Delle Condizioni delle città d'Italia.
I Romani avendo cacciati i loro Re, si vollero esentare affatto dalla signoria pubblica, per godere di una perfetta ed intera libertà, così per le loro persone, come per le loro facoltà. In quanto alle persone, essi non dipendevano da alcun Re, o Monarca: siccome non vollero dipendere da alcun Magistrato per diritto di signoria, per cui potessero essere chiamati sudditi, ch'è quel, che chiamavano Jus libertatis, il qual era uno de' diritti e privilegi de' cittadini romani. Nè tampoco vollero astringersi affatto alla potenza pubblica de' Magistrati, avendole tolto la facoltà di condannare a morte, e di far battere alcun cittadino romano. Ed egli è da credere, che sarebbonsi eziandio astenuti di Magistrati, se avessero potuto trovare altra forma di governarsi: cotanto odiavano la Signoria pubblica, a cagion della tirannia d'alcuni de' loro Re, i quali se n'erano abusati. Era ancora diritto de' cittadini romani l'esser annoverati nelle Tribù, e nelle Centurie da' Censori: dare i suffragi: poter esser assunti a' primi onori e supremi Magistrati: esser soli ammessi nelle legioni romane, e partecipi de' beneficj militari, e del pubblico erario: goder soli della potestà patria verso i figliuoli, delle ragioni della gentilità, dell'adozioni, della toga, del commercio, de' connubj, e degli altri privilegi spiegati dottamente dal Sigonio.
In quanto alle facoltà, vollero ancora i Romani, che i loro retaggi fossero interamente liberi, cioè a dire, esenti dalla pubblica signoria, e che appartenessero ai proprietari di quelli Optimo Jure, ovvero, com'essi dicevano, Jure quiritium. Ciò che spinse Bodino a dire, che la signoria pubblica sia una invenzione di popoli barbari, e che i Romani non la riconoscevano, nè sopra le persone, nè sopra i beni; la qual cosa è ben vera per le persone de' cittadini romani, e di coloro, che per privilegio eran tali divenuti; ed intorno a' beni, per le terre d'Italia: ma egli è facilissimo avvisare, che essi la riconoscevano a rispetto di coloro, che non erano cittadini romani, e che per conseguenza non avevano quel diritto di libertà, ch'era lor proprio: e sopra i retaggi situati fuori d'Italia, ben la riconobbero, come si vedrà quinci a poco, non essendo a' provinciali per le loro robe conceduto quel Jus Quiritium, che si conosceva per quell'antica loro divisione rerum mancipi et nec mancipi.
Questi erano i più ragguardevoli privilegi de' cittadini romani, cioè di coloro che in Roma, o ne' luoghi a se vicini ebbero la fortuna di nascere: e secondo, che alcuni di essi erano conceduti per ispezial grazia, e favore agli altri luoghi d'Italia, vennero quindi a formarsi quelle varie condizioni di Municipj, di Colonie, di Città federate e di Prefetture.
La condizione de' Municipj era la più piacevole ed onorata, che potesse alcuna città d'Italia avere, particolarmente quando era a' medesimi conceduto anche il privilegio de' suffragi; nel qual caso, toltone l'ascrizione alle Curie romane, ch'era propria de' cittadini di Roma, i quali in essa dimoravano, i Municipj poco differivano da' cittadini romani stessi; ed eran chiamati Municipes cum suffragio per distinguergli da coloro, a' quali tal privilegio non era conceduto, detti perciò Municipes sine suffragio. Era ancora lor permesso creare i Magistrati, e di ritener le leggi proprie a differenza de' Coloni, che non potevan aver altre leggi, che quelle de' Romani. E quindi deriva, che infino a' nostri tempi, le leggi particolari d'un luogo o d'una città, le appelliamo leggi municipali; la quale prerogativa, o permettendo o dissimulando il Principe, veggiamo anche oggi, che molte città di queste nostre province la ritengono.
