CAPITOLO III.

Sinibaldo Fieschi è eletto Pontefice sotto nome d' Innocenzio IV, il quale non meno, che il suo predecessore Gregorio, prosiegue con Federico la Guerra; ed intima il Concilio a Lione di Francia.

Federico intanto, a cui premea l'elezione del nuovo Pontefice, andò amichevolmente verso Roma, sollecitando i Cardinali all'elezione, come si vede per una sua epistola nel libro di Pietro delle Vigne; e nello stesso tempo morì di natural morte nel Reame il Gran Giustiziero Errico di Morra.

Succeduto poi l'anno di Cristo 1243, e non risolvendosi i Cardinali a crear Papa a suo piacimento, entrò irato ne' tenimenti di Roma, e quelli abbattè e distrusse, siccome scrive Riccardo; anzi perchè i Romani rovesciaron ne' Cardinali l'indugio dell'elezione, non solo occupò le lor Chiese, ma distrusse le lor ville e poderi, con rimaner distrutto per man de' Saraceni Albano, ch'era d'un Cardinale. Fece torre dalla Badia di Grotta Ferrata due statue di bronzo, e portarle a Lucera di Puglia, e rappacificatosi poi coi Romani, rimise in libertà e rimandò onoratamente in Roma il Cardinal di Preneste, che avea fatto sin allora strettamente sostenere in Rocca Janola, avendo parimente alcun tempo prima rimesso in libertà il Cardinal Ottone, ed a Roma inviatolo, perchè intervenisse alla creazion del Papa; i quali due Cardinali per serbar la fede promessa, erano dopo la creazione di Celestino ritornati di lor volere in prigione. Il perchè assembrati di nuovo tutti i Cardinali in Alagna a' 24 giugno nella festa di S. Giovanni Battista crearono Papa Sinibaldo Fieschi genovese, de' Conti di Lavagna, Cardinal di S. Lorenzo, il quale fu consegrato il giorno de' SS. Apostoli Pietro e Paolo, e nomato Innocenzio IV.

Era questi stato carissimo, e particolar amico di Federico, il perchè significatane prestamente la novella, come di cosa, che si giudicava dovergli essere carissima, comandò, che si rendessero grazie a Dio per tutto il Regno, ed inviò l'Arcivescovo di Palermo, Pietro delle Vigne, e Taddeo da Sessa suoi Ambasciadori a rallegrarsi con sue amorevolissime lettere della di lui assunzione al Ponteficato: per la qual cosa i Popoli d'Italia giudicarono, che sarebbero senza fallo pacificamente vivuti, togliendosi insieme le discordie, che gli avean così acerbamente afflitti; ma Federico, che conoscea l'animo d'Innocenzio, rispose agli amici, che seco di ciò si rallegravano, che egli avea fortissima cagione di dolersi, perciocchè avea perduto un suo carissimo amico Cardinale, ed era stato creato un Papa, che gli sarebbe stato fierissimo nemico, come appunto addivenne; perciocchè appena che Innocenzio si vide sul trono, fece significare a Federico, che egli col Ponteficato avea parimente presa la cura di difendere le ragioni della Chiesa, ed inviò Pietro Arcivescovo di Roano, Guglielmo Vescovo di Modena, e Guglielmo Abate di S. Facondo ad intimargli, che dovesse purgarsi di tutte l'accuse, che gli erano state apposte, e che se in alcuna cosa avesse egli offesa la Chiesa, n'avesse avuto tosto a far l'emenda ad arbitrio d'alcuni, che egli avrebbe per ciò eletti. Federico udite le insolenti proposizioni fattegli dal Papa, le ributtò immantenente, e fece guardare i porti e le strade, acciocchè Innocenzio non scrivesse lettere sopra cotali affari a' Signori ed a' Popoli di là dell'Alpi; ed accortosi, che Innocenzio per mezzo d'alcuni Frati Cordiglieri inviati da lui per messi in detti luoghi, proccurava tirar a se l'inclinazione di que' Signori e Popoli, fece tendere insidie a' detti Frati, e trovatigli, gli fece impiccar tutti per la gola.

