CAPITOLO II

Dello stato nel qual eransi ridotte in questi tempi la giurisprudenza e l'altre discipline; e delle nuove compilazioni delle leggi fatte per gl'Imperadori di Oriente.

Ecco lo stato infelice e lagrimevole nel quale erano ridotte queste nostre province nel declinar del nono secolo; ed avesse piaciuto al Cielo, che qui fossero terminate le loro sciagure: sarebbe veramente impertinenza pretender in tempi sì rei, che le discipline fra tanti sconvolgimenti si fossero mantenute nella loro purità e nettezza. Tutto era disordine, tutto confusione: solamente in Roma, nel che tutta l'obbligazione devesi a' romani Pontefici ed a' Monaci e Cherici, si ritenne qualche letteratura, e la lingua latina non rimase affatto estinta, almeno nelle scritture. Quindi avvenne, che gli uomini di lettere fossero stati poi chiamati Cherici, siccome gl'illetterati si nomavano Laici; onde nacque, che presso gli Scrittori della più bassa età, come in Dante, in Passavanti ed in altri, per Cherici intendevansi i Letterati e per Laici gl'idioti. Nel che tanto più sono degni di commendazione, quanto che se bene Gregorio I. R. P. avessegli vietato d'impiegare i loro studj sopra Gentili autori, per cancellare ogni memoria dell'antiche discipline, e quindi con molto calore rampognasse Didicrio Vescovo di Vienna, perchè insegnava la Gramatica, pure tra tante inondazioni, la Chiesa romana, per quanto la condizione de' tempi comportava, ritenne qualche reliquia della gentile erudizione, la quale altrimente sarebbe affatto perduta e posta in obblivione. Chi crederebbe, che la filosofia, la medicina, l'astrologia e tant'altre scienze, i Saraceni l'avessero in questi tempi fra noi fatte risorgere per lo studio che gli Arabi posero sopra i libri d'Aristotele, di Galeno e d'altri Autori, onde Averroe, Avicenna, e tanti altri si resero cotanto celebri e rinomati? Quindi nelle nostre Scuole per lungo tempo si videro le discipline, la filosofia e la medicina sì malamente trattate; e posti in dimenticanza tanti altri insigni Filosofi, tener solo Aristotele il campo e contaminarsi anche per ciò la teologia, la matematica e tutte l'altre scienze, come diremo a più opportuno luogo.

E per ciò che riguarda la nostra giurisprudenza, erano iti in bando i libri di Giustiniano, ed in Italia quasi che sconosciuti, e la legge romana sol per tradizione era rimasa nell'infima plebe, ch'è l'ultima a deporre gli antichi istituti e le leggi de' suoi maggiori: solamente le Novelle di Giustiniano erano dagli Ecclesiastici ritenute, e dai R. P. sovente allegate; e del Codice Teodosiano, come quello che fu da Carlo M. tenuto in conto ed emendato, avevasi qualche uso. All'incontro le leggi longobarde erano le dominanti, alle quali aggiunte le altre, che da questo Principe e dagli altri suoi successori come Re d'Italia erano state promulgate, si dava tutta l'autorità e tutto il vigore ne' nostri Tribunali; e secondo quelle ogni lite era terminata.

E poichè tratto tratto eransi già introdotti in queste nostre province i Feudi in più numero, cominciarono quindi a sorgere le Consuetudini, non già leggi feudali, poichè il primo che avesse fra noi sopra de' medesimi promulgata legge scritta fu Corrado il Salico, come diremo. Le loro regole ed usi per la maggior parte eran tratti, come s'è detto, dalle leggi longobarde; ma vi ebbero parte ancora le leggi e le costumanze d'altre nazioni: da' Sassoni e Turingi la perpetua esclusione delle femmine dalla loro successione: da' Normanni e Borgognoni il costume di preferire i primogeniti: dagl'istessi Normanni l'uso di pagare i rilevj nelle rinovazioni delle antiche investiture. Da' Longobardi l'anteporre la donzella, che chiamavano in capillis, alla sorella maritata e dotata, ne' luoghi ove le femmine (come nel nostro Regno) son capaci di Feudi. Dai medesimi Longobardi l'uso de' sacramentali; e il determinato numero de' dodici, non tanto da' Longobardi, quanto da' Ripuarj, fu derivato. Parimente la necessità d'avere ad intervenire i Pari della Corte così nelle nuove investiture, come ne' giudicj di privazione dei Feudi, dagli Alemanni i nostri maggiori l'appresero: siccome le loro successioni, secondo le consuetudini de' luoghi si regolavano, non già per leggi scritte, onde la ragion di succedere divenne così varia e diversa; quindi i compilatori di questo dritto saggiamente le dissero Consuetudini: del che ci tornerà occasione di un più lungo discorso, quando della compilazione dei Libri feudali farem parola. Quindi parimente avvenne, che la legge romana declinasse tanto e sol fra la plebe come antica usanza si ritenesse; perchè riempiendosi queste nostre province per la multiplicità de' Feudi, di non mediocre numero di Baroni, erano solamente le leggi longobarde, e queste Consuetudini feudali, le quali in gran parte dalle medesime derivano, riverite ed osservate, ed era quasi come un marco di nobiltà in coloro, i quali secondo la legge longobarda, e non romana, viveano. Ed ancorchè Carlo M., Pipino, Lotario e Lodovico avessero lasciato in libertà a' provinciali di vivere sotto quella legge che volessero, per la maggior parte però la longobarda era eletta. S'aggiungeva ancora, che le donne maritandosi, se pure viveano sotto la romana, dovean poscia vivere sotto la longobarda, secondo la quale regolarmente viveano i loro mariti, del che presso Doujat n'abbiamo un chiarissimo e singolar esempio.

