CAPITOLO III.

Nuova Nobiltà franzese introdotta da Carlo I in Napoli; e nuovi Ordini di Cavalieri.

Nel Regno de' Normanni, siccome si vide ne' precedenti libri di quest'Istoria, molti Signori franzesi capitarono in queste nostre parti adorni di militari posti, de' quali, come Capitani in guerra espertissimi, si valsero que' Principi, che dalla Normannia, paese della Francia, ci vennero: furono in premio delle loro lunghe e gloriose fatiche lor conceduti molti Feudi, ed aggranditi co' maggiori Ufficj della Corona: essi per ciò introdussero appo noi un nuovo modo di succedere ne' Feudi, detto jus Francorum; e molte altre usanze e riti vi portarono. Ma questi Baroni non in Napoli si fermarono: molti in Sicilia, e particolarmente in Palermo, allora Sede regia, fecero permanenza. Altri ne' loro Stati, de' quali erano investiti, altri seguendo la persona de' loro Principi, decorati di varii Ufficj ivi residevano, dove era la persona regale, ovvero dove ricercava il lor posto, facevano residenza. Ma que' Capitani, e que' guerrieri franzesi e provenzali, che seguirono Re Carlo nell'impresa di questi Regni, residendo, dopo avergli conquistati, per lo più egli in Napoli, in questa città si fermarono, ove dalla munificenza del Re riceverono i premj delle loro sofferte fatiche; poichè Carlo, dopo essere entrato in Napoli, con magnifico apparato, e con allegrezza ricevuto, avendo passati molti dì in festa con la Regina Beatrice sua moglie, e con gli altri Signori franzesi, volle premiar tutti coloro, che l'aveano servito; e fatto scrutinio de' Baroni, che aveano seguitato la parte di Manfredi, confiscati i loro beni, cominciò a compartirgli a costoro, principiando da Guido Monforte, ch'era stato Capitan generale di tutto il suo esercito, e da Guglielmo Belmonte, che oltre averlo fatto Grand'Ammiraglio, l'investì del Contado di Caserta, e donò molte città e castelli a moltissimi altri. Furono premiati Guglielmo Stendardo, Gugliemo di Clinetto, Ridolfo di Colant, Martino di Dordano, Bonifacio di Galiberto, Simone di Belvedere, Pietro di Ugoth, Giovanni Galardo de Pics, Giordano dell'Isola, Pietro di Belmonte, Roberto Infante, Beltrano del Balzo, Giacomo Cantelmo, Guglielmo di Tornay, Rinaldo d'Aquino, ed altri moltissimi rapportati dal Costanzo, e dal Summonte, e più diffusamente da Pier Vincenti nel Teatro dei Protonotari del Regno, dove favella di Roberto di Bari, per le cui mani, come Protonotario del Regno passavano allora queste donazioni. Ed oltre aver premiato anche i Romani e gli altri Italiani, che lo seguirono, ebbe particolar cura di que' Cavalieri franzesi, che di Provenza e di Francia condusse seco, a' quali donò città, terre, castelli, dignità ed ufficii eminenti nel Regno; tra' quali furono più chiari quelli di casa Gianvilla, d'Artois, d'Appia, Stendardi, Cantelmi, Merloti della Magna; que' di casa di Burson, di Marsiaco, di Ponsico detti Acclocciamuri, di Chiaramonte, di Cabani, ed altri. Potè Napoli pertanto, oltre l'antica, per la nuova e numerosa Nobiltà franzese quivi stabilita con tanti Feudi, preminenze ed ufficii, rendersi sopra ogni altra città del Regno più illustre e chiara; ond'è, che poi meritamente acquistonne il titolo di nobile, ovvero di gentile.

§. I. Cavalieri armati da Carlo in Napoli.

Ma quello che sopra ogni altro rese illustre questa città, fu averla questo Principe arricchita d'infinito numero di Cavalieri, con avere ornati d'Ordine di cavalleria moltissimi cittadini, oltre molti altri del Regno, nel quale per ciò introdusse in tanta frequenza l'esercizio militare, che quelli, che sotto la disciplina sua e de' suoi Capitani erano esercitati nelle guerre, non cedeano punto a' veterani, ch'egli avea condotti di Provenza e di Francia.

L'ordine de' Cavalieri fu presso i Romani in tanta stima e riputazione ch'era uno de' tre Ordini, dei quali si componeva quella Repubblica: Martia Roma triplex, Equitatu, Plebe, Senatu, dice Ausonio. Cioè di Senato, Cavalieri, e minor Popolo. Il Senato per lo consiglio: li Cavalieri per la forza: il minor Popolo, per somministrare e fornire, ovvero ridurre a perfezione le cariche della Repubblica.

Prima l'Ordine de' Cavalieri era come un Seminario di Senatori: poichè, come dice Livio, da quest'Ordine si pigliavano, e si facevano i Senatori; ma da poi che i grandi Ufficii furono comunicati al minor Popolo, li Senatori erano scelti da que' ch'erano stati Magistrati. Prima i Romani davano il cingolo militare a coloro ch'erano abbondanti di beni di fortuna; onde nacque, che chi avea molti sestertii poteva aspirare ad entrar in quest'Ordine, siccome a quello di Senatori ancora. In tempo poi degli Imperadori era dato con solennità alle persone di merito, e più frequentemente a quelle, che non aveano ufficio o carica pubblica, ma dimoravano per lo più, come semplici gentiluomini nella Corte dell'Imperadore; e perchè erano di più sorte, perciò l'Imperadore in una sua Costituzione, che ancor leggiamo nel Codice di Giustiniano, volle stabilire le loro precedenze, e dopo quelli che tengono esercizio per qualche ufficio o carica, mette in secondo luogo que' Cavalieri, a' quali essendo in Corte avea egli dato il cingolo militare: nel terzo luogo, quelli a' quali non essendo in Corte, ma assenti, avea l'Imperadore mandato il cingolo: nel quarto, quelli a' quali questo cingolo non era stato dato in tutto, ma a' quali essendo in Corte, l'Imperadore avea semplicemente concedute le lettere di dignità: e nel quinto ed ultimo luogo, quelli a' quali avea semplicemente mandate queste lettere in loro assenza. Precedevano perciò secondo quest'ordine; da che ne seguiva, che questo cingolo dato a coloro che non aveano ufficio o carica pubblica, attribuiva loro il dritto di portar continuamente la spada, e conseguentemente di godere de' privilegi delle genti d'arme; e ch'era più onore averlo dalle mani dell'Imperadore, che mandato in assenza: e più avere il cingolo, che le lettere di dignità.

