CAPITOLO III.

Come Arechi mutasse il Ducato beneventano in Principato, e tentasse di sottraersi affatto dalla soggezione de' Franzesi.

Arechi, a cui Desiderio avea sposata Adelperga sua figliuola e creatolo Duca di Benevento, ciò che aveva egli sofferto con suo suocero e ciò che gli altri suoi predecessori usarono con gli Re longobardi, non volle sofferir con Carlo, e sdegnando di sottoporsi ai Principi stranieri ne scosse ogni giogo, e fidato nelle forze del suo Stato e negli animi de' suoi Longobardi da Duca, ch'egli era nomato, volle assumere il titolo di Principe, per mostrar con ciò più chiaramente i suoi sensi, ch'erano di voler essere libero, non ad altri sottoposto. Egli fu il primo, che Principe di Benevento si dicesse, e fu la prima volta che in queste nostre province s'introdusse questo titolo, di cui se si riguardi l'antichità è posteriore a quello di Duca, di Conte o di Marchese, ma se la sua dignità e prerogative, di gran lunga è superiore a tutti gli altri. L'Anonimo Salernitano, se bene non favoloso, come a torto lo reputa il Baronio in alcuni fatti, d'ingegno però e di dottrina puerile, narra ad Arechi, quando era in vita privata, essere avvenuto un prodigioso accidente, per cui fugli presagita questa nuova dignità di Principe, alla quale egli doveva essere innalzato: dice egli che mentre un giorno nella chiesa di S. Stefano, ch'era posta nell'antica Capua, s'erano col Duca Luitprando, che allora reggeva Benevento, radunati molti Baroni longobardi, i quali secondo la loro usanza eran tutti cinti di spada; tra gli altri fuvvi anche Arechi allora giovanetto, e postosi ciascuno a fare orazione cominciò Arechi in voce bassa a recitar il Miserere; e quando venne a quel versetto: Spiritu principali confirma me, sentì tutta tremar la sua spada, come se alcuno la agitasse: pien di spavento e di paura, dopo finita l'orazione, Arechi narrò a' suoi amici il successo. Allora proruppe uno di essi riputato il più saggio, e sì gli disse: Non sarai per uscire di questa instabil vita, per quanto io preveggo, avanti che il Signore non t'innalzi ad una principal dignità. Il che da poi, come soggiunge l'Anonimo, comprovò l'evento, poich'essendo mancato Luitprando, tutti gridarono Arechi Principe di Benevento, ed a dignità sì illustre l'innalzarono.

Ma si sollazzi chi vuole coll'Anonimo con queste ed altre simili puerilità, delle quali è ripiena la sua istoria, egli è costante presso Erchemperto, Ostiense e presso tutte le cronache che abbiamo de' Duchi e de' Principi di Benevento, che Arechi fu il primo che appo noi titolo di Principe s'arrogasse. Non si contenne in questo solo, ma per dimostrar maggiormente il suo assoluto imperio volle d'insegne regali adornarsi: si coprì con clamide ed ammanto regale, strinse lo scettro e si cinse di corona il capo: e perchè nulla mancassegli di regia dignità, si fece anche ungere da' suoi Vescovi, siccome i Re di Francia e di Spagna facevano, ed in fine de' suoi diplomi ordinò che si notasse la data, nella quale erano stati spediti in questo modo: Dat. in Sacratissimo nostro Palatio. E siccome nelle solenni acclamazioni degl'Imperadori cristiani il costume era di ponere le loro immagini nelle chiese, nelle quali queste cerimonie solevan farsi, così anche Arechi fece collocare i suoi ritratti coronati nelle chiese del suo dominio, e con assoluto ed independente arbitrio cominciò a reggere queste province. S'arrogò anche il potere di far leggi, ed oggi giorno ancor leggiamo i suoi Capitolari, nei quali molti regolamenti stabilì: in alcuni capi conformandosi alle leggi longobarde, in altri derogando alle medesime; e ciò che i Re longobardi fecero in tutta Italia, volle praticar egli nel suo Principato.

