CAPITOLO I.

Carlo il Calvo succede nell'Imperio d'Occidente; nuove scorrerie de' Saraceni, accompagnate da altre rivoluzioni e disordini.

La morte di Lodovico portò tali sconvolgimenti, che non pur queste nostre regioni, ma molte parti d'Italia afflissero, e di nuove calamità le riempierono. Da Carlo M. insino ad ora non s'erano eccitate turbe per la successione dell'Imperio. I testamenti de' Principi, mandate via tutte le dubbietà e le tante sottigliezze d'oggi, con somma venerazione erano ricevuti da' successori: ciò che essi ordinavano era prontamente eseguito; e bastava, che o in vita o in morte l'Imperador regnante designasse il suo successore o l'assumesse per Collega, perchè si osservasse il suo volere, come legge inviolabile. Così leggiamo che Carlo M. facesse con Pipino e Lodovico; Lodovico con Lotario, e finalmente Lotario con l'altro Lodovico. Infino ad ora per eleggere l'Imperadore in Occidente non era mestieri convocar Assemblee o Comizj: solo per una semplice e pura cerimonia introdotta già per costume, si ricorreva a' Pontefici romani per la consecrazione ed incoronazione. Ma non avendo Lodovico di se lasciata prole maschile, cominciarono a gara i Franzesi ed i nostri Italiani, ad aspirare a sì sublime dignità. In Francia due furono i più ostinati pretensori, amendue zii del defonto Lodovico, Carlo il Calvo Re di Francia figliuolo di Giuditta e fratello di Lotario padre di Lodovico, e Lodovico Re di Germania fratello dell'istesso Lotario, al quale, secondo la divisione, fatta era toccata la Germania e parte della Lorena, che pochi anni prima s'avevan di buon accordo divisa col suo fratello Carlo.

Altre volte nel corso di quest'Istoria abbiamo in molte occasioni veduto, che le contese de' Principi finalmente han sempre terminato in augumento della dignità ed autorità de' Pontefici romani, ma se in altra congiuntura è avvenuto, in questa precisamente si è ciò più chiaramente veduto. Poichè contendendo questi due Principi dell'Imperio d'Occidente, bisognava, perchè alcun d'essi restasse vincitore, che due cose prima dell'altro competitore proccurasse, cioè di esser il primo ad entrar armato in Italia, e per seconda, di proccurarsi il primo la benivolenza del Papa, perchè tosto agevolasse l'opra colla solennità dell'incoronazione, funzione che appresso i Popoli era stimata il segno più certo dell'assunzione al Trono imperiale. Carlo il Calvo appena avvisato della morte del nipote, non frappose dimora alcuna ad entrar tosto in Italia, e fu più sollecito, che suo fratello Lodovico, il quale se bene avesse mandato prima Carlo il Grosso suo figliuolo ad impedir il passaggio a Carlo, e poco dopo Carlomanno altro suo figliuolo, tardi però giungendo, nulla poterono; di che Lodovico fortemente sdegnato, egli col suo terzo figliuolo Lodovico invase la Francia, portando ivi la sua collera, ostinatamente combattendola.

Intanto Carlo il Calvo approssimatosi a Roma, avendo sollecitato il Pontefice Giovanni VIII ad agevolar il suo disegno, questo Papa non volle perdere sì bella congiuntura, onde potesse dal suo canto ricavarne anche i suoi vantaggi per se e per la sua Sede. Dopo aver portati alla sua volontà i Romani, mandò due Vescovi ad invitar Carlo, che tosto entrasse in Roma a prender la Corona imperiale, ch'egli tenevagli apparecchiata, avendolo scelto sopra tutti gli altri pretensori. Carlo venne a Roma, e nella Basilica Vaticana con gran applauso e solennità fu il giorno di Natale dell'anno 875 incoronato da Giovanni, ed Augusto acclamato; giurando all'incontro di portar sempre le sue armi contra i nemici della Sede, e difenderla con tutte le sue forze. Il Papa per questo fatto volle appropriarsi assai più di quello, che gli altri suoi predecessori avean fatto in congiunture simili, perchè se è vera quella orazione, che di lui si legge presso il Sigonio fatta a' Vescovi, parla in maniera, come se Carlo assolutamente da lui avesse ricevuto l'Imperio, e che la sua elezione totalmente a lui s'appartenesse; onde da ora in poi fu riputato e preteso da' Pontefici romani, che il titolo d'Imperadore fosse un puro e sincero benefizio del Pontefice, e cominciarono per questo a noverar gli anni dell'Imperio dal giorno della Consecrazione pontificia: tanto che non ebber ritegno i successori di rinfacciar agl'Imperadori d'Occidente, l'Imperio esser loro benefizio, di che ci tornerà altrove più acconciamente di ragionare.