Il Pontefice intanto nel mese d'ottobre di Alagna, ove era stato eletto, ed ancor dimorava, se ne passò in Roma, e fu con grandissima pompa ed onor ricevuto; nè guari da poi andò da lui il Conte di Tolosa, che era d'alcun tempo prima venuto in Puglia a ritrovar Federico, per proccurare, se potesse, di concordargli insieme.

Qui termina la sua Cronaca Riccardo da S. Germano, senza la cui guida per alcuni anni non avremo sì fatta chiarezza, come per addietro, dell'opere di Federico, e degli altri avvenimenti di que' tempi.

Entrato poscia il nuovo anno di Cristo 1244, Federico ritornò col suo esercito nello Stato della Chiesa; ma nondimeno mosso dalle preghiere degli amici, e dalle continue ammonizioni degli altri Principi cristiani, si dispose a voler accordarsi col Pontefice; onde inviò di nuovo il Conte di Tolosa, Pietro delle Vigne, e Taddeo di Sessa per suoi Proccuratori ed Ambasciadori in Roma, per mezzo de' quali nel giorno di Pasqua di Resurrezione in presenza di Baldovino Imperador di Costantinopoli, che colà dimorava, promise, che si sarebbe rimesso al prudente arbitrio d'Innocenzio, e che avrebbe lasciato in pace le ragioni, ed i luoghi della Chiesa; onde datosi cominciamento al trattato, il Pontefice, perchè da vicino l'affare potesse trattarsi, passò con molti Cardinali a Civita Castellana, e di là a Sutri. Federico prima d'ogni altro pretendeva, che fosse assoluto dalla scomunica ingiustamente fulminatagli da Gregorio suo predecessore; ma Innocenzio all'incontro non voleva in guisa alcuna assolverlo, se prima non restituiva tutto ciò, che egli diceva aver tolto alla Chiesa; per la qual cosa rottosi ogni trattato, Federico incominciò apertamente a minacciarlo, ed a trattar parimente d'averlo in suo potere; del che accortosi il Papa proccurò partir di colà prestamente per iscampar le sue insidie. Significò dunque per mezzo d'un Frate Cordigliere a Filippo Vicedomini Podestà di Genova, che con galee armate, e co' suoi nipoti del Fieschi venisse a levarlo nella più vicina riviera del mare, ed il Senato di ciò fatto consapevole dal Podestà, conchiuse, che con 22 galee si dovesse soccorrere Innocenzio. Apprestatosi il navilio, vi s'imbarcò sopra Alberto, Jacopo, ed Ugone del Fiesco, figliuoli del fratello d'Innocenzio, fingendo altra cagione al navigare, per non dar sospetto alla fazion, che Federico avea in Genova: si partirono dal porto di Genova a' 11 giugno, e con felice viaggio pervennero a Civita Vecchia senz'altro intoppo, ove trovarono Innocenzio, il quale montato sulla loro armata, giunse a Porto Venere, ed indi a Genova, ove fu con sommo onore ricevuto, e gli altri Cardinali, ch'eran rimasti a Sutri, poco stante sconosciuti per diversi cammini, col favor de' Milanesi, salvi anch'essi a Genova pervennero. Ma Federico risaputa la certa partita del Pontefice, munì e fortificò tutti i luoghi del Patrimonio, ch'avea in suo potere, e poscia se n'andò a Pisa, donde inviati suoi Ambasciadori a Parma (ove sapea aver molti parenti Innocenzio, per avervi maritate alcune sue sorelle) acciocchè provvedessero, che non vi succedesse qualche rivoltura e tumulto, ed i Parmegiani nella sua fede confermassero, partì da poi da Toscana, e ritornò nel Reame.