Ma le leggi longobarde e le Consuetudini feudali aveano solamente in quelle province, ch'erano sottoposte a' Principi longobardi, tutta la loro forza e vigore; poichè insino a questi tempi, non l'aveano ancora acquistata nel Ducato napoletano, ed in tutte quelle città e luoghi dove ancor durava l'Imperio dei Greci, i quali non riconobbero le longobarde, e perciò nè meno i Feudi. Forse perciò alcuno stimerà, che almeno in questi tempi nel Ducato napoletano, in Amalfi, Gaeta, ed in tutte quelle regioni sottoposte a' Greci si vivesse secondo le leggi di Giustiniano, e tanto più in questi tempi, ne' quali i Greci avean ritolti molti luoghi a' nostri Principi longobardi, e Bari, Taranto e Benevento eran ritornati sotto la loro dominazione.

Ma resterà sorpreso quando intenderà, che i Libri di Giustiniano non ebbero minore disavventura in Oriente di quella s'avessero in Occidente, e perciò nè meno da quelle città e province che lungo tempo si mantennero sotto l'Imperio de' Greci, furono riconosciuti. Questo nacque parte per dappocaggine di Giustino, che a Giustiniano successe, ma molto più per invidia che ebbero gli altri Imperadori successori alla gloria di Giustiniano, i quali proccurarono per mezzo di nuove Costituzioni e Novelle, e di nuove compilazioni di oscurare i suoi libri. E poichè la maggiore scossa, che riceverono, fu in questo medesimo nono secolo, nel quale siamo, quando nell'anno 870 l'Imperador Basilio, e poco da poi Lione e Costantino suoi figliuoli ordinarono quella cotanto celebre compilazione de' Basilici; perciò sarà bene, che delle tante compilazioni fatte da' Greci e delle opere de' loro Giureconsulti, i quali intorno a questo soggetto impiegarono le loro fatiche, qui distesamente se ne ragioni; donde si scorgeranno le vere cagioni perchè le leggi di Giustiniano, così nel Ducato napoletano, come in tutte l'altre città a' Greci sottoposte, non avessero avuto quel vigore e quella autorità, la quale fu veduta poi in queste regioni avere, quando risorte in Italia ai tempi di Lotario II, ed esposte nelle nostre Accademie, acquistarono poi ne' nostri Tribunali quella forza, che ogn'un ora vede. E mi lascio tanto più volentieri condurre a farlo in questo luogo, in quanto che rincrescendomi tra tante sciagure e miserie andarmi più ravvolgendo, si possa prendere alcun respiro con le lettere, che in Grecia non erano in questi tempi, come in Italia, affatto mancate e spente.

I. Nuove compilazioni di leggi fatte in Grecia; e qual uso ebbero fra noi in quelle città, che ubbidivano a' Greci.

I Libri di Giustiniano, cioè le compilazioni delle Pandette, del Codice e dell'altre costituzioni Novelle, morto il suo autore, presso a' Greci medesimi riceverono sì strane mutazioni, che finalmente mandati in bando, non in quelli, ma in altri volumi contenevasi il dritto de' Romani. In Oriente accadde questa loro oblivione principalmente per due cagioni; la prima per le tante altre nuove Costituzioni, che da' seguenti Imperadori (incominciandosi da Giustino il Giovane dall'anno 566, insino a Michele Paleologo nell'anno 1260) furono da tempo in tempo promulgate, per le quali spesso variandosi e correggendosi ciò che Giustiniano aveva stabilito ne' suoi libri, cagionarono tali cangiamenti e novità, che i Professori e gli Avvocati, quelli abbandonati, s'attaccarono ad esse, come quelle nelle quali era riposto ciò che per l'uso del Foro bisognava e per la decisione delle cause, nulla curando de' Codici di Giustiniano, alle leggi de' quali per le tante correzioni da poi seguite, poco o nulla autorità si dava, e perciò l'uso delle medesime andava mancando.