Ruinato l'Imperio romano, e dalle sue ruine surti in Europa nuovi Reami e dominii, i Re di Francia, per quanto si sa, furono i primi, che vollero rinovare sì bello istituto; i quali al medesimo modo, coloro, che conoscevano di grande merito, o almeno ch'essi volevano elevare a dignità, allora che non aveano ufficio o carica pubblica da conferir loro, gli facevano Cavalieri, cioè a dire, gli dichiaravano gente d'arme onorarie per godere de' privilegi militari, ancorchè non fossero arrolati tra le genti di guerra. Ed in fatti la maggior parte degli antichi Scrittori franzesi chiamano in Latino il Cavaliere Militem e non Equitem. Ond'è, che quando volevano armarlo Cavaliere di cavallo, spezialmente essi lo dichiaravano per gente d'arme di cavallo, perchè in Francia costoro sono molto più stimati, che quelli a piedi. Ed in segno di ciò, che gli facevano gente d'arme, essi davan loro il cingolo militare ne' dì più segnalati e rimarchevoli, e sotto cerimonie le più illustri e magnifiche che si potessero. Ciò che fu da poi imitato da' nostri Re Normanni, da Ruggiero I e dagli altri seguenti Re, anche Svevi, ma sopra tutti da Carlo d'Angiò e dagli altri Re Franzesi suoi successori.

I giorni destinati per tal cerimonia erano per lo più quelli della loro incoronazione: ne' primi ingressi che facevano nelle città: ne' dì d'alcune festività grandi, ed in particolare della Vergine Maria; ovvero in occasione di qualche pubblica allegrezza. Era ancora antica usanza di fargli Cavalieri, o avanti una battaglia, o quando doveano dar qualche assalto ad una Piazza, affin d'incoraggire i bravi gentiluomini a portarsi valorosamente; ovvero dopo la battaglia, o presa della Piazza, per ricompensar quelli, che s'erano portati con valore, ed ardire. Si facevano ancora in tempo de' maritaggi de' Re, o loro figliuoli, o per la natività del Principe, per onorare i Tornei, che vi si facevano.

I nostri Re prima d'ogni altra cosa, per mezzo di un general editto solevano pubblicar per tutto il Regno il giorno destinato, nel quale doveasi far tal cerimonia, affinchè, chi voleva prendere il cingolo, s'accingesse a portar i requisiti, che secondo le nostre Costituzioni erano ricercati; poichè il nostro Ruggiero I Re di Sicilia avea fatta una costituzione, colla quale ordinava, che senza licenza del Re, e senza che discendessero da Cavalieri, niuno potesse aspirare al cingolo militare: ciò che fu confermato da Federico II nella Costituzione che siegue, la quale non a Ruggiero, come con errore leggesi nelle vulgate, ma a Federico deve attribuirsi, così perchè in quella, intendendo di Ruggiero, lo dice Avi nostri; come anche perchè della medesima fece menzione nella sua Cronaca Riccardo da S. Germano, che dice essersi pubblicata da Federico in un Parlamento generale, che tenne in S. Germano nel mese di Febbraio dell'anno 1232.

I Re angioini vi aggiunsero altri requisiti, ricercando non solo: Quod nullus possit accipere militare cingulum, nisi ex parte patris saltem sit miles, come si legge nel Registro di Carlo II dell'anno 1294 rapportato dal Tutini: ma che esso, ed i suoi maggiori avessero contribuite le collette, e sovvenzioni coi Nobili e Cavalieri. Ma da una postilla di Bartolommeo di Capua nella riferita Costituzione di Ruggiero, par, che a' tempi del Re Roberto, ne' quali egli scrisse, non si ricercasse più la pruova della discendenza da Cavaliere, e che solo in Francia era ciò richiesto, come sono le sue parole: Non potest quis militare qui non est de genere militum ex parte patris. Hoc in Regno Siciliae non servatur, sed bene audivi servari in Regno Franciae. Ed in effetto leggiamo essersi dato il cingolo a molti del minor Popolo, che non potevano mostrare essere stati i loro maggiori Cavalieri, e molti del Popolo, così di Napoli come del Regno, armò Carlo II suo figliuolo, e Roberto, che possono vedersi presso Tutini, ch'e' chiama per ciò Cavalieri di grazia, perchè ebbero tal onoranza senza le suddette condizioni.

Ricercavasi ancora, che il candidato fosse di età adulta. I Romani secondo riferisce Dione, armavano Cavalieri da' diciotto anni in su, e l'Abate Telesimo ne' fatti del Re Ruggiero, descrivendoci l'avvenenza, e l'età de' figliuoli di quel Re, dice, che ambedue erano capaci di prendere il cingolo, essendo già adulti: Habebat autem Rex Rogerius et alios duos liberos adolescentiores, forma speciosissimos, morumque honestate praeclarissimos; nec non ad suscipiendum militiae cingulum jam utrosque adultos.

