CAPITOLO VI.

Della politia ecclesiastica.

Le Chiese d'Occidente si videro in questo ottavo secolo, in grandi disordini, e quella di Roma, che dovea esser chiaro esempio per l'altre, fu la più disordinata. Morto che fu Paolo nell'anno 767, invase la Cattedra Costantino fratello di Totone Conte di Nepi: questi con violenza, e per via di trattati si fece prima elegger Papa; e poi fecesi ordinar Sottodiacono, Diacono e Vescovo: alcuni Ufficiali della Chiesa di Roma, non potendo soffrire questa violenza, ricorsero a Desiderio Re de' Longobardi, ed avendo ottenuto braccio, ritornarono a Roma con una truppa di genti armate. Totone gli assalì, ma nel combattimento essendo rimaso ucciso, Costantino fu scacciato, ed in suo luogo fu eletto Filippo Sacerdote e Monaco; ma non essendo stato trovato abile al posto, fu costretto ritirarsi in un Monasterio, e Stefano IV, fu di comun consenso eletto nel mese d'Agosto dell'anno 768. Dopo la costui elezione, Costantino fu ignominiosamente deposto, e trattato d'una maniera crudele, fu posto prigione, e gli furono cavati gli occhi: Stefano non trovandosi ben sicuro, inviò un deputato in Francia, a fine di far regolare quanto apparteneva agli affari della Chiesa di Roma. Carlo e Carlomanno a' quali il Deputato, dopo la morte del loro padre Pipino, consegnò le lettere, inviarono dodici Vescovi in Roma, i quali adunatisi in un Concilio, con un Vescovo d'Italia, confermarono Stefano, e dichiararono nulla l'ordinazione di Costantino. Stefano restò pacifico possessore di questa sede: ma poi insorte per l'elezione dell'Arcivescovo di Ravenna, e per altre cagioni rapportate di sopra, gravi discordie tra lui e Desiderio, questi, portando l'assedio a Roma, esercitò ivi tanto rigore, che il Papa pien di spavento se ne morì il primo dì di Febbrajo dell'anno 772, lasciando successore Adriano.

Non minori disordini accadevano nell'elezione delle altre sedi minori. I favori de' Principi, le violenze, i negoziati, e le simonie vi avevano la maggior parte. La disciplina era quasi che all'intutto mancata, vi era molta ignoranza e molta licenza fra i Vescovi e fra i Cherici. Non vi era dissolutezza, che non commettevasi, tenevano femmine in casa, andavano alla guerra, si arrolavano alla milizia, militando sotto gli altrui stipendj, e scotendo il giogo, non ubbidivano più ai loro Vescovi. I Pontefici romani, divenuti potenti Signori nel temporale per la donazione fatta alla Chiesa di Roma da Pipino, e da Carlo suo successore, cominciarono sopra i Principi a stendere la loro potenza: Zaccheria per aver avuto gran parte alla traslazione del Regno di Francia ne' Carolingi, ed Adriano del Regno d'Italia ne' Franzesi, reseli tremendi. Si pensava con maggior sollecitudine alle cose temporali, che alle divine e sacrate; e seguitando gli altri Vescovi il loro esempio, venne a corrompersi, ed a mancare affatto l'antica disciplina.

Dall'altro canto i Principi del secolo vedendo tanta corruzione, s'affaticavano a tutto potere alla riforma del Clero e della Chiesa; ed oltre a ciò, dandosi loro così opportuna occasione, s'intrigavano molto più che prima nell'elezione de' Vescovi, e degli altri Ministri della Chiesa, ed a disporre delle loro entrate. Lione Isaurico, e gli altri Imperadori d'Oriente suoi successori, volevano esser tenuti per moderatori non meno della politia ecclesiastica e della disciplina, che dei Dogmi ancora, promulgavano editti intorno alla adorazione dell'immagini, e toltone il solo ministerio del sacrificare, essi volevan esser riputati i Monarchi, e Presidenti delle Chiese; presidevano a' Sinodi, e lor davano vigore: davano le leggi, e componevano gli ordini ecclesiastici, soprastavano alle liti ed a' giudicj de' Vescovi e de' Cherici, alle elezioni che doveano farsi nelle Sedi vacanti, e ne' suffragi che doveano darsi: trasferivano i Vescovi da una sede ad un'altra: abbassavano ed innalzavano le Cattedre a lor modo, dal Vescovado al Metropolitano ed Arcivescovado: disponevano essi i gradi, ed i Troni per la gerarchia: partivano le diocesi a lor modo, ed ergevano le Chiese in nuovi Vescovadi o Metropoli. Quindi cominciossi il disegno d'attribuire al Patriarcato di Costantinopoli molte Chiese con toglierle a quello di Roma, siccome nel seguente secolo fu ridotto a compimento; le tolsero infra l'altre, come diremo a suo luogo, la Sicilia, la Calabria, la Puglia, e la Campania, le quali quel Patriarcato ritenne, finchè per l'opera dei nostri Normanni, e particolarmente del nostro Rogiero I, Re di Sicilia, non si fossero restituite a quello di Roma: maggiori stravaganze si videro ne' seguenti tempi nella declinazione del loro Imperio, quando proccurarono interamente sottoporre il Sacerdozio all'Imperio, intorno a che potranno vedersi Giovanni Filosaco, e Tommasino, che distesamente ne ragionano.