L'altra cagione furono le tante altre collezioni, ovvero compilazioni da poi fatte, alcune più ristrette, altre più ampie, dagli Imperadori successori, le quali oscurarono quelle fatte da Giustiniano. Le collezioni più ristrette, essendo di varie sorti, acquistarono perciò diversi nomi: altre furon dette Prochira, cioè Promptuaria: altre Enchiridia, cioè Manualia: alcune altre Ecloghe, cioè Delectus, ovvero collezioni di cose più scelte, dette ancora Sinopsis, Epitome, cioè compendj. Le collezioni più ampie quasi tutte sortirono un istesso nome di Basilici, cioè Imperiali, non come credettero alcuni, che prendessero tal nome da Basilio Imperadore, che fu il primo a comporle. Presso i Greci Basileos è l'istesso, che Re o Imperadore, perciò le collezioni, che contenevano le loro Costituzioni, si dissero Basilici, cioè Imperiali.

E per quanto s'attiene alla prima cagione delle tante Costituzioni imperiali, per togliere le confusioni bisogna dividerle in due classi. Quelle stabilite da Giustino il Giovine sino all'Imperador Basilio il Macedone e suoi figliuoli, è duopo separarle dalle posteriori promulgate dopo Basilio, le quali prima vagando sotto il nome di Novelle, furono finalmente raccolte insieme, serbandosi per lo più l'ordine de' tempi ne' quali furono stabilite.

Si numerano dieci Imperadori, da' quali furono le prime promulgate: essi furono Giustino il Giovane, Tiberio parimente il Giovane, Eraclio, Costantino V Pogonato, Lione III Iconomaco, Lione V Armeno, Teofilo e Basilio Macedone con Lione e Costantino suoi figliuoli. Per quarant'anni dopo la morte di Giustiniano sotto gli Imperadori Giustino, Tiberio e Maurizio, i libri di Giustiniano, così latini come furon dettati, ebbero in Costantinopoli, nell'Accademie e nel Foro tutta la loro autorità e vigore; ma succeduto nell'Imperio d'Oriente Foca, inettissimo Principe, costui, siccome non seppe reprimere le invasioni di tante straniere nazioni che gran parte del suo Imperio occuparono, nè tampoco seppe conservare le leggi; onde se bene non affatto fosse mancata l'autorità de' libri di Giustiniano, si videro però trasformati e trasportati in idioma greco, e da' greci Giureconsulti, come nuovo corpo di legge greca, riputati; dal quale e dalle Novelle, che tuttavia andavansi stabilendo, erano nel Foro le leggi allegate; onde in Oriente i Codici di Giustiniano cominciarono a perdere l'antico vigore.

Ma scossa maggiore ricevettero per le tante altre Costituzioni Novelle, che seguirono in appresso dopo Basilio e' suoi figliuoli. Si noverano sino a diciassette Imperadori, che nel corso del loro Imperio le stabilirono. Questi furono Costantino VIII Porfirogenito, Romano Lecapeno il Vecchio, Romano Porfirogenito il Giovane, Niceforo II Foca, Basilio il Giovane, Romano IV Argiropilo, Zoe Imperadrice, Isaacio Comneno, Michele VII Duca, Niceforo Bononiate, Alessio Comneno, Giovanni Comneno, volgarmente detto Calogiovanni, Emanuele Comneno, Alessio III Comneno, Isaacio Angelo, Giovanni III Duca, che regnò nell'Asia minore ed in Nicea, mentre i Franzesi tennero Costantinopoli, e Michele Paleologo, che, discacciati i Latini, recuperò Costantinopoli.