A questo fine coloro, che volevano armarsi Cavalieri, dimandavano, che si prendesse informazione dei loro requisiti, ed il Re commetteva, o al Capitano di Napoli, se eran Napoletani, ovvero a' Giustizieri delle province, se Regnicoli, che ne formassero il processo: e presa l'informazione, costando de' requisiti, erano nel giorno destinato ammessi ad armarsi: e costoro prima di ricevere il cingolo erano chiamati in linguaggio franzese Valletti, che nel nostro suona Paggi. Comparivano essi nel giorno della celebrità tutti adorni di vaghi e ricchi abiti e nella maggior chiesa della città, ove dovea farsi la cerimonia, s'alzava un gran palco ben adorno, dove s'ergeva un altare, ne' cui lati si ponevano la sedia del Re e 'l faldistorio del Vescovo, e quivi vicino un'altra sedia inargentata coverta di drappo di seta. Sopra l'altare, come narra Giovanni Sarisberiense, si ponevano le spade, che doveano cingersi a' fianchi de' nuovi Cavalieri.

Venuto il Re e la Regina con tutta la lor Corte, Cavalieri, ed altri Nobili in chiesa, s'introducevano coloro, che doveano armarsi, e si facevan sedere nella sedia d'argento. Da poi, da alcuni Cavalieri vecchi erano esaminati se fossero sani, e ben disposti di corpo a poter adoperarsi nelle battaglie, e ricevuto il loro esame, erano poscia condotti in presenza del Vescovo, il quale sedendo nel suo faldistorio vestito da Diacono, teneva il libro de' Vangeli aperto, ed avanti di esso inginocchioni, chiamandogli per nome diceva loro: Già che volete ricevere il cingolo militare, e farvi Cavalieri, avete da giurare sopra questi Santi Vangeli, che in verun conto non verrete mai contra la Maestà del vostro Re qui presente, e de' suoi successori, e volendo voi partirvi dalla fedeltà del vostro Re (che Iddio non permetta) il quale vi dovrà crear Cavalieri, dovrete prima restituirgli il cingolo, del quale or ora sarete ornati, e da poi potrete far guerra contro di esso, e niuno vi potrà riprendere di fellonia; altramente sarete riputati infami, e degni di morte. Avrete ancora da esser fedeli della Chiesa cattolica, riverenti a' Sacerdoti, difensori della Patria, dell'Onor delle donzelle, vedove, orfani, ed altre miserabili persone .

Rispondevan quelli, che confidati nella divina grazia sarebbero stati fedeli e leali al loro Re, e avrebbero osservato quanto promettevano, e toccando con le mani il libro de' Santi Evangeli, così giuravano. Poscia da due Cavalieri veterani venivan condotti alla presenza del Re, ed ivi inginocchiati, il Re prendeva la sua spada, e con quella toccando leggiermente a ciascuno il capo diceva: Iddio ti faccia buon Cavaliere. Altri, come il Mennio, dicono, che il Re percuoteva colla sua spada gli omeri, non il capo. Allora, senza che i valletti si movessero davanti il Re, comparivano sette donzelle della Regina vestite a bianco, le quali portando i cingoli nelle loro mani, offertigli prima al Re, gli cingevano ne lombi de' Cavalieri. Si prendevano poi da su l'altare le spade, come narra Pietro di Blois, e dalle medesime donzelle erano attaccate a' lati de' nuovi Cavalieri. Venivano appresso alcuni Cavalieri, e lor calzavano gli sproni, e poscia ponevano loro una sopravvesta di panno di lana verde foderata di pelle di vajo. La Regina poi dalla sua sedia lor porgea la mano, ed alzatisi, s'andavano a sedere nella lor sedia. Venivan allora tutti i Cavalieri e Nobili quivi presenti a rallegrarsi con loro della dignità ricevuta, e datasi una colazione di cose inzuccherate, si finiva la festa.

D'allora in poi non più valletti, ma Messeri, o Militi erano appellati, e come gente di guerra godevano de' militari privilegi, e di quelli ancora, che hanno i semplici Gentiluomini, cioè d'essere esenti dalle tasse: di portar la spada sino al gabinetto del Re: goder il privilegio della caccia: essere esenti dalle pene degli ignobili; e non esser tenuti battersi in duello con gli ignobili. Ne' loro tumuli perciò si scolpivano vestiti d'arme, col cingolo, con la spada e con gli sproni ai piedi, sotto i quali erano due cani per simbolo della fedeltà, ciò ch'era l'impresa de' Cavalieri; e di ciò infiniti marmi si veggono in varie chiese di Napoli; nè era permesso ad altri, che non fosse Cavaliere, farsi scolpire in cotal modo nelle sepolture; poichè i Dottori ne' loro tumuli si scolpivano con la toga lunga, e col cappuccio su 'l capo, come si vede nella chiesa di S. Domenico Maggiore di Napoli nel sepolcro di Niccolò Spinelli da Giovenazzo, detto di Napoli ed in altre chiese ancora; e que' del minor popolo, come i mercatanti e gli artefici, si facevano scolpire con una vesta a mezza gamba, con maniche larghe, e con uno involto di tela su 'l capo, siccome si veggono i loro tumuli in varie chiese di questa città. Per questo era necessario, che si ritornasse il cingolo, quando si voleva far guerra al Principe, da cui erano stati armati Cavalieri, perchè altrimenti sarebbero stati reputati felloni ed infami, siccome de' Principi di Bisignano e di Melfi, del Duca d'Atri e del Conte di Maddaloni rapportano l'Engenio ed il Tutini, i quali essendo stati onorati da Luigi XII Re di Francia della collana di S. Michele, quando occupò il Regno, essendo quello poi ricaduto a Ferdinando il Cattolico, restituirono la collana a Luigi.