Nel Codice cavense altre volte riferito, fra gli editti de' Re longobardi, se ne legge anche uno di questo Principe, che contiene diciassette capitoli. Il primo comincia: si quis homo, e l'ultimo finisce: si quis hominum. Camillo Pellegrino lo trascrisse per intero nella sua istoria de' Principi longobardi, annotandovi in che quello si conforma, ed in ciò che differisca dalle leggi longobarde. L'esempio d'Arechi seguitarono da poi gli altri Principi suoi successori come Adelchi, Sicardo, Radelchiso ed altri, come si vede da' loro Capitulari impressi dal medesimo: onde in queste nostre province alle leggi de' Re longobardi s'accrebbero quelle de' Principi di Benevento, per le quali venivano amministrate, e secondo le medesime i Giudici componevan le liti e amministravan giustizia. Il deliberar delle guerre, o delle leghe e delle paci, al Principe Arechi era riserbato, molte ne mosse a' Napoletani, moltissime ne sostenne co' Franzesi; fornir di Magistrati ed Ufficiali il suo Stato; tener cura della giustizia; coniar colla sola sua immagine le monete, e tutte le maggiori e più supreme regalie egli solo s'arrogò e ritenne: in breve tutta la cura dello Stato così nel politico, come nel militare con tutti i diritti di sovranità ad Arechi fu trasferita.

Carlo Re di Francia, il quale dopo aver nell'anno 781 dichiarato Pipino suo figliuolo per Re d'Italia, in altre imprese era intrigato, avendo inteso che Arechi avea scosso il giogo, e che arrogatesi tutte le regali insegne come Sovrano dominava Benevento, stimolato anche da Adriano P. R. al quale queste intraprese de' Beneventani erano pur troppo sospette, ritornò nell'anno 786 con potente armata in Italia; e da poi nel mese d'Aprile dell'anno seguente 787, scorrendo sopra il Principato di Benevento, minacciava anche quella città di stretto assedio. Ritrovavasi in questo anno 787 Arechi anche egli intrigato in una guerra, che sopra i campi Nolani aveva mossa a' Napoletani, onde intesa la venuta di Carlo, il quale con formidabile esercito devastava i suoi Stati, conchiuse tosto la pace co' Napoletani, per sospetto che questi non s'unissero co' Franzesi, e concedè loro alcune sovvenzioni, ovvero, Diaria, come le chiama Erchemperto nella Liburia e Cemiterio, campi che sono intorno Nola fertilissimi e di frumenti e di vini.