A' Municipj seguivano nell'onore le Colonie. Non possono gli Scrittori d'ogni età abbastanza lodar l'istituto di Romolo, così frequentemente da poi praticato da' Romani, di mandare nelle regioni vinte o vote, nuovi abitatori, che chiamarono Colonie. Da questo meraviglioso istituto ne derivavano più comodi: alla città di Roma, la quale oppressa dalla moltitudine de' cittadini per lo più impotenti e gravosi, veniva perciò a sgravarsene: a' cittadini medesimi, i quali, con assegnarsi loro in quelle regioni i campi, venivano ad aver conforto e comodità di vivere: agli stessi Popoli soggiogati, perchè erano i loro paesi più frequentati, i campi meglio coltivati, ed il tutto riducevasi a più grata forma di vivere, onde acquistavan essi ancora costumi più politici e civili: e per ultimo, allo stesso romano Imperio; poichè oltre all'esser cotal ordinamento cagione, che nuove terre, e città s'edificassero, rendeva il paese vinto al vincitor più sicuro, e riempieva d'abitatori i luoghi voti, e manteneva nelle regioni gli uomini ben distribuiti: di che nasceva, che abitandosi in una regione più comodamente, gli uomini più vi moltiplicavano, ed erano all'offese più pronti, e nelle difese più sicuri, perchè quella Colonia, la qual è posta da un Principe in paese nuovamente occupato, è come una rocca, ed una guardia a tener gli altri in fede. Per queste cagioni le Colonie, come quelle, che in tutto derivavano dalla città di Roma, a differenza de' Municipj, (che per se soli si sostenevano, appoggiati a' propri Magistrati, ed alle proprie leggi) niente di proprio aveano, ma dovevan in tutto seguire le leggi e gl'instituti del P. R. La qual condizione, ancor che meno libera apparisse, nulladimeno era più desiderabile ed eccellente per la maestà e grandezza della città di Roma, di cui queste Colonie eran piccioli simulacri ed immagini. E col sottoporsi alle leggi del P. R. per la loro eccellenza ed utilità, era più tosto acquistar libertà, che servitù. Oltre che le leggi particolari e proprie de' Municipj, come rapporta Agellio, eran così oscure e cancellate, che per l'ignoranza delle medesime, non potevano nè anche porsi in usanza. Ma l'amministrazione ed il governo delle Colonie non d'altra guisa era disposto, se non come quello della città stessa di Roma; imperocchè siccome in Roma eravi il Popolo ed il Senato, così nelle Colonie la Plebe ed i Decurioni: costor l'immagine rappresentando del Senato, colei del Popolo. Da' Decurioni ogn'anno eleggevansi due o quattro, secondo la grandezza o picciolezza della Colonia, appellati Duumviri o Quatuorviri, che avevan somiglianza co' Consoli romani. Vi si creava l'Edile, il qual dell'annona, de' pubblici edificj, delle strade, e delle simiglianti cose teneva cura: il Questore, cui davasi in guardia il pubblico Erario, ed altri Magistrati minori a somiglianza di Roma. In breve vivevasi in tutto co' costumi, colle leggi e cogli istituti de' Romani stessi: ed ai nuovi abitatori pareva, come se vivessero nella città stessa di Roma. Augusto fu che, avendo in Italia accresciute ventiotto altre Colonie, stabilì che queste non avessero facoltà indipendente d'eleggere dal loro corpo i Magistrati, ma lor concedette solamente, che i Decurioni dassero essi i suffragi di que' Magistrati che volevano, i quali suffragi dovessero mandar chiusi e suggellati in Roma, dove doveano crearsi.
Oltre a Municipj e alle Colonie furon ancora, prima della guerra italica, altre cittadi in Italia, che tenevano condizioni assai più onorate e libere. Queste erano le città federate, le quali toltone qualche tributo, che pagavan a' Romani per la lega e confederazione con essi pattuita, nell'altre cose erano riputate in tutto libere. Avevano la lor propria forma di Repubblica, vivevano colle leggi loro, creavano esse i Magistrati, e spesso ancora s'avvalevan de' nomi di Senato e di Popolo. Così appresso Livio leggiamo, che Capua ne' primi tempi, quando era Città Federata, non peranche ridotta in Prefettura, si governava in forma di Repubblica, avendo Magistrati, Senato e Popolo, e proprie leggi. De' Tarentini ancor si legge, che se bene vinti, furono da' Romani lasciati nella loro libertà: de' Napolitani, de' Prenestini, di que' di Tivoli, e d'altri Popoli, essere il medesimo accaduto, ben ce n'accerta Polibio, le città de' quali eran così libere, ch'era permesso a' condennati in esilio, di farvi dimora, e soddisfar così all'imposta pena.