Queste cerimonie per essersi rese le più segnalate e rimarchevoli, si facevano con tale magnificenza e dispendio, che si vede così in più Costumanze di Francia, come nelle nostre leggi del Regno, che i Baroni aveano dritto d'imporre dazi su i loro vassalli, e dimandar sovvenzioni da essi per le spese, che si avean da fare in tal funzione, quando essi o i loro figliuoli primogeniti dovean armarsi Cavalieri, non altrimente che quando maritavano le loro figliuole primogenite. Noi ne abbiamo una Costituzione di Guglielmo sotto il titolo de adjutoriis exigendis , che parla de' figliuoli, pro faciendo filio Milite. Federico II l'ampliò poi al fratello, come si legge nella Costituzione Comitibus sotto il titolo de adjutoriis pro militia fratris. E tra l'epistole di Pietro delle Vigne ne leggiamo una di quell'Imperadore dirizzata ad un Giustiziero, affinchè faccia esigere il solito adjutorio da' vassalli d'un certo Barone, il cui figliuolo dovea prender l'onoranza di Cavaliere: Idem Justitiarius a Vaxallis praefati Baronis juxta Constitutionem Regni nostri subventionem fieri faciat congruentem.

Così ancora nel Regno di Carlo di Angiò e del suo figliuolo leggiamo ne' regali Archivi molti di questi ordini; e nel Registro dell'anno 1268, se ne vede uno spedito a favore di Filippo Brancaccio: Scriptum est Justitiario Terrae Laboris, ec. Quod Philippo Brancaccio, qui nuper se fecit militari cingulo decorari, subventionem per hoc congruam a Vaxallis suis faciat exhiberi. E nel Registro dell'anno 1294 un altro a beneficio di Lionardo S. Framondo: Quod Vaxalli Leonardi de S. Framundo, praestent eidem congruam subventionem juxta Regni consuetudinem, pro militari cingulo accipiendo. Simil ordine ottenne Adinolfo d'Aquino per Cristoforo suo fratello, quando da Carlo primogenito del Re, mentr'era in Francia, fu cinto Cavaliere: Adenulphus de Aquino petit subventionem a vaxallis pro Christophoro ejus fratre militari cingulo decorato a Carolo primogenito in partibus Franciae . E poichè per la celebrità e magnificenza, che si usavano nella creazione de' Cavalieri, s'introdusse, che non solamente i semplici Gentiluomini, ma anche i Principi, i fratelli e sino i figliuoli del Re volevano avere quella dignità di Cavaliere, perciò nella creazione de' figliuoli, o fratelli del Re, poteva questi dimandar la sovvenzione da' suoi vassalli per tutto il Regno; ed Andrea d'Isernia rapporta, che tra' Capitoli di Papa Onorio venga anche ciò dichiarato, che possa il Re imponere una taglia nel Regno, quando, o volesse egli armarsi Cavaliere, o suo figliuolo, o fratello, pur che però non eccedesse la somma di dodici mila once.

Tante belle e sì magnifiche cerimonie, che si facevano nella creazione de' Cavalieri, furono cagione, che non solamente i semplici Gentiluomini, e que' che non aveano ufficio o carica pubblica, ma ancora i Signori, i Principi e fino i figliuoli de' Re vollero armarsi Cavalieri, riputando, che questo fosse non solamente un onore, ma ancora un buon presagio, e parimente un impegnamento al valore ed alla generosità il ricevere la spada dalle mani del loro Principe. Ciò che frequentemente, ed in Francia, e presso noi da' nostri Re costumavasi.

Negli Annali di Francia vediamo, che il Re Carlo M. cinse la spada a Luigi il Buono suo figliuolo, essendo in procinto d'andare alla guerra. E Luigi medesimo fece il simile a Carlo il Calvo suo figliuolo. Il Santo Re Luigi armò Cavaliere il suo figliuolo primogenito Filippo III, e Filippo tre altri suoi figliuoli. E l'Istoria nota, che in queste funzioni, il Re avea la sua corona in capo, la Corte era piena, ed in quel giorno era tavola aperta per tutti.

I nostri Re normanni ed angioini, che punto non si discostarono dall'usanze de' Re di Francia, solevano praticar il medesimo. Così leggiamo di Adelasia Contessa di Calabria e di Sicilia, la quale prima che Ruggiero suo figliuolo fosse Conte, e poi primo Re di Sicilia, volle che s'armasse Cavaliere; onde è, che prima questo Principe ne' diplomi si nominasse Cavaliere, e poi Conte, come si osserva in più carte rapportate da Pirro, in una delle quali si legge così: Ego Adelais Comitissa, et Rogerius filius meus Dei gratia jam Miles, jam Comes Siciliae et Calabria, etc. Ruggiero istesso, narra l'Abate Telesino che fatto Re, duos liberos suos ad militiam promovit, Rogerium Ducem, et Tancredum Bagensem Principem, ad quorum videlicet laudem et honorem quadraginta Equites cum eisdem ipsis militari cingulo decoravit; e Paolo Pansa nella vita d'Innocenzio IV rapporta ancora, che l'Imperador Federico II essendo nell'anno 1245 passato a Cremona, creò Cavaliere Federico suo figliuolo Principe d'Antiochia, che quivi era, e cinsegli di sua mano la spada al lato.

Ciò che fu da poi imitato da' Re angioini, ed infra gli altri da Carlo II il quale, innanzi di dar altri titoli a' suoi figliuoli, gli volle prima crear Cavalieri: così nell'anno 1289 dopo un general parlamento volle, prima di crearlo Re d'Ungheria, ornar Cavaliere, insieme con molti altri, Carlo Martello suo primogenito. Il simile fece a Filippo Principe di Taranto suo quartogenito, il quale fu da lui ornato del cingolo militare prima d'esser creato Principe di Taranto. A Roberto suo terzogenito, che poi gli successe nel Regno fece il medesimo; poichè trovandosi egli nell'anno 1296 in Foggia scrisse a Filippo suo figliuolo, che pubblicasse per mezzo de' soliti editti, come a' 2 Febbrajo giorno della Purificazione, voleva cinger Cavaliere Roberto; e tutti que' gentiluomini, che desideravano armarsi, comparissero in Foggia, ove insieme con Roberto avrebbero ricevuto il cingolo militare.