Giunto per tanto sopra Benevento l'esercito franzese Arechi prima gli fece valida ed ostinata resistenza, ma non potendo bastare le sue forze ad innumerabile oste, che a guisa di locuste dalle radici rodeva ciò, che paravasi innanzi, munito, come potè meglio, con forti ripari Benevento, ritirossi in Salerno; e fu allora che questo Principe di torri eccelse e mura fortissime cingesse questa città, e che pensassero i nostri Longobardi a fortificarsi nelle città marittime per trovare scampo dall'irruzione de' Franzesi, da' quali non stavano sicuri nelle mediterranee, siccome in quelle di mare, per non avere i Franzesi allora armate marittime, per le quali l'avessero potuto assalire: reso accorto ancora dall'esempio di Desiderio, che per non aver avuto un simile scampo, restò miseramente in Pavia prigione. L'esercito di Carlo intanto devastava il paese è giunto insino a Capua scorreva da pertutto, inferendo danni gravissimi alle campagne ed ai Capuani sopra ogni altro. Allora Arechi posponendo l'amore de' suoi proprj figliuoli alla salute de' suoi sudditi, mandò molti Vescovi beneventani ad incontrar Carlo, ed offerendogli per ostaggi Grimoaldo e Adelghisa suoi figliuoli, gli fece da' medesimi dimandar la pace. Sono pur troppo graziosi, e perciò da non tralasciarsi i colloqui, che l'anonimo Salernitano fa passare tra Carlo e questi Vescovi, i quali rinfacciati dal Re com'essi ardivano comparirgli davanti, dopo aver unto e posta la Corona sul capo d'Arechi lor Principe, non gli seppero dar altra risposta, se non che pieni di paura si prostrorono colla faccia per terra avanti i suoi piedi: il pietoso Re, deposta ogni collera, umanamente trattògli, facendogli alzare e da poi ch'essi furono surti, disse loro: Io veggo i Pastori, ma senza le loro pecore: al che i Vescovi prendendo dall'umanità di Carlo pur troppa fiducia, non ebbero alcun ritegno di rispondere: Venne il Lupo, e ha disperso le pecore; il Re dimandò, qual fosse questo lupo, ed essi risposero: tu se' quegli. Finalmente dopo mille seccaggini lo pregarono, che contento degli ostaggi desse loro pace e risparmiasse la salute ad Arechi ed ai suoi Popoli: ma replicandogli Carlo ch'egli non poteva arrestarsi dal cominciato cammino, avendo giurato di non voler più vivere, se col suo scettro non fiaccava il petto ad Arechi. Allora un di loro chiamato Rodoperto Vescovo di Salerno, allegandogli in contrario l'esempio del giuramento d'Erode, lo consigliava a rompere il giuramento dato, del che il Re non ben pago chiese loro miglior consiglio; i Vescovi cercarono di deluderlo; poichè gli promisero di dargli in mano Arechi, purchè adempiuto il giuramento lo lasciasse regnare ne' suoi Stati. Mentre Carlo con desiderio era portato da' Vescovi di qua e di là perchè si adempiesse da loro la promessa, finalmente lo fecero entrare nella chiesa di S. Stefano, e quivi mostratagli una ben grande immagine d'Arechi, che era in un angolo della Chiesa, ecco Arechi, dissero, che tu cerchi. Allora il Re tutto pieno d'ira e di rabbia minacciò volergli mandare in esilio in Francia, se non attendevano ciò ch'avean promesso; ma i Vescovi tutti atterriti, prostrati di nuovo a terra cominciarono a dimandar misericordia e cercando con molti passi della Scrittura rattemperare il suo sdegno, narra l'Anonimo, che tanto efficacemente adoperaronsi, che in fine giunto il Re rabbioso sopra il ritratto d'Arechi, percotendolo fortemente collo scettro che teneva in mano, e dandogli più colpi nel petto e nel capo, ove era dipinta la corona e ridottolo in più pezzi, dicesse: Questo avverrà a colui, che sopra di se s'arroga ciò che non gli è lecito: e fatto questo, i Vescovi prostrati di nuovo gli chiesero per Arechi la pace. Carlo in fine, ad intercession di tanti gliela concedette. Creda chi vuole queste puerilità dell'Anonimo, egli è però costante appresso Erchemperto che Carlo non passò oltre di Capua, e quivi contento degli ostaggi fermò la pace con Arechi, e lasciogli il Ducato beneventano come lo reggeva. I patti furono, che Arechi s'obbligasse prestargli ogni anno certo tributo: che per ostaggi restassero in suo potere Grimoaldo e Adelghisa suoi figliuoli; e se gli consegnasse il suo tesoro: tutti gli furono accordati; e Carlo mandando un suo Gentiluomo in Salerno, ove Arechi dimorava, a firmargli, furono tosto eseguiti e consegnati al Re gli ostaggi col tesoro. Fece poi il Re ritorno in Francia e seco portonne Grimoaldo, ma Adelghisa fu per molte preghiere restituita in Salerno al suo genitore. E se ciò è vero, com'è verissimo, che Carlo M., non passasse oltre a Capua, e quindi ritornato in Francia, non facesse più ritorno in queste nostre parti, non so dove s'abbia Scipion Mazzella trovato, che Carlo, siccome fece in Parigi ed in Bologna, avesse in Salerno nell'anno 802 istituito quel Collegio, quando questa città non passò mai sotto la sua dominazione, ma fu sempre il sicuro ricovero de' Principi beneventani nelle tante guerre ch'ebbero da poi con Pipino, lasciato dal padre Re d'Italia.