La notizia di queste Novelle non se non dopo molti secoli pervenne a noi, quando restituite in Francia ed in Italia le discipline e l'erudizione, furono dalle tenebre alla luce del Mondo esposte, non da un solo e insieme, ma poco a poco da più eruditi Scrittori, amatori dell'antichità. Non ebbero esse alcuna forza o autorità in queste nostre contrade nè a' tempi nei quali furono pubblicate, per essere quasi tutte locali e attinenti al governo di Costantinopoli e dell'altre città dell'Oriente, nè da poi che in Italia furono restituiti i libri di Giustiniano; poichè ne' volumi antichi, i quali tratto tratto cominciarono ad esser ricevuti prima nell'Accademie d'Europa, e poi per la forza della ragione, ne' Tribunali, non vi si leggevano. I nostri primi restauratori non ebbero di quelle alcuna notizia, e dopo molti secoli furono da alcuni eruditi rinvenute, i quali le tradussero in latino, e poi proccurarono che s'aggiungessero alle nuove edizioni, che da tempo in tempo occorreva fare de' vulgati Codici. Molte ne fece dare in luce Eimondo Bonafede, moltissime altre Giovanni Leunclavio e Carlo Labbeo, e gran parte d'esse possono leggersi così greche, come latine appresso Leunclavio, e nel Corpo di Dionisio Gotofredo, il quale parte per interpretamento d'Errico Agileo, parte di Bonafede, le unì a' suoi volumi. Per queste cagioni mal farebbe chi di quelle oggi volesse valersi ne' Tribunali nostri per le decisioni delle cause, non avendo esse mai acquistato vigor di legge in queste nostre parti; e lo stesso si dice de' Basilici . Ben sono degni di lode chi dalle tenebre cavandole ove giacean sepolte, hannole date fuori alla luce del Mondo, perchè sovente rischiarano quelle già ricevute, e danno maggior lume a ciò che concerne l'istoria de' tempi e de' fatti di quelle Nazioni; e questo sol uso ed utilità dalle medesime e da' Basilici potrà aversi, nè debbon i nostri Giureconsulti da quelli altro promettersi. Così molte Novelle di questi Imperadori abbiamo intorno a' costumi e greche usanze, e per altre consimili cose a' Greci appartenenti, promulgate per alcuni luoghi e città di certe e determinate province, che altrove non ebbero nè vigore, nè autorità alcuna.

Sopra tutti gli altri Imperadori d'Oriente, non vi fu chi tante Costituzioni promulgasse, e molte cose innovasse, quante Lione VI figliuolo di Basilio. Questi fu un Principe amantissimo delle buone lettere, il quale per lo studio e somma perizia delle leggi, dell'istoria e della filosofia, acquistossi, ad imitazione d'Antonino, il cognome di Filosofo. Si contano di questo Imperadore 113 Novelle divolgate intorno l'anno 890, che Agileo trasportò nella latina favella; ma quasi tutte non ebbero altro uso, nè altra autorità che ne' Tribunali di Costantinopoli, e moltissime nei tempi stessi di Lione andarono in disuso. Restano di questo Principe molti monumenti della sua dottrina e del suo amore verso le buone arti, come sono i tanti libri che compose, e che sottratti dall'ingiuria de' tempi, lungo tempo nella Biblioteca Palatina ed in quella di Costantinopoli si sono serbati. Egli scrisse molti libri dell'Apparato e Disciplina militare, che meritarono esser trasportati nella lingua latina ed italiana: un libro della Caccia, vari Oracoli e Vaticini di Roma e di Costantinopoli, ed alcune Operette teologiche ed istoriche; ma soprattutto la maggior sua cura ed applicazione fu intorno allo studio delle leggi, perchè emulo di Giustiniano, ciò che questi fece a Teodosio il Giovane, volle render a lui per le nuove compilazioni e per li suoi Basilici e Promptuari, che insieme con Basilio suo padre, per oscurar in tutto la fama di Giustiniano, ridusse in miglior ordine ed in più nobile forma.

Il primo adunque (per venire alla seconda cagione dello scadimento de' libri di Giustiniano) che vie più interruppe il corso alla legge di Giustiniano per mezzo di nuove collezioni, fu Basilio Macedone. Basilio essendo stato con istrano esempio di fortuna nell'anno 866 acclamato Imperadore, fu un Principe d'animo grande, il quale avendo più volte debellati i Saraceni, ristabilì colla sua prudenza l'Imperio, ch'era stato ruinato da Michele suo predecessore; ed avendo associato all'Imperio Costantino, e nominati Cesari Lione ed Alessandro suoi figliuoli, diede poi nell'anno 879 il titolo d'Imperadore a Lione. Avendosi per le sue magnanime imprese acquistata gran fama, entrò nei disegno di emulare la gloria di Giustiniano, e per mezzo di nuove compilazioni oscurare il suo nome ed i suoi libri: ordinò per tanto nell'anno 870 (associando anche a quest'opera Costantino e Lione suoi figliuoli) che si compilasse un Prontuario, ovvero, come i Greci lo chiamarono Prochyron di leggi, nel quale si restringessero in breve da molti volumi, i fonti più principali della legge, onde derivavano i rivoli minori. Secondo ciò che testifica Armenopolo, era ristretto in quaranta Titoli, non in sessanta come Cujacio scrisse; e fra i Codici manuscritti leggesi ancor oggi nella Biblioteca Vaticana, dove dalla Palatina fu trasportato. Corre sotto il nome, ora di Basilio, di Lione e di Costantino, ora sotto il nome di Lione e Costantino solamente, ed ancora sotto il solo nome di Lione, con varie e diverse prefazioni; onde è molto probabile, che da Lione il Filosofo fosse quest'opra di Basilio ritrattata ed in miglior forma ridotta.