Il mentovato Re Roberto volle anch'egli nella città di Napoli cinger Cavaliere nel dì della Purificazione Carlo Duca di Calabria suo unigenito, e di ciò nell'anno 1316 ne diede parte a tutto il Regno, scrivendone a' Giustizieri delle province, come dal diploma, che rapporta il Tutini insieme con gli altri esempi sopra riferiti.

Da questo costume, che tenevano i Re d'armare Cavalieri i loro figliuoli, che dovevano succedere nei loro Reami, nacque il dubbio, se essendosi ciò tralasciato di farsi, coloro che succedevano al Regno essendo Re, fossero Cavalieri, ancorchè non avessero ricevuto l'Ordine. E da quello ch'essi praticavano si scorge, che pare non s'avessero per tali, già che essendo Re volevan esser cinti Cavalieri. Così osserviamo nel libro dell'epistole di Pietro delle Vigne dove si legge una lettera, che scrisse il Re Corrado figliuolo di Federico II agli abitanti di Palermo, nella quale loro scrivea aver voluto cingersi Cavaliere: Licet, dic'egli, ex generositate sanguinis qua nos natura dotavit, et ex dignitatis officio una duorum Regnorum nos in solio gratia divina praefecit, nobis militaris honoris auspicia non deessent; quia tamen militiae cingulum, quod reverenda sancivit antiquitas, nondum serenitas nostra susceperat, prima die praesentis Mensis Augusti cum solemnitate tyrocinii latus nostrum eligimus decorandum, etc.

Parimente leggiamo in Sigeberto, che Malcolmo Re di Scozia volle esser fatto Cavaliere dal Re di Francia Errico I. E narra Ottone Frisingense, Guglielmo Rufo Re d'Inghilterra essersi fatto cingere Cavaliere da Lanfranco Arcivescovo; poichè in que' tempi ancor durava il costume, che non pure i Principi, ma anche i Vescovi e Prelati armavano Cavalieri: ciò che fu poi lor proibito nel Sinodo Westmonasteriense celebrato nel 1102. Così ancora Errico II si fece armare dal Maresciallo Bisense: ed Odoardo IV Re d'Inghilterra ricevè l'onoranza di Cavaliere dal Conte di Devonia. Errico VII ricevè il cingolo dal Conte d'Evadolia: ed Odoardo VI dal Duca di Somersette. Giovanni Villani ancor rapporta, che Luigi di Taranto secondo sposo della Regina Giovanna I ricevè il cingolo militare dalle mani d'un Capitano tedesco; e negli annali di Francia si legge, che dopo la giornata di Marignano il Re Francesco I fu fatto Cavaliere da Capitan Bajart, che gli cinse la spada; e Luigi XI si fece ancora armar Cavaliere dal Duca Filippo di Borgogna.

Ma quantunque l'istorie abbondino di questi e di molti altri esempi, dove si vede, che non avendo preso il cingolo nella loro adolescenza, fatti Re, se n'han voluto ornare; non è però, come saviamente notò Loyseau, che ne avessero avuto bisogno, e non fossero senza quello Cavalieri: essi lo facevano per maggiormente onorare l'Ordine de' Cavalieri, e per metterlo in maggior lustro e splendore. I Re come Oceano d'ogni dignità e d'ogni onore, e come Sole onde deriva ogni splendore, contengono in se medesimi tutte le dignità e tutte le più alte prerogative e preminenze.

Quest'Ordine reso sì illustre da' Franzesi e da' nostri Re angioini in maggior numero ristabilito in Napoli, ed in queste nostre province, per li molti Cavalieri, che creavano, pose in tanta riputazione l'esercizio militare, che non vi era gentiluomo, che non proccurasse quest'onoranza e s'esercitasse perciò nella milizia; onde venne il Regno a fornirsi di bravi e valorosi Capitani.

Non è, che Carlo I d'Angiò fosse stato il primo ad introdurgli in Napoli e nel Regno; cominciarono sin da' tempi di Ruggiero I Re di Sicilia; ma egli fu che esaltò quivi tal Ordine, e specialmente a Napoli, in maggior elevatezza, e lo rese più numeroso e florido.

Ruggiero I Re di Sicilia fu il primo ad introdurlo a Napoli, e fu allora, quando entrato pien di trionfo, e vittorioso in questa città, si narra, che nel primo ingresso che vi fece nell'anno 1140 armò 150 Cavalieri. E quando diede il cingolo al Duca Ruggiero, ed a Tancredi Principe di Bari suoi figliuoli, ne creò quaranta altri. Il di cui esempio imitò poi Tancredi, il quale essendo stato nell'anno 1189 coronato in Palermo Re di questi Regni insieme con Ruggiero suo figliuolo, in questa solennità cinse molti Cavalieri, dell'uno e l'altro Reame.

Il Re Manfredi, narra Matteo Spinello da Giovenazzo, coronato che fu Re in Palermo, essendosene passato in Calabria, creò per quelle città molti Cavalieri, e poscia venendo in Napoli, nell'ingresso solenne, che vi fece, armò trentatrè Cavalieri, tra' quali vi furono Anselmo e Riccardo Caracciolo Rossi. E portatosi poi nell'anno 1253 in Civita di Cheti, nelle feste di Natale cinse molti Cavalieri di varie città di Abbruzzo.

