Di Rotari VII. Re; da cui in Italia furono le leggi longobarde ridotte in iscritto.
Rotari fu un Principe, in cui del pari eran congiunti un estremo valore ed una somma prudenza; ma sopra tutto fu grande amatore della giustizia; e se alcuna ombra di colpa rendè non chiari i suoi pregi, fu l'essere macchiato dell'eresia arriana; onde avvenne, che a' suoi tempi in molte città d'Italia erano due Vescovi, l'un cattolico e l'altro arriano.
Questo Principe fu il primo, che diede le leggi scritte a' suoi Longobardi, dal cui esempio mossi gli altri Re suoi successori, surse, col correr degli anni, in Italia un nuovo volume di leggi, longobarde chiamate, le quali nel Regno nostro ebbero un tempo tal vigore e dignità, onde fu forza, che le leggi romane retrocedessero. Ma prima che delle leggi longobarde facciam parola, convenevol cosa è, che si vegga lo stato, nel quale a' tempi di questo Principe, e de' Re suoi successori si era ridotta la giurisprudenza romana in Italia, e nelle province che oggi compongono il nostro Regno, ed in quali libri era compresa.
Giustiniano Imperadore, ancorchè avesse proccurato sparger per Italia i suoi volumi, e strettamente avesse comandato, che aboliti tutti gli altri, quelli solamente per Italia si ricevessero insieme colle sue costituzioni Novelle; nulladimeno l'autorità de' medesimi quasi si estinse insieme con lui; poichè egli morto, e succeduto Giustino, inettissimo Principe, ricadde Italia di bel nuovo in mano di straniere genti; e toltone l'Esarcato di Ravenna, il Ducato di Roma, que' piccioli di Napoli, Gaeta, d'Amalfi, ed alcune altre città marittime di Puglia, di Calabria e di Lucania, i Longobardi dominavano in tutte l'altre sue province, senza che gli altri Imperadori, che a Giustino succederono, molta cura si prendessero di ricuperarle, e tanto meno delle leggi di Giustiniano; anzi non vi mancarono di coloro, come si dirà a suo luogo, che o per invidia, o per emulazione cercarono anche nell'Oriente d'estinguerle affatto. S'aggiungevano in oltre, che presso a' Longobardi, per le continue guerre ira di essi accese, il nome de' Greci era abbominatissimo, e tutto ciò, che da loro procedeva, con somma avversione era rifiutato e scacciato. Quindi nacque, che se bene a' provinciali permettessero l'uso delle leggi romane, ed a' Romani di poter sotto le medesime vivere, con tutto ciò vollero, che quelle apprendessero dal Codice di Teodosio: onde presso i Longobardi fu in più stima e riputazione il Codice Teodosiano, che quello di Giustiniano.
Al che s'aggiungeva l'esempio de' Vestrogoti, che signoreggiavano allora la Spagna, i quali contenti del Codice fatto per ordine d'Alarico, e del Novello compilato dalle leggi de' Vestrogoti ad imitazion di quello di Giustiniano, non riconoscevan i costui libri.
S'aggiungeva ancora l'esempio de' Franzesi, i quali insino a' tempi di Carlo il Calvo, non riconobbero altre leggi romane, se non quelle, ch'erano racchiuse nel Codice Teodosiano, o nel suo Breviario fatto per ordine d'Alarico. Anzi Carlo M. stesso, volendo ristorar la giurisprudenza romana, che a' suoi tempi era ridotta in istato pur troppo lagrimevole, posposti i libri di Giustiniano, si diede a riparare il Codice di Teodosio, e ad emendarlo, come mostrano quelle parole aggiunte al Commonitorio d'Alarico, che va innanzi al Codice Teodosiano: Et iterum anno XX. regnante Carolo Rege Franc. et Longobard. et Patritio Romano. E fu tanta la cura di questo glorioso Principe, ed il rispetto che tenne di questo Codice, che molte leggi di esso volle trasferire ne' suoi Capitolari.