Non soddisfatto Lione d'aver in miglior forma ridotto il Prochiro di suo padre, e d'aver empiuto l'Oriente di tante sue Novelle, diede fuori anche gli Epitomi della legge, opera assai elegante, la quale componevasi di pure definizioni e di regole; ma maggior fu il suo studio e pensiero nella fabbrica de' Basilici: fu questa grand'opra compilata intorno l'anno 886, distinta in sessanta libri, e per maggior comodità divisa in sei volumi. Narra Cedreno essersi cominciato questo lavoro da Basilio, ma il suo compimento lo ricevè da Lione suo figliuolo, il quale per opra di Sabbaticio Protospataro (forse colui, che come dicemmo, venne in queste nostre parti mandato dall'Imperadore per discacciare i Saraceni) la fece promulgare, come dopo Matteo Blastare, scrisse Antonio Augustino.

Ciò che si fece in questa nuova compilazione non fu altro, se non che serbandosi per lo più l'istesso ordine delle leggi tenuto da Giustiniano, prendendosi anche la materia da' suoi libri, da' suoi tredici editti e dalle Costituzioni Novelle così sue, come de' seguenti Imperadori sino a Basilio; si risecò tutto quello, che fu reputato soverchio, e fu tolto quel che per l'uso de' tempi posteriori era andato in desuetudine; ed all'incontro aggiunto ciò che per le nuove Costituzioni de' seguenti Imperadori era stato stabilito: per la qual opera in sei volumi racchiusa, ed in 60 libri divisa ne sorse un nuovo corpo di leggi, Basilici detto, che in greca lingua distesero: in maniera, che ciò che Giustiniano di ciascuna materia separatamente aveva trattato in più libri, cioè nelle Istituzioni, nelle Pandette, nel Codice e ne' libri delle Novelle, fu collocato sotto un medesimo titolo, serbandosi però quasi l'istesso ordine, che a Triboniano piacque tenere intorno alla disposizione delle materie.

Questi furono i Basilici, e si dissero Priori, perchè la faccenda non finì qui; poichè Costantino VIII figliuolo di Lione cognominato Porfirogenito volle pure intorno a questo soggetto impiegar la sua cura e la sua maggior applicazione: non meno di suo avo e di suo padre fu mosso Costantino da stimoli di gloria, e col medesimo disegno di abolire affatto la memoria de' libri di Giustiniano. Egli nella giurisprudenza e nell'istoria volle di se dar saggio d'uomo, a cui le lettere erano sommamente a cuore. Ritrattò l'opra de' Basilici, l'emendò in molte sue parti, e nell'anno 920 ne fece dar alla luce del Mondo un'altra di repetita prelezione più espurgata e corretta, e volle esserne riputato egli l'autore, e che de' Basilici Priori non più se ne avesse conto, ma che nel Foro e nelle Scuole, questi suoi, che perciò si dissero Posteriori, avessero tutto il vigore, ed andassero per le mani dei studiosi e de' Causidici d'Oriente. In effetto questa nuova compilazione de' Basilici fu nell'Oriente conosciuta, e rimase per fondamento del Jus greco insino alla fine dell'Imperio de' Greci, e fu riputato Costantino per primo autore de' medesimi, siccome dopo Luitprando riputollo Erveo. Questi furono sempre riputati i veri libri de' Basilici, a' quali l'istesso Costantino ha fatto precedere un nuovo Prochyron, ovvero introduzione, la quale oggi giorno si vede; e sono quelli, che dopo il corso di tanti secoli per l'industria e diligenza d'alcuni benemeriti della nostra giurisprudenza, prima da Genziano Erveo, ed ultimamente con maggior accuratezza da Annibale Fabrotto furono a noi restituiti, e sopra i quali gl'Interpreti greci posero il loro studio in commentargli ed illustrargli per mezzo delle loro insigni fatiche.