I Principi d'Occidente, ancorchè non osassero tanto, nondimeno collo spezioso pretesto di riparare alla difformità del Clero, ed alla perduta disciplina, s'intrigavano assai più di ciò che importava la protezione, e la tutela delle lor Chiese; anzi ne' primi anni di questo secolo, non meno che gli Ecclesiastici, deformarono lo stato di quelle. Carlo Martello, dopo aver preso il governo del Regno di Francia, in vece d'apportar rimedio a' disordini che regnavano, si pose in possesso de' beni delle Chiese; donò le Badie, ed i Vescovadi a' laici; distribuì le decime a' soldati; e lasciò vivere gli Ecclesiastici ed i Monaci in maggiore dissolutezza.

In Italia ed in queste nostre province, che ubbidivano a' Duchi di Benevento, i Re ed i Duchi longobardi per le continue inimicizie, che tenevano coi romani Pontefici, fautori prima de' Greci e poi dei Franzesi, cagionarono non minore deformità. Il Re Desiderio per le contese avute col Pontefice Stefano IV intorno all'elezione fatta da lui di Michele in Arcivescovo di Ravenna, fatto scacciare dal Papa, per vendicarsene fece cavar gli occhi a Cristofano ed a Sergio, uomini del Papa, e poi fece anche morir Cristofano, ed intimorì di maniera il Papa, che gli accelerò la morte.

Furono i Longobardi non meno che i Goti, e gli Imperadori d'Occidente suoi predecessori, molto accorti a ritenere tutti i diritti, che lor dava la ragion dell'Imperio. Il dichiarare le Chiese per Asili, e prescriver le leggi per quali delitti potessero i sudditi giovarsi dell'asilo, e per quali il confugio ad essi non giovasse, era della loro potestà. Il Re Luitprando, imitando gl'Imperadori d'Occidente, de' quali ci restano molte loro costituzioni nel Codice di Teodosio e di Giustiniano a ciò attinenti, stabilì ancor egli, che gli omicidi, ed altri rei di morte non potessero giovarsi dell'asilo. Impone a' Vescovi, Abati, e ad altri Rettori delle chiese o monasterj, di non ricettargli, di non impedire il Magistrato secolare volendogli estrarre, e se daranno mano a fargli fuggire o occultargli, ovvero ad impedire, che non siano estratti, loro si prescrive ancora pena pecuniaria di 600 soldi. Ritennero ancora i nostri Re longobardi la ragione di stabilire leggi sopra i matrimonj, di vietargli con chi l'onestà o parentela o affinità recava impedimento: diffinire l'età di contraergli: dichiarare l'illegittimità delle nozze, degli sponsali, e della prole, e di stabilire tutto ciò che riguarda il maggior decoro ed onestà di quelli; com'è chiaro dalle loro leggi.