Si narra ancora, che Carlo riconoscente di tanti benefizj avuti dal Papa in questa occasione, oltre di aver con preziosi doni arricchita la Basilica di S. Pietro, avesse anche ceduta al Papa la sovranità, che gli altri Imperadori franzesi suoi predecessori ritennero sempre sopra Roma, e che non prima di questo tempo passasse questa città sotto l'independente ed assoluto dominio del Papa; ma tutti questi racconti si rendono favolosi da ciò, che gli Ottoni Imperadori d'Occidente praticarono sopra Roma, come si vedrà più innanzi.

Disbrigato che fu Carlo da Roma, seguitando il costume degli altri Re d'Italia, passò in Pavia, ed ivi dall'Arcivescovo di Milano, come fecero i suoi predecessori, volle prender la Corona regale, e Re di Italia fu acclamato: quindi non molto da poi nella medesima città molti regolamenti stabilì per lo buon governo della medesima.

Potè Carlo intanto finchè visse godersi senza contrasto l'Imperio, e il Regno d'Italia, e quello di Francia, perchè Lodovico Germanico suo fratello, essendo morto in Francfort il dì 28 agosto dell'anno 875, lasciò ampia materia a' suoi figliuoli di guerreggiare per altre imprese. Lasciò Lodovico tre figliuoli, fra quali, secondo il dannabile costume introdotto in Francia, si divisero il Regno paterno. A Carlomanno toccò la Baviera, la Boemia, la Carintia, la Schiavonia, l'Austria ed una parte dell'Ungaria. A Lodovico, la Franconia, la Sassonia, la Frisia, la Turingia, la Bassa Lorena, Colonia e molt'altre città sulle sponde del Reno. A Carlo il Grosso, l'Alemagna, dal Meno sino all'Alpi, e l'altra parte della Lorena.

Ma ecco, mentre Carlo Imperadore regge la Francia e l'Italia, che i Saraceni, i quali da Lodovico II erano stati confinati a Taranto, tornarono di bel nuovo ad infestare queste nostre province e scorrendo sin sopra Bari, minacciavano stragi e ruine all'altre province ancora. Furono obbligati perciò i Napoletani, gli Amalfitani e i Salernitani, non avendo a chi ricorrere, per sottrarre i loro Stati dalle imminenti irruzioni, alle quali essi colle proprie lor forze non potevano far argine, di trattar co' Saraceni, come meglio poterono, la pace, la quale non vollero costoro ricevere, se non sotto condizione, che dovessero con le proprie unire le loro armi, affinchè insieme aggiunte, sopra il Ducato romano e contro Roma istessa potessero portarle: fu accordata la lega con sì dure condizioni; di che avvisato il Papa Giovanni VIII tosto ricorse all'Imperadore, il quale in suo ajuto mandogli Lamberto Duca di Spoleto e Guido suo fratello. Venne il Papa istesso in quest'anno 876 accompagnato da' medesimi in Napoli, ed in queste nostre parti, guidando egli l'impresa. Fu questa la prima volta, che si videro i Papi alla testa d'eserciti armati, per cagion per altro apparentemente pietosa, per reprimere la ferocia de' Saraceni, che tentavano sconvolgere i loro Stati e metter sossopra il Ponteficato. Usò Giovanni tutti i suoi sforzi per romper questa lega, e tirare alla sua parte questi Principi, che s'erano collegati co' Saraceni; e fu tale l'opera sua con Guaiferio Principe di Salerno, che non solo lo distaccò dalla lega, ma contra i Napoletani ostinati fecegli voltar le armi.