Innocenzio intanto giunto a Genova, ed accertatosi maggiormente, che Federico non intendea di lasciare cos'alcuna, se non era prima dalle censure assoluto, al che in niun modo voleva egli venire: per movere più fiera procella contro Federico, pensò allontanarsi da Italia, ed accompagnato da' Cardinali, e da altri Prelati e Baroni romani co' Marchesi di Monferrato e del Carretto n'andò ad Asti, e di là felicemente pervenne a Lione di Francia. Ivi dal Re Lodovico IX con ogni onor raccolto, incontanente intimò il Concilio, che Gregorio tanto avea bramato di ragunare, senza aver potuto ottenerlo: citando tutti i Prelati di Cristianità a venirvi nel giorno del natale di S. Giovanni Battista; e per dare più speziosa apparenza al Concilio, appoggiava la cagione di farlo per lo soccorso, che dovea darsi a' Cristiani, che guerreggiavano in Terra Santa, ove per le discordie con Federico erano ridotti a mal partito; si soggiungeva ancora, che in esso dovea trattarsi del modo di ridurre in pace i travagliati affari della Chiesa in Italia; ma il vero era di doversi trattare della deposizione di Federico. Questi all'incontro avendo penetrati i disegni d'Innocenzio, non mancò nel medesimo tempo di scrivere una sua lunga lettera a tutti i Principi del Mondo, con iscovrire i disegni del Pontefice, rappresentando loro, ch'erano questi pretesti, e che non poteva non conoscersi chiaramente, non esser tempo per lui d'attendere al soccorso di Soria, quando Innocenzio proccurava sconvolgergli con sedizioni li suoi Stati d'Italia, e che tutto il male e la ruina di Gerusalemme dovea incolparsi al Pontefice; poichè la discordia, che era in que' Santi luoghi fra i Templarj e gli Spedalieri, era fomentata da lui, per esser questi seguaci del Pontefice e suoi Ministri.

Con questi avvenimenti passato l'anno 1244 nel quale l'Italia era stata miseramente travagliata, oltre alla guerra, da fame e peste crudelissima, nel principio del seguente anno 1245 vedendo Federico, che il Concilio convocato in Lione era contro di lui, propose di tornar in Lombardia per opporsi nel miglior modo, che potea a' disegni del Pontefice; e giunto a Verona convocò ivi un general Parlamento, nel quale convennero molti Baroni italiani e tedeschi, e fra di essi Corrado figliuolo di Balduino Imperadore di Costantinopoli, il Duca d'Austria, ed il Duca di Moravia con Ezellino; e dato assetto a diversi affari d'Italia, si dolse acerbamente d'Innocenzio, purgossi dalle colpe che gli opponeva, e deliberò mandar suoi Legati al Concilio Pietro delle Vigne, e Taddeo di Sessa, acciocchè s'opponessero agli attentati del Pontefice, siccome in effetto andarono in Lione, dove anche intendea condursi Federico; onde partito di Verona s'avviò per passare oltra i monti, e gire al Concilio; ma giunto a Torino intese, come a' 27 luglio il Papa avea dato contro di lui sentenza, privandolo del Reame di Puglia e di Sicilia, e della Corona imperiale, come rubello, nemico, e persecutor di Santa Chiesa.

§. I. Istoria del Concilio di Lione, e della deposizione di Federico.

Narrano Matteo Paris ed altri gravissimi Scrittori, che congregato il Concilio nel Duomo di Lione, sedendo Innocenzio nel soglio, ed alla sua destra Balduino Imperador di Costantinopoli, primieramente ornò del Cappello rosso i Cardinali, volendo dimostrar con tal colore, che doveano esser pronti sino allo spargere del sangue in servigio della Chiesa contro Federico. Aggiunse loro per maggior ornamento di tal dignità la valigia, e la mazza d'argento quando cavalcavano, volendo, che alla regia dignità fosse la loro agguagliata. Ciò fece ancora ad onta, e per l'impegno che teneva contro Federico, il quale diceva, che i Prelati doveano imitar Cristo e gli Apostoli, ed andar scalzi, e a piedi, e che bisognava ridurgli alla povertà primitiva della Chiesa. Favellò poi d'altri affari della Chiesa e del soccorso, che intendea dare a Terra Santa, e della difesa da farsi contro i Tartari, che l'Ungheria e l'Alemagna con gravissimi danni avevano assalita; cominciò poi ad esagerare le malvagità di Federico, le persecuzioni, che continuamente dava ai romani Pontefici, ed agli altri Ministri della Chiesa di Dio, mandando in esilio i Vescovi, con privargli d'ogni avere, imprigionando i Cherici, con fargli anche spesse fiate crudelmente morire, e commettendo continuamente queste, ed altre simiglianti cattività. Ma surto in mezzo con molta intrepidezza Taddeo di Sessa, uno degli Ambasciadori di Federico, rispose in faccia del Pontefice e di tutti coloro del Concilio, che di tutte quest'accuse, delle quali si caricava il suo Signore, era quegli innocente, e che la colpa delle passate guerre dovea addossarsi a' Pontefici romani, e che egli fidando nella giustizia del suo Signore avrebbe dileguate tutte quelle accuse; e che Federico, se Innocenzio avesse voluto riconciliarlo con la Chiesa, avrebbe proccurato unire la Chiesa greca con la latina, ricuperare Terra Santa, e restituiti i beni tolti alla Chiesa romana, e che di queste promesse egli ne offeriva per mallevadori i Re di Francia, e d'Inghilterra; ma il Pontefice burlandosene come vane ed illusorie, ributtò l'offerte; co' quali discorsi si diè compimento per quel giorno a questa prima sessione del Concilio.

