CAPITOLO VIII.

Delle Costituzioni del Regno.

Niuna parte delle nostre patrie leggi è stata per l'ignoranza dell'istoria da' nostri Professori tanto confusamente trattata, e con minor diligenza, che quella che concerne la compilazione di queste nostre Costituzioni. Non è chi non sappia, che l'Imperador Federico l'avesse a Pietro delle Vigne commessa, e che per suo comandamento questi la facesse; ma come, ed in qual tempo si pubblicasse, di quali Costituzioni e di qual Principe; qual uso ed autorità presso di noi avesse, e come da poi a noi fossero le leggi, che contiene, state esposte e commentate da' nostri Scrittori, evvi un profondo silenzio. Molti perciò confusero le Costituzioni, e ciò ch'è d'un Principe, l'attribuiscono ad un altro, come si è osservato ne' precedenti libri di quest'Istoria, ove molte leggi di Ruggiero furono, o a' due Guglielmi, o a Federico attribuite; ed all'incontro molte Costituzioni di quest'Imperadore, o a' Guglielmi, o al riferito Ruggiero. Molti altri, non intendendo la lor forza, nè l'uso di que' tempi, stranamente a noi l'esposero, e fuvvi ancora chi riputasse alcune di esse empie e sacrileghe.

Federico adunque savissimo Principe, che non meno nell'armi, che nelle leggi volle imitare i più savj Re della terra, in quest'anno 1231 avendo conchiusa la pace col Pontefice Gregorio, e resi tranquilli i suoi Reami di Sicilia e di Puglia, rivolse i suoi pensieri alle leggi, per dar a' Popoli a se soggetti più stabile e fermo riposo. Non è però, che egli in questo solo anno promulgasse tutte quelle Costituzioni, che si leggono in questo volume diviso in tre libri. La compilazione si fece in quest'anno, ma le leggi si stabilirono, e prima, e da poi, essendosi molte altre Costituzioni aggiunte dopo la compilazione fatta in quest'anno 1231 ond'è, che quelle portino in fronte l'inscrizione, Nova constitutio. Egli in questo Codice volle, che si inserissero le Costituzioni de' Re di Sicilia suoi predecessori, e tra quelle ne scelse molte di Ruggiero I Re suo avolo: alcune di Guglielmo I suo zio, e poche di Guglielmo II suo fratel cugino, delle quali a bastanza fu ragionato ne' precedenti libri. Non volle tener conto di ciò, che s'avessero fatto Tancredi e Guglielmo III come quelli, che furon riputati da lui per Re illegittimi ed intrusi, come si è altre volte notato. Oltre delle Costituzioni di questi Principi suoi predecessori, volle che s'inserissero le sue promulgate già in diversi tempi, in varie occasioni, ed in varie città de' suoi Reami di Sicilia e di Puglia, stabilendo che cassate ed annullate le antiche leggi e consuetudini, che a tali Costituzioni fossero contrarie, queste sole s'osservassero, e queste così ne' giudicj, come fuori, avessero tutt'il vigore ed autorità nel suo Regno di Sicilia, ch'egli chiama credità preziosa . Ed egli è da notare, che per Regno di Sicilia comprende non meno quello, che propriamente è detto di Sicilia, ma oltre di quell'isola, anche questo nostro, che ora Regno di Puglia, ora di Sicilia di qua del Faro, ed ultimamente Regno di Napoli fu detto; onde siccome di gran lunga andarono errati coloro, che riputarono le presenti Costituzioni essersi solo ordinate per l'isola di Sicilia, così anche non merita scusa il Ramondetta, che scrisse, queste leggi non essere state stabilite per coloro di quell'isola, ma solo per quello di Napoli. Errore così manifesto, che non vi è Costituzione, che nol convinca per tale.

Molte Costituzioni prima di quest'anno 1231 avea Federico per lo governo di questi Reami già stabilite; e fin da' primi anni del suo Regno, dopo il Baliato d'Innocenzio III cominciò in varj Parlamenti tenuti in Puglia, o in altre città del Regno a stabilirne. Oltre di quelle fatte in Roma dopo la sua incoronazione per mano d'Onorio, delle quali si è discorso nel libro precedente, e che non han che far con le nostre, nell'anno 1220 essendosi dopo la sua incoronazione, da Roma portato nel nostro Regno e passato a Capua, quivi resse un Parlamento generale per bene del Regno, e promulgò suoi ordinamenti contenuti in venti capitoli, come narra Riccardo da S. Germano: Et se recto tramite Capuam conferens, et regens ibi Curiam generalem pro bono Statu Regni suas assisias (cioè regolamenti, che nelle Corti generali per pubblico bene, e comodo de' vassalli solevansi stabilire) promulgavit, quae sub viginti capitulis continentur.