Gl'Imperadori d'Oriente a' quali ubbidivano in questi tempi il Ducato napoletano, gran parte della Calabria e della Puglia, e molte città marittime di queste nostre province, parimente inimici de' romani Pontefici esercitavano sopra le chiese delle città a lor soggette assoluto arbitrio. Costantino e Lione suo figliuolo volevano far valere in quelle i loro editti per l'abolizione delle immagini, non vollero far ammettere Paolo eletto Vescovo di Napoli come aderente al Pontefice, e fecero che i Napoletani non lo ricevessero dentro la lor città. Nè fu veduta maggior diformità nella Chiesa di Napoli, che in questi tempi: si vide nel medesimo tempo Stefano, che n'era Duca, e che come Ufficiale dell'Imperadore teneva il governo del Ducato, morta sua moglie, essere stato eletto Vescovo, e non deponendo l'antica carica, amministrare insieme le umane e le divine cose. Morto che fu, e succeduto nel Ducato Teofilatto suo genero, dovendosi venire all'elezione del nuovo Pastore, Euprassia figliuola di Stefano e moglie di Teofilatto crucciata contra il Clero che avea mostrato della morte di suo padre gran contento ed allegrezza, giurò che non avrebbe fatto eleggere niun di loro per Vescovo; ed il Duca suo marito, sia per non contristarla o per avarizia, faceva perciò differire l'elezione; tanto che i Napoletani attediati della lunga vedovanza della lor Chiesa, andarono uniti insieme e Clero e Popolo a gridare avanti il ducal palagio, che loro dassero per Vescovo chi volevano. Allora Euprassia tutta d'ira e di furore accesa prese dal Popolo un uomo laico, chiamato Paolo e loro il diede per Vescovo: nè alcuno avendo ardire di contrastarle, presero Paolo, lo tosarono e l'elessero Vescovo, il quale gito a Roma, il Pontefice per la corruttela del secolo non ebbe alcuna difficoltà di consacrarlo e confermarlo.

In tanta corruttela, ed essendo giunte le cose in tale estremità, si scossero finalmente non meno i Prelati della Chiesa, che i Principi del secolo a darvi qualche riparo: in Francia morto Carlo Martello, avendosi diviso il Regno Carlomanno e Pipino suoi figliuoli, benchè non avessero la qualità di Re, formarono il disegno di operare in guisa, che fosse in qualche modo riformata la disciplina. Carlomanno Principe d'Austrasia fece nel 742 convocare un Concilio in Alemagna e vi pubblicò col consenso de' Vescovi molti regolamenti per riforma della disciplina e de' costumi: vietò agli Ecclesiastici d'andare alla guerra: ordinò a' Curati di essere sottomessi a' loro Vescovi: fece degradare e mettere in penitenza alcuni Ecclesiastici convinti di delitti d'impurità: e nell'altra adunanza, che l'anno seguente fece tenere in Lestines vicino a Cambray, oltre di aver confermato tutto ciò, vietò ancora gli adulterj, gl'incesti, i matrimonj illegittimi e le superstizioni pagane.

Pipino Principe di Neustria si affaticò parimente dal suo canto perchè la disciplina ecclesiastica fosse riformata: fece tener un'adunanza di 23 Vescovi e molti Grandi del Regno in Soissons nell'anno 744, nella quale furono confermati i canoni de' Concilj precedenti, ed ordinato che inviolabilmente fossero osservati: che in ogni anno dovessero convocarsi i Sinodi, che i Sacerdoti dovessero esser soggetti a' loro Vescovi, che i Cherici non potessero aver femmine nelle lor case, eccettuatene le loro madri, sorelle e nipoti; nè i laici vergini a Dio sacrate. Ne' seguenti anni 752, 755, 756, e 757, furono tenute altre consimili adunanze, nelle quali si stabilirono altri regolamenti sopra i costumi. E Carlomanno sopra ogn'altro quasi ogni anno fece tener queste adunanze, nelle quali parimente furono stabiliti molti capitulari per mantenere la disciplina, rinovando gli antichi canoni, e facendo de' nuovi regolamenti sopra i pressanti bisogni della Chiesa. Queste adunanze non erano propriamente Concilj: elle non erano composte solamente di Vescovi, ma eziandio di Signori e di Grandi del Regno convocati da' Principi. I Vescovi stendevano gli articoli per la politia ecclesiastica, ed i Signori per quello apparteneva allo Stato; e poi erano autorizzati e pubblicati da' Principi, affinchè avessero forza di legge. Questi articoli erano chiamati Capitoli ovvero Capitolari. E questa fu la maniera, colla quale era regolata la disciplina della Chiesa di Francia e di Alemagna sotto la seconda stirpe di que' Re in questo secolo.