Ma non così tosto il Re Carlo da Capua fu dilungato ed in Francia restituito, che Arechi, poco curandosi de' pegni dati, cominciò a trattar leghe con Costantino figliuolo d'Irene Imperadore d'Oriente, e fra di loro erano già venuti ad una stretta confederazione contro di lui; poichè Arechi aveva mandato suoi Ambasciadori in Costantinopoli cercando ajuto da Costantino, ed insieme l'onore del Patriziato; e ciò che più importava cercogli ancora il Ducato napoletano con tutti i luoghi appartenenti al medesimo, e che con valide forze gli mandasse Adalghiso suo cognato figliuolo del Re Desiderio, che come si disse erasi ricovrato in Costantinopoli, da poi che suo padre fu fatto prigione da Carlo; promettendogli egli all'incontro di voler sottoporsi, ciò che non voleva far con Carlo, al suo imperio, e di vivere all'usanza de' Greci, così nella tonsura come nelle vesti.

In effetto Costantino, abbracciando il partito, mandò subito due suoi Legati in Napoli perchè lo creassero Patrizio, i quali gli recarono le vesti intessute d'oro, la spada, il pettine e le forbici, perchè di quelle Arechi si coprisse e si tosasse, come aveva promesso: nè altro da lui richiese, se non che gli si dasse per ostaggio Romualdo altro figliuolo d'Arechi. Giunti gli Ambasciadori in Napoli furono da' Napoletani ricevuti con solenne apparato, cum Bandis, et Signis, dice Adriano; ma furono guasti tutti questi disegni per due intempestive morti. Morì, mentre queste cose trattavansi, nel mese di luglio di quest'anno 787 Romualdo promesso all'Imperadore per ostaggio, la cui morte immatura accelerò quella dell'infelice padre, e non a bastanza pianto da' Beneventani; il loro Vescovo Davide al suo tumulo erettogli, scolpì que' versi, che vengono rapportati da Camillo Pellegrino ne' tumuli de' Principi longobardi. Poco da poi fu seguita questa morte da quella d'Arechi suo padre, il quale dopo aver regnato in Benevento trent'anni, nel seguente mese di Agosto di quest'istesso anno, fu tolto a' Beneventani in tempo, quando era più a loro necessario, lasciandogli in istato così deplorabile, che rimanendo senza chi li reggesse, furono, come diremo, da dura necessità costretti ricorrere alla benignità di Carlo, sottomettendosi a lui, con condizioni troppo dure e pesanti, purchè rimandasse loro Grimoaldo, ch'e' teneva in ostaggio. Lo piansero perciò i Beneventani amaramente, e gli eressero un maestoso tumulo nella loro città, ove Paolo Varnefrido, che dopo il suo esilio erasi quivi ricovrato, pianse ancor egli la loro sciagura, e lodò l'eccelse virtù di questo Principe in molti versi, che pur leggiamo presso Pellegrino. Ci restano ancora di questo Principe alcune leggi, che veder si possono ne' suoi Capitolari impressi dal medesimo Autore; fra le quali non dee passarsi sotto silenzio quella, per cui vietò le Monache di casa chiamate altramente Bizoche. Aveale nel suo Regno il Re Luitprando ammesse, anzi in una sua legge commendava l'istituto. Ma Arechi avendo scoverto che sotto quel velame si contaminavano di mille laidezze e libidini, sotto gravi pene tolse l'abuso, ed ordinò che fossero chiuse dentro monasteri. Fu Arechi un Principe assai magnanimo e generoso, ed in lui di pari gareggiavano la pietà, la giustizia, la fortezza e tutte le altre virtù. Egli con somma magnificenza ridusse a fine in Benevento il tempio di S. Sofia da Gisulfo incominciato. Eresse due superbi palagi, uno in Benevento, l'altro in Salerno, cingendo questa città d'alte torri, e ben forti mura. Fu amante delle lettere, e careggiò molto i Letterati di que' tempi avendogli in somma stima ed onore. Accolse con molti rispettosi segni Paolo Varnefrido, quando fuggito da Tremiti, ove da Carlo M. era stato esiliato, ricovrossi in Benevento: lo ricevè benignamente, e l'ebbe tra' più cari e fedeli suoi amici; onde Paolo in segno della sua gratitudine compose quell'elogio che fece scolpire nel suo tumulo.

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