Vi è chi scrive, che nel seguente anno 1221 anche in Melfi avendo ragunata una general Assemblea, avesse promulgate altre sue Costituzioni; ma non facendone menzione alcuna Riccardo, non ci assicuriamo di dirlo; coloro, che lo scrissero, furono ingannati dalla data, che porta questa compilazione, nella quale, nelle vulgate edizioni, in cambio di notarsi l'anno 1231 si trova con error manifesto impresso 1221. Ne furono sì bene in quest'anno non in Melfi, ma in Messina promulgate dell'altre, le quali oggi pur veggiamo inserite in questo volume, come ce ne rende testimonianza l'istesso Riccardo: Imperator per Apuliam, et Calabriam iter habens, feliciter in Siciliam transfretat, et Messanae regens Curiam generalem, quasdam ibi statuit assisias observandas contra lusores etc., le quali ora pur leggiamo in questa compilazione nel libro terzo sotto i titoli; de his qui ludunt ad dados, etc. de Blasphemantibus Deum, etc.

Nell'anno 1222 narra l'istesso Riccardo, che Federico sua Statuta per Regnum dirigit in singulis Civitatibus et Villis; e nell'anno 1224 molte leggi furono da lui pubblicate intorno allo stabilimento dello studio generale eretto in Napoli, come altrove abbiam notato; e nella Costituzione nihil veterum si parla della spedizione fatta da Federico in Lombardia per frenare la ribellione de' Lombardi, e del suo presto ritorno in Puglia, ciocchè, siccome scrissero Riccardo, ed Errico Sterone, amendue Scrittori di quel tempo, avvenne nell'anno 1226, e così di mano in mano anche dopo il ritorno fatto da Soria nell'anno 1229 altre ne promulgò in varie occorrenze; e nel principio di quest'istesso anno 1231 nel mese di gennajo narra Riccardo, che mandasse Federico a Stefano di Anglone suo Giustiziero di Terra di Lavoro suoi ordinamenti riguardanti le concessioni e privilegi fatti da lui, e da Rinaldo Duca di Spoleti dopo il suo passaggio in Soria, comandando, che dovessero quelli presentarsi alla sua imperial Corte fra certo tempo: altrimenti, che d'essi non dovesse tenersi alcun conto, nè tenessero fermezza alcuna, ciò che pur lo vediamo inserito in questo Codice sotto il titolo de privilegiis al libro 2.

Nel medesimo tempo proibì a' Baroni, che nelle lor terre e castelli potessero far nuovi edificj di muri e torri, come narra Riccardo, ciò che anche leggiamo nel libro terzo sotto il titolo de novis Aedificiis: diede parimente altri provedimenti intorno alle sovvenzioni, che dovean prestare i Conti, Baroni e Prelati, che tenevan Feudi, de' quali ci restano ancora i vestigi nei tre libri di queste Costituzioni. E forti argomenti abbiam di credere, che quella cotanto famosa e rinomata Costituzione Inconsutilem, piena di tanto rigore ed asprezza contro i Patareni e gli altri Eretici di questi tempi, nel mese di febbrajo di quest'istesso anno 1231 avesse Federico promulgata, per accorrere a' mali, che il numero de' medesimi, il qual tuttavia andava crescendo, potevano apportare a questi Regni. Narra Riccardo essere in Italia cresciuto tanto il numero de' Patareni, che ne fu anche Roma, sede della religione, contaminata ed infetta, bisognando per estirpargli usar molto rigore; in guisa che molti, i quali ostinati non vollero lasciare i loro errori, furono fatti ardere nelle fiamme, e gli altri più docili, furono mandati a carcere nel monastero di Monte Cassino, ed a quello della Cava per dovervi stare insino che abjurassero, e facessero penitenza de' loro falli. E crebbe il lor numero in guisa che, oltrepassando Roma, cominciarono anche a contaminare le città di questo nostro Reame, ed in Napoli particolarmente multiplicavano assai più, tanto che Federico per estirpargli mandò quivi l'Arcivescovo di Reggio, e Riccardo di Principato suo Maresciallo, perchè severamente gli punissero, siccome in fatti molti ne furono trovati e posti in carcere: e questa fu l'occasione che mosse Federico a punir questi Eretici, ed i loro recettatori e fautori con pene sì terribili e severe, come appunto e' dice in quella sua Costituzione: Et tanto ipsos persequamur instantius, quanto in evidentiorem iujuriam fidei Christianae, prope Romanam Ecclesiam, quae caput aliarum Ecclesiarum omnium judicatur, superstitionis suae scelera latius exercere noscuntur. Adeo quod ab Italiae finibus, et praesertim a partibus Lombardiae, in quibus pro certo perpendimus ipsorum nequitiam, amplius abundare, jam usque ad Regnum nostrum Siciliae, suae perfidiae rivulos derivarunt. Quod acerbissimum reputantes, statuimus, etc.