In Italia furono parimente da alcuni Pontefici romani stabiliti molti canoni per riparo della caduta disciplina. Papa Zaccheria tenne perciò due Concilj in Roma, uno nell'anno 743, composto d'intorno a quaranta Vescovi d'Italia, ove fu rinovata la proibizione fatta tante volte a' Vescovi, a' Sacerdoti ed a' Diaconi di abitare insieme con femmine, e dati altri provvedimenti; l'altro nel 745, composto di sette Vescovi e d'alcuni Sacerdoti, dove furono discusse alcune accuse fatte a' Vescovi, e trattati alcuni dogmi intorno all'idolatria, e dichiarato che molti Angioli che venivano invocati, erano i loro nomi ignoti, e che non si sapevano se non i nomi di tre, cioè Michele, Raffaele e Gabriele. Anche in Aquileja Paolino suo Vescovo nell'anno 791, tenne un Concilio, ove, dopo una confessione di fede, stabilì quattordici canoni sopra la disciplina de' Cherici, sopra i matrimonj, e sopra le obbligazioni delle Monache, e sopra altri bisogni.

In Oriente, da poi che l'Imperadrice Irene prese il governo dell'Imperio, si pensò a ristabilir la disciplina: prese risoluzione di far ragunare un nuovo Concilio per esaminare ciò che l'altro, fatto tenere da Costantino Copronimo nell'anno 753, avea stabilito intorno al culto delle immagini. Ne diede ella avviso al Pontefice Adriano, che vi condescese, e vi mandò due Sacerdoti per tenervi il suo luogo. L'adunanza del Concilio cominciò in Costantinopoli nell'anno 786, ma essendo stata turbata dagli Ufficiali dell'esercito, e da' soldati eccitati da' Vescovi opposti al culto delle immagini, fu trasferita in Nicea l'anno 787.

I Legati del Papa vi tennero il primo luogo, Tarasio Patriarca di Costantinopoli il secondo, i Deputati de' Vescovi d'Oriente il terzo, dopo essi Agapeto Vescovo di Cesarea in Cappadocia, Giovanni Vescovo di Efeso, Costantino Metropolitano di Cipri, con 250 Arcivescovi e Vescovi, e più di cento Sacerdoti e Monaci. Vi assisterono ancora due Commessarj dell'Imperadore e dell'Imperadrice, ed in più azioni fu lungamente dibattuto il dogma del culto delle immagini, e stabiliti sopra ciò molti regolamenti. Non meno che a' dogmi, fu provveduto sopra la disciplina ecclesiastica per 22 canoni: fu data norma all'esame de' Vescovi, prescrivendosi di non poter esser ammessi se non fossero atti ad ammaestrare i Popoli, e se non sapevano il Salterio, il vangelo, l'epistole di S. Paolo ed i canoni. Si dichiarano nulle tutte l'elezioni de' Vescovi o Sacerdoti fatte da' Principi, e l'elezione d'un Vescovo si commette a' Vescovi convicini. Si procede severamente contra i Vescovi, che ricevessero denari per deporre ovvero fulminar le scomuniche. Si ordina che tutte le chiese, ed i monasterj debbiano avere i loro Economi: che i Vescovi e gli Abati non possano senza necessità vendere o donare le tenute delle loro chiese e monasterj. Che non debbano le loro case vescovili, e monasterj fargli servire per osterie. Che un Cherico non possa essere ascritto a due chiese, che i Vescovi e gli altri Ecclesiastici non possano portare abiti pomposi. Si proibisce la fabbrica degli oratorj, ovvero cappelle, se non vi si possiede un fondo sufficiente per somministrar le spese. Si vieta alle femmine d'abitare nelle case de' Vescovi, ovvero nei monasterj d'uomini. Si proibisce di prendere cosa alcuna per gli Ordini, nè per l'ingresso ne' monasterj, sotto pena di deposizione a' Vescovi ed a' Sacerdoti; ed in quanto alle Badesse ed agli Abati che non sono Sacerdoti, di essere cacciati da' monasterj; permette però a coloro che sono ricevuti ne' monasterj, ovvero a loro parenti, il donar volontariamente o denajo o altro, sotto la condizione però, che que' donativi debbano rimanere a' Monasterj o che colui che v'entra vi dimori o che n'esca, quando i Superiori non siano cagione della loro uscita. Si vieta il far monasterj doppj d'uomini e di femmine, e si comanda, che rispetto a quelli che sono già stabiliti, i Monaci e le Monache debbano abitare in due case diverse e che non possano vedersi, nè aver familiarità insieme. Si proibisce a' Monaci il lasciar i loro proprj monasterj per andarsene in altri: e per ultimo il mangiar insieme con femmine, quando ciò non fosse necessario per lo bene spirituale, ovvero per accogliere qualche parente, oppure in occasione di viaggio.