Ragunatosi poi nella seguente settimana, nella seconda sessione si cominciò di nuovo a trattar dello stesso affare, e dopo aver il Pontefice orato di nuovo intorno alle malvagità di Federico, surse in mezzo il Vescovo di Carinola, Frate che fu dell'Ordine Cisterciense, il quale era uno de' Prelati, che l'Imperadore avea fatti cacciare del Reame: questi, mostrando in voce afflitta e mesta gli strazj, che avea sofferti da Federico, cominciò a fare un racconto della costui mala vita da che era stato fanciullo, caricandolo di molte, e gravissime ingiurie, dicendo, che Federico non credea nè a Dio, nè a' Santi: che tenea in un medesimo tempo più mogli; che favoreggiava continuamente i Saraceni: che tenea particolar familiarità col Soldano di Babilonia: che sovente si contaminava con illeciti concubiti di donne saracene; e che menando vita epicurea e tutta mondana, mostrava non credere a niuna legge, solito a repetere quelle parole d'Averroe, che tre persone avevano ingannato tutto il Mondo, il Salvator nostro Gesù i Cristiani, Moisè gli Ebrei, e Maometto gli Arabi; e dopo aver soggiunto il Vescovo altre simiglianti accuse, terminò il suo discorso col dire, che Federico intendea di ridurre i Prelati a quella bassezza e povertà della primitiva Chiesa, come per le sue opere, e per molte sue lettere potea chiaramente conoscersi. Dopo costui surse un Arcivescovo Spagnuolo, e confermando le cose, che avea dette il Vescovo di Carinola, ve n'aggiunse dell'altre, accusandolo d'eretico, di sacrilego, di spergiuro, confortando il Pontefice a procedere contro di lui, e deporlo dall'Imperio, ed offerse d'assisterlo con l'avere, e con la persona in tutto quel che fosse stato necessario con tutt'i Prelati della sua Nazione, i quali in maggior numero, e con più magnificenza degli altri eran venuti al Concilio.

Ma Taddeo di Sessa impaziente per le parole ingiuriose del Vescovo di Carinola rispose intrepidamente, che egli in tutto ne mentiva, declamando che ei non per zelo della giustizia, ma per odio particolare favellava in cotal guisa, opponendogli molti gravissimi falli, per li quali lui, ed i suoi fratelli erano stati dall'Imperadore convenevolmente puniti; che mentiva chiunque volesse imputar Federico d'eresia; e che se egli fosse stato quivi presente colla sua propria bocca avrebbe professata la vera fede non meno di tutti i più fini e fedeli Cristiani; che della sua vera e cristiana religione poteva egli mostrare un incontrastabile argomento, di non aver voluto tollerare ne' suoi dominj gli usuraj, e d'avergli severamente puniti; in hoc Curiam Romanam reprehendens (come dice Matteo Paris) quam constat hoc vitio maxime laborantem; ed avendo risposto a tutte le accuse fatte da que' Prelati, pregò instantemente il Pontefice a soprastare a ragunar la terza volta il Concilio, perchè Federico era giunto a Torino, e fra poco tempo sarebbe colà venuto di presenza per purgarsi de' delitti, che se gli opponevano; ma il Pontefice negò alla prima di volergli dare questa dilazione, anzi soggiunse, che se Federico veniva, egli subito si sarebbe partito; ma il seguente giorno a richiesta dei Proccuratori de' Re di Francia e d'Inghilterra, fu costretto a dar la dimandata dilazione; la quale non potè esser più lunga, che di due settimane.