Non minor fama acquistossi questo Principe per l'altre famose sue opere, che pur oggi ci restano intorno all'istoria, avendo fatto raccorre in un corpo tutti gl'Istorici, disponendogli per 53 luoghi comuni, ancorchè l'istoria di Porfirogenito, come fu consueto stile de' Greci, in molte parti si reputi favolosa, siccome in più luoghi di questi nostri libri si è potuto vedere.

S'affaticarono intorno a questi Basilici molti Interpreti greci, in maniera che essi ebbero in Oriente non minor turba di Commentatori greci, che i libri di Giustiniano, da poi che furono risorti in Occidente, ebbero di Commentatori ed espositori latini. Cujacio ne annovera moltissimi, Stefano, Niceo, Taleleo, Isidoro, Eustazio, Eudossio, Calociro, Sesto, Callistrato, Lione, Foca, Modestino, Domnino, Gobidas, Cumno, Giovanni, Agioteodoreto, Doxapater, Gregorio, Garidas, Bestes, Bafio e Teofilo: a' quali Freero aggiunge Patzo, Teofilitzen, Fobeno, Teodoro Ermopolita, Demetrio e Carlofilace. In quali precisi tempi questi fiorissero non può dirsi cosa di certo. Contuttociò se voglia numerarsi Taleleo tra i Giureconsulti, che commentarono i Basilici, bisognerà dire, che fosse questi un altro Taleleo, e non quegli che molto prima fiorì a' tempi di Giustiniano, della cui opera, come si è da noi altrove detto, si valse nella fabbrica delle Pandette.

Così ancora un altro Stefano bisogna che fosse questi, e non già quegli, che per comandamento dell'istesso Giustiniano sparse i suoi sudori intorno a' Digesti, i quali anche furono da lui tradotti in greca favella; nè questi Teodoro e Isidoro potevan esser quelli, che molto tempo prima furono da Giustiniano impiegati tra que' diciassette alla fabbrica de' latini Digesti.

Molto meno quel Teofilo, che insieme con Triboniano e Doroteo compose l'Istituzioni: e quel Foca, uno che fu de' dieci preposti alla fabbrica del latino Codice. Di Callistrato e Modestino non accade por dubbio, ciascun sapendo, che questi Giureconsulti fiorirono molto tempo prima di Giustiniano istesso, non che del Porfirogenito. Per la qual cosa se non si dirà, che furono più Giureconsulti in diversi tempi co' medesimi nomi, non possono certamente questi annoverarsi tra gl'Interpreti de' Basilici: ancorchè alcuni di essi si fossero prima affaticati intorno a' volumi di Giustiniano trasportandogli nella greca favella, siccome (se dee prestarsi fede a Matteo Blastares rapportato da Antonio Angustino) fece Stefano delle Pandette, oppure Taleleo, secondo che credono Suarez e Struvio, e siccome Taleleo stesso fece del Codice; l'esempio de' quali imitarono poi Cirillo nei Digesti, Teodoro nel Codice, e Teofilo nelle Istituzioni.

Oltre di questi, ne furono altri d'incerto nome: fuvvi l'Anonimo, Basilico, che Cujacio crede esser l'Interprete del medesimo contesto de' Basilici, Evantiofanes, cioè il Conservatore delle leggi fra lor discordi, ovvero dell'antinomie, che il Vescovo Vasionense crede esser Fozio, il quale nel suo Nomocanone scrive aver composto un simil libro.

Autore di quella diffusa parafrasi, che va sotto nome d'Indice, Cujacio crede esser Doroteo; ma Gotofredo stima esser quella opera di diversi, di Basilico e di Bafio, di cui Costantino si valse, ed appo cui non fu riputato meno, che Triboniano appresso Giustiniano, il quale molte cose a quell'Indice aggiunse.

Fu per tanto appresso i Greci, non meno di quello, che fu da poi presso a' Latini, lo studio delle leggi de' Romani in Oriente coltivato. Perciò infra di loro sorsero molti a commentarle ed a variamente interpretarle, poco curandosi de' divieti di Giustiniano, che non permise altro, che le versioni in lingua greca e' Paratitli, alcuni vi aggiunsero scolj, parafrasi e glose: altri ancora non s'astennero di caricarle di pienissimi commentarj; ma i monumenti di queste loro opere non han per noi veduta mai la luce del giorno, e la maggior parte delle medesime, o dal tempo sono state a noi involate, o pure oggi si serbano tra le Biblioteche de' Principi e d'altri uomini eruditi. Quelle opere, che divolgate vanno ora per le mani degli uomini, sono il Nomocanone di Fozio Patriarca di Costantinopoli, il quale quasi in quest'istessi tempi fu dato fuori alla luce nell'anno 877, e diviso in 14 titoli, a' quali Teodoro Balsamone aggiunse i suoi scolj.