Tali e tanti provvedimenti, perchè la caduta disciplina in qualche modo si ristabilisse, fur dati in questi tempi; dove i vizj abbondavano, bisognavano molte leggi per reprimergli; ma questa non era bastante medicina a tanti mali: a questo fine alcuni Vescovi per riformar il lor Clero, fecero vivere i loro Preti in comune dentro un chiostro ed alla lor vigilanza è debitrice la Chiesa dell'Ordine de' Canonici Regolari, del quali Crodegando, Vescovo di Metz, sembra essere stato l'Institutore, ovvero il Restauratore. Le Chiese delle nostre province, le quali, parte ubbidivano agli Imperadori d'Oriente, parte a' Duchi longobardi, furono perciò alquanto rialzate, ma non tanto sì che per la barbarie ed ignoranza del secolo, non si vedessero per anche disordinate, e pochi vestigi in quelle rimanessero dell'antica disciplina.

§. I. Raccolta de' canoni.

In quest'età bisogna collocare la collezione d'Isidoro Mercatore o sia Peccatore: ella è latina ed è compilata di varj canoni de' Concilj tenuti in Grecia, in Affrica, in Francia ed in Ispagna, e di molte lettere decretali di più Papi, insino a Zaccheria che mori nell'anno 752. Davide Blondello fa vedere l'impostura in molte di queste epistole attribuite a varj Papi di cui non sono, e Pietro di Marca, ancorchè condanni il modo troppo aspro tenuto da questo Autore, non è però che non confessi la supposizione e l'impostura. Si disputa ancora dell'autore di questa collezione: Hinemaro Arcivescovo di Rems ne fece autore Isidoro di Siviglia, e narra che Ricolfo Vescovo magontino, il quale tenne quella Chiesa dall'anno 787 insino all'anno 814, dalla Spagna la portasse in Francia, dove sotto il Regno di Carlo M. ne furono fatti molti esemplari e sparsi per tutto. Ma da ciò che si disse nel precedente libro e da quello che ne dice l'istesso Baronio e Marca, non può farsene autore Isidoro Vescovo di Siviglia, il qual morì nell'anno 636, quando questa collezione abbraccia anche l'epistole di Zaccheria morto nel 752. Altri perciò l'ascrivono ad Isidoro, Vescovo di Sepulueda, che morì nell'anno 805, il qual, seguendo il costume di que' tempi, ne' quali i Vescovi per umiltà solevano sottoscriversi ne' Concilj, ed altrove Peccatori, si fosse detto perciò Isidoro Peccatore e che poi per vizio degli Amanuensi in alcuni esemplari di questa collezione in vece di Peccatore, si leggesse Mercatore. Emanuel Gonzalez rapporta, che questa collezione di Isidoro Mercatore fu pubblicata sotto nome d'Isidoro di Siviglia per darle maggior autorità o perchè realmente da costui fosse cominciata un'altra collezione, ridotta poi a compimento da Mercatore, con averci inserite molte altre epistole sino a' tempi di Zaccheria.

Non solo in questi tempi fu veduta sorgere questa nuova collezione di Isidoro; ma anche se ne vide un'altra sotto nome di Capitoli di Papa Adriano, che in Francia fu divulgata da Ingilramno Vescovo di Metz l'anno 785. Ma questa raccolta, secondo che ci testifica Hincmaro di Rems, non fu ricevuta nel rango de' canoni, di che è da vedersi Pietro di Marca. Anche in Roma, in questo medesimo secolo, fu fatta un'altra raccolta di formole antiche, intitolata: Diurnus Romanorum Pontificum, della quale si servivano solamente i Papi nelle loro spedizioni.

§. II. Monaci e beni temporali.