Era in quest'anno Duca di Napoli Sergio, il quale per aver imprigionato Attanasio suo zio, Vescovo di Napoli, era nell'indignazione di molti: costui non volle in conto alcuno distaccarsi da' Saraceni, non ostante l'increpazioni del Papa; fu perciò il medesimo immantinente scomunicato da questo Pontefice, e gli mosse contro Guaiferio, il quale combattè co' Napoletani, e fattone ventidue prigionieri, il Papa fecegli tutti decapitare.

Era Vescovo di Napoli in questi tempi Attanasio fratello di Sergio, che all'altro Attanasio suo zio era nella cattedra succeduto, il quale per fare cosa grata al Papa, conculcando tutte le leggi del sangue e della natura, portato anche dall'ambizione, imprigionò il proprio suo fratello e cavatigli gli occhi lo presentò al Papa in Roma: Giovanni gradì molto il dono, e fattolo rimanere a Roma, finì quivi miseramente la sua vita. Proccurò da poi Attanasio, che in luogo di Sergio fosse egli eletto Duca, e così con esempio non nuovo, si vide Attanasio insieme Vescovo e Duca di questa città. Fu quest'Attanasio uomo di torbidi pensieri, e che durante il suo governo inquietò gli altri Principi suoi vicini, e pose sossopra queste nostre province. Egli per salvare il proprio Ducato, posposto ogni rispetto, ancorchè fosse in dignità Vescovile, portato dalla sua ambizione, non ebbe alcun ritegno di rinovar la lega co' Saraceni; gli apparecchiò quartieri presso Napoli, e gli unì co' Napoletani, mandando in iscompiglio i Beneventani, i Capuani ed i Salernitani, iscorrendo insino a' confini di Roma, ove non vi era cosa indegna, che non si tentasse, tutto depredando.

Il Papa ciò vedendo fulminò contro Attanasio i suoi anatemi terribili, nell'anno 881 lo scomunicò, lo maledisse, e secondo ciò che narra Erchemperto, l'istesso fece a Napoli città sua: di che ne rendono a noi testimonianza le stesse epistole di questo Pontefice, che ancor ci restano. Scomunicò eziandio gli Amalfitani. Il medesimo sarebbe avvenuto a' Salernitani ed a Guaiferio lor Principe, se atterrito da tali fulmini non si fosse distaccato dalla lega. E vedendo di vantaggio il Papa inondar con pieni torrenti i Saraceni per tutti i lati, scrisse anche più lettere e mandò più legati a Carlo il Calvo, al quale ricordando i benefizj fattigli, lo stimolava instantemente, che tosto, ad esempio del suo predecessore Lodovico, calasse in Italia con potente armata per discacciargli, altrimente tutto sarebbe andato in rovina, e caduta in man dei Barbari Roma, con irreparabil ruina della sua Sede, di cui egli avea giurato esserne difensore.

Questi esempj dovrebbero far ricredere a molti esser poco sicura l'opinione di coloro, che scrissero gl'Interdetti generali locali non essere più antichi de' tempi di Gregorio VII, e che questo Pontefice fosse stato il primo, che gli avesse introdotti nella Chiesa, castigando così i Popoli per le scelleratezze de' Principi; poichè se è vero ciò che narra Erchemperto, che fiorì intorno a questi medesimi tempi, o poco da poi, la città di Napoli patì veramente tal disavventura per li perfidi e scellerati costumi del suo Vescovo e Duca, che obbligò i Napoletani a far lega co' Saraceni. Oltre che, tralasciando più antichi esempj d'altri paesi, abbiamo noi un altro esempio illustre nel Principato di Benevento, dove Errico II Imperadore, avendovi posto per reggerlo Pandolfo, perchè i Beneventani non vollero ubbidirlo, l'Imperadore che andava di concerto con Papa Clemente, proccurò l'anno 1010 che il Pontefice scomunicasse i Beneventani; nè furono assoluti, se non dieci anni da poi, quando Lione IX che a Clemente succedè, venuto in Benevento, non togliesse l'Interdetto.