Evvi l'Ecloga de' Basilici, che Sinopsi ancora da alcuni è chiamata: alcuni presso Cujacio suspicano esserne stato autore Romano il giovane figliuolo di Porfirogenito e nipote di Romano Lecapeno, che imperò circa l'anno 962. Fu quest'opera ritrovata da Giovanni Sambuco nel nostro Taranto, città ai tempi di Romano a' Greci sottoposta. In Otranto parimente per la medesima cagione, narra Antonio Galateo, che Niceta Filosofo Otrantino, poi Monaco di S. Basilio, dalla Grecia raccolse molti Codici, e ne arricchì la Biblioteca di quel monastero, che posto sotto la regola di S. Basilio, non molto lontano da Otranto, si rese in queste nostre parti assai chiaro e cospicuo.

Giovanni Leunclavio fece imprimere questa Ecloga in Basilea l'anno 1575, e tradussela in lingua latina; e Carlo Labbeo v'aggiunse le emendazioni ed osservazioni. Presso a Leunclavio stesso si legge ancora un'altra Sinopsi di Michele Attaliates Proconsole e Giudice, fatta nel 1070 per ordine di Michele Duca Imperadore, che va attorno sotto il nome di Prammatica. Poco da poi nell'anno 1071 Michele Psello illustre per la perizia delle leggi e della filosofia compose un'altra Sinopsi in versi politici, che al medesimo Imperador Michele dedicolla.

Finalmente Costantino Armenopolo Giudice Tessalonicense intorno l'anno 1143, imperando Emanuel Comneno, diede fuori l'Epitome delle leggi civili, che prima in greco si fece stampare in Parigi nell'anno 1540 da Adamo Suallembergo; fu poi tradotto in latino, ed impresso nell'anno 1547 e 1549 da Bernardo Rey, e di nuovo da Giovanni Mercero in Lione nell'anno 1556 serbasi ancora manoscritto nella Biblioteca Vaticana e nella Palatina.

Cujacio anche a tutti questi aggiunse il trattato di Eustazio Antecessore de Temporum intervallis, che tra le sue opere vedesi impresso. Antonio Augustino, Freero ed altri ci diedero la notizia di consimili altri scritti di Greci; e Leunclavio ci diede molte leggi militari, rustiche e nautiche, siccome Carlo Labbeo i Paratitli.

Da che si raccoglie, che nell'istesso tempo, che in Italia appo i Latini lo studio delle leggi romane per le incursioni de' Saraceni e d'altre Nazioni, e per le discordie de' nostri medesimi Principi era ito in bando, all'incontro i Greci lo coltivarono con somma diligenza insino agli ultimi tempi, che Costantinopoli passò sotto Nazioni barbare, e che l'Imperio d'Oriente patì l'ultimo eccidio. E se bene le loro fatiche non le impiegarono sopra i libri di Giustiniano, non è però, che non lo facessero sopra le altre compilazioni fatte da poi ad emulazione del medesimo, la cui materia trassero da' libri suoi, ancorchè non poco ne togliessero e molto più vi aggiunsero.

Per queste cagioni avvenne, che se bene il Ducato napoletano e molte altre città marittime di queste Province si mantennero lungamente sotto l'Imperio dei Greci, contuttociò non fossero stati i libri di Giustiniano ricevuti; e se ne' tempi di Lotario II Imperadore si trovarono le Pandette in Amalfi, non fu perchè ivi come città un tempo del Ducato napoletano, e soggetta agl'Imperadori d'Oriente, fossero state riputate come Corpo delle loro leggi, per le quali gli Amalfitani si governassero, ma si trovarono in quella città per l'occasione delle spesse navigazioni, che gli Amalfitani facevano in Costantinopoli, da poi che per l'eccellenza dell'arte nautica e per li continui traffichi si fecero conoscere per tutto Levante; poichè in altro modo, siccome di loro non vi era rimaso vestigio nell'altre città di queste province ai Greci soggette, il medesimo sarebbe avvenuto in Amalfi; e quel che dice il Summonte e con maggior asseveranza Francesco de' Pietri, che ancora in Napoli furono trovate le Pandette, è una bugia così sfacciata, ch'è gran maraviglia, come si possa trovare in un uomo fronte tanto dura, che senza appoggio d'alcuno Scrittore, che lo dicesse, non abbia un poco di rossore di francamente affermarlo. Solamente per le Epistole di Ivone Carnotense e dal Decreto di Graziano possiamo dire, che in Francia nel decimo ed undecimo secolo, se ne vedesse andar attorno qualche altro esemplare, allegando sovente Ivone nelle sue Epistole, e Graziano nel suo decreto i Digesti non meno, che le Istituzioni, le Novelle ed il Codice. In queste nostre province, che ora compongono il Regno, prima del loro rinvenimento in Amalfi, furono a questi tempi ignoti; e presso a' nostri Principi longobardi le leggi loro erano le dominanti, nè delle romane s'ebbe altro riscontro, se non quanto per tradizione era rimaso tra i provinciali, e quanto dal Codice di Teodosio, emendato per Carlo M., potevano raccorre.