I nostri Principi ed i Signori grandi non cessavano di far delle donazioni considerabili alle Chiese, ed a fondare de' nuovi monasteri, ed arricchire i già costrutti. Fu veramente questo il secolo de' Monaci: l'ignoranza e la superstizione non men de' laici, che de' Preti era nell'ultimo grado: solo ne' Monaci eravi rimasa qualche letteratura, onde con facilità tiravano per le orecchie la gente a ciò ch'essi volevano: i tanti miracoli, le tante nuove divozioni inventate a qualche particolar Santo, l'istruir essi per l'ignoranza e dissolutezza de' Preti il Popolo, operò tanto che tirarono a se la divozione e rispetto di tutti. Il Re Luitprando costrusse non pur da per tutto dove soleva dimorare, molte chiese, ma anche ben ampj monasterj. Costui edificò il monastero di S. Pietro fuori le mura di Pavia, che a' tempi di Paolo Varnefrido per la sua ricchezza si chiamava Cielo d oro. Edificò ancora in cima delle Alpi di Bardone il monastero di Berceto; ed oltre a ciò fabbricò in Holonna un tempio con mirabil lavoro in onore di S. Anastasio Martire, dove fece anche costruire un ampio monastero. Egli con molta magnificenza per tutti i luoghi ordinò chiese, e fu il primo che dentro il suo palazzo edificò un oratorio dedicato al Salvatore, ordinandovi Sacerdoti e Cherici, i quali ogni giorno vi cantassero i divini ufficj. Quindi cominciarono appo noi a rilucere con maggior dignità e splendore le cappelle regie, le quali da' Sommi Pontefici arricchite poi di molte prerogative ed esenzioni per compiacere a' Principi, che gliele richiedevano, non meno esse che i loro Cappellani s'elevarono cotanto, quanto ravviseremo ne' seguenti libri di quest'Istoria.

I nostri Duchi di Benevento, seguitando l'esempio de' loro Re, non meno in Benevento, che in tutto il loro ampio Ducato ne fondarono de' nuovi ed arricchirono i già costrutti, e sopra ogni altro quello di monte Cassino. Arechi ingrandì quello di S. Sofia in Benevento e di profuse donazioni lo cumulò. A questi tempi nel 707, fu costrutto da que' tre famosi Nobili longobardi beneventani Paldo, Taso, e Tato il famoso monastero di S. Vincenzo a Vulturno con tanta magnificenza, che ne' seguenti tempi quasi emulo di quello di monte Cassino, innalzò i suoi Abati a tanta dignità, ch'erano adoperati ne' più importanti affari della sede di Roma, e de' più potenti Signori di Occidente. Non meno in questo Ducato, che nel napoletano, e nelle altre città sottopposte agl'Imperadori d'Oriente, i monasterj si multiplicarono, non pure quelli sotto la Regola di S. Benedetto, che di S. Basilio, non solamente degli uomini, che delle donne. In Napoli, Stefano Duca e Vescovo costrusse molte chiese e più monasterj, dotandogli d'ampj poderi e rendite; così quello di San Festo Martire, ora unito a quello di San Marcellino; come l'altro di S. Pantaleone, di cui oggi non vi è vestigio; e restituì in più magnifica forma quello di S. Gaudioso. Antimio Console e Duca ne fondò altro, quello de' SS. Quirico e Giulitta, la chiesa di S. Paolo, che la congiunse col monastero di S. Andrea; e così anche fecero non meno i Vescovi e Duchi di Napoli, che gli altri Ufficiali e Prelati delle altre città di queste province, onde ora si compone il Regno; i quali possono osservarsi nella laboriosa opera dell'Italia sacra d'Ughello. Crebbero perciò i Monaci, e le loro ricchezze in immenso; e non minore fu l'accrescimento della loro autorità e riputazione a cagion dell'ignoranza negli altri, e delle lettere che nel miglior modo che si potè in tanta barbarie, fra loro si conservavano.

Fondati perciò tanti monasterj, i Monaci cotanto arricchiti, e vedutisi in tanta elevatezza, tentarono ora più che mai di scuotere affatto il giogo de' Vescovi. Cominciarono, egli è vero, nel precedente secolo i monasterj ad esenzionarsi dalla giurisdizione de' Vescovi, ma ciò, secondo narra Alteserra, non si usava che di radissimo.

(Ne' precedenti secoli furon rarissime le esenzioni de Monaci, ed Isaaco Alberto Archiet. pag. 595 crede, che il primo Abate esente, fosse stato quello del monastero Lirinense, a cui dal Concilio Arelatense III fosse stata conceduta la prima volta esenzione intorno l'anno 455).