Ma niuno altro de' nostri Principi usò tanta magnificenza e profusione in armar Cavalieri in Napoli e nel Regno, quanto Carlo I d'Angiò. Non vi occorreva pubblica solennità, che Carlo con sontuose feste non volesse crearne. Nell'anno 1272 nel dì di Pentecoste ne cinse in Napoli moltissimi tutti nobili Napoletani, fra' quali Bartolommeo dell'Isola, Landolfo Protonobilissimo, Marino Tortello, Liguoro Olopesce, Filippo Falconaro, Bartolommeo d'Angelo, Marino del Doce, Marino Pignatello, Tommaso Pignatello, Gualtieri Falconaro, Lorenzo Caputo, Bartolommeo Gaetano, Gualtieri Caputo, tutti nobili Napoletani. De' Nobili poi del Regno, armati da Carlo Cavalieri, ne sono pieni i Registri, siccome in quello dell'anno 1269 ove ne sono notati infiniti, e fra gli altri Pietro di Ruggiero da Salerno, Bernardo di Malamorte, Raimondo di Brachia, e Pietro di Penna d'Abbruzzo: creò ancora Cavaliere il Giudice Sparano da Bari, che poi innalzò ad esser G. Protonotario del Regno, ed altri infiniti sotto questo Re se ne trovano. Nè la munificenza di questo Re si restrinse a' soli Nobili, ma ammise anche a quest'onoranza que' del Popolo di Napoli e del Regno, che s'erano distinti, o per il loro valore o per altra prerogativa: così nel suddetto Registro dell'anno 1269 se ne leggono moltissimi, tanto che adornò questo Principe Napoli ed il Regno di tanti Cavalieri, che la disciplina militare e l'esercizio dell'arme si rese di gran lunga mano superiore a quello delle lettere; e siccome a' tempi nostri il presidio delle Case, ed il loro istituto è di applicar i figliuoli alle lettere ed alle discipline, e sopra tutto alla legale; così allora per quest'Ordine di Cavalleria cotanto da Carlo pregiato, non vi era famiglia, non istruisse i figliuoli all'esercizio della guerra e delle armi.

Ad esempio di Carlo, fecero lo stesso tutti gli altri Re angioini suoi successori, come Carlo II suo figliuolo, che nell'anno 1290 coll'occasione dell'incoronazione di Carlo Martello in Re d'Ungheria, armò in Napoli più di 300 Cavalieri, e negli anni 1291, 1292, 1296 e 1300 altri moltissimi. Così Roberto suo nipote, dopo la sua coronazione diede il cingolo a molti Napoletani e del Regno ancora, siccome nell'anno 1309 ad alcuni d'Aversa, nell'anno 1310 a molti di Salerno, di Capua e d'Isernia; e circa il 1312 trovandosi egli nell'Aquila fece molti Cavalieri di quella città. E così fecero gli altri Re della seconda stirpe d'Angiò, come Carlo III, Luigi III, Ladislao ed altri, avendo tutti calcate le vestigie di Carlo il Vecchio. Quindi si fece poi, che fosse tanto cresciuto nel Regno il numero de' Cavalieri, che per cagione della moltitudine, e del poco merito d'alcuni, che n'erano ammessi, cominciava già l'Ordine della Cavalleria a cadere in disprezzo, e di non esser molto stimato.

Nè ciò avvenne presso noi solamente, ma anche in Francia, e negli Reami degli altri Principi, pure a cagion della moltitudine ch'essi ne facevano: poich'era la facilità di fare Cavalieri giunta a tanto, che i Re tanti ne facevano, quanti in qualche pubblica festività se ne presentavano avanti. E negli Annali di Francia si legge, che il Re Carlo V all'assedio di Burges in un giorno solo ne fece cinquecento. E di Carlo V Imperadore pur si legge, che quando fu incoronato Imperadore in Bologna da Clemente VII fece Cavalieri tutti quelli, che trovò ragunati avanti la Chiesa di S. Giovanni, toccandogli, senz'altra solennità, leggiermente con la sua spada su gli omeri.

II. Particolari Ordini di Cavalleria.

Da questa facilità e dal disprezzo, che poi ne avvenne, nacque l'origine de' particolari Ordini di Cavalleria; poichè da tanta moltitudine se ne sottrassero i più principali, e segnalati Cavalieri, e si ridussero ad una piccola banda, o truppa; per la qual cosa si inventarono certi nuovi Ordini o Milizie di Cavalieri, ne' quali si ritennero solamente quelli di più merito, o per valore o per legnaggio, non ricevendosi coloro che non avevano altra prerogativa o titolo, che di semplici Cavalieri.

E per rendere questi nuovi Ordini più augusti, e venerabili, s'astrinsero a certe cerimonie di religione, riducendogli in forma di Confrateria; ed ancora, affin di rendergli rimarchevoli e distinti sopra li semplici Cavalieri, loro si fa portare un collare d'oro, o altra insegna, che il Re dà loro, e pone in conferendogli l'Ordine nel luogo della collana degli antichi Cavalieri. Ed erano questi Ordini diversi e distinti da que' di S. Giovanni di Gerusalemme, de' Teutonici, de' Templari, de' Cavalieri di Portaspada, di Gesù Cristo, de' Commendatori di S. Antonio, di S. Lazaro, ed altri rapportati da Polidoro Virgilio: perchè questi erano dell'Ordine ecclesiastico, compreso sotto i Regolari; e per ciò erano chiamati Fratelli Cavalieri, i quali anche s'astringevano a certi voti, come di castità ed ubbidienza, ed a certe regole mescolate di vita monastica e secolaresca.

In Francia il primo Ordine, ch'è stato di durata (poichè quello della Gennetta istituito da Carlo Martello, non accade annoverarlo, perchè non durò guari) fu quello de' Cavalieri della Vergine Maria istituito nell'anno 1351 dal Re Giovanni; e poichè essi portavano una Stella nel loro cappuccio, e poi nel mantello dopo essersi abolito l'uso de' cappucci, si chiamarono perciò Cavalieri della Stella. Di questa compagnia furono presso di noi molti Cavalieri napoletani, e siccome rapporta l'Engenio fuvvi Giacomo Bozzuto, ed alcuni della famiglia Zurla ed Aprana, siccome si vede ne' loro sepolcri.

