CAPITOLO II.

L'Imperadrice Costanza prende il Governo del Regno. Sua morte; e fine del regal legnaggio de' Normanni.

Intanto l'Imperadrice Costanza, vedendo quanto erano odiati dai suoi vassalli i soldati tedeschi, ed il lor Capitano Marcovaldo, uomo di perduta vita, ed oltre modo crudele e rapace, volendo tener in pace il suo Regno, loro diede bando, con ordine che tantosto sgombrassero la Puglia e la Sicilia, nè ardissero d'entrarvi senza sua licenza; onde tutti ne girono via, e Marcovaldo passato al Contado di Molise, che morto Mosca in Cervello, gli era stato donato da Errico, con lettere di salvo condotto dell'Imperadrice, acciocchè non fosse offeso dagli adirati Regnicoli, ed assicurate anche da Pietro Conte di Celano e da' Cardinali, che dimoravano in Regno, lasciati suoi Castellani nelle Rocche del suddetto Contado, se n'andò alla Marca d'Ancona, della quale era stato fatto Marchese da Errico, e colà dimorò fin che morì Costanza, ritornando poscia in Puglia, ove poi, come diremo, commise gravissime malvagità.

Innocenzio III tosto che fu coronato Pontefice, impegnossi con ogni suo potere, che si riponessero in libertà la Regina Sibilia, suo figliuol Guglielmo, e le figliuole, l'Arcivescovo Niccolò di Salerno, i suoi fratelli, e gli altri Baroni siciliani e regnicoli, che benchè fosse morto l'Imperadore, erano ancor sostenuti nelle prigioni d'Alemagna, e si leggono perciò tre sue epistole, la prima indrizzata agli Arcivescovi di Spira, d'Argentina e di Vormazia, ove dice loro, che debbiano scomunicare tutti coloro, che teneano in prigione l'Arcivescovo di Salerno, se nol rimettean di presente in libertà, inviandolo onorevolmente a Roma, ed anche tutta la provincia, ove egli fosse stato imprigionato; la seconda al Vescovo di Sutri, ed all'Abate di S. Anastagia, ordinando loro, che assolvessero Filippo Duca di Svevia, e fratello d'Errico, dalla scomunica, nella quale era incorso per aver assalito, ed occupato lo Stato della Chiesa, pur ch'egli procacciasse di riporre in libertà il Prelato suddetto; e la terza a' medesimi Vescovi ed Abati, imponendo loro, che se non fossero posti in libertà la Reina Sibilia, Guglielmo e le sorelle, e tutti gli altri prigioni, dovessero scomunicare tutti coloro, che gli avesser sostenuti ed interdire i loro Baronaggi. Per la qual cosa il Duca Filippo, che avea per moglie Irene greca, vedova già del giovanetto Ruggiero Re di Sicilia, mosso a pietà di quelle donne illustri così acerbamente trattate dalla fortuna, e per obbedir parimente ad Innocenzio, essendo poco innanzi morto in prigione Guglielmo, le ripose in libertà e le inviò a Roma al Pontefice; ma di quel che poscia avvenne loro, ed al Duca Gualtieri di Brenna, che si ammogliò con una di quelle fanciulle, ed entrò ostilmente con grosso stuolo d'armati in Terra di Lavoro, scriveremo nel seguente libro di quest'Istoria. Furono ancora posti in libertà l'Arcivescovo Niccolò, il Conte Riccardo e Ruggiero suoi fratelli, che tornati in Salerno vissero poi lungamente.