Ne' tempi di Carlo il Calvo par che in Francia si cominciassero a sentire le leggi di Giustiniano, come mostrano gli Autori di quell'età, i quali spesso allegando le leggi di Giustiniano, delle Teodosiane taciono: così Hincmaro di Rems:Et Sacri Africae Provinciae Canones, et lex Justiniana decernunt : ed altrove: Leges Justiniani dicunt. Il che comprovasi da quel che Giovanni Italo scrisse di Abbone padre di Odone Cluniacense, il quale Justiniani Novellam memoriter tenebat. Se bene non mancarono nei tempi seguenti Autori, i quali anche si valsero della autorità, non meno de' libri di Giustiniano, che delle leggi Teodosiane, come fecero Ivone di Chartres, Graziano ed altri.
In Italia solamente studiavansi i Pontefici romani di mantenere l'autorità delle leggi di Giustiniano e degli altri Imperadori d'Oriente, mostrando di quelle somma stima e venerazione. Erano i loro disegni di sostenere in Italia a tutto potere l'autorità degl'Imperadori greci con riconoscergli per Sovrani, perchè in cotal guisa potessero far contrappeso alle forze dei Longobardi, e tener divisa l'Italia tra due eguali potenze, acciocchè l'una intraprendendo sopra l'altra, Roma non cadesse sotto la servitù dell'una, o dell'altra. Amavano essi meglio l'imperio de' Greci, perchè questi, come lontani, non erano in istato di badar molto ad impedire i loro progressi e disegni, che avevano d'impadronirsi di Roma; e perciò quando i Longobardi avanzavansi tanto, onde si potesse temere, che finalmente non occupassero quella città la cui perdita sarebbe stata seguita dalla lor ruina, ricorrevan tosto a' Greci, perchè s'opponessero di tutto potere a' loro sforzi. In effetto S. Gregorio M. che, come s'è detto, era molto sollecito, che i Greci non fossero in tutto discacciati d'Italia, portava somma venerazione alle leggi degl'Imperadori d'Oriente, e sopra tutto a quelle di Giustiniano, delle quali sovente valevasi, e delle Novelle più frequentemente, com'è manifesto appresso Graziano e ne' Decretali. Questo istituto ancora ritennero da poi i successori, e fra gli altri Gregorio III, Niccolò I, Lucio III, Giovanni VIII, ed altri rapportati da Dadino Alteserra. Per questa cagione seguitando Lione IV i vestigi de' suoi predecessori, scrisse quell'epistola, che si legge in Graziano all'Imperadore Lotario I, in cui lo prega a conservare la legge romana: Vestram flagitamus clementiam, ut sicut hactenus Romana lex viguit absque universis procellis, et pro nullius persona hominis reminiscitur esse corrupta; ita nunc suum robur, propriumque vigorem obtineat. Ond'è che Ivone di Chartres disse: Dicunt enim instituta legum Novellarum, quas commendat, et servat Romana Ecclesia: e che poi siasi veduto gli Ecclesiastici, così nel novero degli anni per la lor minore età, come in molte altre cose, seguire le leggi romane. Quindi i libri di Giustiniano nel Ducato romano ebbero in questi tempi maggiore autorità e vigore, che nell'altre parti d'Italia: siccome l'ebbero in Ravenna sede dell'Esarcato de' Greci, onde narrasi, che in questa città si fosse lungamente conservato quel volume de' Digesti, che ora chiamiamo Inforziato, a cui i Ravignani solevano ricorrere per la decisione delle loro cause: ond'è che a ragione potè conchiudere Ermando Conringio, che in Italia prima di Lotario II, Juris Romani, et quidem maxime Justinianei, usus aliquis arbitrarius superfluit exiguus ubivis; frequentior tamen Romae, inque aliis Exarchatus locis, quam in Regno Longobardico, Novellarum praecipua fuit auctoritas in rebus Ecclesiasticis nonnullis.
Ma i Longobardi per le ostinate e crudeli guerre, ch'ebbero co' Greci, se bene ad esempio de' Goti lasciassero vivere i provinciali colle leggi romane, non da altri libri, se non dal Codice di Teodosio, e dal Breviario d'Alarico, vollero, che quelle s'apprendessero, ed avessero forza e vigor di legge, imitando anche in questo la pratica de' Goti; nè infino ad ora per sessantasei anni, da che vennero in Italia, ebbero essi per loro legge alcuna scritta, ma governavansi solamente secondo i loro costumi, e secondo quegli istituti, che tramandati, come per tradizione da' loro maggiori, con molta osservanza e religione mantenevano.