Narra ancora Riccardo, che nel mese di giugno di quest'istesso anno si fossero nuove altre Costituzioni da Federico stabilite in Melfi: Constitutiones novae, quae Augustales dicuntur, apud Melfiam, Augusto mandante, conduntur. Siccome nell'istesso tempo fu fatta inquisizione de campangiis, falsariis, aleatoribus, tabernariis, homicidis, vitam sumptuosam ducentibus, prohibita arma portantibus, et de violentiis mulierum; e puniti i rei secondo quelle pene, che furono da lui stabilite in varie sue Costituzioni, che oggi sotto questi titoli leggiamo in questo Codice.

Da tutte queste Costituzioni sinora da lui stabilite ne' precedenti anni in varie occasioni, e da quelle dei Re di Sicilia suoi predecessori fu in quest'anno da Pietro delle Vigne compilato questo nuovo volume delle nostre Costituzioni, che oggi diciamo del Regno; e terminata tal compilazione, nel mese d'agosto del suddetto anno 1231 nel solenne Concistoro tenuto in Melfi furono, tutte unite insieme, pubblicate a' Popoli, perchè cassate l'antiche, queste dovessero osservare. Ecco come Federico ne favella: Accipite gratanter, o Populi, Constitutiones istas, tam in judiciis, quam extra judicia potituri. Quas per Magistrum Petrum de Vineis Capuanum Magnae Curiae nostrae Judicem, et fidelem nostrum mandavimus compilari .

Che tal pubblicazione si fosse fatta in agosto di quest'anno 1231 ce lo testifica Riccardo nella sua Cronaca a tal mese, ed anno: Constitutiones Imperiales Melfiae pubblicantur. Ed a quel che ne scrive Riccardo, sono concordi l'edizioni antiche e corretta, che portano questa data: Actum in solenni Consistorio Melfiensi, anno dominicae incarnationis M.CC.XXXI. mense Augusti, indictionis quartae. Ed in tal guisa ancora leggevasi nell'antica edizione, della quale si valse il nostro Matteo d'Afflitto, quando a quelle fece il suo gran Commento, non ponendosi allora in dubbio, che in quest'anno fossero state pubblicate, come scrisse quest'Autore: Ex quo istae Constitutiones editae fuerunt mandante dicto Imperatore per doctissimum virum Petrum de Vinea in anno Domini 1231. Onde si scorge con evidenza, che nell'edizioni nuove e vulgate, che oggi vanno attorno, vi sia errore manifesto, portando altra data, cioè dell'anno 1221.