Federico scorgendo essere inevitabile la sua condannazione, riputando miglior partito di non essere presente, ed innanzi a Giudice a se sospetto, recusò di venire; e non ostante che Taddeo di Sessa si protestasse, che di ciò, che s'avea a trattar contro l'Imperadore n'appellava al futuro Concilio, passate le due settimane, tosto ragunò Innocenzio di nuovo i Prelati, e pubblicate da lui prima alcune Costituzioni fatte per lo soccorso di Terra Santa, diede non sine omnium audientium, et circumstantium stupore, et horrore, come scrive Paris, la sentenza contro Federico, per la quale lo pronunciò privato dell'Imperio, e di tutti gli onori e dignità, e di tutti gli altri suoi Stati, assolvendo i sudditi del giuramento, ed ordinando loro sotto pena di scomunica, che non gli dovessero più ubbidire, ordinando agli Elettori dell'Imperio, che dovessero eleggere il successore, e che niuno lo riconoscesse più per Imperadore o Re. Questa sentenza vien rapportata dal Bzovio negli Annali ecclesiastici, e si legge ancora tutta intera nella vita di Federico, che Simone Scardio prepose a' libri dell'epistole di Pietro delle Vigne; ed abbiamo, nel raccontar la deposizione di Federico, voluto seguitare più tosto ciò, che se ne scrive nel quarto volume de' Concilj universali e negli annali di Matteo Paris, che il Sigonio, ed alcuni altri Autori, giudicando con tali scorte meglio potersi incontrar la verità.

Diede contezza il Pontefice immantinente per sue particolari lettere di cotal sentenza a tutti i Principi cristiani, ed inviò Filippo Fontana Vescovo di Ferrara a' Principi d'Alemagna, ed agli Elettori, perchè creassero nuovo Imperadore, esortandogli ad esaltare a cotal dignità Errico Langravio di Turingia.

Federico intesa la novella di cotal fatto mentr'era a Torino, acceso di gravissimo sdegno rivolto a' suoi Baroni così disse: Il Pontefice mi ha privato della Corona imperiale, veggiamo se così è; e fattasela recare innanzi, se la pose in testa, dicendo queste parole, che nè il Pontefice, nè il Concilio avean potestà di togliernela; ed ancorchè riputasse vana ed ingiusta cotal sentenza, nulladimanco considerando di quanto detrimento potea essergli cagione, non tralasciò far ogni sforzo per riconciliarsi col Pontefice; onde per mezzo del Re di Francia fece offerire al Papa satisfactionem facere competentem (narra Paris): obtulit etiam quod in Terram Sanctam irrediturus obiret, quoad viveret Christo ibidem militaturus; ma il Papa ridendosi di queste cose rispose al Re, che Federico tante volte queste, e cose maggiori avea promesse, e poi niuna attesa; al che replicò il Re: Septuagies septies pandendus est sinus, peto, et petens consulo, tam pro me, quam pro multis aliis millium millibus peregrinaturis prosperum exitum expectantibus, imo potius pro Statu Universalis Ecclesiae, et Christianitatis accipite, et acceptate tanti Principis talem humilitatem, Christi sequentes vestigia, qui se usque ad crucis patibulum humiliasse legitur; il che quando vide il Re di Francia rifiutarsi ostinatamente dal Papa, adirato contro di lui andò via sdegnato grandemente, ed ammirato, che quella umiltà, che avea conosciuto in Federico Imperadore, non avea egli potuto trovare nel servo de' servi. Ed ancorchè il Pontefice per mezzo di sue lettere avesse fatto volar per lo Mondo questa sentenza; nulladimanco, come scrive l'Abate Stadense, quidam Principum cum multis aliis reclamabant, dicentes, ad Papam non pertinere Imperatorem instituere, vel destituere: sed electum a Principibus, coronare. E fu così vana, e di niun effetto cotal deposizione, che narra Tritemio, che Federico in tutto il tempo che visse da poi, per annos ferme sex contra eum, nec Papa, nec aliquis Principum praevalere potuit; sed non advertens sententiam Papae, quam frivolam, et injustam esse dicebat, se Imperatorem gessit, magnamque Principum nobiliorum, et Civitatum usque ad mortem aderentiam habuit. Perlaqualcosa vedendo Federico niente giovargli la sua umiltà, fu tutto rivolto a disingannare il Mondo di quanto proccurava opporgli Innocenzio; onde fece scrivere più sue lettere a tutti i Principi di Cristianità purgandosi dall'accuse, che gli erano opposte, facendo nota la nullità di tal deposizione, come quella, che procedeva da chi non avea potestà alcuna di farla, onde si leggono perciò ne' libri di Pietro delle Vigne molte epistole, fra le quali è da leggersi la prima del primo libro, che comincia: Collegerunt Pontifices et Farisaei consilium in unum, etc. e l'altra: In exordio nascentis Mundi, e molte altre di consimile tenore.