Sieguono nell'ultimo luogo le Prefetture. Non v'ha dubbio alcuno, che fra tutte le città d'Italia, quelle ridotte in forma di Prefettura, sortissero una condizione durissima; poichè quelle città che ingrate e sconoscenti al P. R. la fede datagli violavano, ridotte di nuovo in sua podestà, non altra condizione ricevevano, che di Prefettura; laonde siccome alle province ogni anno da Roma solean mandarsi i Pretori, così in queste città mandavansi i Prefetti, all'amministrazione e governo de' quali eran commesse; e perciò vennero chiamate Prefetture. Coloro, che in esse abitavano, non potevan usare, o le proprie leggi ritenere come i Municipj, nè dal loro corpo creare i Magistrati, come i Coloni: ma da' Magistrati di Roma venuti, eran essi retti, e con quelle leggi vivevano che a coloro d'imporre piaceva. Di questa condizione fu già un tempo Capua, cioè dopo la seconda guerra di Cartagine, ed avantichè da Cesare fosse stata mutata in forma di Colonia. Le Prefetture ancora eran di due sorti. Dieci città, tutte poste in questo Reame, eran governate da dieci Prefetti, che dal Popolo romano si creavano e si mandavan al governo delle medesime. Queste furono Capua, Cuma, Casilino, Vulturno, Linterno, Pozzuoli, Acerra, Suessula, Atella e Calatia. All'altre soleva il Pretor Urbano ogni anno mandare i Prefetti per reggerle, e queste erano Fondi, Formia, Ceri, Venafro, Alife, Piperno, Anagni, Frusilone, Rieti, Saturnia, Nursia ed Arpino.
Fu tempo, che il numero delle città federate in Italia era maggiore delle Colonie, de' Municipj e delle Prefetture: ma da poi si videro varie mutazioni, passando l'una Città nella condizione dell'altra, e questa in quella. Così Capua da Città Federata passò in Prefettura, indi nel Consolato di C. Cesare in Colonia: Cuma, Acerra, Suessula, Atella, Formia, Piperno ed Anagni prima Municipj, indi Colonie, e talora anche Prefetture. Fondi, Ceri ed Arpino in alcun tempo furono Municipj: Casilino, Vulturno, Linterno, Pozzuoli e Saturnia, Colonie: e Calatia, Venafro, Alife, Frusilone, Rieti e Nursia, mentre durò la libertà del P. R. furono sempre Prefetture.
Ma non dobbiamo tralasciar di notare, che questi varj gradi, e varie condizioni delle città d'Italia ebbero tutta la lor fermezza, mentre durò la libertà del P. R. poichè dopo, tralasciando che Augusto privò della libertà molte Città Federate, le quali licenziosamente troppo di quella abusavano: essendosi per la legge Giulia adeguati i suffragi di tutti, e conceduta parimente la cittadinanza a tutta l'Italia, siccome da poi da Antonino Pio fu conceduta alle province: le ragioni de' Municipj, delle Colonie e delle Prefetture furono abolite, e cominciarono questi nomi a confondersi, in guisa che alle volte la Colonia veniva presa per Municipio, il Municipio per Colonia, ed anche per Prefettura: onde dopo la legge Giulia tutte le città d'Italia, alle quali fu conceduto il Jus de' suffragi, potevan Municipj nomarsi; e da poi Antonino Pio fece una la condizione non pur delle città d'Italia, ma di tutte le genti, e Roma fu comun patria di tutti coloro, che al suo imperio eran soggetti.
Queste furon le varie condizioni delle città d'Italia. Non dissimil avrem ora da narrar quelle, che il Popolo romano concedette alle province fuori di quella.