Ma nell'istesso tempo che Carlo s'apparecchiava di calare in Italia per soccorrere il Papa, giunto con picciol numero di truppe in Pavia, dove il Papa venne a trovarlo, ecco che Carlomanno lo previene e calato egli in Italia con potenti eserciti, tentò di scacciarne il Calvo, aspirando all'Imperio ed al Regno d'Italia. Carlo sorpreso di tal mossa, ripigliò il cammino verso la Francia, e giunto all'Alpi, assalito da una febbre, non senza sospetto di veleno, finì quivi i giorni suoi nel dì 6 del mese d'aprile dell'anno 877, in età di 54 anni: il suo corpo fu seppellito a Vercelli, e sette anni da poi fu portato in S. Dionigi.

§. I. Maggiori disordini e calamità in queste nostre province per la morte di Carlo il Calvo, ne' tempi di Carlomanno.

Morto il Calvo, e succeduto in Italia Carlomanno, s'accrebbero i disordini e le calamità; poichè Carlomanno non potendo soccorrere le nostre Province, per essere impiegato in altre imprese, i Saraceni imperversando assai più, misero il tutto in iscompiglio e desolazione.

S'aggiunse ancora la discordia de' nostri Principi stessi; poichè i Capuani per la morte accaduta di Landulfo nell'anno 879 si divisero in fazioni. Lasciò costui più nepoti, i quali accelerarono maggiormente la ruina di questo Contado, perchè fra di loro egualmente se lo divisero. A Pandonulfo Conte di Capua, che gli succedè, toccò Tiano e Casamirta, che altri dicono Caserta. A Landone, Berolassi e Sessa. All'altro Landone, Calinio e Cajazza: e così vennero d'uno Stato a farsene molti divisi in più pezzi, che portò finalmente la ruina de' nostri Principi longobardi, perchè infra di lor divisi le cose terminarono in fazioni e guerre intestine, onde diedesi pronta occasione alle altre Nazioni d'approfittarsi de' loro sconcerti e disordini. Sorse perciò anche quell'antica consuetudine appresso i medesimi, di non preporre il primogenito nelle successioni de' Feudi agli altri fratelli minori, ma ammetter tutti egualmente, contro l'istituto de' Franzesi, che per non dividere i Stati, al primogenito gli deferivano; e quindi in questo nostro Regno s'introdusse quella distinzione, che nelle successioni, alcuni Feudi si regolavano secondo il jus de' Longobardi, altri secondo il jus Francorum, che prevalse finalmente come più provvido e saggio, come a più opportuno luogo diremo.

E se bene a Pandonulfo fosse stata da Giovanni VIII conceduta Gaeta, non furono però i Capuani così dolci nel trattar i Gaetani, che perciò non ne sorgessero nuovi sconcerti e ravvolgimenti, siccome in tutto il suo Stato; tanto che dopo tre anni ed otto mesi ne fu Pandonulfo cacciato, ed eletto in suo luogo nell'anno 882 Landone, il quale, governando inettamente Capua, non durò più che due anni a reggerla; poichè datosi con ciò occasione ad Atenulfo suo fratello d'invaderla, fece sì questo valoroso e prode Capitano, che discacciandolo nell'anno 887 ristabilì in miglior forma il Contado di Capua, e portato dal corso della sua fortuna, fu al Principato di Benevento innalzato, venendo con ciò ad unirsi questi due Stati dopo il corso di molti anni, in una medesima persona, come diremo.

Non minori furono i disordini nel Principato di Benevento, perchè Adelghiso, mentre tutto festante ritorna in Benevento dopo la presa del castello Trabetense, che alcuni dicono essere Trivento, per una congiura fu da' suoi nepoti ed amici crudelmente ucciso nell'anno 878, dopo aver dominato in Benevento anni 24 e mezzo: quindi di questo Principe non si legge alcun tumulo, come degli altri appresso Pellegrino. Si legge però presso il medesimo un suo Capitolare, ove molte leggi stabilì, alcune conformi alle antiche dei Re longobardi, altre difformi alle medesime.