L'esempio che in questo secolo diede Zaccheria col monasterio di monte Cassino fece che gli altri di tempo in tempo si rendessero tutti esenti. Lo splendore nel quale era il medesimo in questi tempi, trasse a se tutto il favore de' romani Pontefici, i quali come se fossero presaghi, che da quello, come dal cavallo trojano, ne doveano uscire tanti Pontefici suoi successori, non mai si stancarono di cumularlo di privilegi e di prerogative. Lo rendevano più augusto essersi ivi resi Monaci, oltre a Rachi, Carlomanno, e tanti altri personaggi regali ed illustri; perciò ristabilito col favore de' due Gregorj II e III da Petronace in quella magnifica forma, Zaccheria, emulando i suoi predecessori, volle di maggiori preminenze arricchirlo. Volle egli di sua man propria consecrarlo, ed ivi portatosi con tredici Arcivescovi, e sessantotto Vescovi, rendè più augusta e magnifica la consecrazione. Furono i Monaci pronti a richiederlo, che sì famoso ed illustre monastero dovesse esentarsi affatto dalla giurisdizione del proprio Vescovo, nella cui diocesi era; Zaccheria volentieri gli concedè ampia esenzione, e ne spedì privilegio, col quale non solo quel monastero, ma tutti gli altri appartenenti a quello ovunque posti, fossero esenti e liberi dalla giurisdizione di tutti i Vescovi, ita ut nullius juri subjaceat, nisi solius Romani Pontificis, come sono le parole di Lione Ostiense. Oltre a ciò lo decorò ancora d'altre preminenze, che in tutti i Concilj l'Abate Cassinense sopra tutti gli altri Abati sedesse, e prima degli altri desse il suo voto; ch'eletto da' Monaci dovesse consacrarsi dal Pontefice romano; che il Vescovo entrando nella sua dizione, non potesse celebrare, nè far altra pontifical funzione, se non fosse invitato dall'Abate, o dal Proposito; che non gli fosse lecito esiger decime da lui, nè interdire i suoi Sacerdoti, nè chiamarli a' Concilj sinodali; che gli Abati di questo monastero potessero tener ordinazioni, consecrar altari, e ricevere per qualsisia Vescovo il Crisma. Gli confermò ancora con suo precetto la possessione di tutti que' beni, che per munificenza di tanti Principi longobardi, e di varj Signori avea acquistati. Gli altri Pontefici successori, seguitando le medesime pedate, accrebbero questi privilegi, de' quali l'Abate della Noce ne ha tessuto un lungo catalogo.

Gli altri monasteri sotto altre Regole, ed i loro Abati di non inferior fama e valore con facilità impetravano da' romani Pontefici d'esser ricevuti sotto la protezion di S. Pietro, ed immediatamente sotto alla soggezion pontificia, perchè questa esenzione accresceva in gran parte la lor potenza, e portava grande estensione della loro autorità appresso tutte le Nazioni dell'Occidente; poichè costruendosi tuttavia grandi e numerosi monasteri, retti da Abati di gran fama, i quali per la lor dottrina oscuravano i Vescovi, nacque infra di loro qualche gara; onde gli Abati per sottrarsi dalla loro soggezione ricorrevano al Papa, e tosto impetravano esenzioni, con sottoporsi immediatamente sotto alla soggezion pontificia. Ne ricevevano oltre a ciò altri privilegi, di far essi li Lettori per i loro monasteri, d'esser ordinati da' Corevescovi, e tanti altri. Quindi nacque che il Pontificato romano acquistasse molti defensori della sua autorità e potestà; poichè ottenendo i Monaci tanti privilegi e prerogative, per conservarsegli erano obbligati di sostener l'autorità del concedente; il che facendo ottimamente i Monaci, ch'erano i più letterati del secolo, non passarono molti anni, che si videro tutti i monasteri esentati. Ed in decorso di tempo i Capitoli ancora delle Cattedrali, essendo per la maggior parte regolari, co' medesimi pretesti, impetrarono anch'essi esenzione: e finalmente le congregazioni Cluniacense e Cisterciense, tutte intere furono esentate con gran augmento dell'autorità pontificia, la quale veniva ad aver sudditi proprj in ciascun luogo, ancorchè da Roma lontanissimo, li quali nell'istesso tempo ch'erano difesi e protetti dal Papato, scambievolmente erano i difensori e protettori della sua potestà. S. Bernardo, ancorchè Cisterciense, non lodava l'invenzione, e di tal corruttela, ne portava spesso le doglianze non pur ad Arrigo Arcivescovo di Sens, ma ammoniva l'istesso Pontefice Eugenio III a considerare, che tutti erano abusi, nè si doveva aver per bene, se un Abate ricusava di sottomettersi al Vescovo, ed il Vescovo al Metropolitano. Riccardo Arcivescovo di Cantorbery pur lo stesso esclamava con Alessandro III. Ma costoro che non ben intendevano questi tratti di Stato, non furono intesi, nè alle loro querele si diede orecchio; anzi ne' tempi posteriori, battendosi la medesima via, si procedè più avanti; poichè da poi gli Ordini mendicanti non solo ottennero ogni esenzione dall'autorità episcopale, e generalmente ovunque fossero; ma anche facoltà di fabbricar chiese in qualunque luogo, ed in quelle eziandio ministrar sacramenti: e negli ultimi secoli s'era tanto innanzi proceduto, che ogni privato Prete con poca spesa s'impetrava un'esenzione dalla superiorità del suo Vescovo, non solo nelle cause di correzione, ma anche per poter esser ordinato da chi gli piaceva, ed in somma di non riconoscere il Vescovo in conto alcuno; e quantunque nel Concilio di Costanza alle calde e ripetute querele del famoso Gersone moltissime esenzioni s'annullassero, ed ultimamente nel Concilio di Trento si proccurasse a tanti eccessi qualche compenso; non sono però da poi mancati modi alla Corte di Roma, di far ricadere la bisogna, salva l'autorità del medesimo, in quello stato, che oggi tutti veggiamo.