Egli è però verisimile, che più tosto nell'ultima Calabria s'avesse qualche uso de' Basilici, e dell'opere di que' greci Giureconsulti poc'anzi annoverati; giacchè in Taranto, Giovanni Sambuco ritrovò l'Ecloga de' Basilici, ed il Galateo n'accerta, che in Otranto nel monastero de' Monaci di S. Basilio molti libri greci furono, anche dopo espugnata Costantinopoli, trovati e trasportati da poi in Roma nella Biblioteca Vaticana; ond'è da credere che in Napoli e nell'altre città a' Greci sottoposte, avessero tenuta più forza le Novelle Costituzioni promulgate dopo Giustiniano dagli ultimi Imperadori d'Oriente, e queste loro ultime compilazioni, onde formossi il jus Greco, che i libri di Giustiniano, e che forse le Consuetudini napoletane da queste ultime leggi de' Greci, non già dall'antiche (come suspicò il Summonte) traessero la loro origine, siccome, quando ci tornerà occasione di favellare della compilazione delle medesime, noteremo.

Ciò si dice in riguardo della condizione di questi tempi, ne' quali i Greci aveano racquistata maggior forza in queste province; poichè essendosi da poi indebolite presso di noi le loro forze, e particolarmente nel Ducato napoletano, ov'eravi rimasa solamente una ombra dell'autorità degl'Imperadori d'Oriente, osservandosi che i Duchi con pur troppo independente arbitrio governavano questo Ducato; e molto poi quando i Normanni vi comparvero, da' quali furono finalmente i Greci discacciati; allora non si tenne più conto di costoro, e molto meno delle loro leggi; ed i Napoletani pur troppo a' Longobardi vicini, s'adattarono alle loro leggi ed alle antiche romane, non già alle greche, siccome fecero tutte l'altre Province, ond'ora si compone il Regno; poichè essendo stati i Greci discacciati da' Normanni, e ritenendo questi le leggi longobarde, vollero che in tutti i luoghi si osservassero non meno le romane, che le longobarde, dando a queste maggior autorità e vigore. Anzi si vide, che prima della venuta de' Normanni, nella pace fatta nell'anno 911 tra Gregorio Duca di Napoli con Atenulfo Principe di Benevento, rinovata da poi nell'anno 933 dal Duca Giovanni suo nipote con Landulfo I, fu infra l'altre cose accordato, che nelle cause o discordie, che potessero mai sorgere tra' Longobardi e Napoletani, si giudicasse absque omni dilatione secundum legem Romanorum, aut Longobardorum, absque malitiosa occasione . Siccome praticavasi nell'altre Province e città del Regno, nelle quali non meno le romane, che le longobarde erano da' provinciali nelle loro contese osservate, leggendosi presso Lione Ostiense, ch'essendo intorno l'anno 1017 insorta lite avanti il Principe di Capua tra 'l monastero di M. Cassino co' Duchi di Gaeta e Conti di Trajetto, intorno al dominio di alcune terre e di alcune selve ne' confini d'Aquino; fu da' Giudici, che intervennero nella cognizione di tal causa giudicato a favore di M. Cassino tam ex Romanis legibus, quam ex Longobardis. E da due libelli, ovvero notizie di due sentenze profferite a' tempi de' Normanni, il primo dell'anno 1149 sotto il Re Roggiero, ed il secondo dell'anno 1171 sotto il Re Guglielmo, i quali pure dobbiamo alla diligenza di Camillo Pellegrino, si vede, che la legge longobarda era da tutti abbracciata, e secondo quella si giudicavano le cause, dandosi l'ultimo luogo alla romana; ciocchè da poi anche sotto Principi d'altre Nazioni, che ressero quel Regno, fu per lungo tempo osservato, come nel corso di quest'Istoria negli opportuni luoghi anderemo notando.

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