsolari, ed altre Presidiali.