(Presso Lunig, si leggono le vicendevoli imprecazioni, querimonie, ed accuse d'Innocenzio IV e di Federico, che nell'anno 1245 seguirono fra di loro; ed infra gli altri delitti Innocenzio imputava a Federico, che all'usanza de' Saraceni facesse castrare in Capua alcuni, destinandoli per custodia delle sue donne nel serraglio).

E fu da valenti Teologi dimostrato, non essere della potestà del Pontefice, nemmeno del Concilio il deporre i Principi; e tanto meno può dirsi di questo Concilio di Lione, il quale oltre di non essere stato generale, siccome per tale non l'ebbero Matteo Paris, Alberto Stadense, Tritemio, Palmerio, Platina ed altri, per mancarvi tutte le condizioni de' Concilj generali, e per esservi intervenuti pochi Prelati, nemmeno di tutte le province d'Occidente, la sentenza non fu profferita dal Concilio, ma dal solo Pontefice, non Sacro approbante Concilio, ma solamente Sacro praesente Concilio, come si legge negli atti di quel Concilio, e rapportano Dupino, ed altri insigni Scrittori ecclesiastici.

Per la qual cosa quasi tutti i Principi e Popoli d'Europa, anche dopo questa deposizione tentata da Innocenzio, lo riconobbero per Imperadore e Re. Nè Federico permise, che in cos'alcuna fosse Innocenzio ubbidito da' suoi sudditi ne' suoi dominj, e ne' Regni di Sicilia; anzi ordinò per sue lettere al Gran Giustiziere di Sicilia, che desse aspro castigo, privandogli di tutti i beni, e scacciasse dal Regno tutti i Frati e Preti, che per ordine del Pontefice, e suo interdetto non avesser voluto in quell'isola celebrare i divini Ufficj, e ministrare i Sacramenti a' Popoli; e che niuno Religioso potesse trasferirsi da luogo a luogo senza espressa licenza, e testimonianza donde ei venisse.

Scrisse parimente consimili lettere al Giustiziere di Terra di Lavoro, e gl'impose strettamente, che dovesse esigere da' Cherici la terza parte dell'entrate, che possedevano di Chiesa, e gli facesse pagare tutte le altre imposte, che pagavano i Laici, comandandogli altresì, che coloro, i quali avessero negato di ciò fare, gli avesse prestamente imprigionati.

§ II. Infelice fine di Pietro delle Vigne.