Rotari adunque fu il primo, che assunto al Trono, dopo avere ingrandito il suo Reame coll'acquisto delle Alpi Cozzie e di Oderzo, pensò a dare anche le leggi scritte a' suoi Longobardi.
La maniera, colla quale i Re longobardi stabilivano le loro leggi, fu cotanto commendata da Ugon Grozio, che antepone in ciò i Longobardi a' Romani stessi: questi sovente dall'arbitrio d'un solo ricevevano le leggi, il qual le mutava e variava a sua posta; onde tutto ciò che al Principe piaceva, ebbe vigor di legge. All'incontro i Re longobardi non s'arrogavano soli questa potestà, ma nello stabilirle vi volevano ancora il parere e consiglio de' principali Signori e Baroni del Regno: e l'Ordine del Magistrato vi aveva ancora la sua parte; nè altrove stabilivansi, che nelle pubbliche assemblee a questo fine convocate, nelle quali non s'ammetteva all'uso di Francia l'Ordine ecclesiastico, ma solo l'Ordine de' Signori e de' Magistrati: nè la plebe appresso loro faceva Ordine a parte, ma secondo che scrisse Cesare dell'antica Gallia: Plebs plane servorum habebatur loco, quae per se nil audet, nullique adhibetur Concilio.
Avendo adunque Rotari, secondo l'Epoca di Camillo Pellegrino, nell'anno 644 intimata una Dieta in Pavia, ragunati quivi i Signori e Magistrati, stabilì molte leggi, le quali fece egli ridurre in iscritto, ed inserille in un suo editto, che fece pubblicare per tutto il suo Regno, non altrimente, che fece Teodorico Ostrogoto, quando pubblicò il suo per tutta Italia, del quale nel precedente libro si è fatto menzione. Fra gli altri monumenti dell'antichità, che serba l'Archivio del monastero della Trinità della Cava dell'Ordine di S. Benedetto, il qual dopo quello di M. Cassino è il più antico, che abbiamo nel Regno; evvi un Codice membranaceo da noi con proprj occhi attentamente osservato, scritto in lettere longobarde, dove non solamente gli editti de' Re longobardi (cominciando da questo di Rotari) ma anche degl'Imperadori franzesi e germani, che furono Re d'Italia, vi sono inseriti. In questo editto di Rotari dopo il proemio, che si vede trascritto anche dal Sigonio nella sua Istoria d'Italia, si leggono i titoli di ciascun capitolo, ed il primo comincia: Si quis hominum contra animam Regis cogitaverit: e questi terminati, siegue la conchiusione dell'editto in cotal guisa: Praesentis vero dispositionis nostrae Edictum, etc. . Seguono da poi le leggi, ovvero capitoli, secondo il numero de' titoli precedenti, e contiene questo editto trecento ottantasei capitoli, ovvero leggi. Il Compilatore dei tre libri delle leggi longobarde, che vanno ora impressi nel volume delle Novelle di Giustiniano, prese da questo editto di Rotari le leggi, delle quali compilò quasi interamente il primo e secondo libro: e nel terzo libro due o tre se ne leggono di questo Re, siccome diremo più distesamente, quando della compilazione di quel volume delle leggi longobarde ci tornerà occasione di favellare.
L'esempio di Rotari fu imitato da poi dagli altri Re longobardi suoi successori, come da Grimoaldo, Luitprando, Rachi ed Astolfo: ma di tutte questi Re niuno lasciò tante leggi, quante Rotari, essendo, come s'è detto, il lor numero arrivato insino a 386. Fece egli pubblicare il suo editto in questo anno 644 che fu l'ottavo del suo Regno, per tutte le province, che erano sotto la sua signoria, e sopra tutto nel Ducato beneventano, che avendo allora stesi assai più i suoi confini, era riputato la più ampia e nobil parte del Regno d'Italia.