Nacquero perciò disordini gravissimi nello Stato, perchè succedutogli nel Principato Gaideri suo nipote, figliuolo di Radelgario, che per forza d'ambizione ne escluse Radelchi figliuolo primogenito dell'ucciso Adelghiso, i Beneventani dopo due anni e mezzo lo deposero e mandarono prigione in Francia, portando al soglio Radelchi figliuolo, come si disse, d'Adelghiso; ma non tardò guari, che Gaideri fuggito di Francia, si ritirò in Bari, sotto la protezione de' Greci; poichè questa città, la qual era prima governata da' Castaldi che vi mandavano i Principi di Benevento, perchè si vide sovente in mano de' Saraceni, considerando che i Beneventani per più volte l'aveano perduta e che non potevano difenderla contro le spesse incursioni de' medesimi, era in questi tempi passata sotto il dominio de' Greci, perchè i Baresi, come fu detto, si diedero a Gregorio Straticò, che chiamarono da Otranto, città che pure era ritornata sotto la dominazione de' Greci. E portatosi per ciò Gaideri in Costantinopoli all'Imperador Basilio, fu da costui ricevuto cortesemente, concedendogli il governo per tutto il tempo di sua vita della città d'Oria, donde non cessò mai di molestare i Beneventani, che da quel dominio l'aveano scacciato.

Nè Radelchi, combattuto da tante altre parti, potè molto godersi del suo Principato, poichè insorta non molto da poi guerra tra Napoletani ed Amalfitani da un canto, e tra Capuani e Beneventani dall'altro, tutto andò in confusione: e dopo il dominio di pochi anni ne fu scacciato nell'anno 883, e posto in suo luogo Ajone suo fratello. Ma nè pure questo Principe potè molto godersi e con tranquillità il suo Stato, poichè preso da Guido Duca di Spoleto, sebbene per opera de' Sipontini, che in questo incontro mostrarono gran fedeltà al lor Signore, fosse stato sprigionato e restituito a Benevento, Gaideri che la città d'Oria teneva, gli mosse contro i Greci, co' quali ebbe spesso a combattere. E morto dopo sette anni di Regno perturbato, succedutogli nell'anno 890 Orso suo figliuolo, che non avea più che dieci anni, si diede l'ultima mano alla ruina de' Principi longobardi in Benevento; e che finalmente presa questa città da' Greci, passasse da' Longobardi, dopo 330 anni che la tennero, sotto la dominazione di Lione Imperadore d'Oriente figliuolo di Basilio; poichè questo Principe fortemente crucciato contro Ajone, e stimolato da Gaideri, nel seguente anno 891 mandò un'armata formidabilissima in queste nostre regioni sotto il comando di Simbaticio Protospatario per debellar Benevento, il quale cinta che l'ebbe di stretto assedio, dopo tre mesi se ne rese Signore insieme con altri luoghi del suo dominio, scacciandone l'infelice Orso, che non più d'un anno l'avea tenuta. Così Benevento dopo 330 anni, da Zotone primo Duca insino ad Orso, passò sotto gl'Imperadori d'Oriente, e venne governata per un anno dall'istesso Simbaticio, che la conquistò; dopo il quale fuvvi mandato dall'Imperadore per successore Giorgio Patrizio, che insino all'anno 895 la governò.

§. II. Calamità nel Principato di Salerno.

Ma più gravi e lagrimevoli furono le calamità di Salerno, la quale più volte invasa da' Saraceni, sostenne le più crudeli stragi e scorrerie non mai intese, tanto che furon più volte obbligati i suoi cittadini colle intere lor famiglie andar cercando ricovero altrove. Non bastarono i Saraceni solamente, ma a loro danno s'unirono anche i nostri Principi medesimi, e sopra tutto il nostro Duca di Napoli Attanasio, il quale unito con que' Barbari devastò tutto il suo paese, riducendo il Principe Guaimaro, che a' Guaiferio suo padre era nel Principato di Salerno succeduto nell'anno 880, in tali angustie, che per far argine a tante inondazioni, non bastando le proprie forze, fu da dura necessità costretto di ricorrere insino ad Oriente agli aiuti degl'Imperadori Lione ed Alessandro figliuoli di Basilio, da' quali fu opportunamente soccorso: ed oltre a ciò, gli spedirono una bolla d'oro, rapportata anche dal Summonte, colla quale gli confermarono il Principato di Salerno nella guisa appunto, che era stata fatta la divisione tra Siconolfo e Radelchisio.