Egli è da notare ancora, che dopo questa pubblicazione, furono negli anni seguenti da Federico in varj tempi fatte altre Costituzioni, le quali da Taddeo di Sessa, da Roffredo Beneventano, ed ultimamente da Andrea e Bartolommeo di Capua furon sotto i loro dovuti titoli fatte inserire in questo Codice, ond'è, che si appellino Novae Constitutiones. Così Federico nel mese di febbrajo del seguente anno 1232 fece pubblicar in S. Germano le sue Costituzioni de Mercatoribus, Artificibus, Medicis, Alcatoribus, Damnis, Militibus, Notariis, etc., come si legge nella Cronaca di Riccardo, ov'è d'avvertire, che Ferdinando Ughello, il qual nel terzo volume della sua Italia Sacra fece imprimere questa Cronaca, mal fece inserire, dopo queste parole: Post mundi machinam providentia Divina firmatam, etc. quest'altre: Harum aliquot Richardus Author historiae ponit, sed nos remittimus lectorem ad librum Constitutionum Regni Siciliae; dalle quali parole si conosce, che questa fu una postilla fatta da qualche studioso alla Cronaca di Riccardo; onde non meritava, che si confondesse col testo della Cronaca. Queste Costituzioni pubblicate a S. Germano le vediamo ancora inserite nel volume delle nostre Costituzioni, come sotto il titolo de Mercatoribus, sotto il titolo de Fide Mercatorum, sotto il titolo de Medicis, sotto il titolo de Alcatoribus ovvero de his, qui ludunt ad dados, ed altre, che si leggono nel libro terzo. E nel mese d'ottobre del medesimo anno nell'istesso luogo di S. Germano ne pubblicò altre attenenti all'annona, a' pesi e misure, ed altre che si leggono nella citata Cronaca, e delle quali ne restano ancora a noi i vestigj ne' libri delle nostre Costituzioni: Mense Octobri in S. Germano hujusmodi sunt Imperiales Assisiae publicatae. Ed essendo l'Imperador Federico nel seguente anno 1233 passato in Sicilia, tenendo nel fine di quest'anno in Siracusa un general Parlamento, stabilì quella famosa Costituzione: Ut nulli, come dice Riccardo, liceat de filiis, et filiabus Regni matrimonia cum externis, et adventitiis, vel qui non sint de Regno, absque ipsius speciali requisitione, mandato, seu consensu Curiae suae contrahere, videlicet, ut nec aliquae de Regno nubere alienigenis audeant, nec aliqui alienigenarum filias ducere in uxores, poena apposita omnium rerum suarum amissione. Costituzione che noi leggiamo sotto il titolo de uxore non ducenda sine permissione Regis, dopo quella, che comincia Honorem nostri diadematis, nella quale si leggono quasi le medesime parole di Riccardo, e per essere promulgata in questo anno dopo la pubblicazione fatta in Melfi, perciò porta in fronte: Nova constitutio. Fu la medesima da Federico stabilita non senza forte ragione, poichè avendo invitate le femmine alla successione de' Feudi, perchè queste maritandosi non trasferissero i Feudi alle famiglie a se ignote, e forse non a se fedeli, volle perciò, che senza consenso della sua Corte non potessero casarsi; della qual Costituzione abbastanza fu da noi scritto, quando ci toccò favellare delle leggi di Ruggiero, riprovando l'error d'Andrea d'Isernia, che la reputò restrittiva della libertà de' matrimonj. La quale durata per lungo tempo, fu poi da Carlo II d'Angiò riformata in questo Regno, ed in Sicilia abolita affatto dal Re Giacomo.

Ci diede ancora Federico altre leggi ne' seguenti anni per render più tranquilla la quiete di questi suoi Regni; e dopo avere nell'anno 1234 stabilite le Fiere in alcune città delle sue province, delle quali si parlerà a suo luogo, per quanto noi possiamo raccorre da Riccardo, insino all'anno 1243 ove termina la sua Cronaca, troviamo essersi da lui varie altre Costituzioni pubblicate; e nel mese di settembre del suddetto anno abbiamo, che in Grossetto quadam edidit Sanctiones, come dice Riccardo, contra judices, Advocatos, et Notarios, quas per totum Regnum publicari praecepit, et tenaciter observari, quarum initium tale est, nihil veterum authoritati detrahitur, etc. che sono l'ultime sue Costituzioni, che ancor vediamo inserite nel nostro volume nel libro primo sotto il titolo de Officio Magistri Justitiarii, et Judicum Magnae Curiae, che perciò porta l'iscrizione di Nova Constitutio; e sotto il titolo de Advocatis ordinandis, co' due seguenti. Tutte queste Costituzioni, come riguardanti a' Regni di Puglia e di Sicilia, non bisogna confonderle, come altrove fu avvertito, colle Augustali stabilite in Roma, ovvero con quelle pubblicate in Germania, come in Egra nell'anno 1213, in Francfort nell'anno 1234, in Magonza nell'anno 1235 ed altrove, delle quali Goldasto ne fece raccolta, e si leggono ne' suoi volumi, le quali non furono per questi Regni stabilite, e perciò appresso di noi non ebbero forza, nè vigor alcuno di legge.