Dall'aver così bene adempiute le sue parti nel Concilio di Lione Taddeo da Sessa, ed all'incontro dal vedersi, che Pietro delle Vigne pur ivi mandato Ambasciador di Federico, non avesse in quella Assemblea fatto nè pur minimo atto a difesa del suo Signore, fu cagione, che gli emoli di Pietro cominciassero a preparargli quella ruina, che poco stante gli sopravvenne; perciocchè gli apposero appresso l'Imperadore, che essendo in esso Concilio suo Legato con Taddeo di Sessa, fosse stato corrotto o dalle parole, o da' premj d'Innocenzio, e perciò avesse tralasciato di fare quel, che gli convenia per suo servigio; non trovandosi così negli atti del Concilio, come negli Annali ecclesiastici del Bzovio, ed in tutti gli altri Autori, che scrissero di tal avvenimento, fatta menzione d'altri, che di Taddeo di Sessa: indizio chiaro, che, Pietro in nulla si volesse intrigare, ancorchè vi fosse anch'egli presente, per la qual cosa, fatto credere cotal fallo all'Imperadore da' suoi emoli, in gran parte intepidirono il grande amore, che prima gli portava, e venne in sospetto non gli ordisse qualche tradimento; onde ammalatosi Cesare poco da poi in Puglia, consigliato da Pietro, che per ricuperar sua salute dovesse purgarsi il ventre, e poi entrare in un bagno per ciò apprestato, fece da un Medico famigliare d'esso Pietro, e che altre volte in cotal mestieri l'avea servito, comporre il medicamento, e mentre s'apprestava di torlo, gli fu data contezza, che Pietro corrotto dai doni del Pontefice, per insinuazione del medesimo tentava avvelenarlo; onde appresentandosegli il Medico colla bevanda, rivolto a lui, ed a Pietro, che colà era, disse loro: Amici, io ho fede in voi, e so che non mi darete il medicamento per veleno; e Pietro gli rispose: o Signore, spesse volte questo mio Medico vi ha dato giovevol rimedio, perchè ora più del solito temete? e l'Imperadore guardando con torvo aspetto il Medico disse, dammi cotesta bevanda; il perchè atterrito colui, fingendo di sdrucciolare col piede, ne versò la maggior parte, per la qual cosa venendo in maggior sospetto, fattigli prendere ambedue, fece trar di prigione alcuni condennati a morte, i quali bevuto d'ordine di Federico quel poco della medicina, che rimasto vi era, prestamente gli uccise; e si scoperse, che di violentissimo veleno insieme col bagno era composta, sicchè chiarito Cesare del tradimento, fece appiccar per la gola il Medico: e Pietro (non volendolo far morire) fu abbaccinato, e spogliato di tutt'i beni, e d'ogni ufficio ed autorità ch'egli avea, e condotto a vivere miserissima vita. Ma Pietro non potendo soffrire la caduta di tanta grandezza, informatosi da colui, che il guidava, che era presso d'un muro, o d'una colonna di marmo, come scrive il Sigonio, vi battè così fortemente la testa, che rottosegli il cerebro, in un subito morì. Altri dicono essersi precipitato da una finestra della sua casa nella città di Capua, ove acciecato dimorava, mentre colà di sotto passava l'Imperadore, ed esser di repente per tal caduta morto nell'anno 1249. Ed in quest'anno rapportano cotal morte Matteo Paris Monaco di Monte Albano in Inghilterra negli Annali di quel Regno, che visse nell'anno di Cristo 1250, Carlo Sigonio, ed altri più antichi Autori. Non mancarono ancora di quegli, che scrissero esser egli morto innocente, e sol per invidia de' Cortigiani, che della di lui grandezza capitali insidiatori, postolo in odio di Federico con dargli a divedere, che per opera del Papa gl'ordiva tradimento, gli cagionassero così sventurato fine; fra' quali fu Dante Alighieri, stimatissimo Poeta di quel secolo, il quale nel 13. canto dell'Inferno, essendo di tal opinione, fa da Pietro così favellare in sua difesa.

Io son colui, che tenni ambo le chiavi

Del cuor di Federico, ec.

Da' quali versi, qualunque si fosse la cagion di sua morte, chiaramente si scorge, ch'egli venuto in odio del suo Signore, di proprio volere per gravissimo sdegno si uccise. Scrive ancora Matteo Paris, che l'Imperadore acerbamente si dolse del tradimento, che Pietro commetter pensava e della sua morte, dicendo (come sono le parole di questo Autore) Vae mihi, contra quem saevire coactus.

Ma dalle insidie tese da Innocenzio contro Federico per mezzo d'altri personaggi di conto, ben si conosce, che siccome per la sua potenza tirò al suo partito molti Principi e Signori, che prima erano partigiani di Federico, con facilità potè anche abbattere la costanza e fedeltà di Pietro delle Vigne; poichè corruppe ancora con doni, e con danari per mezzo del Vescovo di Ferrara alcuni Principi d'Alemagna, i quali non tenendo conto di Corrado suo figliuolo, per compiacere al Pontefice elessero Re de' Romani Errico di Turingia, il quale dopo la sua elezione cominciò in quei Paesi con varj successi a fare aspra guerra contro Corrado.