Non fu veduto al Mondo uomo più perfido ed infido di questo Attanasio, il quale, ora facendo lega co' Saraceni, ora distaccandosene secondo il bisogno, pose in iscompiglio queste nostre province; quando i Saraceni inondavano i Principati vicini, e con felicità portavano le loro armi da per tutto, egli per ispegnere l'incendio, che vedeva negli altrui Stati, temendo che non s'inoltrasse infino alla propria casa, proccurava unirsi co' Principi vicini con dar loro soccorso: quando poi per qualche strana rotta data loro da' Greci o dai Principi longobardi, mancava il timore, s'allontanava da questi e riunivasi co' Saraceni. Così una volta accadde, che tenendo in quartiere molte schiere di Saraceni alle radici del Vesuvio, mandò sin in Sicilia a chiamar Suchaim Re, perchè facendosi de' medesimi Capo gli guidasse; ma essendogli avvenuto da poi, che costui cominciò a devastar il proprio paese, e a fare a' Napoletani oltraggi e danni insopportabili, commosso da sì fiero turbine, tosto pensò d'unirsi e far lega con Guaimaro Principe di Salerno e con li Capuani per discacciargli, siccome in fatti gli riuscì. Narra Erchemperto, che in quest'incontro fu punto Attanasio da' stimoli di coscienza, e che pensasse far questa lega per discacciargli, affinchè anche per sì pietosa impresa potesse meritar dal Papa l'assoluzione dalle censure, delle quali egli e Napoli sua città, sin dal mese d'aprile dell'anno 881 era stato legato.

Così per l'ambizione e per le gare de' nostri Principi, non videro queste province, che ora compongono il Regno, tempi più calamitosi di questi, ne' quali erano combattute insieme e lacerate non men da' propri Principi, che da straniere nazioni. Pugnavano insieme i Beneventani, i Capuani, i Salernitani, i Napoletani, gli Amalfitani ed i Greci; e quando questi stanchi de' propri mali cessavano, eran sempre pronti ed apparecchiati i Saraceni, i quali sparsi da per tutto, ed avendosi in più luoghi del Regno stabiliti ben forti e sicuri presidj, nel Garigliano, in Taranto, in Bari e finalmente nel Monte Gargano, afflissero così miseramente queste province, che non vi fu luogo ove non portassero guerre, saccheggiamenti, calamità e morti; onde non pur i due più celebri e ricchi monasteri di Cassino e di S. Vincenzo più volte ne patirono desolazioni e incendj, ma queste istesse calamità furono sofferte anche da città più cospicue e da province intere.

Non era donde sperar aiuto e ricever soccorso; poichè le forze degl'Imperadori d'Oriente eran lontane e deboli. Molto meno era da sperarne dagl'Imperadori d'Occidente: morto Lodovico II che si rese celebre al Mondo per avergli tante volte scacciati da queste province e confinatigli nell'ultime città, non poteva alcun promettersi da' suoi successori soccorso, perchè Carlo il Calvo che gli succedè, impedito da Carlomanno suo competitore, ad altro fu uopo che drizzasse le sue armi. E Carlomanno, che, morto il Calvo, per tre anni tenne il regno d'Italia, come quello che aveva altre imprese per le mani, per aversi dovuto opporre a' sforzi di Lodovico il Balbo figliuolo del Calvo, che per se lo pretendeva, non potè pensare a queste nostre remote parti.