Il secondo, fu l'Ordine di S. Michele, istituito in onore dell'Angelo tutelare della Francia dal Re Luigi XI il quale per annientare il primo Ordine, ed innalzare il suo, diede l'insegna della Stella a' Cavalieri della sentinella di Parigi, ed a' suoi Arcieri. I nostri Cavalieri pure ne furon decorati da' Re di Francia, siccome Troiano Caracciolo Principe di Melfi; Berardino Sanseverino Principe di Bisignano, Andrea Matteo Acquaviva Duca d'Atri, e Gio. Antonio Carafa Duca di Maddaloni, li quali da poi (come si è di sopra rapportato) ricaduto il Regno al Re Cattolico, resero la collana al Re di Francia.

Finalmente Errico III grande inventore ed amatore di nuove cerimonie, oltre aver istituito l'Ordine militare della Vergine del Monte Carmelo, al quale Paolo V concedè molte prerogative, istituì l'Ordine e Milizia di San Spirito, in memoria, che nel dì della Pentecoste era nato e stato fatto Re. E questi Cavalieri oltre l'insegne del loro Ordine, che portano sopra i loro mantelli, ne portano un altro ad una fascia di color turchino.

Ad esempio de' Re di Francia hanno per l'istessa cagione altri Principi istituiti nuovi Ordini di Cavalleria, ed i nostri Re Angioini ne furono i più pronti imitatori. Odoardo III Re d'Inghilterra, essendo caduta ad una Dama, la quale egli amava, una becca della gamba, che gl'Inglesi in lor lingua chiamano Garter, egli alzolla, ed alla Dama cortesemente la rendè: di che si levò romore tra la Corte, che il Re con quella avesse amorosa pratica; onde il Re in sua scusa, e per onorar quell'accidente, istituì l'Ordine, detto tra noi volgarmente della Giarrettiera; aggiungendo alla becca quelle parole franzesi: Honni soit, qui mal y pense, che in nostra lingua vuol dire, mal abbia, chi mal pensa . I Re di Castiglia ne istituirono un consimile detto della Banda, ovvero Fascia. I Duchi di Borgogna l'altro del Toson d'oro.

I Duchi di Savoja quello dell'Annunziata. I Duchi di Toscana l'altro di S. Stefano. I Duchi di Orleans quello dell'Istrice; e sotto gli ultimi Re di Spagna, e Portogallo quelli d'Alcantara, di S. Giacomo, di Calatrava, di S. Benedetto de Avis, ed altri.

Ma i nostri Re della casa d'Angiò istituirono ad imitazione di quelli di Francia più Ordini. Luigi di Taranto Re di Napoli, secondo marito della Regina Giovanna I nell'anno 1352 nel giorno della Pentecoste ordinò una festa in memoria della sua coronazione, nella quale istituì l'Ordine, e la Compagnia del Nodo di sessanta Signori e Cavalieri i più valorosi di quella età, sotto certa forma di giuramento e perpetua fede; ed insieme col Re vestivano ognun di loro la giornea usata a que tempi della divisa del Re, con un laccio di seta d'oro e d'argento, il quale si annodava dal Re al petto, come il Costanzo, ovvero al braccio, come vuol l'Engenio, di quel Cavaliere, ch'entrava in questa Compagnia. Di questo Ordine furono il Principe di Taranto, fratello maggiore del Re Luigi, benchè scriva Matteo Villani, che quando il Re gli mandò la giornea riccamente adornata di perle e di gioje, col Nodo d'oro e d'argento, egli ch'era di maggior età, e che s'intitolava Imperadore, sdegnato di ciò, disse ridendo a quelli, che la presentarono, ch'egli avea il vincolo dell'amor fraterno col Re, e però non bisognava più stretto nodo. Il mandò anche Re Luigi a Bernabò Visconte Signor di Milano, il quale l'accettò molto volentieri. Il diede a Luigi Sanseverino, a Guglielmo del Balzo Conte di Noja, a Francesco Loffredo, a Roberto Seripando, a Matteo Boccapianola, a Gurrello di Tocco, a Giacomo Caracciolo, a Giovanni di Burgenza, a Giovannello Bozzuto, a Cristofano di Costanzo, a Roberto di Diano, ed altri. E fu loro istituto, che quando un Cavaliere faceva qualche pruova notabile, per segno del valor suo, portava il nodo sciolto: ed alla seconda pruova tornava a rilegarlo, siccome avvenne a Giovannello Bozzuto, il qual portandosi valorosamente in una battaglia, meritò sciogliersi il nodo, ed in Gerusalemme poi tornò a rilegarlo; ond'è, che nel suo tumulo nel Duomo di Napoli si veggono due nodi da' lati del suo cimiero: e nel sepolcro del Costanzo nella Tribuna di S. Pietro Martire, si vede un nodo legato, e l'altro sciolto. Quest'Ordine di Cavalleria, crede il Costanzo, che fosse stato il primo istituito in Italia: seguirono da poi gli altri istituiti da' seguenti nostri Re.