Corruppe ancora molti suoi Baroni, così di quelli, ch'erano con lui nel suo esercito, i quali se gli erano congiurati contro per ammazzarlo, come anche molti di quelli, che dimoravano nel nostro Reame in prima suoi fedeli, i quali tentarono con sedizioni sconvolgergli il Regno di Puglia: tanto che bisognò interrompere la guerra contro i Milanesi, e di lasciare il Re Enzio suo Vicario in Lombardia, ed accorrere contro i Baroni alla difesa del Regno, i quali aveano contro di lui manifestamente prese l'armi, ed occupato Capaccio ed altre castella di quella provincia.

I Baroni, che per opra del Pontefice contro di Federico si congiurarono erano in prima de' suoi più cari partigiani ed amici: questi furono Teobaldo Francesco, Pandolfo, Riccardo, e Roberto della Fasanella, con tutta la lor famiglia, tutti i Sanseverini, Capo de' quali era il Conte Guglielmo, Jacopo e Goffredo di Morra; Andrea Cicala General Capitano nel Reame; Gisolfo di Maina, con molt'altri, di cui non sappiamo i particolari nomi.

Costoro, che contro di lui congiurarono per torgli la vita, mentre stavano attendendo di porre ad effetto il loro intendimento, furono scoverti a Federico dal Conte di Caserta, che, come scrivono alcuni Autori, di tutto gli diè conto per un suo fedele famigliare nomato Giovanni da Presenzano, sin da ch'egli era in Lombardia; onde alcuni d'essi fur fatti prestamente imprigionar da Federico, ed alcuni altri si salvarono con la fuga, fra' quali fu Pandolfo della Fasanella, e Jacopo di Morra; e pervenuta agli altri la novella della scoverta congiura, Teobaldo Francesco, Guglielmo Sanseverino ed Andrea Cicala occuparono di furto Capaccio e Scala, e colà si ricovrarono, fortificando, e munendo que' luoghi quanto poterono, per difendersi; ma assalita Scala da' fedeli dell'Imperadore, fu combattuta con molto valore, e prestamente espugnata; e fur sostenuti in essa Tommaso S. Severino, ed un suo figliuolo.

Giunto poi nel seguente anno di Cristo 1246 l'Imperadore nel Reame, fu assediato Capaccio; ed ancorchè i suoi difensori sentissero estrema carestia di acqua, non essendosi ripiene le cisterne per mancamento di pioggia, pure con molto valor si mantennero sino a' 28 di luglio, quando furono a forza presi i difensori, con rimaner prigioni Teobaldo Francesco, e la maggior parte degli altri congiurati; i quali furono dall'adirato Imperadore con atrocissimi tormenti fatti morire, incrudelendo altresì contro tutti i loro legnaggi, con farne uccidere grosso numero, ed agli altri dar bando dal Regno. Allora dovette succedere quel che Matteo Spinello scrive di Ruggieri Sanseverino, che salvato da Donatello Stazio suo famigliare, fu per opera poi di Polisena Sanseverina sua zia inviato al Pontefice, da cui fatto con paterno affetto allevare, divenne poi prode ed avvenente giovane, il quale con esso Pontefice nel Regno, e con più felice fortuna con Carlo I d'Angiò divenne Capo de' forusciti napoletani a ricovrare il suo Stato; perciocchè la rotta di Canosa, che Matteo Spinello racconta, non fu vera, nè Federico, che scrisse particolarmente questo fatto in due sue epistole, quando avesse combattuti e debellati i Sanseverineschi nel piano di Canosa, l'avrebbe taciuto; se pure il primo trascrittore di Spinello, in luogo di voler dir la presa di Capaccio, non avesse detto la rotta di Canosa; ovvero ve l'avesse di sua testa aggiunto, come in molti altri luoghi di quell'Autore si è fatto, facendogli scrivere quel, che mai non successe, e ch'egli mai non ebbe intendimento di dire.

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