Questi ingrandimenti dello stato monastico portarono non solo a' Monaci grandi ricchezze, ma in conseguenza assai più alla Corte di Roma, ove finalmente vennero quelle a terminare. Si proccurava non solo favorire gli acquisti, e tener sempre aperte le scaturigini, ma con severi anatemi proibir le alienazioni, e scagliargli ancora contro chi ardiva di turbar l'acquistato. Per l'ignoranza e superstizione de' Popoli i pellegrinaggi erano più frequenti: l'orazioni ed i sacrificj a fin di liberar l'anime de' loro defonti dal Purgatorio, erano vie più raccomandati, e molto più praticati. Si vide per ciò in questo secolo una gran cura del canto, de' riti, e di ben ufficiare: le campane cominciarono ad esser comuni in tutte le chiese e monasteri; e le particolari devozioni a' Santi, de' quali eransi composte innumerabili vite e miracoli, tiravano molti a donare alle lor chiese e monasteri. Ma i Monaci non contenti di ciò, favoriti da' Pontefici romani, invasero anche le decime dovute a' Vescovi ed a' Parrochi da' loro Parrocchiani. Pretesero, e l'ottennero da' creduli devoti, che impiegandosi essi assai meglio che i Preti alla cura delle loro anime, come quelli che più esperti sapevan far delle prediche e de' sermoni, ed istruirgli nella dottrina cristiana, le decime non a' Parrochi, ma ad essi dovessero pagarle; ed in effetto per lungo tempo vi diedero un guasto grandissimo non inferiore a quello che v'avea dato in Francia Carlo Martello; tanto che bisognò ne' secoli seguenti penar molto a ritorglierle, e restituirle a' proprj Preti, a' quali s'erano involate.

Niun'altra provincia del Mondo, quanto il nostro Reame, ha fatto conoscere quanto importava a Roma la ricchezza de' Monaci: le maggiori commende, i più grandi benefizj ch'ella oggi dispensa a' suoi Cardinali, e ad altri suoi Prelati per mantener la pompa e lo splendore della sua Corte, non altronde dipendono, ed hanno la di loro origine se non da queste profusioni de' nostri Principi, e de' nostri Fedeli. I monasteri più ricchi perciò si videro dare in commende: quelli che il tempo consumò, sono rimasi fondi di tante rendite che ora ne traggono, e le entrate di que' tanti monasteri, di che ora appena se ne serba vestigio, tutte in Roma vanno a colare. Quindi i Pontefici romani gareggiando co' Principi, siccome quelli investono i loro fedeli de' Feudi, così essi a' suoi conferiscono benefizj: e siccome per la materia feudale ne è surto un nuovo corpo di leggi, così per la benefiziaria se n'è fatta una nuova giurisprudenza, che occupa tanti volumi, quanti ne ha occupati la feudale; ma di ciò a più opportuno luogo.

FINE DEL LIBRO QUINTO.

STORIA CIVILE

DEL

REGNO DI NAPOLI

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