Carlo III ad emulazione di Luigi, istituì da poi nell'anno 1381 un nuovo Ordine, il quale l'intitolò la compagnia della Nave, alludendo alla Nave degli Argonauti, affinchè i Cavalieri che da lui erano promossi a quell'Ordine, s'avessero da sforzare d'esser emuli degli Argonauti. Volle lo stesso Re esser Capo di questa compagnia, eleggendo per protettore S. Niccolò Vescovo di Mira, al qual dedicò la chiesa appresso il Molo, ed ordinò, che da' Cavalieri di quest'Ordine ciascun anno si celebrasse la sua festa. Portavano costoro nelle sopravvesti, e negli altri militari ornamenti dipinta una Nave in mezzo l'onde alla divisa de' colori del Re, con alcuni interlacci d'argento, e di questa compagnia furono i più pregiati e valorosi Cavalieri di que' tempi, e fra gli altri Giannotto Protoiudice di Salerno creato da Carlo Conte dell'Acerra, e G. Contestabile del Regno, Gurrello Caracciolo detto Carafa Marescalco del Regno (i sepolcri dei quali con l'insegne si veggono nella chiesa di S. Domenico di Napoli), Errico Sanseverino Conte di Melito, Ramondello Orsino Conte di Lecce, Angelo Pignatello, Gianluigi Gianvilla di Luxemburgo Conte di Conversano, Tommaso Boccapianola, Giovanni Caracciolo ed altri.

Dopo la morte del Re Carlo III la Regina Margherita sua moglie col Re Ladislao suo figliuolo nel 1388 fuggirono a Gaeta, rimanendo Napoli a divozione del Re Luigi d'Angiò; e travagliando allo spesso li vascelli della Regina le Marine di Napoli, alcuni Nobili del Seggio di Portanova con altri Napoletani armarono i loro navili per contrastare le galee della Regina; ed acciocchè con maggior ardire ed amore fra di lor andassero, istituirono la compagnia dell'Argata, e per insegna portavano nel braccio sinistro un'Argata ricamata d'oro in campo azzurro, simile a quelle argate di canna, delle quali si sogliono servir le donne ne' loro femminili esercizi. Di quest'Ordine furono molti Cavalieri di diversi Seggi e famiglie, come di Costanzo, Caracciolo del Lione, di Dura ed altri.

Fu istituita da poi in Napoli la compagnia della Leonza, e l'insegna era una Leonessa d'argento legata con un laccio nelle branche e ne' piedi; e li Cavalieri di quest'Ordine furono quasi tutti del Seggio di Portanova, cioè della famiglia Anna, Fellapane, Gattola, Sassona, Ligoria e Bonifacia, e ve ne furono degli altri Seggi ancora.

Da poi, Giovanni Duca d'Angiò figliuolo di Renato Re di Napoli, essendo giunto nel Regno coll'armata di suo padre ad assaltarlo, per cattivarsi gli animi de' Cavalieri napoletani, e fra gli altri di Roberto Sanseverino, cercò all'uso di Francia istituire una nuova compagnia che chiamò della Luna, a cagion che per impresa di questa sua milizia portava la Luna cornuta, e ciascun de' suoi compagni la portava d'argento legata nel braccio. Furon molti di quest'Ordine, e fra gli altri Roberto figliuolo di Giovanni Conte di Sanseverino.

Finalmente Ferdinando I Re di Napoli, essendo scampato dall'insidie e tradimenti di Marino Marzano Duca di Sessa e marito d'una sua sorella, ed avendolo fatto incarcerare, era consigliato da alcuni di farlo morire; ma il Re non volle acconsentirvi, reputando atto crudele imbrattarsi le mani nel sangue di un suo cognato, ancorchè traditore. Volendo poscia dichiarar questo suo generoso pensiero di clemenza, figurò per impresa un Armellino, il qual pregia tanto il candor della sua politezza, che per non macchiarla si contenta più tosto morire. Si portava perciò dal Re una collana ornata d'oro e di gemme coll'Armellino pendente, e col motto: Malo mori, quam foedari . Fu di questa Compagnia, fra gli altri, Ercole da Este Duca di Ferrara, al qual il re Ferdinando mandò la collana per Gio. Antonio Carafa Cavalier Napoletano.

Fu veramente nel Regno degli Angioini per questi Ordini di Cavalleria la milizia tenuta in sommo pregio: onde la Nobiltà di Napoli seguendo questi generosi costumi, stese l'ale della sua fama per ogni parte della Terra abitata: poichè molti Cavalieri napoletani impazienti dell'ozio, e spinti da studio di gloria, si congregavano in diverse Compagnie, e sotto diverse insegne; ed a guisa di Cavalieri erranti, mentre il Regno era in pace, andavano mostrando il lor valore per diverse parti del Mondo, dove sentivano, che fosse Guerra; ed avevano tra loro alcuni obblighi di fratellanza con molta fede e cortesia osservati; ed il Costanzo rapporta, non esservi memoria, in tanta emulazione d'onore, che l'invidia o malignità avesse tra loro suscitata mai briga o discordia alcuna.

Ma in decorso di tempo avendo perduto Napoli ed il Regno il pregio d'esser Sede regia, per la lontananza de' nostri Re, non solo l'Ordine de' Cavalieri rimane oggi affatto estinto; ma anche sono estinti tutti questi altri nuovi Ordini di Cavalleria, e solo il nome di Milite è rimaso agli Ufficiali perpetui di toga del Re, come a' Reggenti della Cancelleria, al Presidente del Consiglio, al Luogotenente della Camera ed a tutti i Consiglieri e Presidenti di Camera, i quali dal Re nella loro creazione sono decorati di questo titolo, come quelli, che militano ancor essi. E siccome i primi eran cinti di spada, così questi sono ornati di toga; alla qual milizia sono ammessi non pur i nobili, ma anche que' del Popolo di Napoli e dell'altre città del Regno, pur che siano Dottori; ond'è, che siccome ne' tempi di Carlo e degli altri Re angioini suoi successori tutti erano intesi all'arte della guerra, così oggi tutti alla milizia togata drizzano i loro desiderii; ed il di lor numero non pur pareggia, ma è di lunga mano maggiore di quello de' Cavalieri, che fiorivano a' tempi de' Re dell'illustre Casa d'Angiò.

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