I. Dell'uso ed autorità di queste Costituzioni durante il Regno de' Svevi; e de' loro Spositori.

Le Costituzioni di questo Principe nel tempo, che furono promulgate, e mentre durò il Regno nella sua persona, ed in quelli della Casa di Svevia, furono universalmente riputate savissime, giustissime e ricolme d'ogni prudenza, nè eccedenti la potestà d'un Principe. Non parve allora strano d'aver in questo volume fatte inserire quelle Costituzioni di Ruggiero e di Guglielmo I, delle quali si parlò ne' precedenti libri. Nè ch'egli ne avesse poi rifatte moltissime attenenti ai matrimonj, a' beni delle Chiese, proibendo gli acquisti degli stabili agli Ecclesiastici, come vietò per sua Costituzione, che leggiamo al libro terzo sotto il titolo de Rebus stabilibus Ecclesiis non alienandis, e cose simili. Ma da poi che per gli impegni de' romani Pontefici, nemicissimi della Casa di Svevia, il Regno passò a quella de' Duchi d'Angiò e Conti di Provenza, come diremo, ancorchè Carlo I comandasse, che fossero osservate nel Regno, ed il medesimo avesse ordinato Carlo II suo figliuolo; nulladimanco i nostri Professori, che fiorirono sotto i Re angioini, per accomodarsi a' tempi, che allora correvano, tutti favorevoli a' romani Pontefici, da' quali questi Principi riconoscevano il Regno, cominciarono a malmenare alcune Costituzioni di questo savio Principe, riputandole, in quanto al lor credere, e secondo quelle massime, che allor correvano, che fossero contrarie a quelle della Corte romana; e però strane, inique, ingiuste, offensive dell'ecclesiastica immunità, della libertà de' matrimonj e cose simili; tanto che la Costituzione de Rebus stabilibus Ecclesiis non alienandis, non trovò chi volesse commentarla, come sacrilega, per la libertà ecclesiastica, che si credeva, che s'offendesse: e Matteo d'Afflitto, che brevemente l'espone, si protesta sul bel principio, con dire: Haec Constitutio nihil valet, quia Imperator non potuit contra libertatem Ecclesiae, et personarum Ecclesiasticarum prohibere, quod non relinquantur res stabiles Ecclesiae inter vivos, vel in ultima voluntate; quasi che Federico fosse stato il primo a stabilirla; e pure egli, come si dichiara in quella, non fece altro, che ristabilire ciò, che i suoi Predecessori avean fatto, e ciò che a tutti gli altri Principi fu permesso, e dovrà sempre permettersi ne' loro Reami e Signorie.

Per questa cagione Marino di Caramanico, il più dotto Glossatore di queste Costituzioni, ancorchè fiorisse sotto Carlo I d'Angiò, perchè le chiose, che vi fece, le dettò poco da poi, che si fossero pubblicate, nel Regno de' Svevi, perciò fu più moderato di tutti gli altri. Fiorì egli nel principio del nuovo governo degli Angioini, e fu sotto Carlo I nell'anno 1269 Giudice presso il Capitano di Napoli. Le sue chiose sono sobrie e dotte, tanto che presso i posteri s'acquistò il nome d'approvato glossatore, come lo qualifica Matteo d'Afflitto. A costui le riferite Costituzioni di questo Principe non parvero cotanto strane ed esorbitanti, come agli altri, che successero. Egli non muove dubbio alcuno, se come promulgate da Federico, che fu deposto dal Regno e dall'Imperio, dovessero osservarsi, ed aver forza e vigor di legge; egli dice del sì; ed ancorchè si muova da leggier cagione, cioè perchè Federico le fece compilare e pubblicare, antequam Imperio privaretur, et de Regno ; nientedimeno parla della potestà de' nostri Principi, sebben non quanto si dovrebbe, almeno il meglio, che comportavano i suoi tempi, ne' quali bisognava andar a seconda de' Pontefici romani, da' quali si riconosceva il Regno. In tali o somiglianti termini si contennero due altri antichi Glossatori, che a Marino successero, i quali furono Bartolommeo di Capua e Sebastiano Napodano, e molto più fece Andrea da Barletta, che fu il primo a glossarle, come si raccoglie da Andrea d'Isernia, siccome quegli, che fiorì nell'età di Federico istesso loro Autore, e Francesco Telese Avvocato fiscale nel 1282 che scrisse pure sopra le Costituzioni del Regno, e del quale non si dimenticarono Gesnero, ed il Toppi nelle loro Biblioteche.