S'aggiunsero alle presenti altre calamità in tutta Italia; poichè per la morte del Calvo, stando vacante l'Imperio, ancorchè Carlomanno tenesse il regno d'Italia, che con molta celerità occupollo, Lamberto Duca di Spoleto sorprese Roma, e pretese dal Papa la Corona imperiale. Il Pontefice fuggì in Francia, e soccorso da Lodovico III detto il Balbo, volendo ricompensarlo per tanti beneficj prestatigli in quest'occorrenza, lo consecrò in Francia Imperadore, e lo fece acclamare Augusto. Ma Lodovico, ancorchè acclamato Imperadore, non ebbe in Italia dominio alcuno, ritenendo il Regno Carlomanno; e si vide il Regno d'Italia nella persona di Carlomanno, ancorchè egli non fosse Imperadore. Ciò che maggiormente rende chiaro e manifesto quel che spesse volte abbiam notato in quest'Istoria, che gl'Imperadori d'Occidente, risorto l'Imperio, non dominarono Italia come Imperadori, ma come Re ch'essi n'erano; nè Carlo M. aggiunse all'Imperio l'Italia, siccome non fece membro del medesimo la Francia; e le leggi loro che per l'Italia furono lungamente osservate e che alle longobarde furon aggiunte, non come Imperadori, ma come Re della medesima ebbero tutto il vigore. In fatti gli antichi nostri Scrittori nel Catalogo delle leggi longobarde, noverando le leggi de' Re d'Italia, dopo quelle stabilite da' Re longobardi, numerano l'altre di Pipino sino a Corrado, come Re, non come Imperadori.

S'unirono però ben tosto queste due supreme dignità nella persona di Carlo il Grosso: poichè morto nell'anno 880 Carlomanno suo fratello, con incredibil sollecitudine si portò in Italia, ove accolto benignamente dagl'Italiani fu dall'Arcivescovo di Milano, secondo il costume, per Re d'Italia incoronato ed unto; e non molto da poi richiamato da Giovanni in Italia, prese da questo Pontefice, nel giorno di Natale dell'anno 881, la Corona imperiale, e fu Augusto proclamato.

Ben fu Carlo il Grosso spesse volte chiamato dal Papa perchè soccorresse queste province, che erano tuttavia da' Saraceni malmenate, e ben egli sin a Ravenna a questo fine portossi; ma bisognò che tosto ritornasse in Francia, ove lo richiamavano mali più gravi, e più perniciose ruine. Fu in questi tempi, che la prima volta i Popoli normanni si ferono sentire, li quali usciti dall'ultima Scandinavia, scorrendo e mettendo sossopra la Francia, portarono l'assedio insino a Parigi, tanto che finalmente per quietargli bisognò assegnar loro per sede la Neustria, quella provincia che insino ad oggi per essi ritiene il nome di Normannia.

Peggiori furono i sconvolgimenti in quel regno per le contenzioni insorte dopo la morte di Lodovico Re di Francia, e poi di Carlomanno suo fratello; le quali finalmente trasportarono l'Imperio da' Franzesi agli Italiani. Allora fu che, vedendo i nostri italiani ruinata e divisa la Francia, cominciarono a pensare, che se Carlo il Grosso venisse a mancare senza lasciar di se stirpe maschile, non bisognava badar ad altro, ch'eleggere un Imperadore italiano, affinchè non essendo distratto in altri governi ed in paesi lontani, potesse meglio reggere l'Italia e difendere la Sede appostolica, la quale per spesse incursioni de' Saraceni insino alle porte di Roma, sovente erasi veduta in pericoli gravissimi; riputando in Italia l'antico valore non esser per anche estinto; e che ben v'erano personaggi tali a chi potesse appoggiarsi questa dignità. Persuasero perciò ad Adriano III, che allora reggeva la Sede appostolica, d'interporre a lor richiesta (se dee prestarsi fede al Sigonio, che ne rapporta le parole) questo decreto: Ut moriente Rege Crasso sine filiis, Regnum Italicis Principibus una cum titulo Imperii traderetur. Siccome in fatti morto nel mese di gennajo dell'anno 888 questo Imperadore, il quale nella sua sola persona aveva unito i tre più insigni regni d'Europa, Germania, Italia e Francia, e che perciò uguagliò le grandezze di Carlo il Grande: postisi in su i nostri Italiani, di far ricadere presso la lor nazione il regno d'Italia e l'augusto titolo d'Imperadore, e pensando con ciò ristabilir meglio le sue province, portarono nelle medesime tali sconvolgimenti e tali disordini, che non fu veduta mai l'Italia così miseramente afflitta e travagliata per le discordie interne de' Popoli e per la perfidia e scelleratezza dei Principi, se non in questi tempi, ne' quali giacque sotto i Berengarj ed i Guidi, l'un Duca del Friuli e l'altro di Spoleto, come più innanzi diremo.

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