Intanto l'Imperadrice Costanza, dimorando ancora il suo figliuol Federico in poter di Corrado Duca di Spoleti, lo fece condurre dal Conte di Celano e da Bernardo Conte di Loreto nel Reame, ed indi in Sicilia; e non guari dapoi dimandò al Papa l'investitura, per se e per Federico, la quale gli fu molto contrastata, non volendo darla nella maniera, che Papa Adriano la diede a Guglielmo I, e con tutto che Costanza gli avesse offerte larghe ricompense, non fu possibile piegarlo, se non si cassassero quattro capitoli, de' quali parleremo appresso, accordati prima con Guglielmo, onde rivocati questi, ottenne dal Papa per lei, e per lo figliuolo l'investitura del Regno per mano del Cardinal d'Ostia, che andò a Palermo, Legato di Santa Chiesa a coronargli amendue, e riceverne il giuramento di fedeltà, e la promessa del censo annuo di 600 schifati per la Puglia e per la Calabria, e di 400 per la Marsia. L'investitura la rapporta il Baronio, ove si leggono le seguenti parole: Quoniam Regnum Siciliae in Apostolicae Sedis fide adhuc permansit, et Rogerius quondam pater tuus, et Willelmus frater, et Willelmus nepos Reges Apostolicam Sedem, et praedecessores nostros summa constantia coluerunt, etc. concedimus Regnum Siciliae, Ducatum Apuliae, et Principatum Capuae, Neapolim, Salernum, Amalfim, Marsiam cum iis, quae ad horum singula pertinent. Viene anche rapportata dal Chioccarelli, e da Rainaldo, e riferita dall'istesso Innocente III in una sua epistola. Scrisse ancora Innocenzio all'Imperadrice una sua epistola, o sia Breve, prescrivendogli il modo, che osservar si dovea nell'elezione de' Vescovi in tutti i suoi Stati, restringendogli molto quell'autorità, che in vigore di antichissimi privilegi e de' concordati che passarono fra Guglielmo I ed il Pontefice Adriano, ebbero nell'elezione de' medesimi i Re di Sicilia; di che ci tornerà occasione di far parola più innanzi trattando della politia ecclesiastica; perlaqualcosa soleva dolersi Federico II, che Innocenzio trattando con una donna, mentr'egli era fanciullo, avea saputo ingannarla, ma che egli non avrebbe sofferto, che si fosser in minima cosa derogate l'antiche ragioni e privilegi de' Re di Sicilia; onde avvenne, che si rese odioso ai Pontefici romani, e che fosse ciò una delle cagioni delle tante discordie e guerre, che lungamente travagliarono l'Europa, come diremo, quando di tali avvenimenti ne' seguenti libri dovremo ragionare.

Ma ecco finalmente l'Imperadrice Costanza, ultima degli eredi legittimi del Re Ruggiero, ammalandosi gravemente in Palermo, passò di questa vita il quinto giorno di dicembre di quest'anno 1198. Fu sepolta nel Duomo della stessa città in un sepolcro di porfido a canto a quello del marito, le cui iscrizioni, secondo che scrive il Baronio, fatte novellamente scolpire da un tal Ruggiero Paruta Canonico palermitano poco inteso della verità di questi avvenimenti, contengono la favola del Monacato di Costanza, che sacrata e canuta divenisse moglie d'Errico.

Lasciò ella nel suo testamento, che fece due giorni prima della sua morte, il figliuol Federico, ed il suo Reame sotto la cura e baliato d'Innocenzio III con pessimo e pernizioso consiglio, poichè questo fatto, oltre d'aver partoriti disordini gravissimi e d'essersi aperta ben larga strada a' Pontefici romani d'intraprendere molte cose sopra il Reame, come si vedrà nel seguente libro, fece nascere l'altra pretensione dei medesimi, in congiuntura di minorità, di dover essi assumere il governo e l'amministrazione del Regno, anche se nel testamento dell'ultimo defunto non fosse loro conferito il Baliato, pretendendo che di ragione, come diretti padroni, a loro si appartenga durante la minorità del Re, siccome in fatti Clemente IV ciò pose per ispezial patto nell'investitura, che diede a Carlo d'Angiò; e nel corso di quest'Istoria si leggeranno molti disordini, e contese accadute in questo nostro Regno per queste pretensioni.

Ecco come in Costanza ebbe fine il real legnaggio de' Normanni, i quali da che Ruggiero prese la Corona in Palermo nell'anno di Cristo 1130 avean sessantotto anni con titolo reale dominato gloriosamente il Regno di Puglia e di Sicilia: Principi per le lor degne e lodevoli azioni meritevoli di chiara ed immortal memoria, i quali in mezzo a due Imperi stabilirono in Italia il più possente e nobil Regno, che vi fosse in que' tempi in tutta Europa, e che sotto Ruggiero, e i due Guglielmi fece tremar non men l'Occidente, che l'ultime parti dell'Oriente. Ma non perciò s'estinse in queste nostre province il sangue normanno. Rimasero molti Baroni e Conti normanni, che per lunga serie d'anni trasmisero co' Contadi l'illustre lor sangue nei posteri; nè senza fondamento a' dì nostri vantano alcuni Baroni trarre la lor origine da sì illustre e generosa prosapia. E vedi intanto come sì nobil Reame da' Normanni per diritto di successione non già per ragion di conquista, passasse a' Svevi dopo la morte di Costanza ultima di quell'illustre legnaggio. Noi colla morte della medesima, dopo aver narrata la politia ecclesiastica di questo secolo, daremo fine a questo libro, già che l'alte e generose gesta di Federico suo figliuolo richiamandoci a più nobili e magnifiche imprese, daranno ben ampio e luminoso soggetto a' libri seguenti di questa Istoria.

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