Ma ne' tempi susseguenti mettendo più profonde radici le nuove massime della Corte di Roma, e succeduto Andrea d'Isernia, che volle prendersi la briga di commentarle; costui, come se fosse un capital nemico di Federico, non tralascia di dannar la memoria di questo Principe, quando gli vien fatto: biasima molte sue Costituzioni, ed infra l'altre quella stabilita per li matrimonj de' Baroni da non contraersi senza licenza del Re, e non si ritien di dire, che quella portasse destructionem animae istius Federici prohibentis per obliquum matrimonia instituta a Deo in Paradiso.

Egli ingrandisce quanto può le pretensioni de' romani Pontefici, riputando questo Regno come vero Feudo della Chiesa, e nudrito colle massime degli Ecclesiastici empiè i suoi Commentarj d'errori pregiudizialissimi alle supreme regalie de' nostri Re, veri ed independenti Monarchi di questo Reame.

Più sobrj furono Luca di Penna, Pietro di Monteforte, Diomede Mariconda, Biagio di Marcone, Pietro Arcamone, Giacopo e Niccolò Ruffo, Sergio Domini Ursonis, Argentino, Pamfilo Mollo, Niccolò Caposcrofa, Pietro Piccolo di Monforte, Lallo di Toscana, Giovanni Grillo, Cesare de Perinis, il Vescovo Giovanni Crispano e Niccolò Superanzio, ed alcuni altri, i quali si contentarono far alcune brevi chiose e piccole note alle Costituzioni suddette, insin che nel Regno degli Aragonesi non venisse voglia a Matteo d'Afflitto, mentr'era di età già cadente, ancorchè di vivacissimo spirito, nell'anno 1510 d'intraprendere di adornarle di più ampj e voluminosi Commentarj, ch'è gran meraviglia, come in tre soli anni, che vi pose, avesse potuto tirargli a fine.

Erano queste Costituzioni, ancorchè in gran parte rivocate, e molte andate in disusanza per li nuovi Capitoli fatti da' Re angioini, ne' tempi degli Aragonesi nella lor fermezza e vigore; e Ferdinando I d'Aragona con sua particolar Costituzione data in Foggia a' 25 dicembre dell'anno 1472 stabilì doversi quelle osservare nel Regno suo; perciò Matteo d'Afflitto reputò non dover impiegar invano le sue fatiche, adornandole d'un più pieno Commentario. Si mosse ancora, come e' ci testifica, che nel corso di 40 anni e più, da che furono commentate da Andrea d'Isernia insino a' suoi tempi, erano occorse, mentr'egli fu prima Giudice della Gran Corte della Vicaria, e poi Consigliere, nuove altre quistioni non trattate da Andrea.

Ma per vizio del secolo non seppe allontanarsi dai triti e comuni sentieri, ed empiè i suoi Commentarj di quistioni vane ed inutili, le quali oggi non hanno il loro uso. Egli fra le altre cose pose in disputa, se Federico, ancorchè avesse pubblicate queste Costituzioni prima della sua deposizione, avesse potuto dar loro forza e vigor di legge, in guisa che da' suoi sudditi dovessero osservarsi, giacchè era stato già scomunicato da Gregorio IX, e come leggi d'uno scomunicato non avrebbero dovuto aver vigore alcuno. Queste dispute sono all'intutto vane, non solo per la ragione, ch'e' rapporta dell'accettazione de' Popoli, ma perchè Federico quando le pubblicò nell'anno 1231 era stato già assoluto da Gregorio, ed era in pace colla Chiesa romana, come si è detto. Ma non bisogna ammettere nemmeno per vera questa ragione, perchè Federico fu scomunicato la seconda volta da Gregorio nell'anno 1239, e sebbene il volume delle sue Costituzioni si trovava già sin dall'anno 1231 pubblicato; nulladimanco, come si è di sopra narrato, egli dopo il suddetto anno 1239 ne pubblicò alcune altre, come nell'anno 1243 e negl'anni seguenti, le quali furono inserite in detto volume, nel tempo che si trovava già scomunicato da Gregorio questa seconda volta. Quindi è che i più sensati riputan esser improprio, ed affatto lontano, ed estraneo il vedere, se il Principe quando stabilisce le sue leggi si trovi scomunicato, perchè avessero vigore o no; e tralasciando il considerare, di qual sussistenza fossero state le censure scagliate da Gregorio IX a Federico; le scomuniche non han niente, che fare colla potestà, che tengono i Principi in istabilir le leggi, ch'è una delle loro supreme regalie inseparabilmente attaccata, ed annessa alla lor Corona, che non può torsi dalla scomunica, la quale non ha altra forza ed effetto, quando che sia legittimamente fulminata, che separare il Fedele dalla Comunione della Chiesa, rendendolo incapace de' Sacramenti, de' suffragi, delle orazioni, e di tutto ciò ch'ella può dare a' suoi Fedeli, non già di disumanar gli uomini, e torgli dalla società civile, e molto meno i Principi da' loro Reami, e di tutto ciò che riguarda la promulgazion delle leggi e l'amministrazione, ed il loro governo, come si ponderò altrove nel corso di quest'Istoria.

Ed i nostri Dottori, che trattano ancora della deposizione di Federico fatta da Innocenzio IV nel Concilio di Lione, con dire, che se queste Costituzioni si fossero da lui stabilite dopo questa sua deposizione, che seguì nell'anno 1246 non avrebbero avuto forza nè vigore alcuno, sono degni di scusa; poichè allora passava per indubitato, che potessero i Pontefici romani deponere gl'Imperadori, ed i Re dall'Imperio, e da' Regni loro, con assolvere i vassalli dal giuramento, secondo le massime, che allora aveano ingombrate le menti degli uomini; ma ora abbastanza da valenti Teologi e Giureconsulti si è posto in chiaro, che nè il Papa, nè la Chiesa istessa ha questa potestà di deporre i Principi da' loro Regni, e molto meno gli Imperadori dall'Imperio, ed assolvere i vassalli dal giuramento prestato, non essendo ciò della potestà della Chiesa, la quale è sola ristretta nelle cose spirituali, e di privare i Fedeli di quello, ch'ella può dare, non già degl'Imperj e de' Reami, i quali i Principi riconoscono non dalla Chiesa, nè dal Papa, ma da Iddio, unico e solo lor Signore; ciò che ben a lungo infra gli altri, fu dimostrato da quell'insigne Teologo di Parigi Dupino, e più innanzi da noi se ne discorrerà, quando della deposizione di Federico ci toccherà favellare.

Dopo questi Commentarj di Matteo d'Afflitto, così ampj e voluminosi sopra le Costituzioni, gli altri nostri Professori, che a lui succedettero, si contentarono d'impiegare i loro talenti intorno alle medesime, con far solamente alcune piccole note ed alcune addizioni al Commento d'Andrea d'Isernia, come fecero il Consigliero Giacopo-Anello de Bottis, Giovanni Angelo Pisanello, Fabio Giordano, Bartolommeo Marziale, Marco Antonio Pulverino, ed alcuni altri. Ed essendo da poi agli Aragonesi succeduti gli Austriaci, li quali con nuove leggi e prammatiche, variarono in gran parte le Costituzioni suddette; si fece sì che i nostri Professori impiegassero altrove le loro fatiche, come si dirà a suo luogo; nè si attese più allo studio delle medesime, e restano così, come le lasciarono Matteo d'Afflitto, e quegli altri pochi, che a lui successero; ed oggi in quelle cose, che non sono state rivocate, o che per lungo disuso non si trovano antiquate, hanno presso di noi tutto il vigore, e tutta la forza di legge, a differenza delle longobarde, l'autorità delle quali è presso noi affatto estinta ed andata in dimenticanza.

FINE DEL LIBRO DECIMOSESTO.

STORIA CIVILE

DEL

REGNO DI NAPOLI

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